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Quasi una fiaba
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E-book121 pagine1 ora

Quasi una fiaba

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Info su questo ebook

"La libertà, quale grande illusione. E che fatica vivere quando si è liberi e non c'è nessuno che pensa a te se sei malata, se soffri, se non hai un soldo. La libertà... essere soli in un deserto senza fine, dove tutti sono indifferenti, lontani, estranei se non nemici. La libertà... e tutte le vie chiuse davanti a te perché non sei nessuno".

Nel destino di Arabella, diciassettenne timida e un po’ impacciata, c’è il profilo irresistibile di Roger, un giovane pittore francese che espone i suoi quadri in un’affollata località di mare. E non è facile sfuggire ai suoi sguardi, soprattutto se l’estate scalda la pelle e i suoi discorsi diventano sempre più interessanti e coinvolgenti. Ma Roger e Arabella, in fondo, si conoscono da sempre senza saperlo, la loro sintonia supera le barriere del tempo e dello spazio. Il loro è un amore impossibile. Come ha fatto Roger a ritrarla in una delle sue opere più belle senza nemmeno averla mai incontrata? Perché un quadro in mostra sembra l’esatta riproduzione del viso di Arabella? Qualcosa non torna in questa che sembra una semplice infatuazione estiva. E Roger, forse, nasconde un segreto… Quasi una fiaba, sognante e misterioso, è un romanzo di Elisa Trapani, firma indimenticabile, fra gli altri, di “Grazia”, “Annabella”, “Gioia” e “Marie Claire”.
LinguaItaliano
Data di uscita3 feb 2020
ISBN9788893041898
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    Anteprima del libro

    Quasi una fiaba - Elisa Trapani

    2020

    1

    Andrea gettò a terra la sigaretta consumata solo per metà. Era la seconda in meno di mezz'ora. Il sole bruciava e lui era fermo nel piazzale della chiesa ad aspettare quella balorda che ancora non usciva.

    È incredibile come si comportano le donne, fanno sempre il loro comodo, incuranti di chi ne subisce le conseguenze. Poi ti dicono, con aria svagata e gli occhi sognanti: «Scusami, sai, credevo fossero passati solo cinque minuti».

    E così avrebbe detto Attilia, cioè Tilly, la sua Tilly, fra poco, uscendo dal chiostro del piccolo convento dove, da qualche giorno, s'era inaugurata una mostra di pittura. Lui era rimasto fuori ad aspettarla perché quelle cose, francamente, Io annoiavano. «Non hai il senso dell'arte» gli diceva Tilly, e forse era anche vero. Lui credeva alle cose concrete e la poesia, gli sgorbi sulle tele, gli ideali, li lasciava agli altri. Pareva che tutti fossero venuti a vedere questa mostra nella sua cittadina costiera dove ogni cosa nuova era un pretesto per muoversi, per avere un qualche argomento su cui ciarlare.

    Aspetto altri cinque minuti, poi me ne vado.

    E si accese un'altra sigaretta. Ma in quel momento Tilly uscì, trafelata, ansante, con la borsa a tracolla che la seguiva come una coda, e i capelli al vento.

    — Vieni, Andrea, devi entrare, te ne prego... è necessario.

    Lo tirò, per così dire, per un braccio, ma lui resisteva. Non era per niente intenzionato a muoversi.

    — Calma, calma, che cosa hai visto di così eccezionale?

    — Lo hai detto, eccezionale. Ma fai più presto a venire dentro, a guardare da te, che io a dirtelo. Via, non fare il cocciuto, è appena a quattro passi, nel salone, a destra.

    Andrea dovette seguirla. Del resto non si poteva resistere a lungo alla volontà di Tilly che corse, come un chiassoso cucciolo, ancora nel chiostro, seguita da quel ragazzone magro e lungo che, con un passo, copriva due dei suoi.

    Non guardava nessuno dei quadri che erano esposti lì fuori, sotto il colonnato e che doveva aver già visto prima, ma puntò diritta e decisa verso il salone, una volta refettorio dei monaci, le cui pareti erano coperte da quadri grandi e piccoli. Si fermò sotto la parete a destra e indicò un quadro non molto grande.

    Poi disse ad Andrea:

    — Ebbene, che ne dici?

    Il quadro rappresentava una testina di donna bionda su sfondo azzurro.

    Andrea piegò il capo da un lato, poi dall'altro, piegò poi anche le labbra e concluse: — Grazioso.

    — Gra... zioso? Soltanto? E non vedi, non ti accorgi di altro?

    — Scusa, ma che cosa dovrei vedere?

    — Perdinci, Andrea, ma lo vedrebbero anche i ciechi!

    — Pardon, io non sono cieco e vedo qui un visetto pallido con tanti capelli biondi e tante nuvole dietro.

    — Esatto. Infatti sul catalogo è proprio questo il nome del quadro, Nuvole, ed è come se la ragazza non fosse reale, ma esplodesse, tutta d'oro, da una massa di nuvole azzurre.

    — Complimenti, che linguaggio! Sei diventata un critico d'arte?

    — Ma no, c'è nella prefazione del catalogo una frase così.

    — Il pistolotto per il pittore. Ma chi è?

    — È là in fondo, sta parlando col dottore e l'avvocato Sarti. Un ragazzo straordinario. Andrea si volse, vide un giovane di media statura, con un maglione rosso, barbetta e capelli neri.

    — Lo sai a chi somiglia? — disse.

    — Oh, finalmente ci sei arrivato.

    — Somiglia a Cesare Battisti. Per poco a Tilly non venne un travaso di bile. Si volse furiosa verso Andrea e disse:

    — Ma di chi parli, Andrea? E chi somiglierebbe a Cesare Battisti?

    — Ma lui, il pittore, con quella barbetta mefistofelica e gli occhi pieni di fuoco.

    — E chissà che scoperta! Ma io ti dicevo di guardare il quadro, di dirmi a chi somiglia questo quadro: gli occhi, la bocca, i capelli. Hai capito, adesso?

    Andrea volse le spalle al quadro, a Tilly, nauseato di tutto.

    — Non lo so, davvero non lo so. Somiglierà alla modella che ha posato. Ma poi a te e a me che cosa importa?

    — Già, che importa? Ma non l'hai guardata bene, l'altro giorno, la mia amica quando te l'ho presentata?

    — Che amica? Arabella?

    — Vedi che ti ricordi il suo nome?

    — Ma perché è un nome poco comune.

    — Anche il suo viso è poco comune, e quel quadro...

    — Vuoi dire che è il suo ritratto?

    — Potrebbe essere il suo ritratto. Soltanto che il pittore non l'ha mai vista né sentita nominare. È un francese, vive quasi sempre a Parigi.

    — Caspita, sai tutto. Scommetto che gli hai parlato.

    — Come no? Gli ho fatto un piccolo, discreto interrogatorio: con nessun risultato.

    — E figuriamoci se una pettegola come te si lasciava sfuggire l'occasione.

    — Per piacere, non cominciamo con gli insulti. lo scopro un mistero, un enigma... e tu mi fai una scena di gelosia! Fantastico.

    — Gelosia? Per quel pittorello da strapazzo? Ho altro da pensare.

    — Non è un pittorello, ti sbagli. Ha avuto non so quanti premi, è una solida promessa. Ma già... tu che ne sai di queste cose?

    — Non credo proprio che saperle sia un titolo di merito.

    — Punti di vista. Comunque non è il valore di Roger che io voglio discutere.

    — Roger... il pittore, no? Non sbaglio...

    — Per caso non sbagli. Del resto c'è anche sulla porta, scritto molto in grande. Ma ripeto che non è di lui che voglio parlare, ma del soggetto di quel quadro.

    — Nuvole!

    — Sì, nuvole. È possibile che un pittore faccia il ritratto di qualcuno senza averlo mai né visto né conosciuto in vita sua?

    — Ritengo di no. Ma forse è una somiglianza che vedi tu sola e che in realtà non esiste.

    — E allora rientriamo. Devi guardarlo ancora, e bene.

    — Sei matta — disse Andrea, e la distanziò col suo lungo passo sul viale pieno di sole e di gente.

    Tilly non si affrettò per raggiungerlo, anzi rallentò il passo. Era stanca ed emozionata e aveva bisogno di riflettere.

    E guarda pensò se una ragazza come me, che ama tutte le cose belle e interessanti della vita, doveva imbattersi in uno come Andrea, limitato in tutto, che non si entusiasma per nulla tranne che per i buoni cibi. Che tristezza! Per fortuna non siamo ancora sposati e chissà se Io saremo mai. Intanto devo dire tutto questo ad Arabella, non posso farne a meno, proprio non posso. Fra poco le telefono e poi vado, o le dico di venire qui, lei, a vedere...

    2

    — A che ora ha detto che viene la tua amica?

    — Verso le cinque, perché me lo chiedi?

    — Perché sarà ora che tu ti tolga quella vestaglietta di dosso e vada a vestirti come si deve.

    Zia Giusi guardava con una certa compassione la nipote che amava più le comodità che le apparenze. Le vestagliette, pratiche, semplici, erano la sua simpatia e non le avrebbe mai lasciate.

    Perché cambiare, se faceva una vita così ritirata? La casa, il giardino, la spiaggia privata, la sala di musica. Nessuno veniva mai a trovarli, loro. Ma zia Giusi, anni 40, forse un po' di più, una figuretta smilza, tanti capelli neri, a ricci, due occhi da spiritello, ci teneva invece a queste cose. Diceva che bisognava aver rispetto prima di se stessi e poi degli altri e che quando ci si guarda allo specchio non bisogna avere un sussulto di paura. Non che questo fosse il caso di Arabella, s'intende. Lei era come un fiore: dolce, fragile, profumato, ma se si fosse curata di più, se avesse indossato vestiti più moderni, pantaloni o minigonne, sarebb stata tutta un’altra ragazza. Forse anche il suo strano carattere sarebbe cambiato, e da quella musona che era sarebbe diventata una ragazza viva, dinamica, col fuoco addosso.

    — Ah, se avessi io la tua età! — diceva zia Giusi. — Ma la colpa è anche un pochino di tua madre che non fa nulla per scuoterti, che non ti conduce da nessuna parte, che

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