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Alieni
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E-book215 pagine2 ore

Alieni

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Info su questo ebook

Albert ha nove anni e la passione per gli extraterrestri. Ha anche fatto una bellissima ricerca sui pianeti e gli avvistamenti alieni sulla Terra. 
Anche per questo Greg e altri compagni lo prendono inesorabilmente in giro. Solo Aoi e la sorellina Ester gli credono. Finché un giorno succede una cosa straordinaria: con la complicità di un nuovo compagno di scuola Albert viene rapito da una navicella spaziale e portato sul Pianeta X. Qui vivrà avventure emozionanti e anche spaventose, finché gli verrà concesso di tornare sulla Terra, ma come spia degli Alieni… Il divertente e avvincente nuovo romanzo di Stefania Gatti - dopo "Due detective e mezzo" e "Frottole e segreti" - ci porta nello spazio e ci parla anche di noi e del nostro pianeta. Nel libro brevi schede di approfondimento sugli argomenti trattati.
LinguaItaliano
Data di uscita10 lug 2020
ISBN9788899136604
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    Anteprima del libro

    Alieni - Stefania Gatti

    Ringraziamenti

    1. Una giornata iniziata male

    Greg e i suoi amici Mark e George tornavano a casa, chiacchierando, calciando il pallone lungo il marciapiede innevato e passandoselo a vicenda.

    «Ehi, guardate là!» Fece a un tratto Greg, indicando delle macchie di luce che si inseguivano su un muro bianco, coperto solo in parte da una siepe.

    «Be’? – Disse George – Che c’è di così strabiliante?»

    «Lì abita Albert. Albert Ellis. – Disse Greg ridacchiando. – Scommetto qualsiasi cosa che è lui che sta giocando con la luce, gioca a cercare gli alieni!»

    Si scambiarono occhiate rapide e senza dirsi niente si acquattarono dietro la siepe, spiando tra le fessure del cancello.

    «Non vedo niente». Disse Mark.

    «Sshhh, ascolta».

    Una voce, dall’altra parte della siepe, catturò la loro attenzione. Ripeteva delle frasi con tono solenne, a voce bassa, in un lento crescendo e, mentre la luce schizzava rapida sulla parete e i puntini luminosi si inseguivano, Greg, George e Mark sentirono distintamente queste parole:

    «Sono Albert Ellis e vengo in pace. Mi sentite? Vengo in pace».

    Si presero a gomitate, trattenendo le risate.

    «Lo sentite? Viene in pace!» Sbottò Greg.

    «Ehi! Guardate!» Esclamò George sghignazzando sommessamente.

    Tra le fessure si intravedeva ora la sagoma di Albert, interamente ricoperto da una maschera di cartone bianco con una scatola in testa, due buchi al posto degli occhi. In una mano teneva una spada laser, la spada di Star Wars, nell’altra uno specchio con cui proiettava la luce sul muro.

    «Sta mandando dei segnali… agli extraterrestri!» Sbottò Mark.

    «State a guardare». Sussurrò Greg frugando nello zaino, ed estraendo da un sacchetto alcune albicocche.

    «Hai intenzione di fare merenda?»

    Greg si coprì la bocca con la mano ed emise un verso, un fischio che terminava in un rantolìo.

    Si creò silenzio tutt’intorno. La voce, dall’altra parte della siepe si azzittì.

    «Messaggio ri ce vu to – Gracchiò Greg; con la voce distorta dentro al palmo della mano – Ri ce vu to. Spazio chiama Terra, spazio chiama Terra, mi sentite?»

    «Chi è?» Gridò Albert Ellis.

    «Ve nia mo dal pia ne ta Ma rte, spazio chiama Terra». A quel punto Greg lanciò le tre albicocche, una dopo l’altra contro Albert. Una lo colpì in pieno viso, andò a spalmarsi sulla scatola che cadde a terra.

    «PIANETA MARTE ATTACCA PIANETA TERRA».

    Sibilò Greg, cambiando voce, ancora una volta. I tre presero a ridere e così ridendo schizzarono via.

    Albert Ellis andava in quinta elementare.

    Era da quando frequentava la prima che Albert non vedeva l’ora di arrivare in quinta per poter studiare l’universo, le stelle, i pianeti. Mrs Harris, la sua insegnante, gli aveva promesso che il cielo non avrebbe avuto più segreti per loro della quinta C.

    Questo era uno dei motivi per cui Albert andava volentieri a scuola; ce ne erano altri, invece, che rendevano la sua vita, in particolare quella scolastica, molto difficile.

    Che probabilità c’è che un bambino grassottello, come era Albert, e accanito odiatore di ogni tipo di sport avesse come genitori dei tipi alti, snelli, atletici e sportivi?

    La probabilità è dello 0,0002 per cento.

    Ecco, Albert aveva centrato in pieno quello 0,0002.

    C’è qualcosa di peggio che essere sovrappeso e goffi, odiatori di ogni disciplina sportiva e avere dei genitori che praticano sport tutto il giorno e vorrebbero che tu facessi altrettanto?

    Sì, il peggio c’è: avere un papà che è un ex campione di basket e una mamma che insegna educazione fisica, ad esempio.

    E il peggio del peggio, quale potrebbe essere?

    Avere un papà che allestisce un campetto di basket nel giardino di casa per poter giocare con te in ogni momento libero e una mamma che non solo insegna ginnastica, ma la insegna nella tua scuola.

    Ecco, Albert Ellis aveva centrato in pieno tutte queste probabilità.

    Sfortunatamente il lavoro di sua mamma era quello di fare correre, saltare, stramazzare al suolo bambini grondanti di sudore.

    Fortunatamente lavorava nelle altre classi e non nella quinta C. Nella classe di Albert c’era un’altra insegnante di ginnastica che li faceva comunque correre, saltare e stramazzare grondanti di sudore, ma almeno non era sua madre.

    Il fenomeno più curioso era che i suoi compagni di classe adoravano tutto ciò, correre e stramazzare madidi di sudore, e aspettavano con trepidazione quel momento, accogliendo quindi sempre festosamente l’insegnante di ginnastica.

    Non appena entrava in classe si innalzava un grido comune, euforico, liberatorio. Tutti scattavano in piedi, pronti per correre in palestra o in giardino a fare quei trenta giri di campo o a rincorrere una palla.

    Per Albert tutto questo era inspiegabile.

    Il sorriso gli moriva sulle labbra quando appariva Mrs Jules, l’insegnante di ginnastica.

    Quella mattina, la mattina in cui ebbe inizio questa storia, un brusio generale destò l’attenzione e mosse le speranze in Albert.

    «Non c’è ginnastica, manca la Jules». Così si mormorava, con un certo sgomento, tra i banchi.

    Albert aveva sempre pensato che fare tutta quella ginnastica non facesse bene e quindi era ovvio che la Jules si dovesse ammalare ogni tanto; era semplicemente stremata.

    Si stava preparando a godersi un’ora di meritato riposo. Qualsiasi materia sarebbe andata bene al posto di ginnastica, scienze più di tutte, ma era disposto anche a ripassare grammatica.

    «Buongiorno ragazzi». Fece una voce a lui conosciuta, fin troppo conosciuta.

    «Sono Mrs Finnegard, la vostra supplente di oggi, siete pronti per andare in palestra?»

    Era sua madre. Sulla soglia. In tuta, come sempre. Con un gran sorriso.

    «Sììì» Gridarono tutti saltando in piedi.

    Albert rimase seduto, sgranando gli occhi.

    Seguì mestamente i compagni nel giardino, dove sua madre si rivelò essere la più spietata insegnante di ginnastica di tutte le insegnanti di ginnastica mai viste nelle scuole.

    Li fece correre fino a che le gambe non cedevano; almeno le sue. E non appena qualcuno rallentava o si fermava, lei lo incalzava battendo le mani:

    «Forza, forza, hop, hop». Così, senza pietà.

    Albert si fermò per prendere fiato e alzare gli occhi al cielo, catturato dal rombo lontano di un aereo.

    «Su, su –. Fece la mamma, severa – non ci distraiamo, correre, correre».

    Le lanciò un’occhiataccia, ma lei non sembrò coglierla.

    «Lui guarda sempre in su, nel cielo». Intervenne Margaret, anche lei fermandosi per prendere fiato.

    «Crede che ci siano gli extraterrestri, per questo sta sempre col naso per aria». Sussurrò alla mamma di Albert che fece con interesse:

    «Ah davvero?»

    Margaret annuì:

    «Lui ci parla». Sussurrò ancora più piano. Mrs Finnegard le sorrise, si vedeva che quella bambina le andava a genio.

    Ma la cosa non finì lì. Greg, che si trovava nei paraggi, sentì tutto e intervenne esclamando:

    «Ieri pomeriggio chiacchierava con gli alieni! Lo abbiamo visto, era da morire dal ridere, vestito con una tuta da astronauta di cartone mandava dei segnali nello spazio!»

    Mark, George e gli altri si lanciarono occhiate, sghignazzando; Albert arrossì e abbassò lo sguardo.

    «Be’, non c’è niente di male nel parlare con gli extraterrestri!» Fece la signora Finnegard, rivolgendo un sorriso ad Albert.

    «Ma non esistono, lo sanno tutti che non esistono, è come parlare da soli!» Esclamò George.

    «Basta ora, ricominciamo con gli esercizi!»

    Quando Mrs Finnergard si allontanò battendo le mani, Greg si avvicinò ancora di più ad Albert:

    «Ti sono piaciute le albicocche ieri? Gli extraterrestri mi hanno contattato e mi hanno detto che te ne arriverà un sacco, un sacco pieno di albicocche mature addosso!»

    «Lasciami in pace». Disse Albert, allontanandosi.

    «In realtà gli alieni esistono». Fece Frank, dietro di lui.

    «Lui è un alieno, Al l’alieno; mi senti Albert? Dicci, da che pianeta vieni?»

    «Dal pianeta delle albicocche marce, e delle pance molli» ridacchiò Greg. Gli si avvicinò tastandogli la felpa:

    «Dov’è l’armatura per combattere nello spazio, la tieni qui sotto?»

    «LASCIAMI IN PACE o ti spacco la faccia!»

    Il grido di Albert fece voltare tutti. Non solo per l’intensità, ma quelle parole uscite da Albert non erano mai state sentite. Albert non avrebbe ‘spaccato la faccia’ ad una mosca. Era timido, chiuso, non alzava mai la voce e non aveva mai avuto un atteggiamento aggressivo.

    Mrs Finnegard, si voltò esterrefatta, accigliandosi:

    «Albert Ellis! – Sbottò. Proprio così, come se lui non fosse suo figlio, ma un Albert Ellis qualunque. – Che modi di rispondere sono questi? Spaccare la faccia? è così che ci si rivolge a un compagno? Vai a sederti, è bene che ti calmi un po’ prima di continuare».

    Albert si andò a sedere, guardando a terra e rimuginando furiosamente. Non che gli seccasse interrompere quel frenetico e inutile correre e saltare, ma sedersi mentre gli altri facevano ginnastica voleva dire stare in punizione, e Albert non aveva fatto altro che rispondere all’attacco di Greg; era lui che doveva sedersi.

    Greg e gli altri continuarono a fare gli esercizi, saltando e correndo, ridendo e facendo boccacce quando gli passavano davanti. Albert mantenne lo sguardo basso tutto il tempo per non incrociare i loro.

    Non era finita lì. Per farli divertire un po’, così disse Mrs Finnegan, a fine lezione gli fece fare dei tiri al canestro.

    Quando fu il momento di Albert, la mamma gli porse la palla con un sorriso, dicendo:

    «Coraggio, Albert, tocca a te». Che Albert lesse come coraggio, facci vedere di cosa sei capace, tu che giochi a basket ogni santo momento.

    C’è da dire che quando le giornate cominciano storte non si raddrizzano tanto facilmente, ma anche che Albert non era bravo in nessuna attività che prevedesse l’uso di un pallone.

    La palla piroettò debolmente su di lui e andò a rimbalzare per terra a un metro dalle sue scarpe.

    «E quello… era un tiro?» Disse qualcuno.

    «Tiro da pappamolle». Ridacchiò qualcun altro.

    «Accidenti, ma tuo padre non è un campione di basket?» Fece Margaret.

    Mrs Finnegard questa volta non le sorrise.

    «Era. Era un campione». Rispose Albert, rifugiando le mani in tasca e lo sguardo altrove.

    2. Chiacchiere

    Si sentì bussare alla porta.

    «Lasciami in pace». Disse Albert.

    «Sono io». Disse una vocina.

    «Lasciami in pace». Ribadì.

    La porta si aprì e comparve Ester, la sorella di Albert, con un panino pieno zeppo di cioccolata.

    «Se mi fai stare qui ti do metà del mio panino».

    «E non dici niente a papà e mamma?»

    Ester accostò l’indice alla punta del naso.

    Si sedette per terra, accanto a lui. Mangiarono in silenzio ognuno la propria metà; Albert smozzicando rapidamente il pane, per paura di essere scoperto.

    «Come fai a mangiare tanto e a rimanere sempre così magra?» Bofonchiò masticando.

    «è la costuzione».

    «La cosa?»

    «Costuzione».

    «Costituzione, semmai».

    «Quella –. Annuì Ester affondando i denti nel pane – e poi smaltisco perché mastico lentamente, e poi perché sono nervosa e il mio stomaco tritura subito il cibo in pezzetti minuscoli».

    «Ba’ –. Disse Albert, divorando le ultime briciole. – Io più sono nervoso, più ho fame.

    «Ha detto mamma che l’hai combinata grossa oggi a scuola, stavi per fare a botte».

    «Figurati, a botte».

    «Infatti, gliel’ho detto: Albert non sarebbe capace, non è capace di dare un pugno figurati di fare a botte».

    «Un pugno è fare a botte e prima o poi ne darò uno, uno come si deve!»

    «Davvero lo farai? È perché ti prendono in giro?»

    Albert fece no con testa.

    «Una volta li ho sentiti che ti dicevano Al-Burger, canticchiavano una canzoncina, non ho capito cosa voleva dire, ma comunque mi sono messa a piangere.»

    «E per cosa piangevi se non l’hai capita?»

    «Così, non mi piaceva che te la cantassero. E poi tu avevi una faccia triste».

    Dopo un breve silenzio Ester riprese:

    «Pensi che gli alieni saprebbero come mettere a posto i bulli della tua classe?»

    «Be’, non so…»

    «Secondo me sì; quando ci parli, glielo chiedi mai? Quella potrebbe essere una soluzione, così non ti danno più fastidio».

    «Non è che uno riesce a comunicare con un extraterrestre, dico un extraterrestre, e gli fa scusa amico, ho un problema a scuola, l’amichetto mi prende in giro. Non funziona così Ester, non puoi disturbare lo spazio per cose così, capito cosa intendo, le comunicazioni…»

    «Sì, sono una cosa seria».

    «Poi sarà l’alieno in caso a vedere, a decidere…»

    «Helen mi ha detto che questa cosa che dici tu, che gli alieni esistono e tutto il resto è una sciocchezza. Dice che se fosse così qualcuno li avrebbe già incontrati».

    «E tu che pensi?»

    «Non so, ci devo riflettere bene».

    Albert si alzò, si avvicinò alla finestra. Nel cielo cominciava a luccicare qualche stella:

    «Guarda Ester, guarda l’universo. è mai possibile che ci siamo solo noi?»

    «Mmm, forse ho capito. Hai presente quella cosa che mi hai spiegato del bum ban?»

    «Il Big Bang».

    «Quello. Potrebbe essere che prima gli extraterrestri facessero parte del miscuglio».

    «Quale miscuglio?»

    «Il pappone, quello che poi è esploso formando il nostro universo. Loro sono schizzati via nel botto, formando tanti, tantissimi microscopici pezzettini».

    Ester cominciò a saltellare attorno al fratello, mostrando con le dita la grandezza dei pezzettini, un centimetro circa.

    «Questi pezzettini sono gli alieni. Cioè, quel che rimane degli extraterrestri che prima del bum ban se ne stavano in pace per conto loro; poi si è formato l’universo e loro sono

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