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Il Segreto di Altamura
Il Segreto di Altamura
Il Segreto di Altamura
E-book238 pagine5 ore

Il Segreto di Altamura

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Info su questo ebook

Se siete amanti dell'Italia, questo è il libro che fa per voi. Riuscirete ad ammirarne il paesaggio, ad assaporarne il cibo e a vivere insieme ai suoi abitanti. Se siete amanti dei misteri, questo libro fa ugualmente al caso vostro, mantenendo la suspense fino all'ultimo capitolo. Una lettura coinvolgente anche qualora siate appassionati della storia della Seconda guerra mondiale. Riuscirete ad avere un assaggio di una parte della campagna italiana attraverso gli occhi delle persone che vivevano in questi territori. Ne Il Segreto di Altamura, Rosano mescola sapientemente i tre motivi in una narrazione ben scritta ed emotivamente coinvolgente. - Kimberlee J. Benart per Readers’ Favorite

È il 1943 e i nazisti controllano gran parte dell'Italia. Il colonnello Anselm Bernhard dedica tutte le sue energie per trovare nuove opere d'arte da rubare – e nuove donne italiane da portare a letto – ma esiste un tesoro ancora più grande a cui brama.

Nel presente, suo nipote giura di fare ammenda per i crimini di Bernhard, ma, vinto dalla tentazione, inizia la sua ricerca di questo misterioso tesoro, di vitale importanza storica, nascosto nel Sud Italia... Un segreto che potrebbe cambiare il corso della storia.

Basato su eventi storici, Il Segreto di Altamura vi riporterà indietro al clima di terrore che si respirava in Italia durante la guerra e vi inviterà ad esplorare i segreti e i tesori che sono stati nascosti agli invasori nazisti.

LinguaItaliano
Data di uscita12 apr 2020
ISBN9781071539910
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    Anteprima del libro

    Il Segreto di Altamura - Dick Rosano

    Dedica

    La mia carriera di scrittore non sarebbe mai stata possibile senza l'amore e il supporto della mia famiglia – mia moglie Linda e mia figlia Kristen.

    Questo libro è dedicato a loro e a tutti gli abitanti del Mezzogiorno, inclusa la mia stessa famiglia, alle loro tradizioni, alla loro cultura e alle loro aspirazioni per i propri figli.

    "Il male fatto sopravvive agli uomini;

    ...il bene è spesso sepolto con le loro ossa."

    William Shakespeare

    Prologo

    Non era semplice trovare un modo per nascondere la verità, ma del resto non era facile neanche trovare il modo di rivelarla, soprattutto a persone che non erano pronte a sentire tutta la storia. Per secoli, gli abitanti di Altamura erano stati abbastanza forti da sopravvivere alle invasioni di altri popoli – e la loro forza li avrebbe protetti anche durante quest'ultima invasione di saccheggiatori.

    Questo libro porta alla luce il loro segreto, raccontando al mondo la verità che esso nasconde.

    Tuttavia alcuni nomi devono essere omessi, perché la verità porta con sé dannazione e rovina.

    Capitolo 1 – In una stanza d'albergo a Venezia, 2 maggio 1943

    In piedi di fronte allo specchio, Alessia si truccava con cura le guance, le labbra e gli occhi. Era davvero un'esperta in materia, non per esperienza professionale, ma per naturale talento. E, nonostante le sue mani tremassero mentre passava il pennello sul viso, quella notte il suo talento era per lei particolarmente importante.

    Una volta completata l'opera, dall'angolo del suo occhio sinistro sfuggì una piccola lacrima che continuò a scivolare piano lungo tutto il viso. Di lì a poco, al sopraggiungere di nuove lacrime, i suoi occhi iniziarono a gonfiarsi, ma, vincendo il bisogno di lasciarsi andare, tornò a concentrarsi sull'obiettivo di attirare tutti gli sguardi di Venezia sul suo bellissimo viso.

    Una volta finito, si avvicinò al letto e, ad una ad una, tirò via tutte le lenzuola stropicciate. Mentre legava insieme le estremità delle lenzuola le sue mani tremavano leggermente. Tuttavia Alessia lavorava piano, con attenzione, assicurandosi che i nodi fossero abbastanza stretti da reggere il suo peso.

    Delle lacrime iniziarono a scendere sulle sue mani e sul corredo, lacrime macchiate del nero del suo mascara, un orpello non necessario per una donna così giovane e dotata di naturale bellezza. Tutti i suoi pensieri erano rivolti alla sua storia con un generale tedesco, Anselm. Egli era una persona potente e persuasiva; probabilmente si sarebbe comunque invaghita di lui, ma a vincerla era stata la sua paura. Anselm era molto generoso con i tesori che aveva portato via dalle case e dalle chiese di Venezia. Ma i suoi gioielli, e tutti gli altri regali, la facevano solo sentire una prostituta.

    Mi tradisce, va a letto con altre donne e saccheggia la mia terra: dovrei vendicarmi, pensava, mentre evocava delle immagini di raccapriccianti mutilazioni. Ciononostante la sua sete di vendetta non era abbastanza forte.

    Dopo aver stretto ancora una volta ciascun nodo, Alessia legò un'estremità delle lenzuola alla gamba del letto. Temendo che il suo peso potesse trascinare il mobile lasciandola penzoloni sotto il cornicione, spostò il letto contro la parete sotto la finestra, spingendo i suoi piedi contro il massiccio battiscopa dell'antico hotel.

    A quel punto aprì la finestra, spostò le persiane da una parte e gettò lo sguardo verso il canale sottostante. La luna risplendeva in un cielo sgombro da nuvole e, anche se la frizzante aria notturna era rinfrescante, il suo tocco fece rabbrividire la pelle di Alessia. In lontananza si sentivano i rintocchi leggeri delle campane, alcuni provenienti dalla chiese, altri provenienti dalle piccole barche che passavano nella notte. Una leggera foschia aleggiava sull'acqua espandendosi lungo tutto il canale.

    Alessia studiò il panorama della sua città e scrutò con il suo sguardo il labirinto di canali che si dipanava a partire da quello sottostante. Si trattava di una scena che le era familiare fin dall'infanzia, ma quella notte il suo sorriso mostrava solo irriverenza.

    Beh, se i nodi non reggono, al massimo mi farò una nuotata.

    Alessia si sedette sul davanzale e fece ciondolare le gambe oltre il margine. La foschia solleticò i suoi piedi nudi e fece rabbrividire la sua pelle. Si assicurò ancora una volta che i nodi fossero legati stretti e annodò l'altra estremità delle lenzuola al suo collo. Dopo aver appoggiato i palmi sulla nuda pietra, si diede una spinta e in un attimo si ritrovò in aria oltre il cornicione. Le lenzuola si tesero immediatamente e, nel momento in cui il suo corpo sbatté contro la parete dell'hotel, il suo collo si era già spezzato.

    Alessia non si fece una nuotata quella notte.

    Capitolo 2 – Piazza San Marco, Venezia, 3 maggio 1943

    Il colonnello Anselm Bernhard era fermo nella piazza di fronte alle porte spalancate della basilica. Le sue mani si chiusero in due pugni leggermente appoggiati sulla cintura di pelle della sua uniforme. Il suo taglio militare biondo, il viso perfettamente rasato e gli occhi color del ghiaccio sormontavano un corpo muscoloso ed atletico.

    La posizione e la postura di Bernhard davano l'immagine perfetta di quell'imperialismo che il suo governo voleva imporre a tutto il mondo. Egli indossava la sua uniforme con orgoglio: le pieghe dei pantaloni precise come la lama di un rasoio e il materiale rigido di cui era composta la giacca davano già una chiara idea della sua eccezionalità. Per lui dare quella immagine di sé era fondamentale, non solo ai soldati che stavano ai suoi comandi, ma anche agli abitanti delle città e dei paesi che assediava.

    Fermo di fronte all'imponente edificio della Basilica di San Marco, Bernhard si godeva la sua ultima conquista. La foschia della sera prima aveva lasciato il posto ad un'arietta frizzante in una mattinata particolarmente limpida. Il colonnello annuiva rivolto alla basilica, come se avesse iniziato con lei una conversazione silenziosa, quando un giovane ufficiale tedesco lo raggiunse alle sue spalle.

    Signore, mi scusi, ma ho una notizia che vorrà senza dubbio sentire...prima di tutti gli altri.

    Per caso sapevi, Hilgendorf, disse Bernhard, che Napoleone conquistò questa città? Ignorando il giovane ufficiale, egli rimase con lo sguardo fisso sulla scintillante facciata della Basilica di San Marco. Rubò grandiose opere d'arte dalle mani di questi miseri italiani che strisciavano ai suoi piedi, persino questi, disse, mentre indicava i magnifici cavalli bronzei che si trovavano all'apice dell'ingresso della chiesa.

    Rubò i cavalli e li mandò a Parigi, sua città natale, insieme al resto del bottino che aveva ricavato dalle terre conquistate – proprio come l'esercito del Terzo Reich farà oggi, per glorificare l'Impero tedesco.

    Hilgendorf sapeva dei cavalli rubati da Napoleone. Ma sapeva anche che l'Italia se li era ripresi dalla Francia e che Napoleone non era di Parigi, ma che era nato e cresciuto in Corsica.

    Il luogotenente, che conosceva perfettamente gli umori del suo comandante, si accorse che Bernhard stava fantasticando sulla propria glorificazione, perciò correggere le sue riflessioni storiche non sarebbe stato per niente saggio. Hilgendorf era ben addestrato e sapeva che, nell'esercito tedesco, i comandanti come Bernhard erano famosi per essere spietati e intransigenti, perciò contraddire la conoscenza storica del veterano di guerra sarebbe stato alquanto rischioso.

    Nonostante fosse un sottoposto, Hilgendorf aveva raggiunto un alto livello di istruzione prima di entrare al servizio del Terzo Reich nel 1939 e, nel frattempo, aveva sviluppato una perfetta conoscenza di diverse lingue straniere. L'ufficiale superiore che in quel momento stava di fronte a lui aveva più volte ignorato questo risultato.

    Solo i tedeschi saranno necessari in futuro, Bernhard gli ricordò in fretta.

    Il giovane luogotenente era più alto e più snello del suo muscoloso colonnello e portava i capelli castani abbastanza lunghi da poterli pettinare dietro alle orecchie. Sognava romanticamente che avrebbe trovato un giorno una bellissima moglie, e da giovane aveva seguito le mode del momento. Nonostante mantenesse ora il tipico aspetto pulito che i comandanti tedeschi richiedevano, sarebbe comunque potuto passare per uno studente universitario.

    Dopo aver passato alcuni momenti a studiare i cavalli di bronzo, Bernhard si voltò lentamente e catturò lo sguardo del giovane ufficiale. Il colonnello non era abituato ad essere avvicinato con un annuncio che suonasse come un avvertimento.

    Ebbene? chiese.

    Questa mattina Alessia è stata trovata impiccata fuori dall'hotel. Penzolava dalla finestra, legata ad una serie di lenzuola annodate fra loro. Hilgendorf si fermò per dare tempo al suo superiore di digerire la notizia ma, non vedendo alcuna reazione, proseguì.

    È stata riportata dentro la stanza, il suo viso era blu ed era chiaro che il collo fosse spezzato.

    Ancora nessuna reazione. Hilgendorf iniziò a chiedersi se la lenta risposta di Bernhard riflettesse in qualche modo una certa preoccupazione.

    Che cosa vuole che faccia, signore?

    Fare? pronunciò in modo deciso. Cosa dovremmo fare quando una stupida ragazza decide di impiccarsi? Che cosa ci posso fare io?

    Il giovane ufficiale fece per andarsene, ma si fermò immediatamente al suono del suo nome.

    Hilgendorf, lo chiamò Bernhard, vai nella stanza e porta via la collana d'oro e zaffiri.

    Dopo che il giovane ufficiale se ne fu andato, il colonnello estrasse un elegante taccuino di pelle nera dalla tasca della sua uniforme, lo aprì dove recava il segno e scrisse qualche appunto. Poi fece riscivolare il taccuino dentro la tasca e rivolse nuovamente lo sguardo verso la magnifica basilica, simbolo della città che aveva appena conquistato per il Terzo Reich.

    Capitolo 3 – Palazzo del Doge, Venezia, 5 maggio 1943

    Due giorni dopo il suicidio di Alessia, Anselm Bernhard si trovava nel suo ufficio, appoggiato ad un tavolo decorato del XVI secolo che era appartenuto ad un doge veneziano, ovvero il governatore della città. Nella mano destra teneva non troppo saldamente il pennino in vetro di una stilografica, che puntava distrattamente ad una pila di documenti ufficiali disposti accuratamente sulla superficie della scrivania. Poiché ben si adattava ai suoi desideri, Bernhard abbracciava la teoria della supremazia ariana con la coscienza pulita. I piani del regime nazista di conquistare l'Europa prevedevano un'alleanza informale con l'Italia e proprio questo piano gli permetteva di utilizzare la sua posizione di influenza per saccheggiare le ricchezze di quella terra.

    I capi dei due Paesi, Adolph Hitler e Benito Mussolini, mantenevano una relazione alquanto fragile, che per il Führer costituiva una semplice farsa. I privilegi concessi al Primo Ministro italiano erano strettamente controllati dal Terzo Reich; il popolo italiano non era però altrettanto entusiasta dei progetti dinastici della Germania.

    Tuttavia l'accordo di coalizione strappato fra Hitler e Mussolini dava la possibilità agli opportunisti come Bernhard di approfittare della situazione. Con la presunta idea di supremazia, questi personaggi potevano prendere quello che volevano e giustificare il tutto con la scusa che stavano salvando i confusionari italiani da se stessi, commento che Bernhard faceva spesso di fronte alle sue truppe.

    L'ufficiale nazista si concesse una pausa dallo studio dei comunicati di guerra che aveva di fronte. Si alzò, si affacciò alla finestra e raddrizzò le spalle in un movimento involontario derivato dall'inconscia memoria delle lezioni che gli erano state impartite nel corpo degli ufficiali tedeschi. Postura eretta e sguardo d'acciaio, la sua uniforme era rigida e lucente, aderente e decorata con una serie di nastri accuratamente posizionati sopra ciascuna delle due tasche della giacca. Il suo aspetto sottolineava la sua convinzione che Hitler fosse fortunato ad averlo.

    Bernhard non aveva mai avuto dubbi sulla propria superiorità e non apparteneva certo alle schiere dei più fedeli alla causa del Terzo Reich. Egli considerava Hitler violento, meschino e pericolosamente imprevedibile perché mosso nelle sue azioni da un complesso di inferiorità. Bernhard aveva sentito che il Führer era capace di fissare personalmente una medaglia sul petto di un soldato un giorno e ordinare che venisse giustiziato il giorno dopo al minimo sospetto di slealtà.

    Uccidere gli Ebrei? pensava Bernhard. Un gioco da ragazzi per un pazzoide. Bernhard non aveva nessuna opinione in merito alla soluzione finale dello sterminio degli ebrei. Al colonnello francamente non importava che delle persone, persino degli innocenti, morissero, almeno non finché si fosse dovuto occupare lui di ucciderle.

    L'arte, i soldi e le donne erano di gran lunga più importanti per lui. Con il suo potere poteva rubare soldi e opere d'arte, nonché obbligare le donne ad andare a letto con lui. Visti i suoi affari personali, la sua attuale posizione all'interno della struttura di potere tedesca era perfetta. Gli era stato dato il compito di confiscare le opere d'arte e altre preziose collezioni dalle case private italiane, dalle chiese e dai musei e spedirle a Berlino, dove sarebbero state tenute al sicuro dalle mani dei confusionari italiani.

    Inizialmente l'incarico era stato abbastanza facile. Con l'esecuzione o l'esilio forzato di tutti coloro che si erano opposti al Terzo Reich, l'unica complicazione che Bernhard aveva incontrato era stata la sua stessa cupidigia. Mettere tutte quelle opere d'arte nelle mani del regime tedesco gli sembrava infatti un vero spreco. Perciò fece in modo di modificare ufficiosamente i propri ordini, conservando giudiziosamente una parte del bottino sotto la propria custodia.

    Le opere d'arte migliori avrebbero adornato la sua villa alla fine della guerra; alcune sarebbero state utilizzate per barattare il favore delle bellissime ragazze italiane che sarebbero state condotte ai suoi alloggi. Il resto sarebbe stato mandato a Berlino, giusto per convincere i suoi superiori a continuare ad affidargli il compito di cercare e razziare il patrimonio dell'Italia.

    Quando le sue fantasticherie vennero interrotte dalla vista di un diario di pelle nera appoggiato in mezzo alle carte, l'attenzione di Bernhard tornò subito alle questioni del giorno. Il diario era stato da lui confiscato in un negozio di Venezia famoso proprio per la produzione di questi oggetti. Lo afferrò con la mano sinistra, girò le pagine fino a trovarne una vuota e scrisse alcune note con una calligrafia che rendeva onore alla sua ottima istruzione. I riccioli, l'inclinazione e i tratti ascendenti avrebbero fatto invidia ad uno scriba medioevale.

    Bernhard si era preso un altro momento di pausa per rileggere le ultime annotazioni quando si accorse che Hilgendorf era sulla soglia della porta.

    Perché non hai detto niente? disse Bernhard, trattando come al solito il suo vice con molta più tolleranza di quella che riservava agli altri dodici uomini del suo distaccamento.

    Le mie scuse, colonnello. Non volevo interromperla.

    Non preoccuparti, rispose Bernhard, gettando la penna sulla scrivania, ma avendo cura di chiudere il diario e farlo scivolare in tasca.

    A Hilgendorf non era permesso leggere il diario, ma era abbastanza perspicace da capire che cosa contenesse. Sapeva che Bernhard passava parecchio tempo a scrivere su di esso quando acquisiva qualche nuovo pezzo d'arte o quando depredava qualche nuova chiesa, perciò supponeva che il colonnello tenesse un inventario del bottino e di come ne fosse venuto in possesso. L'unica altra attività che Bernhard sembrava documentare erano le relazioni con le donne che seduceva o che costringeva ad andare con lui. Il luogotenente sapeva che a Bernhard piaceva prendere nota delle sue conquiste perché, quando si vantava di quelli che considerava i più raffinati attributi di una donna, era solito consultare il proprio diario.

    Quando una volta Bernhard aveva descritto una donna come un'opera d'arte, questa frase aveva

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