Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

In fondo alla terra
In fondo alla terra
In fondo alla terra
E-book618 pagine8 ore

In fondo alla terra

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Cile, 11 settembre 1973. Il mondo assiste attonito alla violenta presa del potere da parte dei militari. Il colpo di Stato travolge la vita di molti cileni e fa sprofondare il più europeo dei paesi latino americani sotto il peso di una feroce repressione.
Estela Meunier è figlia di uno dei tanti militari contrari al golpe. Per non restare stritolata dagli ingranaggi di un potere brutale, la ragazza si vedrà costretta a una fuga disperata attraverso il Sud America, fino all’Europa. I retroscena della politica, il crollo delle speranze, le violenze e il caos faranno da cornice alla lunga odissea della protagonista.
Estela si ritroverà a vivere il brusco passaggio da una spensierata giovinezza all’età adulta, con un nuovo nome e una nuova identità in un paese straniero. Nel ripartire da zero, la ragazza dovrà fare i conti con le proprie insanabili ferite e con ciò che la vita le riserva.
Una vicenda ispirata a fatti reali. Estela, per quanto personaggio di fantasia, racchiude in sé le tracce di tante storie vere. Diviene il personaggio simbolo di un dramma che investì la società cilena in modo trasversale, dai rimandi alla vita della presidente Michelle Bachelet alle testimonianze dei tanti cittadini comuni che videro le loro vite segnate dalla Storia.
LinguaItaliano
Data di uscita16 mag 2018
ISBN9788861557420
In fondo alla terra

Correlato a In fondo alla terra

Titoli di questa serie (16)

Visualizza altri

Ebook correlati

Narrativa di azione e avventura per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Categorie correlate

Recensioni su In fondo alla terra

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    In fondo alla terra - Alessandro de Francesco

    Alessandro De Francesco

    In fondo

    alla terra

    Collana Uplit n. 26

    I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento totale o parziale, con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche), sono riservati.

    commerciale@giraldieditore.it

    info@giraldieditore.it

    www.giraldieditore.it

    Segui Giraldi Editore su:

    Facebook

    Twitter

    pinterest

    Tumblr

    blogger

    ISBN 978-88-6155-742-0

    Proprietà letteraria riservata

    © Giraldi Editore, 2018

    Edizione digitale realizzata da Fotoincisa BiCo

    Ogni riferimento a fatti e persone realmente esistenti è puramente casuale o utilizzato dall’autore ai fini della creazione narrativa.

    dedicato a Marìa Angelica Araya Loyer

    Le poesie di Estela sono di Emanuela Cenni

    Un ringraziamento particolare a

    Pamela Andrea Flores Saldana

    …el canto tiene sentido

    cuando palpita en las venas

    del que morirá cantando

    las verdades verdaderas,

    No las lisonjas fugaces

    ni las famas extranjeras

    sino el canto de una lonja

    hasta el fondo de la tierra.

    (da Manifiesto, Victór Jara)

    PRIMA PARTE

    1

    Livorno – 24 giugno 2013

    Estela uscì dalla baracchina e andò ad appoggiarsi alla balaustra sul mare. Ormai per lei era diventato un rito. Di solito, quando il sole cominciava a tramontare, si fermava a fissare l’orizzonte e si accendeva una sigaretta. Osservare le imbarcazioni che si stagliavano lontane le risvegliava un’ancestrale malinconia, alla quale si abbandonava senza opporre resistenza. In quei momenti di quiete le sembrava di percepire il mondo pulsare, come fosse un organismo vivente. Di fronte a quello spettacolo, si sentiva piccola e riusciva ad attribuire ai drammi umani una dimensione irrisoria.

    Era sopravvissuta a tante cose nella sua vita. Pensava di meritarsi, di tanto in tanto, quel fugace distacco da tutto. Ne aveva bisogno.

    Quel pomeriggio aveva piovuto e non c’era in giro molta gente. Lei guardò in basso verso il piccolo molo e decise di scendere dalla scaletta e di andare a sedersi all’estremità della banchina. Tirò fuori dalla borsa un vecchio diario e cominciò a scrivere la prima cosa che le passò per la mente.

    Era assorta nei propri pensieri quando, all’improvviso, avvertì la presenza di qualcuno alle proprie spalle. Richiuse il diario quasi con un senso di vergogna. Si voltò di scatto e vide un uomo. Era così elegante da sembrare fuori luogo su quel molo. Dava l’impressione di essere poco più anziano di lei. Al massimo poteva avere una settantina d’anni.

    Lui la fissava immobile.

    Estela ebbe l’impressione di aver già visto quell’individuo e le venne spontaneo sorridergli.

    L’uomo fece un cenno di saluto, chinando leggermente il capo.

    Lei si mostrò disinvolta, ma sentì il peso del suo sguardo su di sé. Si passò una mano tra i capelli scompigliati dalla brezza e cercò di essere cordiale: – È bello qui a quest’ora del giorno, non trova?

    L’uomo non ribatté. Si avvicinò senza smettere di fissarla.

    Estela pensò che quello sconosciuto la volesse corteggiare e la cosa le suscitò una certa ilarità: – Devo averla già vista da queste parti. Ha un’aria familiare.

    Lui tentennò nel rispondere: – Lo siento, pero yo no hablo italiano…

    Estela trasalì nel sentirlo rispondere in spagnolo. Non se l’aspettava.

    – Sólo unas pocas palabras, – precisò lui.

    – Incluso su acento es familiar. ¿De dónde eres?

    Lui tentennò nel rispondere: – Mi dispiace, ma non parlo italiano…

    Estela trasalì nel sentirlo rispondere in spagnolo. Non se l’aspettava.

    – Solo qualche parola, – precisò lui.

    – Anche il suo accento è familiare. Da dove viene?

    Lui finalmente distolse lo sguardo da Estela e guardò verso il mare: – Sono di Huasco.

    Lei sgranò gli occhi: – Anch’io sono cilena.

    – Lo so, Estela.

    Lei aggrottò le sopracciglia senza replicare. Si chiese come potesse quello sconosciuto conoscere il suo nome. Cominciò a osservare il suo viso passando in rassegna i propri ricordi.

    Lui tornò a fissarla: – Oh, non mi guardi così. Non può ricordarsi di me.

    – Ma lei chi è?

    – Dubito che il mio nome le possa dire qualcosa.

    Lei notò il voluminoso pacchetto che lui teneva sottobraccio. Ebbe uno strano presentimento e divenne inquieta. Si rimise le scarpe e fece per alzarsi: – Mi deve perdonare, ma è tardi. Sarà meglio che vada.

    – No! Resti, la prego. Non deve temere.

    Estela rimase a fissarlo qualche istante, poi sbottò: – Mi stava seguendo?

    – Vorrei poter dire di no, ma…

    Lei non poté dissimulare la sorpresa per quella risposta sibillina.

    – No, non mi fraintenda. È solo che ho chiesto a Don Luigi… si chiama così, giusto? Beh, è stato lui a dirmi che l’avrei trovata qui.

    – Perché non mi vuole dire chi è lei?

    – Vede… lei mi ha già visto, ma non può ricordarsene. È passato troppo tempo. È stato a Buenos Aires quasi quarant’anni fa.

    – A Buenos Aires?

    – Sì, ricorda Buenos Aires? Lei allora abitava sulla Magallanes con un giovane. Credo che fosse Alejandro il suo nome… dico bene?

    Estela deglutì, cercando di mascherare l’emozione che quel fugace ricordo le aveva procurato.

    Buenos Aires – 30 settembre 1974

    La ragazza entrò nell’androne del palazzo e si appoggiò con la schiena al portone. Chiuse gli occhi ansimando. Era stravolta. Riaprì gli occhi e scrutò verso il corridoio buio. Non c’era nessuno. Tornò ad affacciarsi dall’entrata e guardò in strada per vedere se qualcuno la stesse seguendo. Quando si rese conto che tutto era tranquillo, si avviò verso le scale. Salì in fretta fino al terzo piano e bussò alla porta di Luis. Passò qualche istante prima che lui aprisse. Era tale la tensione, che iniziò a tremare.

    Lui aprì e nel vederla in quelle condizioni sobbalzò: – Cristo, Angela, ma che hai?

    – Presto fammi entrare.

    Lui notò i suoi occhi gonfi e capì che aveva pianto: – Si può sapere cosa diavolo è successo?

    La ragazza entrò senza rispondere.

    Lui prese un telo bianco e lo mise sul dipinto a cui stava lavorando: – Volevo telefonarti. È passato Sebastian questa mattina e ha fatto un discorso farneticante. Ha detto che ormai eri bruciata. Non ho ben capito cosa intendesse dire.

    Lei sembrava in stato confusionale: – Forse mi stanno seguendo.

    – Chi ti sta seguendo?

    – Non lo so.

    – Il tuo amico dov’è?

    La ragazza lo fissò qualche istante, come se le mancassero le parole.

    – Si può sapere che ti prende?

    Lei scoppiò a piangere: – Dovevo andare io a prendere Blanca alla stazione, ma…

    Ma?

    – Gli ho chiesto di andare lui… non potevo immaginare che...

    – Qual è il problema?

    Lei riprese fiato: – C’era una bomba nella mia macchina, – e, con un gesto quasi infantile, si portò le mani alla bocca.

    Luis rimase senza parole.

    Nella stanza si creò un silenzio irreale. Il giovane pittore capì che, qualsiasi cosa avesse detto, sarebbe stata fuori luogo. Si sentì coinvolto in qualcosa più grande di lui.

    La ragazza, con un gesto nervoso, prese dalla tasca dei jeans un fazzoletto e se lo passò sotto il naso. Andò alla finestra e guardò in strada.

    Lui, senza riflettere, sbottò: – Io non ci capisco più un cazzo!

    Lei parve non averlo neanche sentito.

    – Cristo, com’è possibile una bomba? Chi diavolo l’ha messa? – chiese Luis.

    Lei si voltò ed evitò di guardarlo negli occhi: – Non so dove andare. Non posso tornare a casa.

    – Puoi restare qui, – ribatté l’amico.

    – No. Ti metterei nei guai.

    – Non capisco. Perché dici che…

    – Voglio parlare con Prats.

    Luis cambiò espressione: – Ma allora non sai nulla.

    – Di cosa parli?

    – Era su tutti i giornali. Ne hanno parlato anche in TV. Prats e la moglie sono morti. Un attentato questa notte, vicino a Villa de Mayo.

    Lei fece un passo indietro e appoggiò la schiena alla parete: – Mio Dio!

    – A questo punto mi viene da pensare che siano state le stesse persone che volevano uccidere te. Devi tagliare la corda. È meglio che tu sparisca per un po’.

    La giovane si coprì il viso con entrambe le mani.

    Lui le toccò delicatamente una spalla: – Perché vogliono ucciderti? Cosa rappresenti per loro? Non ha senso tutto questo accanimento.

    Lei lo fissò negli occhi e gli accarezzò il viso: – È una storia troppo lunga da spiegare. Forse non mi crederesti.

    – Cosa vuoi dire? Spiegati!

    – Io non sono quella che tu credi.

    – Cioè?

    – Cioè, è molto pericoloso starmi accanto.

    Luis la fissò senza sapere cosa dire.

    La ragazza ripensò a tutto quello che era successo quella mattina. Si sedette e riprese a piangere.

    Il giovane le accarezzò i capelli: – Ora cosa farai?

    Lei si passò il fazzoletto sugli occhi. Sembrava imbarazzata. Esitò qualche istante prima di chiedere: – Hai un po’ di soldi? Io ho dovuto lasciare tutto.

    – Certo. Di questo non devi preoccuparti.

    Lui tirò fuori del denaro e glielo diede.

    Lei l’abbracciò stringendolo forte.

    – Dimmi dove andrai.

    – È meglio che tu non lo sappia.

    – Vorrei poter fare qualcosa.

    – Hai già fatto molto.

    – Ma io…

    – Ora vado, – fece lei, – prometto che, un giorno, troverò un modo per…

    – No, Angela, non mi devi niente. Tu faresti la stessa cosa per me.

    Lei lo guardò con dolcezza. Gli gettò le braccia al collo per un ultimo abbraccio e poi uscì. Richiuse la porta dietro le proprie spalle e si accinse a scendere le scale. All’improvviso sentì delle voci provenire dall’androne al pianterreno e il portone sbattere forte. Si fermò lì dov’era, come paralizzata. Si sporse lentamente e vide quattro uomini salire. Avevano un aspetto inconfondibile. Fu sopraffatta dal terrore e, per un istante, non seppe che cosa fare. Trattenne a stento una crisi di pianto. Si guardò intorno e decise di tornare su. Capì che stavano cercando Luis e bussò energicamente alla sua porta.

    Lui perse tempo nel posare il pennello con cui era tornato a lavorare al dipinto.

    Lei fu presa dal panico. Decise di salire al quarto piano per sfuggire agli agenti della DINA che stavano salendo. Si mise in ombra a osservare di nascosto dal piano superiore e vide due degli uomini estrarre la pistola e sfondare la porta dell’appartamento dell’amico. Aspettò che tutti e quattro fossero dentro e pensò di scendere. Passò rapidamente davanti alla porta di Luis, sperando di non essere vista.

    Uno degli agenti sentì i suoi passi e si voltò verso il pianerottolo. La vide passare e urlò: – La stronza è qui!

    Lei si precipitò giù dalle scale.

    Due degli uomini si gettarono all’inseguimento.

    La ragazza arrivò in strada e prese a correre. Riuscì a distanziare di qualche decina di metri i due inseguitori. Girato un angolo, vide le indicazioni per la metropolitana. Le seguì e, pochi istanti dopo, si ritrovò alla stazione Pueyrredón.

    Non aveva fatto tempo a pensare a nulla. L’unica cosa che la sua mente riusciva a concepire era di scappare il più lontano possibile. Non sapeva dove stava andando. Cercò di mischiarsi alla folla. Fece il biglietto e proseguì cercando di non farsi notare. Si guardò indietro per vedere se la stessero ancora seguendo e, per un istante, s’illuse di averli seminati.

    Si avviò con circospezione ai binari ma, all’improvviso, vide uno dei due inseguitori a pochi passi da sé. Sentì un brivido attraversale la schiena.

    L’uomo non l’aveva vista.

    Lei si allontanò con passo veloce. Si nascose dietro a una colonna e aspettò l’arrivo del treno. Furono i minuti più lunghi della sua vita.

    Quando il treno arrivò al binario e rallentò fino a fermarsi, lei si sporse per capire se gli agenti della DINA fossero ancora lì. Li vide aggirarsi una decina di metri da dov’era lei. Stavano passando in rassegna le persone assiepate al binario, cercando di non dare nell’occhio.

    La gente si ammassò in corrispondenza delle porte dei vagoni.

    Lei decise di rimanere nascosta e aspettare all’ultimo istante. Salì appena prima che le porte si chiudessero.

    I due uomini della DINA la videro e le corsero dietro, ma non fecero in tempo. Uno dei due batté dei pugni sulle porte scorrevoli, ma queste rimasero chiuse.

    Il treno prese a muoversi e la ragazza tirò un sospiro di sollievo. Fece tempo a fissare negli occhi l’uomo che aveva di fronte a sé, separato solo dal vetro dello sportello.

    L’uomo la fissò a sua volta, stringendo tra i denti un’imprecazione.

    2

    Santiago del Cile – 24 giugno 1973

    Estela, avvicinandosi allo studio del padre, sentì le note del Canon di Pachelbel provenire da oltre la porta. Era da molto tempo che non sentiva quel brano. Stava per posare la mano sulla maniglia, ma indugiò. Le tornarono alla mente alcuni ricordi d’infanzia e decise di rimanere sulla soglia ad ascoltare. Ripensò alla madre. Si appoggiò con la spalla alla parete e restò qualche istante a farsi cullare dall’atmosfera che quella melodia aveva creato.

    Sentì il volume della musica calare bruscamente e i passi del padre tornare alla scrivania. Abbassò lo sguardo, rammaricandosi che quella estemporanea fuga dalla realtà fosse stata così breve. Entrò nello studio proprio nel momento in cui il padre aveva alzato la cornetta del telefono.

    – Mi passi l’Academia de Guerra.

    Lei richiuse la porta dietro di sé.

    Il padre le fece cenno di non far rumore, poi tornò alla sua telefonata: – Pronto… sì, mi passi Contreras. Sono il generale Andrés Meunier Blanchard… sì, attendo.

    La figlia si sedette su una poltroncina poco distante.

    Lui mise il palmo della mano sulla cornetta e si rivolse sottovoce alla ragazza: – Vai di là. Ti raggiungo tra un attimo.

    Lei scosse la testa e fece un gesto come dire resto qui.

    Il padre, contrariato, alzò gli occhi al cielo e riprese a parlare al telefono: – Pronto, tenente colonnello Contreras? …la chiamavo per… ah, ecco.

    Dopo qualche attimo di silenzio, Estela lo vide sorridere.

    – Bene, tenente colonnello. La ringrazio… certo… non la deluderà. Il tenente Martones mi ha fatto un’ottima impressione… beh, ma si capisce. Allora spero di vederla presto… va bene. Arrivederci… grazie, sì.

    Il padre chiuse la comunicazione e sussurrò tra sé e sé: – Pallone gonfiato…

    Estela sbottò: – Cos’è questa storia che non vuoi che vada ad Ancud?

    – Prima di tutto, togli i piedi dal mio tavolino e siediti come una persona civile.

    Lei, sfrontata, non si mosse.

    – Seconda cosa, sono io a decidere se e quando puoi andare ad Ancud, non tu.

    – Ma me l’avevi promesso.

    – Estela, smettila. Sembri una bambina capricciosa.

    Lei tolse i piedi dal tavolino e si tirò su con la schiena: – Sei tu che mi tratti da bambina. Se ci sono dei motivi precisi per cui io debba restare a Santiago, dimmelo. Altrimenti…

    – Non amo parlare di certe cose, lo sai.

    – Perché?

    – Perché dovrei parlare di politica e sai che non voglio che si parli di politica in casa.

    Estela si appoggiò allo schienale e cominciò ad arrotolare una ciocca di capelli intorno all’indice della mano: – Beh, se la politica deve interferire con la mia vita privata, preferirei che se ne parlasse. Oggi è domenica e non so ancora se domani potrò partire o meno. Chiedo troppo?

    Il padre sospirò e, con lo sguardo basso, congiunse le mani come in preghiera.

    Lei insistette: – Cosa cambia? Non mi sembra che le cose stiano andando diversamente da come sono sempre andate.

    – Ma ti rendi conto dell’idiozia che hai appena detto? Siamo nel pieno di una crisi politica senza precedenti…

    – L’hai detto anche l’anno scorso.

    L’uomo s’inalberò: – Siamo nei guai fino al collo, lo vuoi capire?

    Estela, sorpresa, non ribatté.

    Il padre cercò di controllarsi: – Ma non le senti le notizie?

    – Beh, certo che…

    – Ormai sei tornata in Cile da quasi una settimana. Forse in Europa non si parla di noi, ma qui sono successe delle cose che…

    – Anche a Parigi si parla dei nostri problemi, non credere. Là Allende è un eroe.

    – E qui no!

    Lei fece fatica a trattenere l’irritazione e sbuffò.

    – Non ti sei accorta delle pressioni alle quali siamo sottoposti ultimamente noi militari?

    Lei rimase in silenzio a fissare il padre.

    – Non ti ha sfiorato il pensiero che la situazione possa degenerare da un momento all’altro? Lo capisci che le strade potrebbero non essere sicure? Sento fare dei discorsi che…

    – Perché non me ne parli? Per una volta fidati. Ho ventitré anni, papà.

    Lui indugiò qualche attimo prima di lasciarsi andare: – Va bene. Però quello che ti dirò deve restare tra queste mura, Estela.

    – Mi sembra ovvio.

    – Non sto scherzando, Estela. Ne va della nostra sicurezza.

    Lei fu attraversata da un brivido d’inquietudine. Non aveva mai visto il padre così teso. Vederlo in preda alle debolezze di un comune mortale le fece uno strano effetto. Andrés Meunier era un uomo che non si scomponeva mai e spesso veniva stigmatizzato per il suo viso di pietra.

    – Ormai sono mesi che si parla della necessità di un rivolgimento in ambito politico. La mia paura è che si tramuti anche in un rivolgimento istituzionale.

    Estela aggrottò la fronte senza dire nulla.

    – Molti vorrebbero che noi militari prendessimo in mano la situazione, ma potrebbe voler dire prevaricare i nostri ambiti di competenza.

    – Prats cosa dice?

    – Ovviamente Carlos è d’accordo con me.

    – Cioè?

    – Cioè non vogliamo farci trascinare nella mischia. Il ruolo delle forze armate deve rimanere estraneo alla disputa politica. Ma il vero problema è che siamo in minoranza. Sembra di stare seduti su di una pentola a pressione il cui coperchio sta per saltare. E quando salterà saranno guai seri per tutti. Ci sono state altre crisi in passato, ma non ci siamo mai trovati in una situazione simile.

    Estela staccò il dorso dallo schienale e parlò sottovoce, come se stesse dicendo qualcosa di disdicevole: – Forse farebbe bene anche a te mollare tutto e prenderti qualche giorno di riposo. Perché non vieni anche tu ad Ancud?

    – Scherzi? Non posso allontanarmi dalla capitale ora.

    In quel momento bussarono alla porta.

    – Avanti, – fece il generale Meunier.

    Entrò Isabel, la governante.

    – Sì?

    – Il pranzo è servito, generale.

    – Vai pure. Tra un attimo arriviamo.

    – Ci sarebbe un’altra cosa…

    – Dimmi, Isabel.

    – Mio figlio…

    – Tuo figlio cosa?

    – È qui e vorrebbe salutarla.

    Il generale Meunier si batté la mano sulla fronte: – Che sbadato. È da mezz’ora che lo faccio aspettare… fallo passare.

    Estela e Alejandro non si vedevano da molti anni. Erano quasi coetanei e avevano trascorso buona parte dell’infanzia assieme nella grande villa dei Meunier.

    Alejandro si presentò in divisa dell’Ejército e, quando fu davanti alla scrivania del generale Meunier, scattò sull’attenti.

    – Comodo, ragazzo, – fece l’alto ufficiale, – non sei in caserma. Sei a casa mia.

    Alejandro, da bambino, era stato cresciuto da Andrés Meunier quasi come un figlio. Ora il periodo di ferma di Alejandro stava per terminare e da qualche settimana era stato distaccato, col grado di caporale, alla guarnigione di Santiago.

    – Allora, Alejandro… come ti trovi qui nella capitale? – chiese Meunier.

    – Bene, Generale. Finalmente mi hanno dato la settimana di licenza che avevo richiesto. Devo rientrare il due luglio.

    Meunier scoppiò a ridere: – Quando siamo in privato puoi tornare a chiamarmi signor Andrés.

    Il giovane si sforzò di sorridere.

    Estela si alzò in piedi: – Beh, vi lascio alle vostre cose.

    Alejandro sembrò accorgersi solo in quel momento della presenza della ragazza e prese a fissarla.

    Lei gli lanciò una rapida occhiata.

    Lui la guardò incuriosito: – Estela?

    – Beh, non si può certo dire che tu sia molto fisionomista.

    Alejandro parve sorpreso. Non si capacitava del fatto che la donna che aveva di fronte fosse la vecchia compagna di giochi. Un sorriso malizioso comparve sul suo viso: – Sei così cambiata…

    – Spero non in peggio.

    Lui non ribatté, lasciando lei nel dubbio su cosa stesse davvero pensando.

    Estela avrebbe voluto restare, ma si sentì fuori luogo. Come sempre, fu abile nel dissimulare il proprio disagio. Andò con apparente disinvoltura alla porta: – Allora, magari ci si vede dopo, – e uscì.

    Alejandro l’aveva squadrata da capo a piedi e per un attimo temette che il padre di lei se ne fosse accorto.

    Appena varcata la porta, Estela si pentì di aver lasciato la stanza. Si sentì stupida. Avrebbe preferito restare, ma gli sguardi del giovane la mettevano a disagio. Le capitava spesso di sembrare estroversa e spigliata, ma era una finzione. Pensò fosse tardi per trovare una scusa che le permettesse di tornare nello studio senza destare sorpresa. Si rassegnò e si avviò verso la sala da pranzo.

    Nel corridoio incrociò la nonna Clothilde.

    Vedendola, l’anziana le si rivolse in francese: – Estelle, mon enfant. Comment tu es pâle…

    Lei sorrise: – Non è vero, è il mio colorito naturale… e lo sai.

    – N’est pas vrai. La vérité est que tu es habitué à vivre la nuit.

    – Per forza, nonna. È l’unico momento in cui riesco a studiare.

    Clothilde Bibiane Blanchard, l’anziana madre del generale Meunier, era nata in Francia, a Rosny-sous-Bois, da un’anonima famiglia di commercianti. Si era trasferita in Cile al seguito del marito, Gustave Meunier, negli anni Trenta, quando in patria gli affari di famiglia avevano cominciato ad andare male. Non aveva mai perso il suo accento francese. Estela era sempre felice di presentarla agli amici. Il fatto stesso che l’anziana pronunciasse il nome Meunier con l’originaria dizione francese, in genere, suscitava una reazione divertita negli ospiti.

    Del resto, in casa Meunier, si respirava un’atmosfera molto europea. Estela stessa era innamorata dell’Europa. Studiava letteratura alla Sorbona di Parigi e, oltre al francese, parlava correntemente l’inglese. Aveva anche seguito un corso d’italiano, ma era una lingua che aveva occasione di usare di rado. Anche all’apparenza Estela, coi suoi capelli biondi e gli occhi azzurri, aveva un aspetto tipicamente nordeuropeo.

    Prese la nonna a braccetto: – Su, vieni a mangiare ora.

    – Vous pensez toujours à manger dans cette maison.

    Si avviarono lentamente verso la sala da pranzo. Qui incontrarono il dottor Gallego.

    – Dottore che piacere, – fece la ragazza.

    – Buongiorno, Estela.

    – Qual buon vento?

    – Oh, nulla… ero passato a visitare sua nonna Clothilde.

    La ragazza si rabbuiò e si voltò di scatto verso l’anziana: – Non mi hai detto niente. Stai male?

    Gallego la tranquillizzò: – Niente di grave, signorina. Non si preoccupi. È solo qualche acciacco. Non è vero, signora Clothilde?

    La vecchia matriarca sembrò ignorare il fatto che si stesse parlando di lei. Si scostò dalla nipote e andò a sedersi al tavolo borbottando qualcosa tra sé e sé.

    – Resta a pranzo da noi? – chiese Estela al medico.

    – No, signorina. Non ho neanche avvertito a casa… ho anche degli appuntamenti nel pomeriggio.

    – Telefoni per avvertire, no? Resti, la prego, – e, senza attendere che il dottor Gallego avesse il tempo di rispondere, si voltò verso la governante, – apparecchia anche per il dottore, Isabel.

    La donna fece un cenno di assenso e tornò in cucina.

    Gallego si fece confidenziale con Estela: – Che resti tra noi, è suo padre che mi preoccupa, non sua nonna.

    – Perché dice così?

    – L’ho visitato l’altro giorno e… sì, insomma, sarà meglio per lui calmarsi. Non può andare avanti con questa vita. È troppo teso. Gli farebbe bene una vacanza.

    – Non faccio che ripeterglielo.

    – Trovi il modo per convincerlo.

    – Sa anche lei com’è fatto mio padre. Sembra di parlare con un mulo.

    Il dottore rise alla battuta: – Sì, la capisco, – poi tornò serio, – però bisognerà trovare il modo di fargli accettare l’idea che il suo cuore non è più quello di un tempo. Deve evitare gli sforzi e le forti emozioni.

    Estela abbassò lo sguardo pensierosa.

    Il generale Meunier entrò nella sala da pranzo seguito da Alejandro. L’alto ufficiale chiamò Isabel e disse senza tergiversare: – Isabel, apparecchia anche per tuo figlio. Resta a mangiare con noi.

    Il ragazzo sembrò preso di sorpresa: – Ma…

    – Niente ma. Vuoi rifiutare un invito del generale Andrés Meunier?

    L’anziana madre del generale non sembrò apprezzare l’invito e borbottò: – C’est ce qui arrive lorsque vous remplissez la maison de roturiers…

    Lui la fulminò con lo sguardo, poi si voltò verso la governante: – Anzi, non possiamo far mangiare separati madre e figlio, non ti pare? Siediti con noi, Isabel.

    A quel punto l’anziana Clothilde si coprì gli occhi con il palmo della mano: – Eh bien, ouvrons les portes aux pauvres.

    Estela e Gallego fecero fatica a trattenere l’ilarità di fronte alla reazione dell’anziana.

    La governante acconsentì senza fare commenti. Per la verità non era una cosa insolita. Mentre la vecchia Clothilde preferiva spesso farsi portare da mangiare nella propria camera, non era raro che Meunier mangiasse insieme a Isabel.

    Alejandro invece era nervoso.

    Il generale Meunier se ne accorse: – Non far caso a mia madre, ragazzo. La conosci bene anche te… dato che non sono nato in Francia, per lei sono un plebeo anch’io. D’altronde, come tu sai, è la storia della nostra famiglia… gente strana i Meunier. Per non parlare dei Blanchard.

    Il giovane s’impose di sorridere, ma non replicò.

    – Gente che, quando era in Francia, non vedeva l’ora di emigrare, – continuò Meunier, – e ora che è in Cile, fa di tutto per sentirsi in Francia.

    Tutti, eccetto Clothilde, risero alla battuta.

    Per quanto, fuori da quelle mura, il generale Meunier, avesse sempre dato l’impressione di essere un austero conservatore, in ambito familiare tendeva a essere una persona gioviale ed espansiva. Estela aveva sempre sospettato che quell’aspetto del carattere di suo padre fosse una reazione alla chiusura mentale della genitrice. Spesso il figlio accusava l’anziana di recitare in modo maldestro la parte dell’aristocratica e la scherniva ricordando come fosse scappata dall’Europa con solo i vestiti che aveva addosso.

    Quel giorno Estela sembrò molto divertita dalla promiscuità di quella tavolata e cominciò a osservare i commensali uno a uno.

    Alejandro avrebbe voluto essere altrove. Era così maldisposto che, piuttosto, avrebbe preferito essere di corvè in caserma.

    La madre Isabel, seduta a suo fianco, sapeva di meritarselo. In fondo aveva cucinato lei, non quella vecchia strega di Clothilde.

    Gallego, da parte sua, era una buona forchetta. Fu subito conquistato da ciò che aveva nel piatto e tralasciò qualsiasi altra considerazione.

    Estela e suo padre si scambiarono un’occhiata complice dopo aver guardato entrambi di sottecchi l’eccentrica Clothilde. Questa continuava a mugugnare, indispettita da quell’inaspettato cambio di etichetta.

    L’anziana non aveva alcuna avversione per le persone che considerava di estrazione sociale inferiore. La sua apparente scontrosità era dovuta solo a un maldestro modo per mascherare il proprio atavico timore per le novità. Tuttavia i suoi atteggiamenti si erano ormai fossilizzati e la facevano apparire una caricatura vivente.

    L’attenzione di Estela si concentrò su Alejandro. Nonostante lei ostentasse disinvoltura, lui se ne accorse. Più di una volta i loro sguardi s’incontrarono. Tuttavia, nessuno dei due sembrò trovare un pretesto per rivolgere la parola all’altro e rimasero a studiarsi a distanza.

    In principio, a tavola, si parlò poco e soprattutto di banalità. Fu Gallego che prese a parlare di politica, suscitando una certa irritazione nel generale Meunier: – Le confesso, caro generale, che se le cose andranno avanti così, non so dove andremo a finire.

    – È così una bella giornata, – ribatté l’alto ufficiale, senza distogliere lo sguardo dal proprio piatto, – perché rovinarci il pranzo con la politica, dottor Gallego?

    – Perché quell’Allende sta mandando al macero questo paese.

    Clothilde fece finta di non aver capito e sussurrò: – Que dit-il?

    Era una recita. Far finta di non capire lo spagnolo, lingua che per altro conosceva perfettamente, era solo un modo per non farsi invischiare in discorsi che non le interessavano. Era il suo metodo per tenere il resto del mondo fuori dalla porta.

    Estela lo sapeva e ignorò la domanda dell’anziana.

    Meunier soppesò le parole, prima di ribattere a Gallego: – Temo che la situazione sia più complessa di quello che lei pensa.

    – Cosa c’è di complesso? Il cosiddetto socialismo ha fallito su tutti i fronti. Non funziona. Non ha mai funzionato nel resto del mondo… non vedo perché avrebbe dovuto funzionare qui. Allende e i suoi amici bolscevichi ci hanno preso in giro. Mi meraviglio di lei, generale. Non riesco a immaginare come lei possa avere delle simpatie per quella gente.

    Meunier non riuscì a mantenere l’aplomb. Batté il pugno sul tavolo, suscitando un fremito in tutti i commensali: – Sono stanco di essere additato come socialista, o peggio, come comunista… solo perché mi attengo al mio ruolo istituzionale! Lei pensa che io abbia delle idee politiche vicine a quelle del presidente? Lei non… lei sembra non voler capire, – e abbassò la voce, cercando di controllarsi, – tutti chiedono a noi militari di rendere conto della situazione in cui siamo. Noi siamo l’Ejército! Il nostro compito è quello di difendere la Patria… non di fare politica. Molti ci accusano di non reagire e parlano come se Allende fosse un invasore straniero. È stato liberamente eletto e il Congresso ha ratificato la sua nomina… cosa avremmo dovuto fare? Ci chiedete un colpo di stato? È questo che volete?

    Si era creato un silenzio imbarazzante nella stanza.

    Gallego si rese conto di aver toccato un nervo scoperto: – Le chiedo scusa, generale. Non volevo risultare offensivo. Lei sa che ho il massimo rispetto per lei e per la carica che ricopre.

    Meunier sospirò passandosi una mano sulla fronte: – Mi scusi lei per lo sfogo. Come le dicevo prima, non è un bel momento per parlare di politica.

    – Credo di essere stato io assolutamente fuori luogo e, considerando che sono il suo medico e che quindi mi sento responsabile anche delle sue coronarie, sono stato imperdonabile.

    Meunier accennò un sorriso prima di riprendere a parlare: – No, dottore… la verità è che siamo tutti molto tesi. Lei ha sicuramente le sue ragioni, ma si cali per un attimo nei miei panni… sono un uomo di idee conservatrici. Ma così conservatrici, che non riesco a immaginare che qualcuno possa forzare il normale funzionamento dell’apparato statale per mere questioni politiche. Il risultato di ciò è che, spesso, vengo preso per un socialista… o, come le dicevo, addirittura per un comunista.

    Il dottore sorrise, cercando di stemperare la discussione: – Credo che nessuno lo pensi davvero.

    Meunier rincarò la dose: – Scambiare un generale dell’Ejército de Chile per un comunista è come cercare di mungere un toro. Bisogna aver le idee poco chiare.

    Tutti risero alla battuta.

    Solo la vecchia Clothilde si guardò intorno spaesata: – Mungere un toro?

    Meunier si alzò e, per farsi perdonare della sfuriata, prese dalla vetrinetta del mobile una bottiglia di cognac da offrire al dottore: – Vedere la foto del nostro caro Pinochet accanto a Fidel Castro durante l’ultima visita di Stato non deve portarla fuori strada, – aprì la bottiglia e versò un sorso di liquore per l’ospite e uno per sé, – le posso assicurare che Augusto non è un comunista, come non lo sono io.

    La vecchia madre allungò il proprio bicchiere come a volersene far versare un po’.

    Il figlio la rimproverò: – Ci mancherebbe solo che ti attacchi al cognac.

    Lei storse il naso delusa: – Enfant ingrat!

    Estela buttò l’occhio ad Alejandro per capire cosa stesse pensando di tutto ciò che era stato detto. Il ragazzo però evitava accuratamente di manifestare il proprio pensiero a tavola. Teneva gli occhi bassi, fissi sul piatto. Alzò lo sguardo solo per versarsi un bicchiere di vino e, nel farlo, incontrò lo sguardo di Estela. Entrambi accennarono un sorriso.

    – Vede, dottor Gallego, – continuò il generale, – io ero molto amico di Schneider, così come del resto lo era Prats. È stata una grande perdita per il nostro paese. La cosa che la gente fa fatica ad accettare è che le nostre vite siano appese a un filo.

    Estela, a quelle ridondanti parole, si voltò verso il padre: – Papà, non credo che…

    Lui la zittì mettendole una mano sul braccio: – In molti ambienti ci chiedono di fare una scelta. Ma è una scelta che noi militari non possiamo fare. Per accontentare certi ambienti politici, dovremmo venir meno al nostro onore di soldati e disattendere a un giuramento di fedeltà alle istituzioni. Non posso accettarlo… così come non poteva accettarlo Schneider. E lui ha pagato con la vita.

    – Lei, generale, è sicuro che tutti i militari la pensino come lei?

    Meunier, che stava annusando l’aroma del proprio cognac, alzò di scatto lo sguardo per fissare il proprio interlocutore.

    – Forse molti dei suoi colleghi hanno idee differenti dalle sue riguardo all’onore, non crede? Forse alcuni hanno già fatto una scelta. Almeno questo è quello che sempre più spesso si sente dire in giro.

    – Crede che non lo sappia? La cosa non può influire sulle mie decisioni… né tantomeno su quelle di Prats, o di Pinochet.

    – Non volevo dire che…

    – Io voglio fare il mio mestiere nel migliore dei modi e il mio mestiere non implica che io faccia una scelta di campo… o anche solo che manifesti apertamente le mie personali idee politiche. Per questo non mi sentirà mai fare annunci pubblici. Al tempo stesso non posso rispondere dell’operato dei miei colleghi. Ognuno dovrà rispondere di fronte al popolo cileno e alla propria coscienza.

    La discussione si era fatta pesante. Estela prese coraggio e si alzò in piedi. Si versò del cognac e ne versò nel bicchiere di Alejandro: – Beh, è venuto il momento di lasciare voi anziani a parlare del sesso degli angeli, – e voltandosi verso il giovane, – su, vieni. Lasciamoli soli.

    Il generale Meunier sembrò sorpreso dall’atteggiamento della figlia: – Ma Estela…

    Lei gli si accostò e gli sussurrò all’orecchio: – E meno male che non volevi che si parlasse di politica in casa…

    Lui sbuffò voltando lo sguardo dall’altra parte.

    Alejandro sembrava titubante ad alzarsi.

    Estela provò piacere all’idea di averlo messo in imbarazzo attirando l’attenzione su di lui. Lo prese per un braccio con disinvoltura: – Vieni. Oggi è una bella giornata.

    Lui fece un cenno come a volersi scusare coi presenti e la seguì in giardino.

    Fecero alcuni passi in silenzio. Era una giornata soleggiata, ma il clima era fresco. Estela ebbe un brivido e bevve un sorso di cognac per scaldarsi.

    Lui si tolse la giacca militare che aveva addosso e gliela mise sulle spalle: – Comunque la gente come Gallego non cambierà mai.

    – È un complimento o una critica?

    – Volevo solo dire che… sì, insomma…

    – Parla pure liberamente.

    – Era solo una constatazione. Volevo dire… la gente come lui ha sempre la verità in tasca.

    – Forse siamo tutti un po’ così.

    – Beh, diciamo che qualcuno è più inossidabile di altri.

    – Ma dimmi di te… sei nella guarnigione di Santiago, allora.

    – Già. È stato tuo padre a metterci una buona parola.

    – Come sempre.

    Alejandro percepì l’affermazione di Estela come una recriminazione sui favori ricevuti da lui e sua madre da parte dei Meunier e fu brusco nel ribattere: – Io non ho mai chiesto nulla… così come non avevo chiesto che mi si pagassero gli studi.

    Lei capì di aver fatto una gaffe: – No, intendevo dire che mio padre ha… per intenderci… la raccomandazione facile. Mi riferisco al suo ambiente di lavoro. Quando può mettere una buona parola per qualcuno, non si fa pregare. Credo che sia un modo per incrementare il proprio prestigio. Non credere… anche uomini come mio padre hanno delle debolezze.

    – Tu cosa ne pensi? Credi che ci sarà la guerra civile?

    – Eh no! Sono uscita in giardino per non sentir parlare di politica e tu ricominci?

    Lui fece un mezzo sorriso.

    – Come ha detto mio padre? È così una bella giornata

    – Hai ragione.

    Lei prese a fissarlo con aria maliziosa: – Posso dirti una cosa?

    – Certo.

    – Sai che, se ti avessi incontrato per strada, non ti avrei riconosciuto?

    – Beh, anch’io in effetti…

    – Sei molto cambiato da quando eravamo ragazzini.

    Alejandro sorrise: – Vuoi dire che sono peggiorato?

    Lei non seppe come replicare.

    Lui d’altronde non gliene diede il tempo: – Eh sì. Quando ero piccolo, dicevano tutti che ero un bambino bellissimo… qualcosa dev’essere andato storto.

    Estela scoppiò a ridere.

    – Ricordi quando da bambini giocavamo sotto quel grande albero? – disse lui indicando una vecchia altalena arrugginita che pendeva dal ramo di un’imponente Maytenus boaria.

    – Io ricordo i dispetti che mi facevi sotto quell’albero.

    – Io, Estela, ricordo più che altro quando andavi da mia madre a fare la spia. E ricordo le sberle che mi dava.

    – Perché te le meritavi.

    – Non sempre.

    – Beh, spesso, direi.

    Lui fece una smorfia: – Sì… forse qualche volta. Ero solo un po’ vivace.

    Entrambi tornarono con la mente ai ricordi dell’infanzia. Nonostante l’insormontabile divario sociale, erano stati affiatati compagni di giochi fin da quando avevano imparato a camminare. Per anni erano stati inseparabili e le loro strade si erano divise solo dopo l’inizio della scuola primaria. Lei poi era finita a studiare al Liceo n. 1 Javiera Carrera, una scuola femminile, e in seguito in Europa. Lui crebbe nella población La Victoria.

    – Un po’ vivace? Dì pure che eri una peste.

    – Sì, lo ammetto. Ora che ho fatto mea culpa, cosa succede?

    – Non succede niente. Era il minimo che tu potessi fare.

    – Ma sentitela, miss perfezione.

    – Ora che ti sei riabilitato ammettendo le tue gravi colpe passate… dimmi di te. Hai dato alla chiesa una nuova martire sposandoti con qualche povera incauta ragazza?

    – No, non sono riuscito a incastrare nessuna ereditiera.

    – Ah, ecco. Meno male.

    – E tu? Sei riuscita a dare a bere a qualcuno che potresti essere una buona moglie?

    – Ci ho provato… ma nessuno ci ha creduto.

    – Volevo ben dire.

    – E come va la vita da soldato?

    – È assurda la vita militare. Ti eserciti tanto a fare qualcosa che, per fortuna, sai che non dovrai mai fare e…

    – Beh, se scoppia la guerra contro l’Argentina…

    – Sì, appunto. E se sbarcano i marziani…

    Lei si limitò a sorridere alla battuta.

    – Comunque, non so… non è la vita che fa per me. Spero che questi ultimi mesi passino in fretta. Non ne posso più. È una cosa inconcepibile che tutti siano costretti a fare il militare. Dovrebbero farlo solo quelli che lo vogliono fare… è un mestiere come un altro in fondo, o no? È come se tutti, per un anno, fossero costretti a fare i benzinai o i baristi. Non ha senso. Ognuno faccia il suo mestiere.

    – Sono commossa dal tuo patriottismo. Se ti sentisse mio padre…

    – Mi manderebbe alla corte marziale, lo so.

    – Peggio… ti darebbe in pasto alla nonna Clothilde. E comunque non dovresti lamentarti. Almeno non ti annoi.

    – Perché? Tu ti annoi?

    – Non ho detto questo.

    – Comunque ti sbagli. Non riesco a immaginare niente di più noioso della vita di caserma.

    – Ma cosa vi fanno fare?

    – Idiozie. Per esempio, la settimana scorsa eravamo in pre-allarme… immagino fosse un’esercitazione. Ci svegliavano ogni notte a un’ora diversa e ci facevano salire sui camion in assetto da combattimento. Sembrava sempre che dovessimo entrare in azione da un momento all’altro. Contro chi, poi? Una volta siamo rimasti sui camion pronti per tre ore. L’ultima volta ci hanno fatto smontare solo in tarda mattinata.

    – Ma è una cosa normale?

    – Il nostro sergente maggiore ci ha detto di non fare troppe domande. I nostri superiori hanno tutti un’aria così tesa…

    – Anche mio padre è molto inquieto, come hai potuto vedere.

    – Già. Ho anche avuto la sensazione d’interrompervi prima nello studio. Spero non abbiate lasciato qualche discorso a metà per colpa mia.

    – Oh, nulla, – fece lei, – parlavamo di Ancud.

    Ancud?

    – Sì, è da tanto che voglio tornare nella casa che abbiamo sull’isola di Chiloé e pensavo di approfittarne ora che sono libera dagli studi, ma mi sa che…

    – Dov’è la casa?

    – È sul mare, a una decina di chilometri da Ancud. Era una vecchia catapecchia di pescatori che mio padre ha fatto rimettere in sesto quasi dieci anni fa. Abbiamo diversi amici là. Anche gente di Santiago che ha la seconda casa da quelle parti. È un luogo splendido. Sai… l’anno scorso sono stata in Bretagna da amici e il paesaggio mi ha ricordato proprio Chiloé. Sono stata presa da una nostalgia…

    Alejandro si zittì. Voltò lo sguardo e prese a osservare la corteccia della grande pianta. Si piegò e raccolse un rametto.

    – Che hai? Sei diventato muto?

    – No… – fece lui, rigirandosi il rametto tra le mani.

    – Ho detto qualcosa che non va?

    – No, è solo che… non so. Parli di cose così lontane dal mio mondo.

    – Stavo solo parlando di Chiloé.

    – Sì, ma vedi… da dove vengo io, si parla d’altro. Chiloé o l’Europa sono più lontane della luna. Credo che la maggior parte delle persone che frequento non sappia neanche trovarla su una cartina Chiloé.

    Anche quella volta Estela cercò di mascherare l’imbarazzo che stava provando. In genere era brava nel farlo: – Perché non vieni anche tu?

    – Di cosa parli?

    – Non sei in licenza? Beh, vieni anche tu.

    Lui lanciò lontano il rametto e si girò a fissarla: – Mi prendi in giro?

    – No, perché?

    – Prima di tutto, non credo che uno possa allontanarsi dalla città di guarnigione durante la licenza…

    – Questa è una scemenza. Chi ha i parenti lontani come farebbe?

    – Ma cosa verrei a fare?

    – Passi qualche giorno di villeggiatura, no?

    Villeggiatura?

    – Chiamala come ti pare… villeggiatura, vacanza…

    Alejandro riprese a camminare. – Estela, sai quanti soldi ho in tasca?

    – Cosa importa? Non avrai spese.

    – Non conosco nessuno dei tuoi amici. Mi sembra una sciocchezza.

    – Perché dici così? Sembri mio padre, – nel camminare lei si avviò verso il patio.

    Lui

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1