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La Via della Luce Femminile: Come Incontrare la Saggezza del Cuore
La Via della Luce Femminile: Come Incontrare la Saggezza del Cuore
La Via della Luce Femminile: Come Incontrare la Saggezza del Cuore
E-book251 pagine3 ore

La Via della Luce Femminile: Come Incontrare la Saggezza del Cuore

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Info su questo ebook

Una lettura intensa e poetica, che invita alla profonda conoscenza di sé attraverso un cammino evolutivo ed archetipo, in grado di raggiungere quelle potenzialità interiori la cui natura femminile può nutrire e risvegliare sia l'uomo che la dona.

"..La donna ha mani dal tocco leggero e potente, mani in grado di tessere tele infinite d'amore e pazienza e compassione e perdono. La donna ha piedi ben ancorati al suolo per attingere l'energia della Madre terra e distribuirla ad altri, piedi che sanno camminare e camminare per trovare le Verità più ascoste. La donna ha un ventre che può generare, accogliere, nutrire e partorire.....ha un corpo che canta la vita e i suoi continui passaggi di gioia e dolore, di morte e rinascita, un corpo che sa, da sempre sa, che in questa fusione di opposti è il potere della Luce...La donna sa. Se solo vuole sapere, sa."
LinguaItaliano
Data di uscita26 ott 2017
ISBN9788869372643
La Via della Luce Femminile: Come Incontrare la Saggezza del Cuore

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    Anteprima del libro

    La Via della Luce Femminile - Loretta Martello

    ​Ringraziamenti

    ​Prefazione di Diego Frigoli

    La nostra è un’epoca complessa, nella quale la confusio­ne fra gli archetipi del Femminile e del Maschile sono improntati ad una reciproca diffidenza, frutto di un pessimi­smo generale, che come segno di decadenza, di dissoluzione, di stanchezza e rilassamento degli istinti, rimanda ad una sorta di fallimento della Vita. La risposta della scienza a que­sto pessimismo collettivo non diventa altro che un puro senso di paura, un sotterfugio della morale, un sottile espediente di tutela personale contro la scoperta della verità.

    Solo la ricerca interiore del nostro daimon, il compagno segreto che riceviamo in dono dalla Vita sin da prima della nascita, e che la psicologia analitica chiama il Sé, può offrir­ci quel linguaggio cifrato necessario a comprendere il nostro carattere o meglio il codice della nostra anima e quindi i legami con il tutto.

    L’anima si pone al di là di ogni teoria psicologica della personalità e del suo sviluppo, dominate dalla visione «trau­matica» degli anni infantili e degli specifici rimedi, per ritro­varsi come scintilla d’unicità e di vocazione, di una funzio­ne transpersonale che i neoplatonici definivano in generale come Anima Mundi, e che in ogni singolo uomo si manifesta come espressione di questa totalità collettiva.

    L’Anima Mundi e di conseguenza la nostra anima come espressione personale di questa totalità archetipica, non parla il linguaggio della scienza e tanto meno quello dell’Io, che si serve dei principi aristotelici di identità e di non contraddizione, ma parla il linguaggio fulmineo dell’intuizione, che si manifesta tutta in una volta, completamente, come una rive­lazione.

    L’intuizione prescinde dal tempo e ci riporta attraverso i simboli alla sensibilità mitica, che è senza tempo, e che si sbriciola quando la sottoponiamo alle interrogazioni della nostra ragione.

    Ora, il libro di Loretta Martello costituisce un tentativo di presentare alcuni fondamenti archetipici della psicologia femminile superando i contenuti ordinari della coscienza, nati dalle impressioni sensoriali generali, per ricongiungersi all’indietro agli strati più profondi della storia dell’umanità.

    Il nostro tempo ha bisogno di un ritorno al simbolico e all’archetipico per poter dare una nuova definizione dell’ens humanum, affinché il matrimonio interiore tra le parti fem­minili e quelle maschili si realizzi senza Ombra alcuna, costruendo così l’unità della coscienza che gli alchimisti definivano come lo stato androginico. Per poter aprirsi a tanto occorre preliminarmente che la nostra coscienza fissi i paradigmi ulteriori per scoprire la trama di analogie e corri­spondenze che operano nella natura e di conseguenza nel­l’uomo, affinché si possa attingere al «mistero» di una realtà che si nasconde dietro le apparenze esteriori del mondo natu­rale, proprio come fanno i presentimenti e i trasalimenti che affiorano dal fondo dell’animo umano.

    Se i dati dei sensi, in altre parole, sono suscettibili di avere l’espansione delle cose infinite, ne consegue che le emozioni, i rimpianti, i desideri tipicamente umani possano destare un corrispettivo nel mondo delle immagini sensoria­li. Non ci stupiremo allora che l’astro lunare con la sua muta­zione di forma rimandi alle acque lustrali, al sangue, alla vita emotiva della donna, al fluttuare delle avventure del suo animo, così come le iniziazioni del femminile, le tappe cioè dell’evoluzione psicofisica della donna, vengano descritte dall’Autrice quali espressioni in ambito umano di un diveni­re archetipico, che trova le sue ragioni nella vibrazione pri­mordiale della consonante M.

    Loretta Martello, nel ritrovare le corrispondenze segrete fra microcosmo e macrocosmo rivela un’inconsueta abilità e sicurezza, testimonianza di un cammino personale aperto alla bellezza della Vita e alla promessa d’infinito contenuta in essa. La parola, in questo caso, non viene più usata dall’Au- trice come elemento di un discorso logico, ma semmai per la sua virtù evocativa e suggestiva. E come una musica che suscita una vibrazione indefinita, una rivelazione.

    In tal senso si può parlare di misticismo estetico, nel quale i frammenti illuminanti, densi di una molteplicità di signifi­cati

    Capitolo 1 Essere donne

    Ogni donna ha la sua Luce Che rischiara la Via A chiunque s’avvicini.

    Han tentato di spegnerla Secoli di oscuro terrore,

    L’hanno gettata nei roghi E cacciata dalle chiese,

    Condannata al focolare O rinchiusa in umidi conventi, L’hanno disprezzata, violentata, Derisa, allontanata.

    Ma lei è lì, da sempre è lì.

    Piccola Fiamma dagli infiniti poteri Arde più che mai Nelle radici del Cuore.

    Cosa vuol dire essere donna?

    Questa domanda vive nel cuore femminile dagli antichi tempi in cui per la donna era semplice operare all’interno del proprio clan, del gruppo sociale o della famiglia, dai tempi in cui il legame con la Terra, l’Acqua e la Luna pulsava in armonia con la vita e con lo Spirito che la pervade. Allora la donna trovava in sé le risposte, poiché queste le erano fomi­te dalla vita stessa, dall’esempio delle altre donne e dal rispetto che il mondo maschile aveva per lei.

    La donna guidava la sua stessa vita e quella degli altri fidandosi della propria intuizione, dell’innata saggezza, per­correndo il sentiero interiore già tracciato dalla madre e da tutte le madri che erano venute prima di lei. Conosceva i ritmi della terra, l’insegnamento degli animali, i poteri cura­tivi di piante ed erbe, la ciclicità della vita, accettava le tappe del cammino iniziatico femminile con serenità e devozione. Così il Menarca, la Maternità e la Menopausa erano sempre vissuti come momenti sacri, momenti in cui la Divinità entra­va più profondamente nel corpo e attraverso il corpo manife­stava il potere creativo, il potere del dare la vita e con esso la magia della Creazione.

    Ma cos’accade oggi quando una donna si chiede cos’è una donna? Sembra che di fronte a questa domanda la donna avverta sulle prime come il risuonare nella mente di un’eco lontana, e senta poi quest’eco scenderle al cuore e poi al ven­tre, e poi il risalire a spirale di un’energia potente lungo la colonna vertebrale. E mentre l’energia risale, l’eco si trasfor­ma in migliaia di voci pulsanti che chiamano la donna per nome. Ma al momento di darsi una risposta non le escono più le parole, e il battito dell’Universo appena percepito sembra cessare.

    Eppure quel battito esiste, laggiù, nello strato profondo della psiche, sepolto da secoli e secoli di regole, impedimen­ti, convenzioni, pregiudizi, buona educazione. Non è stato soltanto il mondo maschile a reeludere il femminile laggiù, ma le donne stesse, ormai sradicate dal loro Sé al punto da non riconoscere più le forze che lo animavano mentre si ade­guavano ad un modello sociale piatto e repressivo.

    I recenti movimenti femministi hanno aperto alcune stra­de, hanno scardinato con grinta e con rabbia i cancelli della libertà sociale e della parità di diritti, ma questa lotta impe­tuosa non è stata in grado (non per sua debolezza, ma perché nella lotta non può ancora esserci equilibrio) di recuperare il seme antico, la luce antica, la verità antica, l’antica bellezza che ogni donna porta in sé.

    Ora siamo socialmente più libere, ma non più felici. La libertà conquistata con dura fatica ha portato nuovi impegni e nuove responsabilità, a volte ha invaso il mondo maschile incutendo più timore che rispetto, creando distanza più che unione, e fratture anziché condivisione tra uomini e donne.

    L’aver lottato e ottenuto diritti ha risvegliato nella psiche delle donne una sana componente maschile, ma non la natu­ra femminile.

    La natura femminile non è quella dell’obbedienza nel silenzio, né quella di vivere una parità che strozza l’anima con irruenza, ma quella di vivere in sé il proprio mistero, impregnarsi della propria Luce, godere della propria canzo­ne, impossessarsi del Nume e farlo vibrare.

    Non occorre più parlare, abbiamo parlato abbastanza, non occorre più fare, abbiamo fatto abbastanza. Occorre Essere, essere Donna, essere Dono.

    I termini donna e dono sono così simili nel suono da evocare il medesimo simbolo del dare. Ma dare non è quel­l’obbligatorietà a cui siamo state educate, quel cercare un perfezionismo che soddisfi l’idea che di noi ci siamo costrui­te, o che altri hanno contribuito a farci costruire, per sentirci dire che così va bene, così sei brava, in altre parole, per poter meritare un po’ d’amore. Essere Dono non vuol dire soltanto donare, ma fare della propria natura femminile un dono, al punto da essere Luce per gli altri in modo assoluta- mente naturale, senza ostentazione, senza sforzo, Luce che arriva dal profondo per il semplice fatto che arriva, per il semplice fatto che c’è e che può manifestarsi così com’ è.

    Quando inizio un percorso terapeutico con una donna, ciò che vedo nella sofferenza che porta, qualsiasi sia il grado di sofferenza, è uno smarrimento della Luce, uno spegnersi di quella naturale irradiazione che contiene in sé il potere della vita e della morte che si trasforma in vita, il potere sacro e selvaggio del nostro essere Dono.

    E quello che vedo accadere quando una donna mette a nudo la sua anima, è proprio quel risveglio, quel lampo che sale per qualche istante dai recessi più nascosti, per poi ridi­scendere laggiù da dov’è venuto.

    Spesso mi chiedo che cos’accadrebbe se quella Luce rima­nesse costante nello sguardo, se potesse essere donata così com’è, e mi chiedo che cosa è stato fatto alle donne perché quella Luce sia stata così terribilmente offuscata. Ma non ne ho mai una risposta che tenda a colpevolizzare qualcuno. Non c’è colpa in quel che accade, giacché tutto appartiene al dive­nire e il buio è necessario affinché la Luce possa poi trionfa­re radiosa. Il buio è stato necessario perché senza di esso non avremmo mai preso coscienza di chi siamo veramente.

    Personalmente ho avuto due grandi privilegi: il primo è di essere nata e cresciuta a contatto con la natura, l’altro di svol­gere la professione di psicoterapeuta. La natura mi ha inse­gnato l’amore, la psicoterapia la conoscenza dell’anima.

    Da bambina passeggiavo a lungo sulle rive di un serpeg­giante torrente, la cui acqua rifletteva la luce lunare nelle notti di luna. Quello specchio di luce che inseguiva i miei passi ancora incerti con affidabile continuità, mi dava una dolce inquietudine e una strana forza. Da allora l’acqua e la luna hanno costituito il fondamento poetico su cui un non facile destino costruiva le prove psico-spirituali che affrontai più tardi.

    Una grande quercia al limitare dei campi m’attirava come una calamita nei pomeriggi autunnali. Rimanevo a guardare la sua corteccia screpolata, e più la guardavo, più mi sembra­va che mi parlasse, che mi comunicasse idee antiche come la terra. Era come se la Madre delle madri estraesse la sua voce da quelle crepe che si perdevano nell’intimità del tronco e giù, dentro le radici, e giù ancora, nel caldo grembo del pianeta. Tenevo sempre una ghianda nelle tasche del grembiule di scuola, perché mi sembrava che contenesse tanta saggezza, e pertanto mi portasse fortuna nei compiti in classe.

    Pietre, ghiande e foglie mi fornirono le basi della mate­matica, il grido del vento tra i rami mi parlò dell’incantevole forza maschile, i disegni degli uccelli nel tramonto mi rac­contarono perché ogni morte del sole è una festa che prelude alla rinascita, e come in ogni morte-rinascita ci vuole un rito che la celebri: gli uccelli furono i miei primi maestri di riti iniziatici.

    Più tardi, quando conobbi l’amore erotico, mi sembrò che esso non fosse altro che una bellissima traduzione di quel­l’aura d’amore che mi circondava nel contatto con la natura. Solo da pochi anni ho scoperto che la terra ha un’anima, la cui natura è il fuoco, ed il calore che ne deriva è lo stesso calore dell’erotismo. Il battito del cuore della terra è collega­to al battito del nostro cuore.

    I miei unici giocattoli erano i cuccioli di una fedelissima gatta che rimase con me fino ai vent’anni. Dai gatti imparai il fascino della notte, il coraggio dell’agguato, la dignità nella sconfitta e nel dolore e nella morte, la tenerezza delle cocco­le, il gioco istintuale della seduzione. Diverso tempo dopo, quando dal linguaggio dei simboli mi fu rivelato che il gatto è l’animale più rappresentativo del femminile, compresi per­ché i poveri gatti neri venissero bruciati come le streghe e perché uomini e donne spaventati dal sesso e dalla maternità detestassero i gatti.

    Ora consiglio il gatto come terapia. Tenere e allevare un gattino per una persona che lo detesta, significa iniziare l’o­pera di guarigione delle ferite del femminile. Il gatto riduce le tensioni emotive, rilassa il battito cardiaco, ossigena il respi­ro e si abbandona alle carezze in una voluttuosa complicità. Il suo suono è una M, la sacra lettera madre, il suo sguardo impenetrabile affonda le radici nella notte come tutto il mondo femminile. Il gatto è chiaroveggente e sensibile, come gli altri animali, ma cerca tenerezza ed offre tenerezza, e in quanto animale domestico è stato creato per aiutare l’umanità nel suo cammino evolutivo. Dormire con un cucciolo di gatto vicino, rende dolce il sonno e predispone alla gioia.

    Avevo dodici anni quando sentii parlare dei movimenti femministi. Quelle lotte segnarono profondamente gli anni della mia adolescenza, e non in positivo. Le rivendicazioni, la rabbia, il grido alla libertà sessuale scuotevano in modo abbastanza drammatico il pulsante e sensibile anelito di vita femminile che stava crescendo in me. La spiritualità della vita mi sembrò terribilmente offesa, quel seme emergente d’amore per il mistero che racchiudevo nel ventre e nel seno e nell’armonia del corpo che s’andava formando, nella bella attrazione per i coetanei maschi, nel timido riserbo verso le verità nascoste nel cuore e per le infinite preziose cose che una donna porta in sé, tutto mi sembrò violato. A questo s’ag­giungeva la lotta politica, l’emergere dei gruppi armati, la confusione e la violenza nelle grandi università, la paura di esprimere la propria personale opinione. Tutto ciò mi portò ad un interiore isolamento e ad un difficile confronto proprio negli anni in cui la condivisione ed il confronto con gli altri sono momenti fondamentali per la serenità e la maturazione emotiva.

    Oggi riconosco l’importanza sociale che hanno avuto quelle rivolte, e da tempo mi sono riconciliata con la soffe­renza della mia adolescenza e con gli estremismi del femmi­nismo. Quel movimento che negli anni settanta sembrò unire l’urlo di tante donne del mondo, soffocato nei secoli, non poteva, per essere udito, utilizzare i codici della gentilezza e della persuasione. Così doveva essere, e molte urla dovranno ancora pervenire da quelle zone della terra ancora oscurate dalle leggi del patriarcato.

    Io stessa sono nata quando ancora esisteva l’usanza di considerare impura la donna che aveva appena partorito e per questa ragione non le era permesso di battezzare il pro­prio bambino se non dopo aver ricevuto la benedizione-puri­ficazione del sacerdote. Prima di ricevere questa benedizio­ne la nuova madre non poteva entrare in chiesa e le veniva inoltre consigliato di non farsi vedere fuori casa. Così anche alla mia giovane mamma non fu concesso di tenermi tra le braccia durante il mio battesimo, perché solo il mio padrino e mio padre poterono portarmi al fonte battesimale, mentre lei attendeva in fondo alla chiesa che il sacerdote, una volta concluso il rito, andasse a purificarla. Lei, che era nella sacralità del tempo del parto, avrebbe invece dovuto riceve­re l’inchino e benedire a sua volta coloro che non avevano sperimentato questa via misterica.

    In questo residuo di obbedienza, sicuramente molto meno grave della morte sul rogo, c’è l’indice di quanto sia duro ad andarsene, più nelle nostre chiese che nella nostra società, il culto maschile. Eppure, nel lento cammino verso la Madre, anche il clero sa che per entrare in contatto con l’anima e con lo spirito non può mancare il femminile. Qualunque sacerdo­te veste con le gonne, solleva il Sacro Calice, il simbolo del- l’utero-grembo, chiama la Chiesa Madre, e intimamente è più devoto a Maria che alla più lontana Trinità. Il simbolo antico non può essere tradito neanche dalla più rigida Inquisizione, dal più oscuro terrore del sangue femminile.

    Ma il femminile non è il femminismo. Il femminile è ciò da cui tutto deriva, eppure non se ne vanta. Il femminile ama il maschile poiché le è complementare. La donna che è donna desidera l’uomo, ama, gode, partorisce, soffre, cura, difende, sorride, condivide, crea, dona. Non separa, non allontana, non dice mai al maschile: io sono meglio di te, o sono più di te, o sto bene anche senza di te. La donna unisce, crede, persevera, aspetta. La donna ha pazienza e sa soppor­tare perché grande è il suo amore.

    L’attività di psicoterapia fu per me quanto dice il termine stesso. Terapia significa: io curo, io soffro. In questo cura- re-soffrire la vita è intensa e vera e mi fa vivere ogni giorno dentro il quieto fascino dei suoi molteplici volti che rifletto­no un’unica Luce.

    In un mondo in cui prevalgono la competizione, la difesa evitante, l’ostentazione dell’immagine, la paura dell’altro, e in cui il sentimento dominante, e a malapena represso, è l’ag­gressività, stare a intimo contatto con le persone diventa un’oasi di pace, di partecipazione mistica [1] a ciò che giace riposto nell’angolo più nascosto dell’anima. Tutto diventa bello nello spazio sacro della seduta psicoterapeutica, e tutto si fa silenzio nell’unirsi dei cuori. La sofferenza risale gra­dualmente dalla notte dell’inconscio verso i sentieri della coscienza, e con movimento a onde e spirali si trasforma in gioia, e insegna che gioia e dolore si nutrono alla medesima fonte. Spesso mi accorgo che sul filo del racconto dell’altrui storia, scivolo al di là del tempo, e quasi non respiro, sospe­sa tra il mondo dell’altro ed il mio, tra ciò che è fuori e ciò che è dentro. La cosa più straordinaria è che in questo spon­taneo unirsi dei cuori, anziché perdermi riconosco sempre più me stessa, in questa temporanea fusione la mia indivi­dualità ne viene rafforzata.

    Amo lavorare sia con le singole persone, che con i grup­pi. Accanto ai colloqui utilizzo tecniche immaginative ed espressive. Nei gruppi si pratica il rilassamento e la visualiz­zazione, varie forme di linguaggio corporeo, tra cui lo yoga, la libera espressione e la danza sacra e meditativa. Negli ulti­mi anni il lavoro terapeutico attraverso la danza s’è fatto sempre più intenso, sia per le numerose richieste che per la mia devozione al linguaggio della danza.

    Le danze meditative sono diventate il collegamento più diretto alla trasformazione interiore e alla crescita spirituale. Particolarmente intensi sono i rituali che svolgiamo all’aper­to nelle notti di luna piena, negli equinozi e nei solstizi ed in altre particolari ricorrenze dell’anno, dove i cicli della natu­ra rivestono un particolare significato simbolico.

    Danzare in cerchio attorno al fuoco, sui prati, sulle colli­ne, o in riva al mare, mi permette di vivere e condividere con gli altri un intenso momento d’amore trascendente e di gran­de bellezza. Unire il momento terapeutico alla celebrazione della natura, cioè mettere insieme i due grandi doni che la vita ha voluto elargirmi, è per me fonte di grande gioia e gra­titudine per quello che ogni volta ricevo sia dal Cielo che dalle persone.

    È stato attraverso questi rituali che ho scoperto la Luce femminile.

    Quando ci si incontra insieme tra donne con il fine comu­ne di condividere un cammino di conoscenza, con l’unico scopo di riappropriarsi della corrente sacra e istintuale che permea l’essere, accade una strana cosa: la percezione del fuoco interiore. Condividere tra donne la via sapienziale femminile porta allo sprigionarsi di un elemento del tutto maschile, il fuoco. Quando la donna è posta nella condizione di far cessare in modo spontaneo quelle qualità negative che spesso le vengono attribuite, quali l’invidia, la ripicca, la malizia, quando la donna vive se stessa al di fuori del giudi­zio che altri le hanno costruito e che lei ha finito con il fare proprio fino a crederci veramente, quando la donna esprime se stessa, libera, con altre donne, emerge una forza straordi­nariamente calda, avvolgente, lucente, un’energia capace di sconvolgere ordini, leggi, istituzioni, sistemi, di andare oltre qualsiasi limite, di scardinare le porte d’acciaio di secoli di repressione, di far vivere la fata e la strega nello stesso momento. E tutto questo può accadere senza grida, senza col­lera, può avvenire con gentilezza e amore, con libertà e rispetto, poiché è attraverso l’abbandono a se stessa che la donna può sentire quanto è grande il

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