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Il ragazzo dalle suole di vento
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E-book149 pagine2 ore

Il ragazzo dalle suole di vento

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Info su questo ebook

Il 20 ottobre 1854 nasceva a Charleville, Arthur Rimbaud, poeta maledetto per antonomasia, passò come una meteora su questa terra (morì a soli 37 anni), e in brevissimo tempo entrò con forza nella scena intellettuale francese. Iniziò a scrivere poesie a 15 anni, mostrando già in giovane età la sua intenzione di fare a pezzi ogni convenzione sociale e letteraria. Ribelle, anticonformista, scanzonato e sovversivo inorridì la borghesia, derise la morale cattolica, e la scandalizzò con la sua vita di eccessi, intraprese una relazione accesissima con il poeta Paul Verlaine, la quale fece discutere non poco, sperimentò il carcere e calpestò la terra di mezza Europa. Senza dare spiegazioni a 20 anni lasciò la vita letteraria, e si recò in Africa tra climi sperduti e soffocanti, divenne commerciante di armi e pelli. La malattia (un tumore alla gamba) gli impedì di portare avanti la sua vita errabonda e lo costrinse a tornare in Francia dove morì il 10 novembre 1891. Da allora il mito del ragazzo ribelle e tormentato non smette di affascinare, e il suo grido di rivolta contro tutto e tutti continua a riecheggiare, soprattutto tra i giovani, i quali grazie alla sua figura ritrovano qualcosa per cui vale la pena combattere: abbattere ogni tipo di restrizione e creare qualcosa di nuovo, qualcosa che renda veramente liberi.
LinguaItaliano
Data di uscita12 set 2019
ISBN9788831639187
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    Anteprima del libro

    Il ragazzo dalle suole di vento - Stefano Turri Zanoni

    Zanoni

    IL RAGAZZO

    DALLE SUOLE

    DI VENTO

    Youcanprint

    Titolo | Il ragazzo dalle suole di vento

    Autore | Stefano Turri Zanoni

    ISBN | 9788831639187

    Prima edizione digitale: 2019

    © Tutti i diritti riservati all’Autore

    Youcanprint Self-Publishing

    Via Roma 73 - 73039 Tricase (LE)

    info@youcanprint.it

    www.youcanprint.it

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    Sulla frontiera del Belgio, nella Francia settentrionale, sorgevano un tempo due città gemelle, Charleville e Mézières , separate soltanto da una striscia di aperta campagna. Col passare del tempo, però, ciascuna delle due città estese i propri suburbi attraverso la terra di nessuno che le divideva, ed ora esse formano un entità singola, la moderna città che ha nome Charleville-Mezières. (Se per uno strano caso il lettore avesse la capacità di materializzarsi all’interno della piazza di una di queste due città durante una tipica giornata domenicale, esso potrebbe sicuramente assistere ai cortei folkloristici tenuti dalle famiglie borghesi dirette in Chiesa, e allo stesso tempo vedere gli schiaffoni che quelle madri esageratamente praticanti sono solite dare ai figli quando quest’ultimi si rifiutano di entrare nella casa del Signore, tutto ciò avrebbe luogo mentre i padri di queste nidate seduti ad un tavolo di un caffè, ancora pezzati di sudore per via della giornata appena terminata nei campi disquisirebbero di politica sbraitando come cani o maledirebbero il tempo per il troppo caldo o il troppo freddo accompagnando ogni frase con grande enfasi e con una trincata dal boccale di birra o vino a seconda dell’ora o della sete.)Spero che questa parentesi visionaria sia stata di conforto per quella specie di lettore convinto di vivere nel periodo più scuro del mondo. Ma ora torniamo a tuffarci nel mare di questo racconto, lasciamoci trasportare dalle emozioni che questo linguaggio ci offre e se possibile cerchiamo di trarre da questa storia qualche buona riflessione. La più antica delle due città era Meziérès sede di prefettura, innalzava orgogliosa sopra i tetti il campanile medioevale ed esprimeva aperto disprezzo per la gemella rivale. Charleville (giovane di un paio di secoli appena rispetto a Meziérès) era la classica città animata da gente d’affari, ospitava soprattutto commercianti e negozianti i quali arrivavano da ogni dove per prendere parte al gran mercato che si teneva ogni quindici giorni nel centro abitato, i chioschetti che andavano per la maggiore erano quelli di frutta e verdura (di stagione ci si intende), ma anche utensileria e artigianato avevano la loro buona affluenza, la gente veniva richiamata dal chiasso dei venditori che tra sorrisi e risate cercavano di vendere i loro prodotti a più persone possibile . Purtroppo il clima festoso e di allegria che si respirava a pieni polmoni nella piazza del paese andava via via diminuendo più ci si allontanava dal centro fino a scomparire del tutto una volta che ci si inoltrava nei sobborghi situati al confine della citta, dove l’esistenza moriva lasciando spazio alla mera sopravvivenza, qui in uno dei molti vicoli stretti e lugubri precisamente al numero 12 di rue Napoléon (poi rue Bérégovoy) il 20 Ottobre 1854 (alle 9 di mattina l’ora un cui il sole si stropiccia gli occhi e illumina i primi sorrisi della giornata) nacque Arthur Rimbaud figlio dell’ammiraglio Frédéric Rimbaud e di Marie Chaterine Vitalie Cuif. L’appartamento dei Rimbaud si trovava nella zona limitrofa della città, la madre l’aveva preso in pigione un paio d’anni prima della nascita di Arthur da un ricco signorotto del luogo, il piccolo nido della famiglia faceva notare in maniera abbastanza lampante la loro precaria disponibilità economica, la sala da pranzo (dove nacque il piccolo Arthur) era la parte più spaziosa della casa, presentava una finestra abbastanza piccola vicino alla porta d’entrata ed un altra poco più grande illuminava la cucina, l’arredamento era costituito da alcuni mobili in legno di castagno uno dei più resistenti all’umidità,(fattore climatico molto presente nelle regioni ardennesi soprattutto d’inverno), ed alle pareti si trovavano vari quadri di paesaggi estivi e invernali i quali denotavano il poco gusto e la totale assenza di talento della mano che li dipinse, e infine altre cornici sparse qua e la raffiguranti Madame Rimbaud e il marito(in veste militare) coprivano gli ultimi spazi che altrimenti sarebbero rimasti vuoti e avrebbero lasciato agli occhi di un ipotetico ospite(anche se di rado qualcuno bussava alla porta della famiglia Rimbaud) la possibilità di vedere certe macchie di muffa formatesi sul muro, insomma un ambiente poco consono alla nascita di un bambino ma delizioso per ospitare una veglia funebre o per accompagnare la vecchiaia che si deteriora nel corso del tempo. In fondo alla sala era situata una scala a chiocciola diretta al piano superiore dove risiedevano le due camere da letto una matrimoniale e la restante singola(la tana come la chiamava Madame Rimbaud per via del suo spazio incredibilmente angusto)nella quale dormiva e dormendo accarezzava i sogni Frédéric (nome assegnatogli dalla madre)il primogenito dei Rimbaud, questo ragazzetto nato sotto il sole d’agosto del 1840 (quattordici anni più vecchio di Arthur una buona differenza d’età data dal fatto che il padre per via del lavoro condotto nell’esercito era continuamente costretto ad allontanarsi da casa per lunghi periodi di tempo) possedeva un anima calma e contemplativa, il suo linguaggio non diveniva mai scurrile e quando per malasorte succedeva magari perché sopraffatto da un attimo di ira o d’agitazione prima rimuginava bene su quanto aveva detto e poi dopo un attento esame di coscienza si tappava la bocca per diversi minuti o si mordeva la lingua per redimersi dal peccato commesso(questa sua preoccupazione riguardo all’uso del linguaggio derivava in toto dall’educazione rigidamente bigotta e cattolica trasmessagli dalla madre) anche i modi che utilizzava per relazionarsi al prossimo suo erano sempre pacati e ossessivamente delicati tanto che prima di formulare una domanda a qualcuno faceva l’inchino e si toglieva il cappello (i passanti più fortunati erano quelli che lo incrociavano nelle giornate  uggiose perché avevano la possibilità di non assistere ad almeno uno dei suoi riti di gentilezza come era solito chiamarli lui dato che il copricapo lo indossava solamente nelle giornate soleggiate, ma il numero dell’inchino non aveva intralci ed il ragazzo ebbe così modo di perfezionarlo arrivando dopo molto allenamento con il capo quasi alle scarpe dell’interlocutore), l’aspetto suggeriva la stessa gentilezza del comportamento, gli occhi grandi e castani, i capelli dello stesso colore erano sempre ben pettinati e profumati (come voleva la madre) il suo portamento aggraziato come quello d’una dama di corte. L’interesse che più lo stuzzicava era la pittura(amava Raffaello e Michelangelo, parlava di Firenze sempre con grande entusiasmo e come i suoi idoli prima di lui sognava d’essere cullato da questa città ricca di bellezze, la determinazione che lo spingeva a migliorarsi sempre più nella pittura era la stessa che permise ad Ulisse di ritornare alla propria Itaca) utilizzava la soffitta sopra camera sua come laboratorio d’arte e guardando fuori dalla finestra attendeva l’ispirazione. Un sabato mattina del 1857 Frédéric venne chiamato a rapporto dalla madre la quale probabilmente era già nervosa di buon mattino, dato che le prime parole udite dal ragazzo furono: Allora Frédéric scendi o devo venire a prenderti trascinandoti qui per i capelli? sentita questa frase il giovane corse come un fulmine lungo le scale e arrivato nella stanza trovò  la madre con in braccio il piccolo Arthur. Madame Rimbaud ripose il neonato nella culla e subito si rivolse a Frédéric: Tra poco dovrebbe arrivare Ginevra, la levatrice di quel marmocchio di tuo fratello; voglio che le mostri l’appartamento nel suo complesso così che possa familiarizzare al meglio con la casa, dato che dovrà occuparsi di Arthur per parecchio tempo. Il ragazzo non disse una parola, annuì e lasciò filare il discorso. Allora la madre riprese imperterrita: le consegne che devo fare al mercato mi occuperanno gran parte della giornata, quindi non sarò di ritorno prima di sera, vedi di non combinare pasticci. Poi, con passo da generale si incamminò verso la porta d’uscita ma poco prima di andarsene si rivolse un’ ultima volta al figlio: quasi dimenticavo: cerca di renderti disponibile più che puoi nei confronti di quella ragazza , non sia mai che si intenerisca dopo aver visto la condizione in cui viviamo , magari gli scappa di farci uno sconto se Dio vuole ; detto questo chiuse la porta e sparì tra la foschia del primo mattino. Frédéric voleva bene a suo fratello, questo è sicuro, ma non sapeva come comportarsi con un bambino, per giunta neonato, riuscì però a farlo addormentare canticchiando un antica filastrocca imparata a scuola, poi si sedette al tavolo della cucina e aspettò con calma l’arrivo della levatrice. Il vento fuori dalla finestra faceva oscillare le fronde degli alberi le quali sembravano quasi prendere vita, il ragazzetto pensò a quel punto di immortalare la scena dipingendola, ma proprio in quel momento bussarono alla porta.,. era Ginevra, quando Frédéric la vide ne rimase incantato. La ragazza aveva lo stesso aspetto di un angelo disceso dal cielo: era alta e snella, i biondi capelli che le scendevano lungo la schiena parevano fili dorati e gli occhi d’un verde accesissimo risaltavano tutta la sua giovinezza (era un paio d’anni più vecchia di lui). I due si presentarono e subito Frédéric le propose di fare il giro della casa (una visita guidata più che fulminea dato che l’appartamento non era dei più grandi); conclusa l’esplorazione delle stanze rimaneva ancora parecchio tempo a disposizione ai due giovani prima del rientro in casa di Madame Rimbaud. Il bambino dormiva ancora cosicché i ragazzi poterono approfittarne per scambiarsi due chiacchiere e conoscersi meglio, si sedettero e cominciarono ad aprirsi l’uno con l’altra, scoprirono subito di essere accomunati dalla stessa passione per la pittura, adoravano in particolar modo i dipinti italiani del rinascimento e li ritenevano capaci di trasmettere emozioni intensissime. Dopo aver a lungo parlato di quadri e pennelli, l’occhio di Ginevra scorse un quadretto di piccole dimensioni  raffigurante una donna alta e possente ed un uomo in divisa l’uno di fianco all’altro e quasi sovrappensiero indicando il dipinto chiese al ragazzo: e quei due chi sarebbero…. I tuoi genitori?? Frédéric non rispose (non amava parlare della propria famiglia), si limitò a prendere il quadretto dal muro e dopo averlo fissato senza dire una parola scoppiò in un pianto convulso, la levatrice cercò di consolarlo, ma la mente di Frédéric oramai era prigioniera di ricordi passati. Le due persone rappresentate sulla tela erano infatti Madame Rimbaud e Frédéric Rimbaud, il padre ammiraglio partito quasi un anno prima per questioni lavorative e mai più ritornato. Ora, la figura di Madame Rimbaud può essere tracciata in poche righe, immaginate una madre ardennese avara, autoritaria e fredda, senza alcuna immaginazione fieramente cattolica e ossessivamente praticante, una donna chiusa in se stessa ,sprofondata  nel più scuro grigiore in seguito all’abbandono del marito, la sua unica preoccupazione era quella di guadagnare quanto basta per farsi notare dalle persone per bene dell’alto-medio borghesia dell’epoca, ma l’unica fonte di guadagno arrivava dalla fattoria di Roche(dato che il marito non si era minimamente preoccupato di lasciare alcunché per il sostentamento della famiglia), la quale rendeva solo quei pochi ortaggi vendibili al mercato di piazza. Per questo Madame Rimbaud decise che era tempo anche per il primogenito di dare un contributo all’economia della casa e quindi, il ragazzetto fu costretto a lasciare la scuola per lavorare il terreno della fattoria dal pomeriggio fino a tarda sera. Questa era la figura femminile della famiglia Rimbaud, una donna disperata in continua lotta con la propria esistenza, divorata dall’odio e incapace di affrontare la vita con sensibilità. Il padre come già si è accennato in precedenza era un ufficiale in carriera (guarnigione in Algeria, campagna d’Italia e di Crimea) dal carattere volubile e lunatico, genitore inesistente dato che la vita militare lo costringeva ( e la cosa di certo non

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