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Cagliari esoterica: Tra fantasmi, maghi, massoni e iniziati
Cagliari esoterica: Tra fantasmi, maghi, massoni e iniziati
Cagliari esoterica: Tra fantasmi, maghi, massoni e iniziati
E-book285 pagine5 ore

Cagliari esoterica: Tra fantasmi, maghi, massoni e iniziati

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Info su questo ebook

La guida sul mistero che segue il successo di "Fantasmi a Cagliari".
L'idea che anima il terzo libro di Pierluigi Serra risiede nella scoperta delle vicende storiche legate alla Sardegna, avvenimenti che nascondono leggende e misteri del passato e dell'attualità. Una indagine sul mondo fantastico popolato da spiriti e demoni, con un approccio storico rigoroso e documentato.
In questo ambito si muovono personaggi più o meno noti che hanno percorso le strade dell'Isola alla ricerca di luoghi dell'esoterismo e dello spiritismo: da Gabriele D'Annunzio a Ernst Jünger fino a personaggi dell'Ottocento cagliaritano.
L'investigazione sul mondo parallelo ha il tratto di un percorso che si snoda tra l'archeologia e le cronache dei quotidiani, scandagliando aspetti inconsueti e bizzarri.
Così i luoghi cagliaritani si propongono sotto una veste nuova e accattivante in un parallelo che li lega a Torino e Napoli: il grande triangolo del mistero italiano nel quale si muovono personaggi insospettabili legati alla massoneria ottocentesca, allo spiritismo e alla magia.

L'Autore
Pierluigi Serra, giornalista e scrittore. Ha una forte passione per l'Isola, per la sua storia e le piccole storie raccontate sotto traccia.
LinguaItaliano
Data di uscita12 nov 2015
ISBN9788894088069
Cagliari esoterica: Tra fantasmi, maghi, massoni e iniziati

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    Anteprima del libro

    Cagliari esoterica - Pierluigi Serra

    bibliografici

    Introduzione

    Cagliari esoterica. Tra fantasmi, maghi, massoni e iniziati

    "Con la sua aria molto naturale

    il sovrannaturale ci circonda"

    Jules Supervielle (1884-1960)

    Il plenilunio rischiarava la ripida salita del Bastione di Nostra Signora di Monserrato, proiettando sul battuto di terra polverosa le ombre di tre figure che, a guardarle da lontano, avevano le sembianze di gendarmi impegnati in un turno di ronda. Alle dieci di notte di quel mercoledì 3 maggio 1882 i loro passi risuonavano in un ritmico battito di tacchi, quasi una danza, che li avrebbe condotti in breve tempo all’ingresso del grande albergo dalle torri merlate, stagliate nel cielo di una luna splendente. Gabriele D’Annunzio, Cesare Pascarella e Edoardo Scarfoglio erano arrivati in Sardegna qualche giorno prima, e la loro tappa cagliaritana era forse la più importante ed attesa del tour giornalistico che li avrebbe portati a conoscere la terra e le genti di Sardegna. Il soggiorno, nella città che si affaccia sul Golfo degli Angeli, era stato ben programmato ed organizzato in ogni minimo dettaglio, senza nulla lasciar al caso o alla sorte. Anche la saletta riservata, prenotata all’Hotel Scala di Ferro, era stata attrezzata dal terzetto in previsione dell’evocazione che, di lì a poco, si sarebbe celebrata. D’Annunzio, Pascarella e Scarfoglio, oltre alla passione giornalistica che li aveva portati – inviati del giornale Capitan Fracassa¹– a percorrere le rotte dell’antica isola, erano animati da una forte propensione al mistero, all’esoterismo, allo sconosciuto. La seduta spiritica che avrebbe avuto come teatro la stanza dell’hotel cagliaritano li avrebbe visti protagonisti e animatori, detective dell’ignoto ed alla scoperta di una città nella quale, gli eventi soprannaturali vengono amplificati, per la sua caratteristica di catalizzare l’ignoto.

    Cagliari, città del mistero e della magia, città che contrappone la sua solarità alle tenebre che avvolgono fatti ed avvenimenti più o meno noti, racconti e narrazioni del passato remoto e recente; la città non a caso vede nel corso degli anni passati un viavai di personaggi notissimi ed anonimi, uomini dalla doppia immagine, che la percorrono alla ricerca di un mistero che aleggia tra le pieghe della storia. Perché tanti viaggiatori, animati da un comune interesse per la magia, lo spiritismo, l’esoterismo si ritrovano in luoghi ben precisi di Cagliari e qui compiono e consumano cerimonie antiche, evocazioni o restano in attesa di un segnale? Quale ricerca ha mai accomunato il viaggio del sensitivo David Herbert Lawrence all’itinerario del massone e spiritista Floriano Del Zio, e quale nesso esiste tra la spedizione del reparto di ricerche archeologiche delle SS con il ritorno in Sardegna, negli anni cinquanta dello scrittore Ernst Jünger? I misteri di questa città che mantiene una stratificazione storica millenaria hanno calamitato gli interessi non solo dei viaggiatori d’altri tempi ma continuano ancora oggi a suscitare la curiosità e le attenzioni di quei suoi abitanti che paiono aver maggior sensibilità verso l’ignoto. La città, forse per discrezione e senso di riservatezza della sua popolazione e dei suoi visitatori, non è mai balzata agli onori della cronaca del mistero al pari di altre città: se Torino, con Piazza Statuto e Piazza Castello alimenta la curiosità sui fenomeni paranormali, Cagliari come Praga e Parigi ha un pedigree di ottimo livello con il suo popolo di spiriti e fantasmi, streghe e maghi, esoteristi e negromanti.

    Nel raccogliere le testimonianze, numerose ed affascinanti, ci si rende conto che Cagliari, e molti dei suoi luoghi più suggestivi, sembrano mantenere inalterata una sorta di memoria di forma, quella memoria che riporta alla luce, attraverso porte misteriose, personaggi che hanno mantenuto da defunti, per qualche evento tragico, un contatto costante con il mondo dei vivi. Anime penitenti, figure dal trascorso burrascoso o spiriti evocati: la città pare un intricato sistema di impercettibili camminamenti nascosti che si aprono verso lo sconosciuto. Vi sono naturalmente dei luoghi che per il loro trascorso risentono di influssi e attività negative. Cimiteri abbandonati dei quali si è persa la memoria, luoghi che sono stati teatro di tragiche vicende, case popolate da presenze misteriose: l’elenco delle porte verso l’ignoto è interessante nel tracciare una mappa urbana di una Cagliari suggestiva e carica di leggende reali.

    Il tema del fantastico e del paranormale è assai spinoso: difficilmente s’ammette di credere a spada tratta alle apparizioni notturne se non nei casi in cui, in prima persona, s’è avuta la fortuna di un incontro ravvicinato con rappresentanti di mondi paralleli. Sono questi mondi invisibili, gli stessi celebrati da D’Annunzio, che ogni tanto affiorano nella cronaca. È soprattutto il mondo ipertecnologico a far da cassa di risonanza ad avvenimenti inspiegabili laddove l’ectoplasma assurge agli onori del web, scatenando ipotesi e congetture, dividendo i cibernauti in fazioni di scettici e di possibilisti. A volte il trucco appare in tutta la sua burla ed altre volte ancora l’inspiegabile rimane tale. Un dato tra i tanti sul mondo del paranormale riguarda l’alto numero di posseduti che negli ultimi anni si sono rivolti alla Chiesa per essere esorcizzati: in Sardegna ed a Cagliari in particolare i casi sotto osservazione da parte dei quattro esorcisti autorizzati dal Vaticano sono in continuo aumento. In qualche caso si tratta di semplice suggestione, spesso frutto di timori e paure ancestrali, in altri – quelli più numerosi - la pratica dell’esorcismo si rivela lunga e difficile. Un dato che fornisce la misura non solo del revival dell’ignoto ma anche del sempre maggior ricorso alle sedute spiritiche e alle messe nere: scandagliare l’ignoto può riservare – come ha sottolineato più volte il celebre esorcista padre Amorth – amare sorprese e contatti indesiderati con anime malvagie.

    In un recente studio Francesco Bamonte, sacerdote ed esorcista, ha evidenziato un sempre crescente interesse verso il mondo dell’ignoto e dello sconosciuto: la posizione ufficiale della Chiesa nei confronti delle manifestazioni spiritiche non lascia molti dubbi. Bamonte, che dal luglio 2012 è presidente dell’Associazione Internazionale Esorcisti, sottolinea la netta differenza tra le anime che spontaneamente si manifestano – con varie motivazioni – al nostro cospetto e il pericolo delle sedute spiritiche, nelle quali l’ospite misterioso non sempre corrisponde all’anima del caro estinto. C’è il pericolo, come si vedrà anche in alcuni dei fatti citati in questo itinerario del mistero, che l’apertura di una porta verso l’ignoto rappresenti un pericolo reale difficilmente gestibile.

    Quel che più colpisce della Cagliari misteriosa è lo stretto legame che vincola numerosi fatti del paranormale alla storia reale, quella passata e quella più recente riportata dai giornali: così nel raccogliere le testimonianze che vengono raccontate in questo viaggio nella città del mistero sono state adottate le dovute cautele che proteggono la riservatezza dei testimoni. Alcuni luoghi che sono tuttora infestati vengono citati senza indicare con precisione l’abitazione. Così come i fatti recenti celano, dietro un nome fittizio, uno o più persone avvolte dalla normalità.

    All’indomani dell’uscita di Fantasmi a Cagliari, il ritorno delle anime sono state numerose e precise le segnalazioni che riguardano la sfera dell’ignoto: parallelamente è proseguita la ricerca tra gli archivi e le biblioteche, tra le pagine logore di vecchi quotidiani o nelle raccolte digitalizzate, il tutto per dare volto ad una nuova ed aggiornata mappa che riguarda i misteri di una Cagliari dai mille volti. L’approccio verso i temi che in questo viaggio sono affrontati è di tipo giornalistico, ripercorrendo l’idea di una cronaca di fatti e avvenimenti, mettendo in relazione tasselli di un mosaico che all’apparenza e a prima vista parevano slegati e incongruenti. La considerazione che emerge dall’insieme di testimonianze su casi misteriosi denota, alla base, una vivacità storica di Cagliari tutta da scoprire e indagare: la storia sedimentata ha lasciato non solo le testimonianze tangibili, tuttora sotto i nostri occhi, ma s’è riservata uno spazio nascosto che affiora sottotraccia. La città – definita da un viaggiatore tedesco degli anni trenta – è un ganzanders un completamente differente. Così le differenti storie e vicende degli adepti del Grande Oriente d’Italia si intrecciano, in un lasso di tempo di circa sessant’anni e fino all’avvento del Fascismo, con l’esplosione dello spiritismo nella nostra città, coinvolgendo soprattutto la classe mercantile emergente, gli impiegati in carriera e insospettabili signore della Cagliari bene. Tutte le vicende hanno lasciato una traccia profonda non solo nei lontani racconti ma, cosa più attuale, nella cronaca nascosta di manifestazioni medianiche e materializzazioni d’anime erranti. Alcuni mesi orsono, consultando una serie di libri appartenuti ad un anziano massone, volato tra le cattedrali celesti negli anni settanta, mi colpì un’annotazione tracciata con scrittura minuta sul retro di uno dei volumi: il libro, un trattato sullo spiritismo scritto da Allan Kardec, riportava una frase emblematica, un pensiero che forse esplica nella sua totalità quello che noi non conosciamo: Siamo anime, e come anime noi possiamo andare e ritornare.

    C’è una sottile linea della rosa che lega ogni racconto, per fatti, nomi e luoghi, in un unico percorso del mistero. Ai viandanti curiosi il piacere di scoprirne l’itinerario.

    Dedicato ai viaggiatori attuali e ai viaggiatori che valicano le porte del tempo.

    [1]  Il Capitan Fracassa era il giornale letterario e satirico pubblicato a Roma a partire dal 1880. Fondato da R. Giovagnoli e L.A. Vassallo (noto con lo pseudonimo di Gandolin), fu diretto da quest’ultimo e poi da Peppino Turco e da E. Panzacchi. Vi esordirono Cesare Pascarella, Gabriele D’Annunzio (con lo pseudonimo di Mario dè Fiori) ed Edoardo Scarfoglio. Dal dicembre 1884 alla fine del 1886 pubblicò un supplemento, La Domenica del Fracassa, che ebbe come principale collaboratore Giosuè Carducci.

    Il passo leggiadro della morte

    Nonostante i suoi ottantatré anni Fanny Onnis, vedova Basciu all’anagrafe, poteva competere in celerità e prestanza fisica con molte delle sue amiche, più giovani ma molto più sedentarie. Passo spedito e sguardo sempre vigile caratterizzavano la donna, nota nel quartiere cagliaritano di Villanova per la precisione, il puntiglio nell’ordine e la metodica abitudinarietà. Tanto erano precisi i suoi tempi che bastava ascoltare i tocchi della campana maggiore della parrocchiale di San Giacomo per vederla comparire sull’uscio della chiesa o sbrigare le solite commissioni dal pizzicagnolo, dal fruttivendolo. Ma quel che colpiva di più chi non la conosceva appieno era il suo sguardo profondo, velato di una malinconia che si era dipinta negli occhi all’indomani della morte del suo compagno di vita, quel Lorenzo, commerciante di quartiere, benvoluto dai più ed amato con passione da lei. Così le giornate di Fanny scorrevano ritmate e non mancava giorno in cui la vedova non facesse capolino nel nuovissimo cimitero di Bonaria. Tappa obbligata oramai da venticinque anni. Quel lontano primogennaio del 1829 era stato particolarmente freddo e piovoso: su Cagliari incombeva un gelo inconsueto tanto da rendere il respiro affannoso e le lacrime della donna, all’indomani della scomparsa del marito, erano stille di neve nel seguire il lento procedere del funerale. Era stato un triste primato quello di Lorenzo Basciu, rapito in giovane età da una sorte beffarda, nell’inaugurare – primo tra i cagliaritani - il camposanto di Bonaria. Giusto l’anno precedente il capitano del genio Luigi Damiano aveva redatto un prestigioso progetto per dotare, al pari delle città del continente, anche Cagliari di un decoroso luogo di riposo eterno. La scelta del sito non era stata casuale, come dimostrarono i primi scavi nel colle prospiciente il mare: quel fazzoletto di terra era conosciuto fin dall’antichità come necropoli, adagiato verso occidente ad ospitare corpi esanimi. Così non vi fu nessuno stupore nel progettista nel ritrovare, ad inizio lavori, il corpo mummificato di un uomo, forse un centurione romano, che stringeva tra le labbra una moneta, segno di un rituale antico che prevedeva il pagamento del pedaggio verso l’aldilà. Il colle dei morti nelle scelte progettuali presentava diversi vantaggi. Situato nella periferia di Cagliari, il nuovo camposanto era anche vicino alla chiesa e al convento officiato dai Padri Mercedari e aveva come cappella l’antica chiesa di San Bardilio o di Santa Maria di Portu Gruttis, così cara ai devoti.

    Il primo gennaio 1829 restò inciso nell’anima di Fanny: il rumore del mesto corteo funebre, l’odore penetrante dei due cavalli asserviti al carro listato a lutto, i passi e la preghiera: ogni istante di quella giornata riviveva nella mente della donna come se il tempo si fosse cristallizzato nello strazio per la perdita del marito. A scandire la frequentazione quasi quotidiana sul sepolcro del coniuge erano anche le poche chiacchiere scambiate con il custode del cimitero, persona di maniere educate, devoto e sempre propenso a elargire consigli sui fiori da deporre sulle tombe.

    Da quel lontano giorno Fanny evitava di buon grado ogni cosa che potesse scardinare il suo vivere quotidiano: rifuggiva ogni emozione, perché i turbamenti d’animo potevano ostacolare la sequenzialità di azioni giornaliere ben prestabilite, e in cuor suo, in una regione nascosta del proprio corpo, provava una curiosa sensazione – quasi una premonizione – nel prevenire e scansare le cose cattive. Forse era stato proprio il grave lutto ad accentuare in lei la percezione di un mondo parallelo che viveva nascosto nell’ordito della Cagliari di metà ottocento. Le era già capitato più volte di avvertire rumori e voci provenienti dal nulla: nello stesso cimitero aveva udito distintamente il pianto di un bambino, un singhiozzare straziante che l’aveva fatta girare di colpo constatando – amaramente – di essere sola tra le mura del camposanto. Cercava di dare, in ogni caso, una spiegazione alle sue visioni: la sofferenza per la perdita del marito forse aveva incrementato la sua soglia di intuizione aprendo delle porte mentali fino ad allora sconosciute.

    La quiete e l’autocontrollo della donna vennero di colpo a mancare quando, la mattina del 14 giugno del 1854 trovò l’ingresso del cimitero affollato di uomini in divisa, curiosi e frati del vicino convento. Tanta ressa, lo capì subito provando un forte fastidio allo stomaco, era uno dei segnali che le accadeva di avvertire come un campanello d’allarme davanti ad una sventura: intorno a quell’assembramento aleggiava sangue e sofferenza. In pochi istanti si ritrovò nel mezzo di quella folla bisbigliante; un omicidio, forse una rapina: la notte aveva portato la morte nella terra dei morti. Fanny venne informata da una signora, anche lei abituale frequentatrice di Bonaria e bisognosa in quell’occasione di condividere il dramma, dell’uccisione dell’anziano guardiano che era stato trovato la mattina presto privo di vita con il cranio fracassato. Il piccolo locale nel quale il custode viveva, una stanzetta situata all’ingresso del sepolcreto, era stato lo scenario di una violenza senza limiti, un accanimento che aveva lasciato ovunque chiazze di sangue.

    Cosimo Lecca, anziano laico mercenario, era stato infatti rinvenuto dai becchini del cimitero orrendamente sfigurato, fatto oggetto di una violenza inaudita che contrastava con il carattere mite del custode. Il fatto di sangue, tremendamente raccapricciante, trovò spazio nei giornali del tempo e nella guida alla città che il Canonico Giovanni Spano doveva scrivere di lì a poco. Un omicidio inspiegabile, che sicuramente non avvenne per rapina ma che portò dietro di sé altro sangue e una pesante cappa di malvagità. Cosimo Lecca, originario di Sinnai, era conosciuto per la sua ammirevole pacatezza d’animo e chi lo frequentò ne descriveva l’animo inalterabile per qualsiasi evento.

    I colpevoli, più di due a giudicare dalle diverse e numerose ferite inferte all’uomo, non vennero mai individuati: forse in termini troppo sbrigativi per la complessità del caso, il tutto venne ricondotto al tentativo di rapina finito in omicidio. In ogni caso l’esame della scena del delitto fece pensare ad un’aggressione veloce, avvenuta mentre Lecca era seduto di spalle alla porta, davanti al tavolo, intento a consumare una cena assai modesta. Se gli assassini erano alla ricerca di oro o denaro come mai, si chiesero in molti, la catenina d’oro con l’effige della Madonna di Bonaria non era stata rubata? Apparve altrettanto strano che l’abitazione del custode non presentasse nessun segno che facesse presagire la ricerca di monete e oggetti di valore. Lecca, a dispetto della propria età, era ancora in buona forma fisica ma viveva in condizioni economiche molto modeste tanto che, molto spesso, il pranzo o la cena gli erano offerti dai frati di Bonaria.

    In città, per diverse settimane, il brutale omicidio fu argomento di discussione e di sconcerto: il temperamento bonario di Cosimo Lecca, la sua simpatia e la predisposizione ad aiutare il prossimo rendevano questa morte ancora più orribile. Così come quella tragica giornata del 14 giugno doveva riservare altre amare sorprese in un vortice di dicerie, supposizioni e verità nascoste. A poche ore di distanza dal ritrovamento del cadavere dell’anziano custode nel vicino convento di Bonaria veniva infatti rinvenuto il corpo privo di vita di frate Fedele Dessì, padre mercenario, valente predicatore e cappellano del Bagno Penale di San Bartolomeo. I confratelli, allarmati dall’assenza del sacerdote alle preghiere mattutine, verso le 9 e trenta del mattino riuscirono ad aprire la porta della cella di frate Fedele, chiusa a più mandate dall’interno. Il predicatore giaceva in un angolo della stanza, soffocato da uno di quei cordoni bianchi che l’ordine monastico indossa sulle vesti. Il cappio era stretto al collo e le mani dell’anziano erano legate dietro la schiena con l’estremità stessa del canapo. Gli occhi sbarrati, ad invocare un aiuto mai arrivato, e la bocca aperta che pareva urlare un muto grido d’orrore.

    Un tacito accordo tra il superiore del convento ed i confratelli volle che il referto di morte fosse stilato da un medico compiacente che si incaricò di citare, come causa del decesso, un malore: la menzogna sulla fine di frate Fedele era ritenuta necessaria per mantenere il buon nome del monastero, soprattutto alla luce delle pesanti restrizioni che la Casa Savoia stava attuando nei confronti di beni di proprietà della Chiesa e a scapito di molti ordini religiosi.

    Nonostante la fitta cappa di omertà che circondò la verità sull’omicidio del frate, in città iniziarono a filtrare le allusioni e le dicerie sul decesso, in un passaparola che alla fine rappresentava il vero quadro dell’evento. Due omicidi nella stessa giornata, due persone che ben si conoscevano e si frequentavano, due tragiche sorti che ebbero come teatro un fazzoletto di terra rinchiuso tra le mura del cimitero e del convento di Bonaria.

    Sebbene l’argomento tenesse banco per diversi giorni, la città sorniona accantonò ben presto l’evento, tornando alla normalità del vivere quotidiano, tra problemi reali e un caldo afoso del mese di giugno per niente smorzato dal vento umido di levante che soffiava su Cagliari da diversi giorni.

    Dieci giorni dopo l’evento luttuoso Fanny ripercorreva i viali del cimitero di Bonaria, per poggiare sulla tomba del consorte alcuni fiori raccolti dai vasi che adornavano il balcone di casa: era quasi mezzogiorno di sabato 24 giugno, il giorno dedicato al San Giovanni Battista, e la mente della donna era immersa in mille pensieri: dai lavori da concludere nell’abitazione alla mancanza di quelle poche chiacchiere, alle quali si era abituata, scambiate all’ingresso e all’uscita dal cimitero con il guardiano. Mentre era assorta nel rincorrere pensieri tanto diversi, notò in disparte e poco lontano da lei una figura maschile che si aggirava tra le tombe. Quella persona sembrava frenetica nel cercare qualcosa o qualche familiare sepolto. A prima vista la sagoma dell’uomo le era familiare, talmente familiare che il suo corpo venne scosso da un brivido. L’uomo si trovava a meno di cento metri da lei: stringendo le palpebre mise a fuoco l’individuo, la sagoma che ora si trovava di spalle. Fanny era ferma, quasi inebetita dalla sensazione di freddo che s’era impadronita del suo corpo; nonostante il caldo ed il vento umido che si infiltrava nelle trame del suo cappellino nero, provava un freddo avvolgente e denso. Per un attimo gli sguardi degli unici due visitatori del cimitero si incrociarono e Fanny, con il sole davanti a sé, non poté fare a meno di soffocare un urlo di terrore. Davanti a lei si stagliava ben chiara la figura del guardiano Cosimo Lecca, talmente reale che la donna vide con nitidezza il viso dell’uomo, i suoi lineamenti e gli occhi. Occhi che erano, in realtà, fosse vuote di ciò che in vita ospitava i globi oculari. Così come si era manifestato, il guardiano del cimitero passò oltre un’ultima fila di lapidi e sparì al di là di uno dei muri perimetrali. Fanny restò impietrita dallo spavento: era certa, sicura che l’uomo che girava nel camposanto fosse Cosimo Lecca, seppure la razionalità la portasse a pensare che s’era trattata di una pura e semplice immaginazione. D’altra parte Fanny sapeva benissimo che il custode era oramai passato a miglior vita: era stata nella camera mortuaria, davanti al suo corpo, era andata al funerale e aveva assistito alla sepoltura in terra consacrata. Quindi ogni logico ragionamento la portava a pensare che l’incontro con quell’uomo fosse frutto di immaginazione, un banale gioco della mente ancora scossa dai fatti della settimana precedente.

    Fanny tornò a casa con il cuore in gola, scossa da quanto s’era verificato tra le mura del cimitero, soprattutto in considerazione del fatto che, ragionando a sangue freddo, scartava a priori uno scherzo del suo cervello. Ogni cosa era talmente reale che, se si fosse avvicinata ulteriormente all’uomo, l’avrebbe potuto toccare. Passò un pomeriggio tormentato, senza riuscire a concentrarsi sulle piccole faccende domestiche: quando arrivò il momento di coricarsi Fanny, stanca per gli avvenimenti della mattina, si diresse verso la camera da letto attraversando il corridoio sul quale si affacciava la cucina. Era abituata a darsi una piccola sistemata ai capelli bianchissimi prima di addormentarsi, ed era per lei normale soffermarsi davanti allo specchio dell’ingresso. A Fanny era rimasto indelebile quel fare civettuolo e curato che aveva fatto innamorare il suo povero marito. Sistemò quindi il lume a petrolio sopra il comò e con le mani iniziò a mettere in ordine le ciocche argentate che le ricadevano sulle spalle. Concentrata come era sul suo viso ebbe, all’improvviso, la sensazione fastidiosa di non essere sola in quella intimità notturna: una percezione anche corporea visto che alle sue spalle avvertiva un leggero sibilo, un rantolo. In un attimo cambiò il punto focale del suo sguardo per concentrarsi su un lato dello specchio. A pochissima distanza da lei si ergeva un’ombra scura, una macchia nella penombra che prendeva forma più netta al passare dei secondi. Fanny istintivamente lanciò un urlo e, girandosi di colpo, fece cadere la lampada che rischiarava il corridoio. Tutto piombò nell’oscurità. Con il respiro

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