Sciamanesimo Maya: Ilbal, uno strumento per vedere - La pratica sciamanica attraverso la meditazione e la contemplazione
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Avendo perso lo stato di grazia i saggi elaborarono un ilbal, uno “strumento per vedere”. Quello strumento erano i calendari sacri, su cui si basano la Cosmovisione e lo Sciamanesimo Maya. Questo libro vuole essere uno spiraglio sulla realtà “spirituale” (loro direbbero naturale) dei popoli indigeni del Guatemala.
Attraverso le pratiche che abbiamo ereditato dagli antenati possiamo rispondere alla grande chiamata di questo tempo, creando integrazione dentro noi stessi, sanando le nostre comunità, ricamando nuovamente la relazione con la natura Madre-Padre da cui tutti proveniamo.
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Anteprima del libro
Sciamanesimo Maya - Diego Dentico
creazione.
PARTE 1
NEI MONDI DEGLI SCIAMANI
Questa è la narrazione di come in principio tutto era sospeso, tutto calmo, in silenzio; tutto immobile, zitto, e vuota era l’estensione del Cielo.
(Popul Vuh)
1. PORTATORI DI MEDICINA
Sebbene tutti gli sciamani¹ fossero esperti nell’arte della divinazione, non tutti gli indovini diventavano sciamani. Gli indovini del calendario² erano diagnostici, più vicini al sacerdozio, e usavano liturgie prestabilite e procedure fisse per trovare il tipo di rito di cui una persona aveva bisogno. Il cliente poteva allora decidere se chiedere l’aiuto di un sacerdote della gerarchia che preparasse le preghiere, oppure se ricorrere a un vero sciamano.
(Martìn Prechtel, I Segreti del Giaguaro che parla)
LA DONNA MAYA
La curandera, prima di essere cantastorie, sapiente ed empirica, è donna del popolo. È esperta di spezie e di cucina, è abile nell’arte della tessitura con la quale diventa artefice di nodi e disegni, codici di comunicazione che pongono in contatto il passato e il futuro.
Come testimonia la stele C del sito archeologico di Quiriguà, in uno dei cruciali passaggi calendarici da un tempo all’altro, il dio B’i pose tre pietre, tre madri, a testimonianza del computo nuovo. Erano le pietre del trono d’acqua (Imox), memoria ancestrale; del serpente (Kan), potere rivelatore della folgore; e la pietra del giaguaro (I’x), donna-guerriera e strega conoscitrice di ogni mistero della selva. Le tre pietre-madri divennero la cucina cosmica nel quale il dio soffiò la fiamma e sulle quali poggiò il comal della prima cerimonia da cui scaturì il nuovo tempo.
Ogni focolare Maya, da quel primo giorno, prevede la presenza di tre pietre che assistano l’atto creativo. Ogni pietanza cucinata, ogni tortilla a cui la donna Maya ha dato forma, apprendendone la rotondità dall’osservazione della Luna, diventano un’eucarestia a cui solo lei, fautrice di vita, può dare sostanza.
Alla stessa maniera, quando la donna Maya si avvicina alla tessitura, lega il telaio al proprio ventre: un’estremità all’ombelico, in memoria della corda che la connetteva alla Madre, e l’altra estremità a un albero, simbolicamente trasmutato nella mitica Ceiba. Il tessuto nascente viene così concepito dalla relazione con il Rajawal, la coscienza divina presente in natura. Le sue differenti parti assumono nomi anatomici, disponendo di testa, piedi e bocca. Il filo e la spola vengono chiamati nutrimento
.
Vuole il Popol Vuh, testo sapienziale che raccoglie la fiera mitologia del popolo Quiché, che Hunhunahpu, il dio del mais, fu ucciso dai Signori della Morte e laddove fu sepolto il suo corpo nacque un albero di teschi. Ixqic, la donna-sangue, figlia degli stessi Signori e principessa del Luogo del Timore Reverenziale, volle vedere il prodigio, ma quando si avvicinò all’albero, entrò in contatto con la bava colante del cranio amputato di Hunhunahpu. Con immediato istinto materno seppe di essere incinta e abbandonò Xibalbà pagando la propria fuga con un cuore di resina di dracena.
Giunta sulla Terra, venne accolta da Ixmucané, grande levatrice e indovina cosmica che aveva visto la modellazione dell’Universo da parte di quei Creatori-Formatori che avevano regnato sul silenzio, avvolti dalle penne del quetzal e dal chiarore del fulmine. Ixmucané aiutò Ixqic a dare alla vita due gemelli, che vennero chiamati Hunahpu, in onore del padre, e Xbalanque, il giovane giaguaro-cervo.
I ragazzi prodigiosi discesero successivamente nell’oscurità del regno di Xibalbà e lì, sconfitti i Signori della Morte, assistettero alla resurrezione del padre in forma di croce. L’albero nato dai suoi resti, toccato dal prodigio e legato simbioticamente al dio, si tramutò nell’axis mundi, la divina Ceiba che affonda le proprie radici nel cuore tenebroso di Xibalbà, cresce attraverso la Terra e le cui chiome toccano il Cielo.
Arrampicandosi, i due gemelli raggiunsero il livello più alto diventando la Luna e il Sole, illuminando il mondo, strappandolo all’eterno crepuscolo che era stato l’orizzonte dell’epoca primitiva.
Anche questo mito, come altri, viene raccontato negli abiti indossati dai Maya.
Con infinito amore, presenza e con meccanica ripetizione che porta la mente a uno stato di estrema consapevolezza, spegnendo la trance del quotidiano, la donna Maya genera ordito e trama, intrecciandovi i simboli della tradizione: l’acqua, gli uccelli che ricordano le gesta del capostipite Ah Tz’ikin Kaay, le farfalle, le cui ali sono il mondo della Terra-Frutto e quello del Sogno, tra i quali l’unico ponte è il Cuore e centinaia d’altri ancora, custoditi dalle maestre tessitrici.
Con l’utilizzo del telaio, la donna Maya si trasforma nella dea Ixchel, la donna-arcobaleno, che con i nahual e la loro danza dà origine all’arazzo della creazione, materia fatta di tempo. Dalla dea la donna Maya trae ispirazione e la trasmette nella propria opera, sia un tessuto dai motivi simmetrici e dai colori lucenti, sia un pasto a base di mais, fagioli e frutti, ricordando la saggezza della Cosmovisione con il tono calmo e allegro delle Abuelas e degli Abuelos.
Mi hijo, mi hija – sembrano dire – viviamo nel mito, ripetiamo incessantemente l’unico gesto dello Spirito perché il tempo non è altro che la memoria dell’atemporalità e realmente noi siamo le storie degli dèi, gli dèi stessi che vivono la Coscienza …
I CACCIATORI
Il flusso del Tempo scorre dall’ala sinistra della farfalla cosmica a quella destra. Dal regno del simbolo, dell’occulto, del nahual, a quello manifesto, solare, visibile, del kajulew, il Cielo-Terra, la materia, il Najt, illusione spiraliforme dello spazio-tempo.
Così la Medicina, potere primordiale senza nome, assume l’aspetto di un sogno in cui gli spiriti e gli dèi ballano e rivelano segreti, oppure di una malattia, porta dell’estasi sciamanica, o di un evento magico e improbabile, come l’incontro con una pietra parlante o un fulmine che elegge la futura curandera, il futuro curandero.
Ajkun, cacciatori
, è la parola Maya con cui vengono identificati i guaritori. Coloro che si addentrano con attitudine ferina nella selva dell’interiorità e vanno a caccia degli spiriti che hanno causato la malattia, rubando l’anima di un paziente per i propri scopi misteriosi o per ordine di un Ajitz’, uno stregone.
Ogni Ajkun, nel momento in cui viene scelto e iniziato dal regno spirituale, riceve le proprie Medicine. Nascono così gli Aj’yuqun b’aq, coloro che aggiustano ossa e muscoli; le Iyoma, levatrici che sanno donare o negare la fertilità e conoscono i riti per proteggere feti e gestanti; gli Ajwasnel, che apprendono i segreti sentieri del regno delle ombre e strappano le anime al baratro della morte; gli Ajmoxnel, che dialogano con le forze della natura e sanno restituire gioia alle menti ottenebrate; gli Aj’bix kunem, che hanno ricevuto il canto di potere …
Ma tutte le medicine, siano esse le quattro ortiche degli Ajley, le mani risanatrici di una conciaossa o il fungo santo – incarnazione terrestre del sagrado niño de Atocha – non sono altro che una metafora della vera Medicina.
La Medicina è relazione con l’esistenza, l’atto infinito, il non-fare dello Spirito, il sangue che scorre nei nostri corpi, il vento del nord, il mistero dell’alba e del tramonto, la rete del ragno, il mais che germina, il caos delle città, le strade mai battute, il fuoco del sole, l’arcobaleno che ispira poesia. La Medicina è il significato segreto che non si può comprendere con la mente, la luce che – come dicevano gli Antichi – non si spegne e non si nasconde, ma non si vede.
L’INIZIAZIONE
Quando un Ajkun riceve la chiamata e la Medicina dal regno degli dèi, viene invitato dai curanderos più esperti alle cerimonie o alle pratiche di cura che avvengono nelle Case cerimoniali. Dai propri sogni rivelatori e dallo spirito d’osservazione apprende le pratiche, le preghiere e i metodi più efficaci per controllare el don e svolgere così la missione che la vocazione gli ha dato.
Con una serie di tre cerimonie, gli apprendisti vengono benedetti dai curanderos più esperti che intercedono come difensori presso gli spiriti. I nahual riconoscono i doni dei propri figli e piantano semi di bellezza, potere e cura nelle loro anime attraverso la condivisione dell’atole, bevanda sacra e sempre presente nelle cerimonie Maya fin dall’antichità.
In base alle inclinazioni, o alle Medicine ricevute, le nuove leve vengono presentate ad Ajkun-San Nicolas, patrono delle erbe e spirito che spezza le catene, oppure a Iyoma o Santa Isabel, insegnante delle comadronas, talvolta agli stessi Grandi Abuelos, Dea e Dio, manifestazioni del Mistero.
L’iniziazione ha anche uno scopo sociale. Tramite la presentazione, grazie alla quale i nuovi guaritori sono accolti nell’assemblea terrestre che riproduce – come uno specchio – il raduno festoso dei nahual che generano il mondo, anche la popolazione di un villaggio apprende della loro esistenza e sa che potrà contare sull’aiuto di una nuova yerbera, o di una partera, di un nuovo huesero o di un abogado presso le potenze invisibili che finalmente trovano una voce.
Tutte le pratiche medico-magiche popolari includono una parte di preghiera, cerimonia, festa di condivisione e, soprattutto, un’offerta agli spiriti della Madre Terra e degli Antenati. Secondo la visione Maya, la malattia spesso insorge quando il cordone ombelicale che ci lega eternamente al ventre della Dea si spezza. È quel legame la fonte di ogni abbondanza