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Te lo dico sul muro
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E-book157 pagine1 ora

Te lo dico sul muro

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Info su questo ebook

Miranda, ragazza bella e solare di Viterbo che sta per entrare all’università, scopre l’amore con Giorgio, ragazzo attraente ma strafottente. Le vecchie mura del centro della città sono testimoni del loro tempestoso amore attraverso i graffiti che si scambiano a vicenda. Carlos, professore di spagnolo, arriva a Viterbo in fuga da certe vicende sgradevoli della sua vita a Siviglia. Il destino farà incontrare Miranda e Carlos e avvicinerà le loro metà spezzate. Un romanzo d’amore costruito sulla base di ventiquattro scritte d’amore vere trovate a Viterbo.
LinguaItaliano
Data di uscita9 ott 2020
ISBN9788831697057
Te lo dico sul muro

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    Anteprima del libro

    Te lo dico sul muro - Pedro González Redondo

    2020

    1

    Suonò la campanella. Miranda infilò i libri e i quaderni nella borsa, liberò i nerissimi capelli dall’elastico e, dopo aver scompigliato la chioma leggermente ondulata, si coprì gli occhi acquamarina con dei grandi occhiali da sole. Si rinfilò il lembo della maglietta bianca nei pantaloncini neri e uscì dall’aula. Nel corridoio la raggiunsero una ragazza alta e bionda, riccioluta, che indossava una lunga gonna fiorata e un top senza maniche, e un’altra ragazza bruna e bassotta con dei jeans scoloriti e una camicia verde.

    «Ehi! Deri, Annalisa! Ci fermiamo un po’, prima di andar via?», propose Miranda quando le amiche le furono accanto.

    «Sì, così mi fumo una bella sigaretta prima di andare a casa.» Annalisa tirò fuori da una tasca dei jeans un pacchetto di sigarette. Se ne accese una. «Tutte quelle ore di lezione mi hanno stufata!»

    Deri mise un braccio sulle spalle di Miranda e le diede un bacio sulla guancia. Lei, felice, ricambiò e baciò anche Annalisa.

    Le tre amiche uscirono dal liceo Santa Rosa da Viterbo e si sedettero a chiacchierare sugli scalini dell’ingresso principale. I tiepidi raggi del sole di quella mattina di metà aprile invitavano a restare all’aperto per riscaldarsi il corpo in quei giorni ancora un po’ freddi della primavera di Viterbo.

    «Ehi, Chiara! Vieni qui!» Miranda alzò un braccio e agitò la mano per farsi notare dalla collega tra il brulicare di studenti che uscivano dal liceo.

    «Ciao, Miranda! Come va?», salutò Chiara appena raggiunse il gruppo di ragazze.

    «Bene!» Miranda le prese una mano e gliela dondolò distrattamente. «Senti, Chiara, sabato sera darò una festa a casa mia per il mio compleanno. Mi farebbe piacere che tu venissi.»

    «Ehi, che bello! Certo che verrò. Grazie dell’invito.» L’amica si chinò per baciarla. «Adesso vi saluto, mi aspettano e sono in ritardo. Ciao!»

    Chiara scese di corsa gli scalini e si diresse verso la strada. Salutò con un bacio sulla guancia un ragazzo che l’aspettava seduto su un motorino ultimo modello.

    «Chi è quello lì, il ragazzo di Chiara?», chiese Miranda alle amiche, vivamente incuriosita.

    «Macché ragazzo, è suo fratello Giorgio», rispose Deri alzando lo sguardo dal cellulare, sul quale componeva un messaggio per il suo ragazzo.

    «Studia all’istituto di viale Raniero Capocci e a volte viene a prendere Chiara per tornare a casa insieme», aggiunse Annalisa. Poi diede una boccata alla sigaretta, strizzando gli occhi.

    «Sembra fico! Biondo, con gli occhi verdissimi... e poi guardate, guardate che motorino!», disse Miranda con gli occhi sfavillanti di gioia. «Sapete se sta con qualcuna?»

    «Credo di no. Ti è piaciuto, vero?» Deri sorrise furbetta, dandole una pacca sul sedere.

    «E a chi non piacerebbe un ragazzo così?» Tirò fuori la lingua e arrossì.

    «Eh... noi siamo fidanzate, Miranda. Non possiamo desiderare la roba delle altre.» Deri fece l’occhiolino all’amica. «Tutto per te!»

    Le amiche risero divertite alla battuta di Deri.

    D’improvviso, a Miranda si illuminò il volto. Trasse il telefonino dalla borsa, compose un po’ nervosa un sms e lo inviò.

    Chiara, puoi invitare tuo fratello Giorgio alla mia festa?

    Poi sorrise enigmatica alle amiche e rimise il cellulare nella borsa.

    «Cos’hai fatto?», chiese Annalisa.

    Miranda inarcò le sopracciglia e guardò le amiche con aria enigmatica, ma non disse niente. Nel frattempo il cellulare squillò. Lei sussultò, lo tirò fuori dalla borsa e trovò un messaggio di Chiara. Lo aprì e lo lesse.

    Anche se è sorpreso dall’invito perché non ti conosce, Giorgio verrà alla festa e magari si porterà un amico. Ti ringrazia. A sabato!

    Miranda sorrise, fece il segno della vittoria con la mano destra e mostrò il cellulare alle amiche. Loro lessero l’sms.

    «Si vede da un miglio che ti è piaciuto un casino. Non hai perso un minuto!», disse Deri scuotendo la testa.

    Le tre amiche risero divertite. Poi balzarono in piedi e andarono via. Miranda e Annalisa salutarono Deri, che abitava vicino al liceo, proprio nel cuore del vecchio quartiere di San Pellegrino, e Miranda accompagnò Annalisa a piedi a casa sua in via del Cunicolo. Arrivate, si scambiarono due baci, poi Miranda si diresse a casa. Giunta all’incrocio di via Porta Murata con piazza Verdi si fermò, controllò che nessuno la vedesse e, tirando fuori dalla borsa un marcatore nero, scrisse veloce su un muro, il cuore che batteva all’impazzata:

    6 Dio sceso in terra

    2

    Mancavano dieci minuti alla fine della lezione di lingua e Carlos stava spiegando un passaggio alla lavagna.

    «È chiaro? Se non fosse chiaro, lo ripeto.» Appena ebbe finito di scrivere si voltò verso la classe.

    Cercava di far capire l’ipotassi ai ragazzi del liceo di un quartiere della periferia di Siviglia, e rivoli di sudore gli colavano dal collo e gli striavano come una zebra la camicia di lino bianca. Non avevano ancora attivato i condizionatori centralizzati del liceo, anche se era già metà aprile.

    Nessuno studente rispose. I ragazzi, svogliati, erano più attenti alle lancette del grosso orologio appeso alla parete, sopra la lavagna, che alla lezione.

    «Bene. Allora approfittiamo dei minuti restanti per lavorare su qualche esempio. Chi vuole venire alla lavagna per proporne uno?» Carlos percorse la classe con lo sguardo, sul viso un sorriso che cercava di mettere a loro agio gli studenti e coinvolgerli nella lezione.

    Nessuno rispose. Il sempiterno ronzio prodotto durante le lezioni dagli spensierati studenti si tramutava in silenzio sepolcrale quando toccava fare i compiti. Carlos, scoraggiato, percorse ancora una volta la classe con lo sguardo. Si ravviò i brunissimi capelli, sporcandoseli di polvere bianca del gesso. Alzò le sopracciglia e sbuffò.

    «Nessuno? Ragazzi, fate uno sforzo», disse finalmente. «Sennò, diversamente, verrete bocciati. Forza che manca poco per finire il corso!»

    In fondo alla classe, uno studente alzò la mano. Altri si voltarono per guardare chi stesse per parlare. Quando scoprirono che era il più strafottente della classe, si lasciarono scappare delle risatine. Carlos indicò lo studente con la mano e fece un cenno con il capo per farlo intervenire.

    «Professore, non rompere le palle. Mancano solo cinque minuti alla fine. Perché non andiamo via?»

    Gli altri scoppiarono a ridere per la battuta del compagno. Carlos rimase impietrito e si incupì. Rivolse uno sguardo di disapprovazione allo studente mentre scuoteva la testa lentamente. Il ragazzo si adagiò sulla sedia, ammiccò alla sua ragazza, che sedeva al banco accanto, e fece al professore una smorfia furba mentre masticava una gomma con parsimonia. Con lo sguardo cupo, Carlos sorvolò la classe ancora una volta. Nessuno, tranne due studentesse sedute in prima fila, sembrava stare attento alla lezione. Sbuffò ancora, da lontano lanciò il gesso nel cassetto della lavagna e si strofinò le mani per togliersi la polvere.

    «Canestro! Bravo!», gridò qualcuno che Carlos non riuscì a individuare.

    Gli studenti applaudirono divertiti per la buona mira del docente, raccolsero le loro robe e uscirono dall’aula con grande frastuono di libri chiusi di colpo, pacche sulle spalle dei compagni e grida.

    Qualche secondo dopo, suonò la campanella.

    Carlos scese in sala professori e vi trovò il suo collega e amico Luis.

    «Tutto a posto?» Gli domandò appena si rese conto che era incupito.

    «No, Luis, per nulla a posto... questi studenti... anzi, no, questi non-studenti... sono già stufo di loro. Ma cosa pensano di fare delle loro vite? Come scapperanno da questo quartiere degradato se non studiano per guadagnarsi un futuro migliore?»

    Luis annuì e disse: «Tranquillo, non prendertela così; non ne vale la pena... Dovresti esserti ormai abituato, dopo tredici anni che lavori qui.»

    Carlos, ancora seccato e senza voglia di fermarsi a chiacchierare con il collega, lo salutò con un cenno della mano e andò via.

    Uscito dal liceo, camminò verso la sua macchina per sessanta metri lungo i muri del liceo, rovinati da mille graffiti sovrapposti anno dopo anno. Arrivato all’angolo, fu costretto a scendere dal marciapiede per evitare il mucchio puzzolente di sacchetti della spazzatura che lo ingombravano, fuori dal contenitore da qualche giorno.

    Arrivato alla macchina, tirò fuori il portachiavi da una tasca dei pantaloni e premette il comando della chiusura centralizzata. Stava per aprire lo sportello quando vide un graffito con il disegno di un maialino dipinto, con vernice rosa ancora fresca, sul tetto della sua Golf nera, accompagnato dalla scritta:

    "Maiale: se uno solo di noi venisse bocciato,

    ti bruceremo la macchina"

    «Teppisti di merda! Porca miseria! La macchina nuova! Vaffanculo, vaffanculo!»

    3

    Dalla porta spalancata del balcone dell’appartamento di Miranda usciva musica di Tiziano Ferro a palla. Nel salotto, i fidanzati di Deri e Annalisa, Fabio e Raffaele, davano una mano all’amica a spostare i mobili per fare spazio per ballare.

    «Ecco, il divano... per favore, spostatelo verso quella parete... così, così va bene... grazie! Poi, se piazziamo il tavolo in fondo al salotto, possiamo usarlo per le bevande e i panini; così evitiamo di andare e venire in cucina.» Miranda dirigeva il lavoro degli amici. «Uauh! Che bella rotonda per ballare abbiamo preparato! Grazie, belli!»

    Deri arrivò dalla cucina con due vassoi carichi di panini, pizzette, patatine, frutta secca e altra roba da mangiare. Li posò con cura sul tavolo. «Miranda, sei fortunata che tuo padre ti lasci fare feste a casa. I miei non vogliono neanche parlarne per paura che i mobili si possano sporcare o rovinare.» I suoi occhi rilevarono un po’ di invidia.

    «Certo! È una vera fortuna.»

    «Ecco, tutto pronto!» Annalisa comparve portando un vassoio carico di bevande. «Mancano solo gli altri ospiti... e poi a ballare fino a notte inoltrata.»

    «Benone! Allora vado a mettermi il vestito.» Miranda sparì nel corridoio che portava alle camere da letto.

    Deri, Fabio, Annalisa e Raffaele si versarono da bere. Raffaele rovistò tra i CD, ne scelse uno di Eros Ramazzotti, lo mise nello stereo e lo fece partire. I ragazzi iniziarono a ballare.

    Tre minuti dopo comparve

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