Nero Pece
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Info su questo ebook
Al vertice la figura austera di Pietro Mazzanti, il direttore, che conduce una vita di sacrifici lontana dalla famiglia, e poco più in basso quella della professoressa Anita Rogi, con un passato difficile alle spalle che l’ha portata a insegnare proprio lì.
Cosa hanno fatto questi ragazzi? Hanno un futuro o sono destinati all’oscurità?
Sofia Lamberti è nata a Prato nel 1993. Dopo gli studi al Liceo Classico del Convitto “Cicognini”, ha conseguito la laurea in Arti e Scienze dello Spettacolo presso L’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”.
Vincitrice del concorso “Di testa mia” e della borsa di studio “Intercultura”, è autrice di testi musicali, tra cui i due brani Morena e L’Italia in campo.
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Anteprima del libro
Nero Pece - Sofia Lamberti
Nuove Voci
Prefazione di Barbara Alberti
Il prof. Robin Ian Dunbar, antropologo inglese, si è scomodato a fare una ricerca su quanti amici possa davvero contare un essere umano. Il numero è risultato molto molto limitato. Ma il professore ha dimenticato i libri, limitati solo dalla durata della vita umana.
È lui l’unico amante, il libro. L’unico confidente che non tradisce, né abbandona. Mi disse un amico, lettore instancabile: Avrò tutte le vite che riuscirò a leggere. Sarò tutti i personaggi che vorrò essere.
Il libro offre due beni contrastanti, che in esso si fondono: ci trovi te stesso e insieme una tregua dall’identità. Meglio di tutti l’ha detto Emily Dickinson nei suoi versi più famosi
Non esiste un vascello come un libro
per portarci in terre lontane
né corsieri come una pagina
di poesia che s’impenna.
Questa traversata la può fare anche un povero,
tanto è frugale il carro dell’anima
(Trad. Ginevra Bompiani).
A volte, in preda a sentimenti non condivisi ti chiedi se sei pazzo, trovi futili e colpevoli le tue visioni che non assurgono alla dignità di fatto, e non osi confessarle a nessuno, tanto ti sembrano assurde.
Ma un giorno puoi ritrovarle in un romanzo. Qualcun altro si è confessato per te, magari in un tempo lontano. Solo, a tu per tu con la pagina, hai il diritto di essere totale. Il libro è il più soave grimaldello per entrare nella realtà. È la traduzione di un sogno.
Ai miei tempi, da adolescenti eravamo costretti a leggere di nascosto, per la maggior parte i libri di casa erano severamente vietati ai ragazzi. Shakespeare per primo, perfino Fogazzaro era sospetto, Ovidio poi da punizione corporale. Erano permessi solo Collodi, Lo Struwwelpeter, il London canino e le vite dei santi.
Una vigilia di Natale mio cugino fu beccato in soffitta, rintanato a leggere in segreto il più proibito fra i proibiti, L’amante di lady Chatterley. Con ignominia fu escluso dai regali e dal cenone. Lo incontrai in corridoio per nulla mortificato, anzi tutto spavaldo, e un po’ più grosso del solito. Aprì la giacca, dentro aveva nascosto i 4 volumi di Guerra e pace, e mi disse: Che me ne frega, a me del cenone. Io, quest’anno, faccio il Natale dai Rostov
.
Sono amici pazienti, i libri, ci aspettano in piedi, di schiena negli scaffali tutta la vita, sono capaci di aspettare all’infinito che tu li prenda in mano. Ognuno di noi ama i suoi scrittori come parenti, ma anche alcuni traduttori, o autori di prefazioni che ci iniziano al mistero di un’altra lingua, di un altro mondo.
Certe voci ci definiscono quanto quelle con cui parliamo ogni giorno, se non di più. E non ci bastano mai. Quando se ne aggiungono altre è un dono inatteso da non lasciarsi sfuggire.
Questo è l’animo col quale Albatros ci offre la sua collana Nuove voci, una selezione di nuovi autori italiani, punto di riferimento per il lettore navigante, un braccio legato all’albero maestro per via delle sirene, l’altro sopra gli occhi a godersi la vastità dell’orizzonte. L’editore, che è l’artefice del viaggio, vi propone la collana di scrittori emergenti più premiata dell’editoria italiana. E se non credete ai premi potete credere ai lettori, grazie ai quali la collana è fra le più vendute. Nel mare delle parole scritte per esser lette, ci incontreremo di nuovo con altri ricordi, altre rotte. Altre voci, altre stanze.
PROLOGO
Chissà ora dove sei
Ripenso a quella brutta notte
E mi chiedo se mai
Io ti rivedrò
Della mia vita che sarà
Sbattuta in cella alla mia età
Chissà quando uscirò
La mia condanna è cominciata
Quando ti incontrai
Là fuori solo porte in faccia
Mi ritroverò
Mi hai incolpato dei tuoi guai
All’ombra tua mi piegherò
Senza nome proverai
La vergogna di tutti noi
Forte o pazzo ne uscirai
Ma ora sei qui
Questa è la tua vita
Hai perso la partita
Non è ancora finita
Ma sconta la tua pena qua
Li sento ogni dì
Dalla finestra con le grate
Ragazzi come me
Che vivono felici
Ma il mio destino è questo qua
Chissà se un giorno mai potrò
Tornare alla normalità
E se ti abbatti crollerai
Nessuna luce brillerà
Qua dentro il buio svelerà
L’ eternità
Questa battaglia vincerò
L’adolescenza più vedrò
Ci prova questa vita
Ma non cederò
Dietro le sbarre ti ci abituerai
Ne uscirai prima o poi
Questa è la tua vita
Hai perso la partita
Non è ancora finita
Ma sconta la tua pena qua
Questa è la tua vita
Il tempo non si fermerà
Un altro sole sorgerà
Ma sconta la tua pena qua
CAPITOLO PRIMO - SERENA
Correva l’anno 1958, era una soleggiata giornata di metà maggio apparentemente tranquilla. La luce del sole scaldava i verdi prati del paese, i bambini giocavano in strada, gli innamorati facevano lunghe passeggiate seguendo il torrente tenendo gustosi gelati in una mano e quella del proprio amato nell’altra.
Una ragazza stava tornando a casa insieme a suo padre, dai finestrini della macchina fissava lo splendore della primavera, sorrideva a chi le ricambiava il sorriso, pensava ai compiti che avrebbe dovuto svolgere per il giorno seguente. D’un tratto la sua spensieratezza venne travolta da oscuri pensieri.
«Che ti succede oggi, piccola? Ti vedo pensierosa» le chiese suo padre mentre percorrevano la via di casa.
«Niente papà, sto solo pensando a domani. Voglio dire…» si schiarì la voce per non destare sospetti «…ho un compito importante, studierò tutta la sera».
«Andrai benissimo, come sempre.» Con la mano destra le scompigliò i capelli. «Sei la figlia migliore del mondo, non ci deluderai, sono orgoglioso di te.»
«Ti voglio bene» rispose cercando di sorridere, ma quel sorriso non aveva l’espressione di gioia, bensì celava una verità nascosta.
Serena Voglia nacque a Pietraia il 14 marzo 1941, durante la guerra, da una famiglia benestante. Aveva da qualche mese compiuto diciassette anni e frequentava il penultimo anno del liceo classico presso il collegio delle suore di San Bernardino. Era il tipo di ragazza che non combinava mai niente e, soprattutto, che si confidava sempre con i genitori. Non era una collegiale e, benché la sua scuola fosse alquanto distante dal comune dove abitava, ogni giorno suo padre l’accompagnava guidando per almeno un’ora sia all’andata che al ritorno. A Ettore non pesava fare tutti i giorni quella strada, Serena era la sua unica figlia e per lei aveva sempre cercato di dare il meglio affinché, grazie allo studio e alla disciplina, potesse avere fortuna e una carriera nella vita.
Rientrarono a casa e Serena si fiondò nella sua stanza chiudendo la porta. Enrica, sua madre, notò lo strano comportamento della figlia e guardò il marito in cerca di risposte.
«Domani ha un compito, mi ha confessato di essere preoccupata» la rassicurò Ettore avvicinandosi e dandole un bacio sulla fronte. «La conosci, sai che punta sempre al massimo. Piuttosto, cosa c’è per cena?»
«Arrosto.»
«Ottimo!» rispose l’uomo snodandosi la cravatta e avviandosi in camera. Enrica alzò gli occhi e fissò preoccupata la porta chiusa della stanza di sua figlia. Conosceva troppo bene la sua bambina e la storia del compito in classe non se l’era affatto bevuta.
La cena si consumò in un inusuale silenzio. L’unica conversazione che si svolse ruotava attorno alle convenzionali domande e risposte che riguardavano l’andamento della giornata. Enrica osservò l’atteggiamento di Serena, percepì nei suoi gesti e nelle sue parole qualcosa di strano. Capì che un semplice compito in classe non era la causa della sua apprensione. La ragazza cresceva a vista d’occhio e i dubbi e i timori che potevano assalire una diciassettenne non riguardavano soltanto la scuola e lo studio, ormai. La donna decise quindi che le avrebbe parlato l’indomani, come un’amica. Dopo cena Serena si rifugiò nuovamente nella sua stanza utilizzando la stessa scusa per giustificare il suo volontario isolamento dal resto della famiglia, chiuse la porta e non uscì fino al giorno dopo.
«Lasciala fare» disse Ettore alla moglie, scorgendo ancora sul suo viso quell’aria inquieta. «Lascia che studi e faccia il suo dovere. Se domani sarà ancora così le parleremo. Non ti allarmare.» Le baciò le labbra e si mise sul divano a guardare la televisione. Enrica lavò i piatti, mise in ordine la cucina e raggiunse il marito; il suo istinto di madre, quella notte, non le fece chiudere occhio.
Ore 6:30. La mattina seguente due carabinieri suonarono il campanello di casa Voglia e irruppero svegliando tutta la famiglia. La prima ad alzarsi di soprassalto fu Enrica che, non capendo cosa stesse succedendo, svegliò immediatamente il marito e insieme aprirono la porta. Non appena videro i due uomini in divisa, i genitori di Serena sbiancarono, iniziarono a fare domande sul perché si fossero presentati a casa loro e per quale motivo così presto.
«Siamo venuti per la signorina Serena Voglia» esordì uno dei due carabinieri.
«Serena?» chiese incredulo Ettore. «Non è possibile! Ci deve essere un errore.»
«Nessun errore, signore. La signorina Serena Voglia…» l’uomo cercò di non dare spiegazioni «…il nostro compito è quello di scortarla fino al centro di rieducazione, da cui verrà trasferita al tribunale minorile di Roma. Deciderà il giudice il destino di vostra figlia».
«Arrestata?» Enrica non poteva credere alle sue orecchie. «Ripeto. Non è possibile!» Ettore tentò di avere più spiegazioni. «Mi spiegate meglio cos’è questa storia? Avete sbagliato sicuramente persona! Non è certo mia figlia la Serena Voglia che state cercando! Fuori da casa mia!»
«Signore, non ostacoli il nostro lavoro, altrimenti saremo costretti ad arrestare anche lei. Non abbiamo il potere di dirle per cosa sua figlia è stata arrestata. Il nostro compito è solo quello di portarla al centro, dove, come ripeto, verrà trasferita. Il giudice deciderà le sue sorti.»
«Giammai! Non lascerò che mia figlia venga con…»
«Papà!» Nell’ingresso di casa comparve Serena già vestita e pronta per andarsene. Aveva ascoltato quanto appena detto dai genitori e dai carabinieri. «Lascia che facciano il loro lavoro.» Pose le mani in avanti in attesa che l’ammanettassero. Le facce sconvolte di Ettore ed Enrica non erano paragonabili a niente in quel momento; entrambi capirono a malincuore che la ragazza era completamente consapevole di ciò che stava accadendo, quasi che stesse aspettando che arrivassero a prenderla. Tra le tante domande che sorsero loro in mente, perché non ci ha detto niente? cosa le è successo? dove stanno portando mia figlia?, una prese il sopravvento: per quale motivo è così tranquilla?
Ettore ed Enrica con le lacrime agli occhi videro la loro figlia ammanettata salire su una macchina dei