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Alla scoperta dei segreti perduti di Genova
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E-book294 pagine3 ore

Alla scoperta dei segreti perduti di Genova

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Info su questo ebook

Curiosità, misteri e aneddoti di una città che non smette mai di stupire

Genova è una città ricca di misteri e di racconti affascinanti. Aldo Padovano offre al lettore una panoramica a trecentosessanta gradi su fatti inediti e personaggi eccellenti che hanno contrassegnato la storia di Genova nell'arco di diversi secoli. Dalla Genova del Trecento raccontata dal novelliere toscano Franco Sacchetti, alle ascensioni dei palloni aerostatici nella spianata del Bisagno e ai primi voli all'aerodromo del Lido D'Albaro, dalla “dolce vita” a Genova del principe Edward, fratello di re Giorgio III d'Inghilterra, al caso del raggiro ai danni dello scrittore francese Honoré de Balzac. E poi storie ancora più sorprendenti, come quella sull'arrivo degli animali esotici a Genova o sul circolo dove ai primi del Novecento si tenevano famose sedute spiritiche. Un modo originale e unico per conoscere una delle città più belle e visitate d‘Italia.

Dal fantasma del teatro Carlo Felice alla truffa a Honoré de Balzac: Genova è un mistero da scoprire

Tra le curiosità:

• Honoré de Balzac vittima a Genova di un odioso raggiro
• Genova, la patria del cicisbeismo
• la dolce vita del duca di York a Genova
• la “maledizione” del teatro Carlo Felice
• l’inventore del bombardamento aereo
• la Genova del trecento che non ti aspetti
• animali esotici a Genova: dai caravanserragli ai giardini zoologici
• il circolo scientifico Minerva, dedicato allo studio dei fenomeni paranormali
Aldo Padovano
È nato a Genova. Storico, scrittore, regista, straordinario conoscitore dei caruggi che attraversa come un flâneur baudelairiano, ha scritto per la Newton Compton Storia insolita di Genova, Forse non tutti sanno che a Genova…, Il giro di Genova in 501 luoghi e Alla scoperta dei segreti perduti di Genova ed è autore di numerose altre pubblicazioni sulla storia della città.
LinguaItaliano
Data di uscita24 nov 2017
ISBN9788822714985
Alla scoperta dei segreti perduti di Genova

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    Anteprima del libro

    Alla scoperta dei segreti perduti di Genova - Aldo Padovano

    Indice

    Cover

    Collana

    Colophon

    Frontespizio

    RINGRAZIAMENTI

    PREFAZIONE

    1. HONORÉ DE BALZAC VITTIMA A GENOVA DI UN ODIOSO RAGGIRO

    2. GENOVA, LA PATRIA DEL CICISBEISMO

    3. LA DOLCE VITA DEL DUCA DI YORK A GENOVA

    4. LA MALEDIZIONE DEL TEATRO CARLO FELICE

    5. È genovese l’inventore del bombardamento aereo

    6. IL TRECENTESCO SCRITTORE TOSCANO FRANCO SACCHETTi nELLE SUE NOVELLe rIVELA ALCUNI ASPETTI MENO NOTI DELLA GENOVA DEL SUO TEMPO

    7. ANIMALI ESOTICI A GENOVa: DAI CARAVANSERRAGLI DEL SETTECENTO AI GIARDINI ZOOLOGICI DELLA VILLETTA DI NEGRO E DI VILLA SERRA A NERVI

    8. IL CIRCOLO SCIENTIFICO MINERVa – uNO DEI PRIMI CENTRI IN ITALIA DEDICATI ALLO STUDIO DEI FENOMENI PARANORMALI – NEL 1901 ospitò DIVERSE SEDUTE delLA CELEBRE MEDIUM EUSAPIA PALLADINO

    BIBLIOGRAFIA

    Tavole fuori testo

    em

    427

    Prima edizione ebook: dicembre 2017

    © 2017 Newton Compton editori s.r.l.

    Roma, Casella postale 6214

    ISBN 978-88-227-1498-5

    www.newtoncompton.com

    Realizzazione a cura di Corpotre, Roma

    Aldo Padovano

    Alla scoperta dei segreti perduti di Genova

    Curiosità, misteri e aneddoti di una città che non smette mai di stupire

    omino

    Newton Compton editori

    RINGRAZIAMENTI

    L’autore ringrazia Roberto Beccaria, senza il cui prezioso aiuto sarebbe stato molto più arduo compilare diversi capitoli del presente testo.

    Marina Scorza, Marina Verdini e gli operatori della Sezione Periodici della Civica Biblioteca Berio di Genova, Claudio Risso e Cecilia Troiano della Biblioteca Universitaria di Genova, Davide De Bernardi della Biblioteca della Società Ligure di Storia Patria, Enzo D’Amore, Giovanna Parodi Da Passano.

    E inoltre Ida Merello e Federico Parodi per le traduzioni dal francese.

    PREFAZIONE

    Il titolo di questo libro, comune – nella medesima collana della Newton Compton – oltre che a Genova, anche ad altre città italiane e dalla vaga reminiscenza proustiana, mi fa tornare alla mente, appunto come i celebri e stracitati biscotti madeleine dell’autore appena evocato, un parallelo con il popolare racconto La lettera rubata di Edgar Allan Poe. Il prezioso documento, estremamente compromettente per una gentildonna, si rivelava una formidabile arma di ricatto nelle mani di un ministro francese che se ne era furtivamente appropriato. La polizia riteneva che, una volta entratone in possesso, il ladro l’avesse nascosto in qualche misterioso e introvabile anfratto segreto. La lettera era invece – seppur macchiata e sgualcita, quasi stracciata – all’interno di un misero portacarte appeso in bella vista sopra il caminetto del suo studio ministeriale, dove nessuno, neppur lontanamente, avrebbe immaginato vi si potesse trovare alcunché di così vitale importanza.

    Nella compilazione di questo libro, in un certo senso, ho seguito il metodo dell’investigatore Auguste Dupin, protagonista e autore del ritrovamento della lettera nel racconto di Poe.

    Allo stesso modo i segreti, o presunti tali, di cui si parla nel titolo, non sono affatto perduti, ma ben nascosti in qualche archivio polveroso, tra le pagine di vecchi libri che da decenni nessuno consulta più, in un articolo sperso e dimenticato tra i fogli tremebondi e quasi diafani di antiche gazzette, ma anche in alcuni siti interessanti e curiosi del mare magnum del web.

    Il problema sta nel ricucire tutte queste informazioni, verificarne l’autenticità raffrontandole con altre fonti, dare un nesso comune a tutte le notizie che emergono dal passato.

    Ma se le date – come asseriva il pedagogo del secolo scorso don Costanzo Allerino, alludendo alla filosofia – sono gli attaccapanni a cui si appendono i concetti, ancor di più sono gli appendiabiti a cui si fissano gli avvenimenti storici. E gli uomini che indossano tali vestiti, per continuare con la stessa metafora, non rappresentano forse la vita quotidiana di ciascuno di essi, quella vita o quel modus vivendi che generalmente passa in secondo piano nello studio della Storia con la S maiuscola? O che viene di solito tranquillamente bypassata, ma che permette invece di comprendere gli usi, i costumi, la mentalità, la psicologia di un’epoca, di un popolo, di una comunità. Questo, attraverso gli strumenti di cui sopra, ci consente di entrare come dei fantasmi invisibili in mondi apparentemente inaccessibili, ma che ci riservano invece delle gradevoli sorprese. Soprattutto in una città come Genova, notoriamente ben poco propensa a mettersi in mostra e gelosa della propria intimità. Caratteristiche assolutamente perniciose nella società contemporanea che fa del vacuo apparire la propria ragion d’essere. D’altra parte proprio questa è l’origine della Superba: un luogo impervio dove i genovesi nascondevano i frutti leciti o illeciti delle loro spedizioni marinare. Genuensis ergo mercator, recita un vecchio adagio latino, ma la differenza tra mercante, pirata e corsaro non aveva, soprattutto nel Medioevo, dei confini troppo precisi. E chi, dotato di sanità mentale, vorrebbe far sapere dove ha nascosto il bottino che ha faticosamente e a proprio rischio e pericolo conquistato? Tuttavia Genova, nella sua lunga e non di rado gloriosa storia (da capitale dell’antica Repubblica, fieramente indipendente per diversi secoli, a capitale dell’industria e della finanza tra l’Ottocento e il Novecento) è sicuramente matrigna sì, ma talvolta anche una madre insospettabile. Per lo meno lo è stata nel passato, regalandoci delle personalità nel bene e nel male assolutamente uniche, spesso ingiustamente dimenticate: come quell’Ernesto Bozzano, uno dei massimi esperti negli studi parapsicologici del suo tempo, o Giacomo Doria (spezzino di nascita ma genovese d’adozione), insigne naturalista che ha elargito alla città il grande Museo di Storia Naturale, o Giulio Gavotti, detentore del non invidiabile primato di inventore del bombardamento aereo. Ma anche luogo fatale per le illusioni perdute di Balzac, e piccolo paradiso per il Duca di York, fratello del re d’Inghilterra, che morì nel tentativo di tornarvi per la terza volta.

    Ma proprio come l’investigatore Dupin, per ritornare al racconto di Poe, il quale ritrova sì la lettera, ma è costretto a rubarla a sua volta affinché essa possa essere restituita alla legittima proprietaria, anch’io ho la sensazione di compiere qualcosa di simile. Di trafugare, cioè, notizie, avvenimenti e personaggi di mondi cronologicamente lontani, per farli se non rivivere – non ho certo tale pretesa o ambizione letteraria – almeno rievocarli per qualche istante, proprio come la celebre medium Eusapia Palladino faceva con gli spiriti dei trapassati, sulle pagine dei libri che la Newton Comprton ha la bontà di farmi scrivere, e sottoporli all’attenzione del benigno lettore, nella speranza – ultima dea – di farlo divertire.

    Aldo Padovano

    1. HONORÉ DE BALZAC VITTIMA A GENOVA DI UN ODIOSO RAGGIRO

    Genova.

    Mia cara bella, ho avuto la fantasia di vedere un po’ l’Italia, e sono contentissima d’averci trascinato Macomer, i cui progetti, relativamente alla Sardegna, sono differiti.

    Questo paese m’incanta e mi rapisce. Qui le chiese, e specialmente le cappelle, hanno un’aria amorosa e vezzosa che dovrebbe dare a una protestante il desiderio di farsi cattolica.

    …Io non ho troppo tempo per scriverti i particolari, ti racconterò il mio viaggio al tuo primo soggiorno a Parigi. Non resteremo qui che una settimana; poi andremo a Firenze passando per Livorno [raggiunta via nave da Genova, n.d.a.], soggiorneremo un mese in Toscana e un mese a Napoli; potremo essere a Roma in novembre, torneremo per Venezia dove staremo la prima quindicina di dicembre; poi, in gennaio, passando per Milano e Torino, arriveremo a Parigi. Viaggeremo da amanti: la novità dei luoghi rinnovella le nostre care nozze. Macomer non conosceva l’Italia; abbiamo esordito su questa magnifica strada della riviera che sembra costruita dalle fate.

    Questo brano fa parte della trentasettesima delle 57 lettere che compongono il romanzo epistolare – costituito per la maggior parte dalla corrispondenza tra la baronessa di Macomer e la viscontessa de l’Estorade – scritto da Honoré de Balzac nel 1841 e intitolato Mémoires de deux jeunes mariées (Memorie di due giovani spose). È la prima volta che lo scrittore di Tours trattava di Genova nella sua Comédie humaine.

    Balzac scende in Italia

    L’idea di un viaggio in Italia già frullava nella testa di Balzac nel 1832. «Vado a Roma, vado a Roma…», rispondeva a chi gli chiedeva quale fosse la sua prossima meta. Nell’estate del 1936 il desiderio di riabbracciare la sua amante lontana – la contessa polacca Éveline Hanska, una sua ammiratrice con la quale intesseva una fitta corrispondenza e che aveva incontrato una sola volta a Vienna nel 1835 – ma soprattutto l’esigenza di sfuggire ai creditori lo convinsero a oltrepassare il Moncenisio e a entrare in Piemonte. Il motivo ufficiale del viaggio era che Balzac doveva occuparsi degli interessi del conte Emilio Guidoboni-Visconti, coinvolto in un processo, e che avrebbe dovuto accompagnarlo niente meno che Théophile Gautier. Ma all’ultimo momento lo scrittore di Tarbes dà forfait e così Balzac si porta dietro Marcel, uno strano segretario dalle fattezze femminee. Si tratta infatti di una giovane donna – Carolyne Marbouty – che nelle sue memorie scriverà: «[Balzac] mi ha fatto vestire da uomo e quest’abito che mi dona mi piace. Mi evita d’esser riconosciuta e mi permette un’infinità di nuove e affascinanti libertà…». Ai primi d’agosto i due soggiornano a Torino, al Grand Hotel de l’Europe, in piazza Castello. La buona società della capitale del Regno di Sardegna lo accoglie con cordialità e con i dovuti cerimoniali, ma ben presto tutti si accorgono che il suo segretario – un primo tempo scambiato per George Sand, ben nota per i suoi travestimenti maschili – è in realtà una segretaria. Balzac è costretto a rinunciare al viaggio fino a Neuchâtel, dove avrebbe incontrato l’adorata Madame Hanska. Arriva così fino a Ginevra per poi fare rotta verso Parigi, dove giunge il 22 agosto.

    Lo scrittore torna in Italia l’anno successivo, esattamente il 19 febbraio, prendendo alloggio alla Bella Venezia, in piazza San Fedele, a due passi dal Duomo. La sua presenza è una costante nella high society meneghina: il celebre salotto della contessa Clara Maffei lo vede costantemente protagonista, la Scala gli riserva diverse rappresentazioni di suo gradimento e Alessandro Manzoni riceve una sua gradita visita. Anche la stampa locale gli dedica alcuni articoli.

    Scrive Antonio Piazza sulla «Gazzetta Privilegiata» il 23 febbraio 1837:

    Del resto il signor di Balzac è piuttosto basso che alto della persona; i proventi della sua letteratura lo conservano ben pasciuto ed allegro; la sua educazione e la sua nascita lo rendono amabile e disinvolto; i suoi talenti spiritoso e vivace; la sua fervida immaginazione parlatore facondo, preciso, inesauribile. Una felice inclinazione al buon gusto, se non lo ha reso fashionable in tutto il significato della parola, gli ha fatto poi rinunziare a quella lunga capellatura, che ingombrandogli una volta le spalle, poteva per avventura risvegliare l’idea d’una prefica nello scrittore più gaio e più brillante del suo paese. Non è bello e non è brutto; ma fra le due piuttosto brutto che bello; ha sotto il naso una specie di chiaro-scuro che dà qualche lontana idea di mustacchi. Chiome nere ed incolte, naso savoiardo e due occhi nerissimi nei quali si può leggere compendiato il fuoco, il brio di questo grande scrittore. Parla con modestia di sé, e speriamo che ripudiando il gradito sistema de’ suoi concittadini, parlerà un giorno con lode anche degli Italiani che lo ammirano, lo festeggiano, e lo presentano di casa in casa, di palchetto in palchetto a tutte le loro Belle.

    Ma Milano gli riserva anche una brutta sorpresa: alle quattro e mezza del pomeriggio, poco lontano dall’albergo, viene aggredito da un giovane alto che lo deruba dell’orologio a suoneria e della relativa catena. Balzac si difende brandendo la sua celebre canna dal manico d’oro e tempestata di turchesi, a cui l’assalitore si oppone estraendo un coltello. Il malvivente si dà alla fuga, ma viene inseguito da alcuni astanti e poco dopo è catturato e assicurato alla giustizia. Balzac può così rientrare in possesso della refurtiva.

    Il 14 marzo lo scrittore francese è a Venezia, dove prende alloggio all’Albergo Reale Danieli, vicino a piazza San Marco. Nella città della Laguna – i cui marmi in una lettera paragona a «una donna ormai vecchia che, bellissima un tempo, ha goduto d’ogni favore» – oltre a essere il centro di una turbolenta querelle letteraria durante una cena a casa della contessa Rachele Mocenigo Soranzo, si occuperà della faccenda del conte Guidoboni-Visconti.

    Finalmente, tra il 2 e l’8 aprile 1837 Balzac arriva a Genova, anche se in un’altra sua opera anticipa questa venuta all’anno precedente.

    Un convivio sulla terrazza di una villa davanti al golfo di Genova

    Nel 1836, durante il soggiorno della Corte di Sardegna a Genova, accadde a due parigini, più o meno celebri, di potersi credere ancora a Parigi, allorché si trovarono in un palazzo, preso in affitto dal console generale di Francia, sulla collina che costituisce l’ultima ondulazione dell’Appennino, tra Porta San Tommaso e quella famosa lanterna che negli album-ricordo orna tutte le vedute di Genova. L’edificio è una di quelle magnifiche ville in cui i nobili genovesi profusero milioni al tempo della potenza di quella repubblica aristocratica.

    Questa descrizione compare in una delle primissime pagine del romanzo breve Honorine, scritto da Balzac nel 1843 e pubblicato nello stesso anno. E la magnifica villa che lo scrittore fa abitare al console generale Maurizio de l’Hostal e alla sua famiglia esiste tutt’oggi. Si tratta della villa dello Scoglietto o Rosazza, dal cognome degli ultimi proprietari. Inserita ormai in un contesto urbanistico che quasi impedisce di apprezzarne la bellezza, fu costruita nel Cinquecento dalla famiglia Di Negro sul sito di una villa ancora più antica.

    Questo Palazzo Di Negro – scriveva nel suo diario nel 1644 il viaggiatore inglese John Evelyn – è ricco dei quadri più preziosi e di altre straordinarie collezioni e arredamenti: ma non v’è nulla che mi deliziasse di più del parco, un giardino collinoso, con un boschetto di alberi maestosi, popolato di pecore, pastori e animali selvatici, intagliati nella pietra grigia, da apparire così reali in mezzo a fontane, rocce e a un laghetto, che gettando il tuo sguardo in una direzione potresti immaginarti immerso in una campagna selvaggia e silenziosa, ai due lati nel cuore di una grande città e alle spalle nel mezzo del mare. E ciò che è più ammirevole è che tutto questo si trova all’interno di un terreno ampio appena un acro, il più stupefacente e delizioso del mondo intero.

    Passata ai Durazzo, la villa alla fine del Settecento venne restaurata secondo i canoni del neoclassicismo allora imperante. L’architetto Andrea Tagliafichi chiuse le logge ai lati dell’edificio cinquecentesco e ridisegnò la facciata, addossando un timpano leggermente aggettante al corpo principale ed edificando due volumi laterali molto arretrati. Alla sommità pose sette statue, una al culmine del frontone.

    Il grande parco – che allora arrivava fino al mare e la circondava completamente – fu ulteriormente arricchito dallo stesso Tagliafichi con statue, giochi d’acqua, fontane, un tempietto a pianta rotonda, una grande colonna affiancata da due leoni, una peschiera, una pagoda e un osservatorio astronomico.

    Vagheggia di fronte – scrisse lo storico ottocentesco locale Federico Alizeri – quanto mare s’accampa dinanzi a Genova, e di questa città superba scopre ogni torre, ogni vetta, ogni promontorio. Se non è vita ove la più schietta immagine della rustica semplicità può specchiarsi, dirò così, nell’azzurro d’una tranquilla marina, io non so qual fantasia di poeta valesse a fingere più bell’incanto.

    Così doveva averla vista Balzac durante il suo soggiorno genovese. E ancora nel 1877 – nonostante la linea ferroviaria tracciata circa un quarto di secolo prima ne avesse interrotto lo sbocco al mare – la villa con il parco circostante doveva apparire meravigliosa, se Oscar Wilde le dedicò un sonetto che scrisse durante la Settimana Santa («Entro il lontano rifugio dello Scoglietto andavo errando / Su ogni ramo ardevano gli aranci / Come lampade d’oro luminoso, a vergogna del giorno; / Con le rapide ali fuggitive, alcuni uccelli spaventati / Fecero neve di tutti i fiori; come argentee lune / Giacevano ai miei piedi i pallidi / Narcisi, e l’onde curve che striavano / La grande verde baia, sorridevano nel sole, e dolce / Era la vita»).

    E ancora oggi, dopo diversi decenni di degrado (molte statue e opere scultoree sono state asportate o deturpate) e alcuni recenti encomiabili tentativi di restauro, diventato un parco pubblico, non ha perso il grande fascino dello splendore passato.

    Se la notte è bella, lo è soprattutto a Genova, dove la pioggia è caduta come vi cade, a torrenti, tutta la mattina; quando la purezza del mare lotta con la purezza del cielo; quando il silenzio regna nei viali e nei boschetti, nei marmi dalla bocca spalancata da cui l’acqua cola misteriosa; quando le stelle brillano, quando le onde del Mediterraneo si seguono come le confidenze di una donna. Confessiamolo: quel momento in cui l’aria odorosa profuma pieni polmoni e pensieri, in cui la voluttà, visibile e mobile come l’aria, vi inchioda su una poltrona mentre, un cucchiaio in mano, sfiorate gelati e sorbetti con una città ai piedi, delle belle donne in faccia, e quel momento alla Boccaccio non è possibile che in Italia e in riva al Mediterraneo.

    Dopo questa meravigliosa descrizione della notte genovese presente sempre in Honorine, Balzac passa a presentarci i commensali presenti sulla scena del suo racconto.

    Due francesi travestiti da genovesi

    Immaginate intorno alla tavola il marchese di Negro, il fratello ospitaliero di tutte le persone di talento che viaggiano e il marchese Damaso Pareto, due francesi travestiti da genovesi.

    Il primo di questi due personaggi – esaltati dallo sciovinismo di Balzac – è l’illustre Giancarlo Di Negro. A Genova il suo nome è associato alla celebre Villetta, il piccolo parco che domina dall’alto l’attuale centralissima piazza Corvetto. Il marchese Di Negro nel 1802 acquistò l’altura del bastione cinquecentesco di Luccoli, ormai smilitarizzato, e vi fece edificare dall’architetto civico Carlo Barabino una splendida villa, di cui ancor oggi sopravvivono (ai bombardamenti dell’ultima guerra e alla successiva costruzione di un nuovo edificio) un terrazzo e il loggiato sottostante. Nella prima metà del xix secolo la Villetta fu un centro di cultura internazionale, con ospiti della statura di Byron, Dickens, Madame de Staël, Manzoni, Stendhal e ovviamente Balzac, che vi soggiornò nel 1837. Letterati, dunque, ma comunque chiunque avesse qualche merito nel campo delle arti, della musica, della scienza, della cultura in genere, fosse egli italiano o straniero, veniva accolto dal marchese nella sua splendida dimora.

    Dove i vialetti dei suoi giardini erano adornati dai busti marmorei di personaggi celebri – era questo un suo vezzo – purtroppo oggi quasi del tutto spariti. Sopravvive solamente quello di Caffaro di Rustico da Caschifellone, il primo annalista del Comune genovese, vissuto nel xii secolo. A ogni inaugurazione di un nuovo busto – come quella dell’effige di Paganini nel 1835 a cui però il magistrale violinista, seppur in città, non volle presenziare – il Di Negro allestiva sontuosi ricevimenti e preparava grandiosi festini. Tuttavia non era esclusivo nella scelta degli ospiti, che potevano essere o no patrizi e aristocratici. Spesso apriva le sale della sua villa anche agli amici paesani della città: «La nobiltade è da pregiarsi molto», scrisse. «Se alberga in cor gentile e generoso; / Ma il nobile, che altier si mostra e stolto, / È al mondo l’animale più schifoso».

    Una delle peculiarità che lo caratterizzavano – oltre alla bontà, la mitezza, la liberalità che gli avevano fatto guadagnare l’affetto e la stima di tutti quelli che lo conoscevano – era la capacità di improvvisare versi, tecnica che aveva appreso dal poeta romano Francesco Gianni. Il marchese si vantava non poco di questo suo

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