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Sul filo del coraggio
Sul filo del coraggio
Sul filo del coraggio
E-book338 pagine4 ore

Sul filo del coraggio

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Info su questo ebook

Dov’è Lele? Come reagisce una città intera di fronte alla scomparsa improvvisa di un promettente produttore musicale di appena vent’anni, con tutta la vita davanti e interi mondi artistici da creare? Luigi, sua sorella e i loro amici sono troppo preoccupati a gestire gli scontri generazionali con le rispettive famiglie, in cui i genitori pensano più a rimanere eterni giovani invece di prendersi le proprie responsabilità, per affrontare la verità di fatti accaduti in un mondo che non gli appartiene. In una Roma che cristallizza le emozioni e fa fatica a stare al passo con i tempi, esisterà ancora qualcuno in grado di percorrere con coraggio il filo sottile della propria esistenza? Una storia che, come la realtà, si nutre di suggestioni non solo scritte ma anche visive e musicali, per restituire l’affresco multisensoriale di una generazione poco ascoltata.
LinguaItaliano
Data di uscita13 mar 2023
ISBN9791222080093
Sul filo del coraggio

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    Anteprima del libro

    Sul filo del coraggio - Anthony Caruana

    A.1

    Sono uno che parla poco io, anzi pochissimo. Almeno con gli altri, intendiamoci. Dentro la mia testa non faccio altro che parlare e parlare e parlare. Mi frullano nel cervello milioni di frasi che si sovrappongono e urlano e imprecano. Parole su parole inquiete, come elettroni impazziti. Sul mio volto neanche un segno di tutto ciò: solo un ghigno a mezza bocca, tra l’infastidito e l’indolente. L’espressione di chi non ha nessun interesse per il mondo intero e per gli altri. L’indifferente, l’apatico. Per molti sono un timido, uno di poche parole, un introverso. Detesto questo termine. È ricco di significati urticanti. Quando qualcuno, convinto che io non stia a sentire perché pensa che sia distratto, se ne esce fuori con un’espressione del tipo: "non ci fate caso a lui, sta sempre zitto, è un introverso", be’, mi smuove un nervoso bestiale. Quanto prenderei volentieri la faccia di questi tizi tra le mani per stringerla e farla scomparire così, puff, all’istante. Ma non reagisco mai, neanche agli insulti. Sono uno abituato a subire.

    Intro-verso: che cazzata! Ma non avete capito che ciò che più desidero al mondo è di allontanarmi e fuggire da me stesso? Io non ho nessuna voglia di andare verso il mio interno. Là c’è troppa confusione, troppe matasse da sbrogliare, troppi incubi da tenere a bada e paure da confessare. Ho fatto il liceo, ed è per questo che conosco il significato delle parole. Amo andare al fondo delle cose. Odio la superficie, adoro gli abissi, i luoghi oscuri e inesplorati. Sono un curioso, uno alla continua ricerca della conoscenza, della verità. Anche se per tutti sono solo un antipatico e spocchioso sapientone. Credo che visto da fuori io sembri veramente un coglione: un presuntuoso che non si abbassa a parlare con i comuni mortali. Ma io me ne frego, anzi, ne ricavo un eccitante piacere nell’apparire così insopportabile. Inaccessibile.

    Il mio sedere, che ha preso ormai la forma del divano, quello su cui sono sdraiato per la maggior parte delle ore, in questo momento se ne sta sereno e al caldo a sorreggermi durante una delle mie interminabili partite alla Play. Il divano è il mio habitat, la mia comfort zone, la mia seconda pelle. Cerco un po’ di tranquillità e di ammazzare l’ennesimo bastardo di Fortnite mentre qui, intorno a me, questi – e per questi intendo la mia famiglia – mettono in scena l’ennesimo teatrino di normalità. Li odio, ma non sempre. In questo momento, per esempio, sì. Non mi lasciano giocare in pace e, nonostante le mie elevatissime capacità di autoisolamento, ora proprio non riesco a ignorarli. Dovrò indossare i nuovi auricolari Apple, ma mia madre si incazza quando lo faccio. Si sente non ascoltata, e le donne – ebbene sì, anche le mamme sono donne – odiano sentirsi trascurate. Lezione numero uno: fingi sempre di prestare attenzione alle donne anche, e soprattutto, quando non sei assolutamente interessato a quello che stanno dicendo.

    A.2

    OSTIA

    Proseguono le ricerche di Emanuele Vannetti detto Lele

    Questa notte, presso la pineta di Ostia, è stato ritrovato il giubbotto di pelle del ragazzo romano di origini umbre, scomparso poco più di una settimana fa.

    A darne la notizia è il reparto forestale dell’Arma dei Carabinieri incaricato delle indagini

    Il giubbotto, sporco e strappato in più punti, era nascosto in un fosso in mezzo al fango, sepolto da terra e foglie, afferma il maresciallo Meggiorini. La squadra cinofila ha battuto l’intera zona di ricerca per tutta la notte prosegue, solo dopo una seconda perlustrazione, però, abbiamo rinvenuto il reperto che aprirà, di fatto, nuove piste da seguire.

    Del giovane Lele, figlio unico di una famiglia benestante perugina, non si hanno notizie dal giorno della sua scomparsa, il 12 ottobre. La madre e il padre rifiutano di rilasciare qualsiasi tipo di dichiarazione. Il silenzio della famiglia Vannetti getta ulteriori ombre su una storia già di per sé alquanto oscura.

    Il maresciallo Meggiorini accenna, inoltre, alla presenza di un’anomalia nel luogo del ritrovamento del giubbotto di pelle. Ma non aggiunge altro.

    A quanto pare, sembra che, a pochi metri dal reperto rinvenuto, sia stato trovato un capello sintetico appartenente ad una parrucca color rosso acceso. I carabinieri non confermano e né smentiscono l’esistenza di questo elemento. Ma un testimone oculare che si trovava in prossimità della zona in questione, un uomo sulla sessantina con un cane al guinzaglio, è certo di aver visto il capello rosso. Sembra, pertanto, una reale traccia da seguire piuttosto che una semplice fantasia costruita ad hoc dai giornali a caccia di sensazionalismo.

    Le domande a questo punto si moltiplicano. Ce fine ha fatto il povero Lele?

    Perché si trovava ad Ostia?

    A chi appartiene il capello rosso?

    I prossimi giorni saranno fondamentali per le indagini.

    Antonio Pennacchia

    A.3

    A casa Manfredi tutto è come al solito. Al rumore assordante di un gioco d’azione alla televisione, si sovrappongono le voci concitate di due donne: una madre e sua figlia. Del tutto indifferente, un uomo sulla sessantina, dalla carnagione olivastra e con gli occhiali da vista esagonali, legge il giornale, aperto sulla pagina della cronaca locale. Il figlio, con le caviglie incrociate su un pouf davanti al divano, sbuffa con gli occhi sgranati fissi sullo schermo e un controller da consolle in mano. Ha un sorriso da faccia da schiaffi stampato in volto. Luigi, questo è il suo nome, esasperato dal tono stridulo di sua madre e di sua sorella, si infila gli auricolari wireless, gettando d’improvviso la sala da pranzo in un silenzio surreale. La madre, stanca dell’atteggiamento indolente del figlio, si alza dal tavolo, dove se ne stava intenta a ciarlare con sua figlia ripassandosi lo smalto fucsia sulle unghie e, con un gesto di stizza, stacca la presa del televisore dalla parete. Solo in quel momento suo marito Pietro alza lo sguardo dal giornale. Ma è solo un attimo, il tempo di umettarsi il dito di saliva per girare pagina. Luigi non si scompone, come sempre. Sembra essere distante anni luce da tutto ciò che lo circonda. È il suo carattere, è un introverso. Perciò, rimarcando la sua attitudine al menefreghismo, se ne va nella sua stanza, lasciando sua madre a berciare contro la porta chiusa del salotto. La sorella di Luigi, Sofia, comincia a ridere a crepapelle. Ha appena ricevuto un commento alla sua storia su Instagram e non riesce a smettere. Stefania, incuriosita dalla reazione della figlia, le si avvicina e le chiede di farle leggere il testo. Sofia, inizialmente, stringe il telefono a sé per nasconderlo alla vista della madre che, come sempre, è troppo curiosa. Poi, dopo una litania di daidaidai fammi vedere, allunga lo schermo a Stefania che finge orrore, mettendosi entrambe le mani davanti alla bocca. Ma riesce a trattenersi appena una frazione di secondo prima di esplodere in una risata rumorosa che le esce dalla gola come un petardo sparato a capodanno.

    Madre e figlia hanno un bel rapporto, spesso si rivolgono confidenze. Tale intimità esclude completamente il signor Manfredi. Pietro sembra fregarsene di questo isolamento che vive all’interno della sua stessa casa, della sua stessa famiglia. Ma in realtà non è così. Il sentirsi escluso lo fa stare male. Ed è di questo che parla con la sua amante Francesca, sdraiati sul letto dopo gli allenamenti di tennis e una seduta di sesso appagante nell’appartamento di lei.

    Insomma, stiamo parlando di una famiglia normale. Di quelle uguali a tante altre. E in questo focolare domestico si muovono i personaggi della nostra storia. Pietro, Stefania, Luigi e Sofia non sono nient’altro che una famiglia. I malumori, le emozioni, i litigi, le preoccupazioni, le cose non dette, le cose troppo dette, sono le stesse cose che accomunano le famiglie di ciascuno di noi.

    B.1

    Ma vaffanculo va’! Mia madre è proprio una rompi. A volte, sembra essere più stupida di mia sorella. Chiudo a chiave la porta, almeno non vengono qui a stressarmi ulteriormente. Accendo il pc e mi tolgo i pantaloni della tuta. Sto sudando e in camera mia faccio come mi pare. Mi piace starmene con pochi vestiti addosso: ho sempre caldo, anche d’inverno. ’Sto catorcio ci mette una vita prima di partire come si deve. Appena posso mi faccio un iMac , tanto i soldi non mi mancano. Mentre aspetto le icone comparire sullo schermo, salgo con i piedi sul letto e mi allungo per raggiungere la scatola di cartone blu a pois neri dell’ Ikea che tengo ben nascosta sull’ultimo ripiano dell’armadio, sepolta in mezzo a un mucchio di vestiti aggrovigliati che non indosso più da tempo. Eccola. Non è pesante. L’afferro con entrambe le mani e con un salto atterro sul parquet della mia stanza, scheggiato da anni e anni di giochi scalmanati. Dentro la scatola ho nascosto un borsello con la zip. Un beauty-case zebrato che nessuno si azzarderebbe mai ad aprire. Ottomila euro in contanti. Tutti pezzi da cinquanta e da venti. Danno meno nell’occhio. Ogni tanto mi sale l’ansia e, fino a che non prendo in mano la scatola, apro il borsello e mi metto a contare tutte le banconote una per una, non mi passa. Ci sono tutte. Meno male. Il pc ora è pronto. Seppellisco di nuovo la scatola al suo posto, facendo bene attenzione a chiudere le ante dell’armadio. Mi siedo sulla poltrona girevole davanti alla scrivania e inserisco le credenziali per accedere al gioco che quella nevrotica di mia madre ha interrotto. Eccomi online, pronto a riprendere la partita. Seppia2000 , il mio nickname, campeggia in alto a sinistra dello schermo, accanto alle mie vite ancora intatte. Ma la voglia che avevo di giocare, adesso, è completamente svanita. Mi smuovono il nervoso. Tutti. Sofia è la più cretina. Prima si fa le foto mezza nuda e poi si lamenta se le arrivano dei commenti su Instagram prendendola per una mignotta. Bah, fino a che non si troverà in mezzo a qualche casino, non la smetterà mica di fare la deficiente. E mamma che le dà corda! Chi proprio non sopporto, però, è mio padre. La sua passività reietta. La sua subdola aspirazione a farmi girare le palle con la sua faccia impassibile da ebete. Sempre a pensare a chissà che cosa. Apre il giornale e se ne sta lì in poltrona, fingendo di appartenere a questa famiglia, e non cambia mai pagina. Ma che si crede, che anche io sia un rincoglionito come il resto della ciurma? A me non la dà di certo a bere. Chissà che cosa combina. Intendiamoci, non me ne importa una mazza di quello che fa, ma diamine, un po’ di amor proprio. Fingesse un minimo d’interesse almeno qualche volta! La sua passività mi logora. È un insulto al genere maschile. Un’altra cosa che detesto di lui è la sua passione per i libri e la musica anni ’70. È un nostalgico del cazzo: tutto Pink Floyd, Led Zeppelin, Deep Purple e boiate varie. Scommetto che legge solo libri pallosissimi di letteratura russa e francese di fine ’800. Roba che se gli chiedi chi è Zerocalcare se ne esce: «Ah, sì, quello che ha fatto i video sulla quarantena, simpatico.» Lui pensa di stare sempre sul pezzo. Per me è solo uno spocchioso forzatamente aggiornato sulle novità culturali, un finto intellettuale del cazzo saturo di recensioni su la Repubblica e Il Corriere della Sera . Sempre pronto a fare a gara con i suoi colleghi istruiti a chi ne sa di più. Frustrati impotenti senza palle!

    Esco da Fortnite, mi calo le mutande alle ginocchia e apro la pagina di Chrome in modalità privata. Inserisco Pornhub nella barra di ricerca, quando mi compare il faccione di Aurelio sul cellulare. Accetto la videochiamata mentre mi risistemo alla bell’e meglio.

    «A Seppia! Che stai a fa’?»

    «Niente. Mi sto annoiando.»

    «Se, se…»

    «Non rompe, Topo, che c’è?»

    «Ho visto che stavi online.»

    «Sì, ma non mi andava più di giocare.»

    «Vabbè. Senti, se lo famo un giro stasera?»

    «Sì, però più tardi.»

    «Mi porti qualcosa?»

    «A Topo, non c’ho ancora niente. Mi arriva qualcosina domani.»

    «Guarda che ce stanno a tampina’! Non ce la famo a staje appresso ’sto giro.»

    «Non ti preoccupare, famo contenti tutti. Come sempre.»

    «Vabbè, a Seppia, se lo dici te. Se vedemo giù al centro alle sette. Prendo i mezzi che con la macchina è un casino oggi. A proposito, mettete la mascherina, se no rompono.»

    «Sì, sì, non ti preoccupare.»

    «Continua a fare quello che stavi a fà! A porco.»

    «Ma falla finita. Senti, Topo, ’na cosa…»

    «Dimme!»

    «Non la fa veni’ stasera l’amica tua.»

    «E perché?»

    «Perché se no poi se porta appresso pure quell’altra. E a me non va di vederla.»

    «A Seppia, sei pesante. Ma ancora nun t’è passata?»

    «No!»

    «Ao’, fa come te pare. Io a Cinzia la chiamo, se poi se porta pure a’ biondina, nun te posso fa’ niente.»

    «Sei n’amico!»

    «Poi dillo forte! Me raccomando, a Seppia, vacce piano co’ Federica che già con l’occhiaie nere che te ritrovi de tuo nun te se po’ guardà.»

    «A Topo?»

    «Dimme!»

    «Sei un cojone!»

    «Ce o so, ce o so. Ciao, se beccamo più tardi!»

    Dopo la videochiamata con il mio amico storico Aurelio, detto Er Topo, che conosco dalle elementari, mi è passata qualsiasi voglia erotica. Prima di andare a farmi una doccia, però, – sempre che il bagno non sia occupato da quella scassapalle di mia sorella – carico su Internet la pagina del sito che ultimamente mi sta dando un sacco di soddisfazioni: www.bidoo.it.

    Sorrido mentre mi sfrego le mani tutto eccitato. Comincia la caccia.

    B.2

    REPERTO 11

    DAL DIARIO DI EMANUELE VANNETTI

    Insistono ormai da mesi! E io non ne posso più. Sono dei dementi. Lo trovano divertente ma io no. Mi assillano. Io non ci voglio avere più niente a che fare. Ma loro non mi mollano, sono insopportabili! E pensare che appena li ho conosciuti li trovavo perfino intelligenti. Amano la musica trap come me. Ma, a parte questo, non ho niente in comune con loro. Sono anni luce lontani dal mio mondo.

    Fanno della violenza la loro ragione di vita. Non hanno regole. Indossano vestiti di marca dalla testa ai piedi. Pure le mutande c’hanno griffate.

    Non so come hai fatto, mia cara Giada, a immischiarti con certa gente. Stupido io a farmi coinvolgere nei loro giochi assurdi. E tu ridevi alle loro stronzate e alle loro bravate. Ti riducevi a uno straccio pur di compiacere quei dementi. E ora, dopo l’ennesimo tentativo fallito di persuaderti a lasciarli stare, mi hai dato il ben servito con una raffica di vaffanculo che ancora a distanza di giorni mi rimbombano nella testa. Comincio ad avere paura dei tuoi amici. Sono stanco di fare buon viso a cattivo gioco. Mi faccio schifo pensando alle volte in cui ero presente anche io e non ho fatto niente per impedire quei soprusi.

    Adesso, me ne sto alla larga da loro. Preferisco restare a casa a scrivere i miei pezzi al Mac, mentre mi si fa il fegato amaro a pensarti lontana da me.

    Notte, Giada. Non ti voglio dimenticare.

    Caxxo però, perché mi hai bloccato su Instagram!?

    Lele

    ANCORA UN BALLO (Titolo Provvisorio?)

    Dimmi quanto vuoi per lasciarmi andare

    Dimmi quanto vuoi per lasciarmi andare.

    Stare lontano, andare lontano, spaccare la mano, fare il ruffia no per te!

    Perderti, per dire un giorno di averti tatuata sulla mia pelle di fango.

    Perderti, per dire un giorno di averti truccata col mio dolore.

    Perdere tempo, prendere il vizio con questo Negroni a prezzo fisso per me.

    … to be continued!

    Per Alex: Riff di basso e groove reggaeton

    B.3

    «Ma vaffanculo va’!» Come al solito le uscite di scena di Luigi sono accompagnate da una qualche imprecazione colorita. Un classico per la famiglia Manfredi. Stefania scuote la testa, come a dimostrare la sua frustrazione di non contare niente all’interno della sua stessa casa. Ma è un pensiero lieve, rapido, che scompare immediatamente fra la sua acconciatura, tenuta in piedi da litri e litri di lacca, e la sua smania di spiluccare carote e sedano, snack essenziali per il suo inflessibile piano alimentare giornaliero a base di prodotti biologici e salutistici.

    Sofia è rimasta seduta al tavolo della cucina. Non ha rimorsi per il suo modo di fare sfacciato sui social. Sa di essere una bella ragazza e le piace mettersi in mostra. Ha un seno prorompente e labbra carnose. Capelli neri, lisci e lunghi fino al collo. Ha gli occhi azzurri, come il padre, che ama contornare di eyeliner scuro. Ha un mucchio di follower su Instagram e punta a diventare un’influencer. Aspira alla monetizzazione del suo profilo. Ci mette l’anima per raggiungere il suo scopo. Ed è convinta che prima o poi ci riuscirà. Per adesso, si fa prestare i capi di abbigliamento dalle piccole botteghe di moda della città che sfianca con la sua insistenza. Indossa degli outfit studiati fino all’ultimo dettaglio. La sua amica Patrizia l’aiuta con le foto. Lei non è una bella ragazza, non secondo i canoni convenzionali quantomeno, ma ha uno spirito vitale ed energico. Sempre pronta alla battuta, in realtà, desidera brillare del riflesso di Sofia, ma, fondamentalmente, ristagna alla sua ombra.

    Dopo averci riflettuto, Sofia risponde con un cuore al commento di Marcus18 alla sua foto. È soddisfatta. Anche se la parola cagna che ha usato il tizio l’ha un po’ infastidita. Ma tant’è, il suo desiderio di essere ammirata è stato pienamente appagato. 1210 like dopo neanche un’ora! Non male! pensa fra sé e sé. Ma è consapevole che è tanta la strada che deve ancora percorrere per arrivare in alto.

    Nella penombra della stanza di un pomeriggio che ha lasciato il passo alla sera, lo schermo di un iPhone illumina il volto di un pater familias sonnecchiante.

    Ho voglia! Adesso!

    Pietro nasconde il ghigno del suo labbro che si è istintivamente alzato verso destra.

    Anche io!

    Alle 21.00 da me. Lo Scimpanzé fa il turno di notte.

    Mettiti quella cosa.

    Già fatto.

    Lo schermo si fa nero. Pietro si stiracchia. Si alza dalla poltrona e si mette le mani sui fianchi a massaggiarsi i lombi.

    Nel frattempo, il salotto si è impregnato dell’odore nauseabondo dei bastoncini di incenso al bergamotto e sandalo che Stefania ha acceso per prepararsi alla sua ora di meditazione. Ha indosso dei leggings rosa shocking e una canottiera nera aderente che mette in risalto le sue spalle muscolose e abbronzate da solarium. Da una cassa bluetooth giungono le note ripetitive e ipnotiche di un flauto di pan.

    Pietro abbassa le tapparelle. Sa che sua moglie adora meditare al buio con la sola eccezione della luce soffusa di una lampada di sale. Sofia si fionda in bagno, anticipando suo fratello Luigi che, in mutande, stava cercando di raggiungere la doccia prima di lei. Pietro sbuffa. Anche lui ha bisogno di lavarsi o, per lo meno, di farsi un bidè e darsi una rinfrescata. Per un attimo incrocia il suo sguardo con quello del figlio. È quasi sicuro che Luigi sappia tutto della sua relazione clandestina con Francesca. È più un presentimento. Qualcosa che ha a che fare con il cameratismo maschile. Ma non vuole la complicità di un figlio che vede così lontano e scostante. In cuor suo, non è mai riuscito ad andare d’accordo con il sangue del suo sangue. Non lo trova simpatico. Anzi. È una cosa disgustosa da pensare per un padre. Pietro combatte quotidianamente con questo conflitto emotivo. Da una parte vorrebbe conquistare le attenzioni e la benevolenza di suo figlio, ma dall’altra non riesce a condividere nulla con lui. Non solo: ogni volta che si trovano insieme, e soprattutto se non c’è nessun altro con loro, lo assale subito il desiderio di allontanarsi da lui il prima possibile. Adesso sono a mezzo metro di distanza ed è lui, Pietro, ad abbassare per primo lo sguardo e a ritornare sui suoi passi. Si risiede in poltrona, aspettando il suo turno per entrare in bagno. Come ogni volta andrà lui per ultimo. Per ammazzare il tempo, sfoglia sul cellulare il catalogo virtuale del sito degli orologi Panerai. Anche lui, come il suo collega Massimo, l’unico a sapere della sua tresca con Francesca, vorrebbe investire su uno di quegli oggetti di lusso. Ma l’ Om sgraziato della moglie lo fa desistere immediatamente da quella ricerca. Quindi, torna sulla pagina di messaggistica di WhatsApp e comincia a svuotare le ultime chat per liberare spazio dalla memoria ma, soprattutto, per evitare che qualcuno possa leggere dei messaggi compromettenti. Mentre lo fa, lancia un sorriso a Stefania che, imperlata di sudore, tenta di mantenere il più a lungo possibile la posizione del cane. Anche le labbra di lei, bagnate da minuscole goccioline, si tendono, rispondendo così al gesto affettuoso del marito. Stefania ancora non lo sa, ma anche quella sera rimarrà a casa da sola. Avrà tempo di farsi una bella maschera per il viso e di chiedersi perché Pietro non la desideri più, nonostante i suoi sforzi estenuanti di mantenersi giovane e bella.

    C.1

    Finalmente quella stronza di mia sorella ha finito di occupare il bagno. Mio padre rinuncia al suo turno e si allontana come un cane bastonato. Voleva fregarmi, ma l’ho fulminato con lo sguardo e lui, codardo come sempre, ha subito desistito e mi ha lasciato il passo. Mi faccio una doccia veloce e mi rivesto, dato che sono ancora un po’ umido. Ho i peli delle gambe tutti bagnati. Mi spalmo del gel sui capelli che porto cortissimi. Ho da poco fatto una tinta biondo platino; ma solo il ciuffo. Il resto sono rasati, quasi a zero. Mio padre non si è neanche accorto del mio nuovo look e quando mi ha visto non ha detto niente; mentre a mia madre i miei capelli piacciono un casino. «Che fighi che sono, Luigi. Oggi li portano tutti così i ragazzi dell’età tua.» Forse proprio perché ha completamente ragione, la prossima volta me li faccio fare diversamente. Odio le omologazioni, ma questo ormai è chiaro.

    Esco di casa senza salutare, da noi non si usa, o perlomeno io non amo farlo, tanto a che cosa serve? La sera, sempre in questo buco opprimente del cazzo devo tornare. Mi sparo nelle orecchie l’ultimo album di DaBaby su Spotify. Divido il costo dell’abbonamento premium con un paio di amici. Non capisco quasi niente di quello che sta dicendo questo rapper americano. Ma mi dà una carica pazzesca ascoltarlo. Anche oggi è una giornata no. Come tante altre, d’altronde. A parte un paio di acquisti bomba che mi sono aggiudicato all’asta su Bidoo, il resto non va affatto bene. Di solito, fin dalle prime ore del mattino, mi prende una morsa allo stomaco che dura tutto il giorno. Arrivo a sera devastato da un senso opprimente di nausea. Un’insoddisfazione generalizzata. Sembrerà strano, ma a vent’anni ho già l’impressione di non avere stimoli. Solo degli sprazzi di euforia esagerata qua e là, durante il grigiore delle giornate tutte uguali a sé stesse. Sarà stato quel cavolo di lockdown a marzo, ma ora più che mai non sopporto di stare in mezzo alla gente. Quasi quasi, mi viene da rimpiangere quei mesi di assoluta emarginazione sociale. Meme divertenti utilizzati per messaggiare e videochiamate improbabili con gli amici a parte, però, non è stato facile dover stare a stretto contatto, giorno e notte, con la mia famiglia. Meglio non pensarci, altrimenti quel senso di claustrofobia torna a galla, e poi è un casino tenerlo a bada. Non ho mai sofferto di attacchi di panico, ma adesso, anche se raramente, mi sento mancare il respiro in presenza di persone che non vorrei incontrare. Ma è inevitabile. Siamo animali sociali, bella cazzata: poteva risparmiarsela Aristotele. I libri impolverati di filosofia di mio padre mi hanno tenuto compagnia durante quei lunghi e interminabili pomeriggi di sole forzato e fuori stagione. Come sottofondo la voce sgraziata del vicino di casa che cantava a squarciagola ridicole canzoni italiane

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