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Anche i geni sono esseri umani
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E-book592 pagine8 ore

Anche i geni sono esseri umani

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Info su questo ebook

Visse un uomo straordinario, il cui nome è noto ad ognuno: Leonardo d Vinci. La sua vita fu piena di misteri, vittorie e sconfitte, tragedie e amore. Questo appassionante romanzo, basato su avvenimenti storici, ci trasporta nell'Italia dell'epoca del Rinascimento e i suoi personaggi —  papi e cardinali, re e condottieri, politici e artisti — sono presenti come persone vive. Nel libro sono toccati temi che possono ferire i sentimenti di una determinata parte di persone. Leggete la stupefacente storia della vita di un uomo bellissimo, una vita divenuta leggenda…

LinguaItaliano
EditoreBadPress
Data di uscita2 lug 2021
ISBN9781667405872
Anche i geni sono esseri umani

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    Жил один необыкновенный человек, чье имя знакомо каждому — Леонардо да Винчи. Его жизнь была полна тайн, побед и поражений, трагедий и любви. Данный увлекательный роман, основанный на исторических событиях, переносит нас в Италию эпохи Возрождения, а его персонажи — римские папы и кардиналы, короли и военачальники, политики и художники — предстают живыми людьми.

Anteprima del libro

Anche i geni sono esseri umani - Valerian Markarov

ANCHE I GENI SONO ESSERI UMANI...

LEONARDO DA VINCI

PREFAZIONE

Visse una persona straordinaria: artista e inventore, architetto e costruttore, scienziato naturalista e filosofo, musicista e sognatore... Il suo nome è noto a ognuno: Leonardo da Vinci. È una delle persone più enigmatiche, la cui genialità si manifestò in molte sfere di attività, divenendo il simbolo dell’epoca del Rinascimento. La sua vita fu piena di vittorie e sconfitte, tragedie e amore. Seppe cosa sono la disperazione e la solitudine. E cosa sono le trombe di rame dell’ammirazione generale.

Creatore di indiscutibili capolavori, si raffreddò improvvisamente nei confronti dell’arte, lasciando i suoi dipinti incompiuti. I suoi disegni con uguale perfezione rappresentano tanto la bellezza dell’uomo e del mondo, quanto pure le mostruose, crudeli scene della vita quotidiana. A lui appartiene una moltitudine delle più diverse invenzioni, che sopravanzavano ampiamente il suo tempo e che conservano il loro significato ai nostri giorni.

È enigmatica la vita personale di quest’uomo, che cifrava i propri sentimenti come cifrava i propri lavori, registrandoli con la «scrittura a specchio». Ebbe allievi devoti e rivali inconciliabili, tra questi Michelangelo e Raffaello. Dialogò con i popolani e con i potenti di questo mondo. Tutti questi passavano davanti all’attento e freddo sguardo di Leonardo.

Il suo tempo è rimasto nei suoi lavori, egli stesso come prima agita la nostra immaginazione non solo con ciò che ha lasciato, ma anche con ciò che ha portato con sé. Sono segreti ed enigmi intriganti, fruttuose scoperte scientifiche, ma anche un dramma personale: tutto questo penetrò letteralmente la vita di Leonardo da Vinci.

Questo libro, che ci porta nell’Italia di fine XV — inizio XVI secolo e ci immerge in un periodo drammatico della storia, si legge come un romanzo avvincente, i cui personaggi sono papi e cardinali, re e condottieri, politici ed artisti, da cui ci separano più di 500 lunghi anni: ci stanno davanti come persone vive, che provano gioia e tristezza, ascese e cadute, amore e tradimento, piacere e dolore.

Capire Leonardo da Vinci è possibile, probabilmente, solo avendo vissuto la vita come questi la visse. Possiamo solo sfiorare i nascondigli della sua anima, studiando attentamente la sua eredità artistica e scientifica, in cui egli mise un enorme amore per tutta l’umanità, riflettendo attentamente sulle sue parole e recependo con il cuore tutta la profondità delle sue esperienze. Egli mostrò al mondo che la vera saggezza non è racchiusa solo nella scienza, nell’arte e nel progresso, ma che è pure inseparabile dall’amore e dall’umanità.

In questo libro sono toccati temi che possono urtare i sentimenti di una determinata parte di lettori e alcune interpretazioni dei fatti storici sono discutibili. I fatti della vita del grande Genio del Rinascimento qui descritti si intrecciano con successo, essendo la base di quest’opera letteraria, e aprono di nuovo per il lettore l’epoca del Rinascimento: allo stesso tempo tragica e piena di speranza in un luminoso futuro dell’umanità.

Leggendo questo libro, sfiorerete la stupefacente storia della vita di un GENIO, a cui non furono affatto estranee le necessità e le debolezze umane. Sfiorerete una vita piena di talento e di sete di conoscenze, di sfaccettatura di interessi e di insuperabile attrazione per le scienze e per tutto ciò che è bello. Una vita divenuta leggenda...

Vi auguro una piacevole lettura!

Con stima,

Valerian Markarov

Tbilisi, Georgia

14 agosto 2017

Potrete scrivere all’autore o lasciare il vostro parere, utilizzando questo indirizzo di posta elettronica: MarkarovV@gmail.com

CAPITOLO 1

Nella chiara mattina di sole del 3 marzo 2019 il giovane professore dell’Università di Firenze Marco Toscano, uscendo dalla soglia della propria casa nel centro di Firenze, si scontrò faccia a faccia con il postino di quartiere, che ogni giorno a mezzogiorno gli portava la stampa fresca e la corrispondenza.

— Buongiorno, signor Toscano. Come sta? — chiese il postino, chinando leggermente la testa a destra e scoprendo in un sorriso semplice i denti anteriori ingialliti dal fumo.

— Bene-bene, signor Gerponimo! Grazie! E lei oggi ha un aspetto eccellente! — rispose gentilmente Marco al saluto.

— Pregando Dio, signor Toscano, tirerò avanti fino all’età di mio zio. Ha vissuto fino 100 e sa, si tratta dei funghi...

— I funghi allungano la vita? — si stupì sinceramente Marco, alzando leggermente le sopracciglia.

— Ma no! Semplicemente non li ha mai mangiati! — il postino scoprì di nuovo i denti in un sorriso curvo, ma un po’ ingenuo.

— Però è proprio un burlone, signore! — Marco strizzò gli occhi, guardando negli occhi Gerponimo. — Lei ha con sé, come sempre, le notizie fresche! — e ricevette in cambio un pesante pacco di giornali insieme a qualche lettera, augurando una buona giornata al postino:

— A presto!

Lasciata la stampa all’ingresso di casa, mise accuratamente le lettere nella sua cartella di pelle, guardò macchinalmente il cielo e tornò di nuovo in casa per prendere l’ombrello e gli occhiali da sole e poi a passo misurato si diresse al lavoro. All’inizio della prima lezione mancavano circa 40 minuti e questo era più che sufficiente per arrivare là in tempo.

Bisogna dire che Marco si distingueva dai veri italiani: questi considerano la puntualità una ladra di tempo e non vedono un grave peccato nel ritardare. Era preciso ed accurato in tutto ciò che lo circondava. Questo si esprimeva nel suo amore per la pulizia e l’ordine, nella sua minuziosità e precisione nelle occupazioni, nella lindezza e nell’impeccabilità esteriore, nella coscienziosità e nell’eccezionale capacità organizzativa. In qualche misura si poteva anche chiamarlo pedante, ma la sua moderata pedanteria non aveva niente di patologico, infatti, com’è noto, i pedanti non sono semplicemente noiosi, sono insopportabili nel loro vizio. Peraltro aveva comunque un carattere italiano, vivace, continuamente pronto a una buona battuta e a un ampio sorriso, mostrando involontariamente in quest’atto file regolari di bei denti bianchi e diffondendo intorno a sé un buon umore e un’aura calorosa.

Qui, in Italia, si dice che «le piogge di marzo portano i fiori di maggio» e questo è vero per il clima umido mediterraneo e subtropicale: a Firenze in questo periodo dell’anno ci sono già giornate calde. Marco amava dedicare la parte libera del suo tempo a passeggiare per Firenze. Nonostante fosse nato in questa meravigliosa città e conoscesse ogni sua viuzza, non di meno poteva passeggiare all’infinito per questa «dimora dell’eternità», scoprendola ogni giorno nuova per lui.

Quand’era ancora uno studente dell’ultimo anno delle superiori, aveva preso a guadagnare qualcosa facendo la guida turistica e presto era diventato membro dell’Associazione delle Guide Turistiche di Firenze, insegnando pian piano con la sua eloquenza a portare gli ascoltatori attenti in un’altra epoca. Già in quel tempo lontano della sua gioventù si rese conto che la professione di guida turistica pone esigenze molto alte alle qualità umane. Capì che per essa era indispensabile un alto livello di capacità generali: intelletto e conoscenza del materiale, una quantità significativa di memoria, buona attenzione, concentrazione, resistenza alla fatica, capacità di lavoro, equilibrio e certamente qualità comunicative sviluppate.

Inizialmente non era andato tutto bene. Ma presto Marco, su consiglio del collega più anziano Alessandro, prese a lavorare sulla propria dizione e la propria articolazione, ma anche sulla cultura del discorso, allargando le proprie conoscenze nell’ambito dell’oggetto dell’escursione. Già allora prese a sviluppare le proprie capacità analitiche, cominciò a scavare nei materiali d’archivio e ad ampliare l’orizzonte attingendo a varie fonti di informazioni. La pratica gli insegnò a comprendere le persone e lo convinse che ai turisti non interessano molto le date precise di qualche avvenimento, invece li eccita un racconto vivace, da artista, specialmente se si accompagna a dettagli piccanti della vita di persone famose. Marco chiamava questo «fatti caldi». Alessandro, essendo molto più esperto in questa occupazione e, di conseguenza, capace di farsi un nome nell’industria del turismo, gli disse in qualche modo:

— Marco, oltre al tuo italiano nativo, parli bene anche la lingua inglese, il che è importante nella nostra attività. In te vedo interesse per questo lavoro e un’enorme potenziale di sviluppo. In una parola, farai strada. Ricorda solo che la nostra professione appartiene ai lavori di tipo artistico. Noi siamo artisti, attori, buffoni, poeti, pedagoghi e psicologi, ma non artigiani, no! Se il tuo pubblico esige pane e circo, che ne riceva appieno, non vergognarti nel mostrare la nostra vera emotività italiana. Risvegliali e portali via dall’affaccendamento della vita, falli astrarre dalle preoccupazioni e dai problemi quotidiani. E se è necessario, regalagli una bella leggenda, abilmente avvolta in un involucro di verità e che questa gli addolcisca l’anima. Accendi il fuoco nei loro occhi. Ecco che allora sarai richiesto come specialista e nelle tue tasche non mancherà il denaro. Principalmente, ama la tua professione e non smettere mai di perfezionarti!

Marco ricordò sempre le parole dette da Alessandro e si fece guidare da esse. Conducendo un’escursione, diceva che Firenze è un posto dove si può sfiorare la bellezza eterna. Effettivamente qui ce n’era in abbondanza! Infatti è probabilmente una delle più meravigliose città del mondo. «Florentia» tradotto significa «fiorente» e questo nome meglio di qualsiasi altro trasmette il suo carattere, in quanto in questa città è raccolto tutto il fiore della cultura e dell’arte occidentale. Un gigantesco museo a cielo aperto, dove vie, palazzi, musei e piazze sono decorati dalle creazioni di grandi maestri. Monumenti architettonici ottimamente conservati, ognuno dei quali ha osservato attentamente la storia nel corso dei secoli, i palazzi della dinastia dei Medici, i giardini di Boboli, la magnificenza di Piazza della Signoria. La cattedrale di Santa Maria del Fiore, il Battistero con le sue porte d’oro, la ricercata facciata della chiesa di Santa Maria Novella e Santa Croce, dove hanno trovato il proprio eterno riposo persone eccezionali del proprio tempo come Michelangelo Buonarroti, Galileo Galilei, il poeta Dante Alighieri, il pensatore Niccolò Machiavelli, i compositori Gioacchino Rossini e Michał Ogiński e ancora oltre trecento fiorentini famosi — uomini di cultura, di scienza e politici. Ed ecco anche la basilica di San Lorenzo e i sepolcri dei Medici, il freddo e inaccessibile Bargello — in passato prigione, ma adesso museo di scultura e di arte applicata — , l’Accademia e il «David» di Michelangelo, la Galleria Palatina e gli Uffizi, che sono ritenuti uno dei più antichi musei d’Europa.

Gli Uffizi comparvero in uno dei più significativi momenti della storia: nell’epoca della maggiore fioritura del Rinascimento Fiorentino per volontà del granduca Cosimo I de’ Medici. E furono creati, Marco lo sottolineava nelle sue lezioni, nella città in cui un tempo fu introdotto nell’uso l’allora discusso e scomparso da secoli termine «museo», in quanto gli antichi Greci con questa parola definivano un luogo consacrato alle Muse. E oggi nella Galleria degli Uffizi si trova un patrimonio artistico incomparabile: migliaia di tele pittoriche da quelle medievali a quelle moderne, antiche sculture, miniature, arazzi. E la sua eccezionale raccolta di autoritratti, unica al mondo, è continuamente integrata da ininterrotti acquisti e donazioni da parti di artisti moderni. Qui è nata musica eterna, sono stati scritti versi e poemi divini, sono stati creati capolavori della pittura. Leonardo da Vinci, Raffaello, Bocaccio, Petrarca, Filippo Brunelleschi: questi e molti altri nomi sono inseparabilmente legati a Firenze, l’hanno dotata di grazia, armonia ed eterna fioritura.

Ed ecco che ora, più di vent’anni dopo il momento in cui Marco aveva appena cominciato l’attività di guida, questi organizzava di nuovo con piacere «passeggiate storiche», ma non più con gruppi di turisti, bensì per i suoi studenti. «Senza passato non c’è futuro», — diceva, aiutando i futuri critici d’arte ad immergersi nell’atmosfera unica di questa culla dell’epoca del Rinascimento, trasportandoli per mezzo dei suoi avvincenti racconti in quel tempo lontano in cui per le vie di Firenze andava Michelangelo, in cui per quelle vie il furioso monaco domenicano Savonarola predicava alla folla e si svolgevano lotte intestine tra i clan dominanti o nel tempo in cui dava con enorme successo i suoi concerti Wolfgang Amadeus Mozart.

Marco avrebbe potuto passeggiare per ore per la città, se solo un temporale inatteso non lo avesse costretto a cercare rifugio in qualcuno dei piccoli caffè locali, dove folle di turisti si godevano vari tipi di salame, pecorino e prosciutto di Parma abbondantemente grattugiato di sale marino e tagliato molto fine. Il pasto si concludeva di solito con un tenerissimo mascarpone con un caffè espresso, a cui non di rado aggiungevano il liquore limoncello.

Il caffè in Italia è quasi una religione. E, entrando nel caffè, Marco d’abitudine ordinava due espressi, uno per sé, il secondo — caffè sospeso — era destinato a quel cliente del caffè che non poteva più permetterselo. Marco sapeva che un’altra volta nel caffè sarebbe passato un povero e avrebbe chiesto se c’era un caffè «sospeso». Marco riteneva questa buona tradizione «il regalo di un caffè al mondo» ed effettivamente regalare un caffè a un non abbiente era per lui non solo un gesto di aiuto, ma anche uno stile di vita.

Per la cucina toscana i turisti nutrono una particolare debolezza; questa, e solo questa, ha posto le basi della gastronomia italiana. A dire il vero, la pizza e la pasta — i piatti più famosi della cucina italiana — non sono state inventate in Toscana, ma l’idea stessa di gastronomia italiana, basata su cibi di produzione e stagionalità locali, è comparsa proprio qui, a Firenze.

Passando davanti al ristorante La Spada, che tanto amano sia i turisti che gli stessi abitanti di Firenze, Marco sentì che aveva voglia di mangiare. Al mattino, ancora a casa, aveva compiuto il suo rituale d’obbligo, bevendo una tazzina di cappuccino, oltre a quello in bocca non aveva neanche una gocciolina di rugiada. A volte passava in quel ristorante, ordinando tagliolini al salmone, cappelletti in brodo o il piatto della casa: bistecca alla fiorentina

Sapeva bene che in quel ristorante il grasso pezzo di carne bovina con un osso nel mezzo da buongustai veniva arrostito sui carboni ardenti dai bravi artigiani culinari locali in modo che fosse croccante nella crosta arrostita, ma doverosamente succoso e al sangue all’interno. Salare, pepare e versare olio d’oliva sulla carne si doveva solo dopo che dopo che fosse arrostita ugualmente da ogni parte. Marco amava godersi questa saporitissima bistecca senza involgarirla con aggiunta di guarnizioni e la innaffiava lentamente con piccoli sorsi del vino toscano Chianti dell’omonima zona, che a buon diritto è considerata la migliore regione vinicola d’Italia.

Il vino Chianti gode di fama mondiale e praticamente tutte le persone famose e i grandi artisti del passato in un modo o nell’altro hanno esaltato il pregio dei vini locali, in particolare il suo vino rosso secco della varietà Sangiovese. In tal modo la zona del Chianti era il paradiso dei buongustai, che qui si godevano il sapore del vero vino toscano e dei piatti tradizionali della cucina toscana. A prima vista questa sembra primitiva, ma in questo si racchiude pure il suo segreto, perché la cucina della Toscana è semplice fino... alla raffinatezza e fa la furba con i suoi sapori con l’astuzia di un vecchio toscano. Nel piatto più semplice, come parrebbe, si trovano mille sfumature di gusto e l’intreccio degli aromi fa impazzire più di un estimatore di piatti fini e ricercati. Ma non solo per questo è noto il Chianti. Chi se non Marco doveva sapere che i suoi teneri paesaggi hanno ispirato poeti e artisti di vari tempi. Infatti il famoso paesaggio alle spalle della misteriosamente sorridente Monna Lisa fu dipinto a memoria dal grandissimo Leonardo da Vinci proprio da queste colline del Chianti...

Marco, inebriandosi ora del senso di fame improvvisamente sgorgato, ora della fresca aria di mezzogiorno, in cui si mescolavano anche fredde goccioline del fiume Arno, che portava le sue acque del tutto imprevedibili dagli Appennini stessi, sentì com’era fortemente attratto dal tavolino! Per l’appunto passava davanti alla chiesa di Santa Margherita dei Cerchi, la stessa che è chiamata anche la chiesa di Dante Alighieri, in quanto proprio qui il poeta incontrò la sua musa Beatrice, i cui resti alla fine trovarono eterno riposo in questa chiesa. I tentativi senza successo di imbrigliare la fame non portarono a nulla ed ecco che le gambe lo portarono già a un chiosco di cose da mangiare che si trovava lì vicino. Sì, ora non avrebbe rifiutato neanche il lampredotto, senza considerare che questo panino senza pretese da popolani, farcito di stomaco di vacca lessato, a Firenze si mangia dal 15° secolo!

Mordendo avidamente il panino caldo e masticando in fretta la carne non malleabile ed elastica, non poté non notare tra sé che la fila delle persone desiderose di mangiare questo fast food fiorentino non era affatto più piccola della fila delle persone desiderose di passare nella chiesa di Dante. Dunque cos’è primario, ridacchiò Marco sotto i baffi: la conoscenza o la materia? Eterna disputa! In quel momento, inghiottendo frettolosamente il lampredotto, questo dilemma per Marco si era risolto univocamente in favore dei materialisti. La testa si rifiutava di pensare e l’anima di darsi da fare finché nello stomaco vuoto suonava un’orchestra di fiati diretta da uno spiffero affamato.

Marco accelerò il passo, si affrettava alla lezione in programma all’Università di Firenze, dove già da otto anni insegnava con lo status di professore all’Accademia di Belle Arti, avendo ottenuto il grado di dottore in Storia dell’Arte all’Università di Oxford dopo la brillante discussione di una tesi su un tema direttamente legato all’opera di Leonardo da Vinci e all’epoca del Rinascimento.

L’università in cui Marco insegnava godeva della reputazione di una delle più grandi e antiche università d’Italia, fondata all’alba del 15° secolo, in cui oggi si preparano oltre 60 mila studenti. Il professor Toscano si dava al lavoro con piacere, vedendo negli occhi degli studenti che frequentavano con interesse le sue lezioni la sete di nuove conoscenze. Secondo il piano di studi dell’Università, l’Accademia di Belle Arti forniva la preparazione di laureati e dottori nello stile dell’istruzione universitaria classica nel campo della teoria e della storia dell’arte. Gli studenti seguivano corsi che gli permettevano non solo di comprendere il processo creativo come parte della storia generale della cultura e dell’arte, ma anche di apprendere le particolarità di ogni forma d’arte. Nel programma erano previsti anche corsi di Storia dell’Arte Figurativa Italiana e Straniera, Teoria Generale e Filosofia dell’Arte, Storia dei Musei d’Italia e dei maggiori musei del mondo. In seguito era previsto un corso che sviluppava le abitudini di valutazione delle opere d’arte e preparava gli studenti all’attività di esperti e consulenti. Il programma di formazione prevedeva anche l’organizzazione di laboratori artistici creativi e di master speciali per mettere a conoscenza in tutta pienezza gli studenti con i migliori risultati dell’arte italiana e straniera.

Gli studenti che si istruivano qui, tanto locali quanto stranieri, conosciuta tutta la magnificenza dell’eredità di Firenze, provavano le loro forze nella preparazione di affreschi e sculture. Visitavano con piacere il rione degli artigiani sulla riva meridionale del fiume Arno, osservando come si prepara il famoso mosaico fiorentino, poi li conducevano alla Cappella Brancacci, dove si potevano vedere i primi esempi di pittura del Rinascimento con gli affreschi ad opera di Masaccio, Masolino e Filippino Lippi.

Marco vedeva che una così vivace organizzazione del processo di apprendimento permetteva di trasformare l’arida lettura di lezioni in un dialogo creativo degli studenti con diversi pittori, scultori e altre personalità dell’arte per non rinchiudersi nel sistema creativo, nei gusti e nelle passioni personali del docente di un corso o di una scuola artistica.

Tra circa un mese e mezzo — il 15 aprile — il professor Marco Toscano avrebbe compiuto 40 anni, ma, nonostante la sua età abbastanza giovane per un professore, era considerato a buon diritto uno dei principali rappresentanti del personale accademico dell’Università. Essendo membro permanente della Commissione di Ammissione, conduceva i colloqui con gli aspiranti ad accedere all’Accademia di Belle Arti, ponendo l’accento sul fatto che l’aspirante, oltre alla motivazione e all’autentico interesse per l’arte, doveva avere anche una visione complessiva del mondo e capire le leggi e le forme del suo riflesso nell’arte.

Era un appassionato sostenitore dell’idea che la motivazione sia la principale forza motrice del comportamento e dell’operato dell’uomo e tra l’altro anche del processo di formazione di un futuro specialista. Questi, come pure ogni docente, si poneva a volte la domanda «Perché alcuni studenti non imparano o non vogliono imparare?», capendo che le cause possono essere molte: gli studenti non si sentono psicologicamente a loro agio nel gruppo, sono disillusi riguardo alla scelta di una certa professione o semplicemente la cosa non gli interessa. Una saggezza nota a tutti dice: «Si può portare un cavallo all’abbeveratoio, ma non si può costringerlo a bere». Lo studente non è già più uno scolaro, a cui si può dire «bisogna fare così» e questi è d’accordo. Perciò il docente deve avere la capacità di dimostrare agli studenti che le conoscenze gli sono necessarie non per sé stesse, ma per diventare un buono specialista.

Essendo un pedagogo esperto, nel cui animo non si spegneva un impetuoso entusiasmo, Marco capiva che doveva aiutare ogni singolo studente a credere nelle proprie forze. Collaborazione, fiducia, capacità di istruire: ecco le parole chiave per la definizione di tali rapporti reciproci! E vedere nello studente l’individualità, l’unicità, riconoscere l’originalità della personalità: questa è la garanzia del successo del docente. È indispensabile aprire allo studente le possibilità di un’applicazione pratica delle conoscenze. E i racconti di Marco presi dalla sua esperienza personale spesso catturavano gli studenti più dei film. Alle sue lezioni si era stimolati ad esprimere la propria opinione e a partecipare alle dispute. Questi offriva agli studenti la massima libertà di scelta, orientandosi sulla personalità dello studente, proponeva diversi compiti individuali, temi per presentazioni, relazioni e tipi di lavori creativi e dava la possibilità agli studenti stessi di elaborare gli uni per gli altri compiti di diverso grado di difficoltà.

I suoi enunciati filosofici, e questi li utilizzava spesso nelle sue lezioni, servivano da potenti motivatori per gli studenti e risvegliavano l’interesse per la professione scelta per quelli che erano orientati al successo nella vita e questi, con indescrivibile soddisfazione di Marco, erano la schiacciante maggioranza. Questi, per esempio, diceva agli studenti che se ora si fossero addormentati, certamente avrebbero fatto un sogno. Se invece di sognare avessero scelto uno studio, avrebbero realizzato il proprio sogno nella vita. E continuava, dicendo che quando pensano che sia già troppo tardi per cominciare qualcosa, in realtà è ancora presto. E che la vita non è solo studio, cosicché, se non possono passare neanche questa sua relativamente breve parte, di cosa allora, in generale, sono capaci? Ma raccontando dei contratti da lui firmati per tenere lezioni nelle università di vari paesi, con onorari a volte ben più che semplicemente generosi, già mostrava col suo stesso esempio, che il loro futuro stipendio sarebbe stato direttamente proporzionale al loro livello di istruzione. Questa era probabilmente la cosa più convincente per le giovani menti!

— Perciò, — scherzava, — ricordate che anche ora i vostri nemici e concorrenti sfogliano avidamente dei libri. E non dite mai che non avete tempo. Di tempo ne avete esattamente quanto ne avevano Leonardo da Vinci, Michelangelo, Thomas Jefferson, Pasteur e Albert Einstein.

La lezione odierna era dedicata a quel periodo della storia dell’umanità che in seguito fu chiamato Rinascimento e al genio di quell’epoca: Leonardo da Vinci.

— Nelle «Vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architettori» Giorgio Vasari parlava di centocinquanta artisti. Una fioritura straordinaria di talenti e di geni, simile a quella che ci fu nell’antica Grecia. Non c’è nessuno di loro che non avesse una sua propria individualità e un proprio fascino. Là si possono facilmente contare circa venti scuole e decine di grandissimi maestri come Giotto, Brunelleschi, Donatello, Angelico, Mantegna, Veronese, Tiziano e Tintoretto. Ma sopra a questa folla multicolore e agli splendenti corifei si innalzano come semidei tre geni sovrumani, che irradiano una luce soprannaturale. Poiché, se altri prendono in prestito il proprio fuoco dalla propria epoca, questi ricevono il proprio da sfere irraggiungibili e illuminano con i suoi raggi il più lontano futuro. I loro nomi sono Leonardo da Vinci, Michelangelo e Raffaello.

Essi non si somigliano, non si continuano a vicenda e attingono da fonti diverse. Erano rivali e talvolta nemici. E comunque questi raffinati solitari, che si guardano l’un l’altro e si valutano l’un l’altro da lontano, formano un tutto unico e armonico. Poiché in loro si è incarnata l’anima razionale del Rinascimento. In essi si esprimono le sue più profonde aspirazioni, i suoi pensieri più segreti. Tutti e tre desideravano la fusione dell’ideale ellenico e di quello cristiano e questo era il loro sogno ardente e coraggioso. Ma tentavano di raggiungere questo per vie diverse.

Se l’arte alla sua massima potenza diviene una consacrazione estetica e spirituale, Leonardo è allora un sacerdote, che ci conduce insieme a due arcangeli del Rinascimento, che portano agli uomini Bellezza, Forza e Amore risvegliati. Con ciascuna di queste tre guide Inferno, Terra e Paradiso mutano aspetto e comunque sarà quello stesso Universo. Poiché è proprio dei grandi geni contemplare gli dei che la folla non vede e mostrarci le metamorfosi della Natura e dell’uomo sotto la loro influenza.

Per quanti secoli ci separino dalla vita e dall’opera di persone geniali, — diceva Marco, — l’interesse per le loro personalità e le loro creazioni resta immutato. Esso è dettato dal desiderio di conoscere quanto più possibile come si sia manifestato il loro potente dono, quali tratti del carattere li abbiano aiutati a raggiungere successi così significativi nella scienza, nella tecnica, nel pensiero sociale, nella letteratura, nell’arte e in altri campi dell’attività umana.

La conoscenza della vita e l’attività dei geni convince sempre più che un’unica ricetta della genialità non esiste. La maggior parte delle grandi personalità riteneva di dovere le proprie scoperte e i propri risultati prima di tutto alla propria laboriosità e diligenza. Così Thomas Edison, il più fruttuoso inventore del 20° secolo, che compì più di 1000 scoperte, affermava che «il segreto del genio è lavoro, tenacia e buon senso» e che «il successo è al 10% fortuna e al 90% sudore».

— Ma è vero che Edison non andò a scuola? — lo interruppe uno degli studenti, quello che stava ascoltando più attentamente il professore.

— Bene, — sorrise Marco, — visto che ha posto questa domanda, facciamo un piccolo excursus nella sua biografia. Tanto più che in qualche misura questo corrisponde al tema della lezione di oggi. Così, ecco, diciamo che una volta il piccolo Thomas Edison tornò a casa da scuola e dette alla mamma una busta sigillata con una lettera del suo maestro. La mamma, dopo una breve pausa, prese a leggere ad alta voce la lettera al figlio con le lacrime agli occhi: «Suo figlio è un genio. La nostra scuola è troppo piccola e qui non ci sono maestri capaci di insegnargli qualcosa. Per favore, istruitelo da sola.» Ma molti anni dopo la morte di sua madre, mentre Edison a quel tempo era già uno dei maggiori inventori del secolo, riesaminò una volta i vecchi archivi di famiglia e incappò in quella stessa lettera del maestro. La aprì e lesse: «Con dispiacere siamo costretti a comunicare che suo figlio è mentalmente ritardato. Non possiamo più istruirlo a scuola insieme con tutti. Perciò Le raccomandiamo di istruirlo autonomamente a casa». Edison singhiozzò per alcune ore. Ma poi scrisse nel suo diario: «Thomas Alva Edison era un bambino mentalmente ritardato. Grazie alla sua eroica Madre è divenuto uno dei maggiori geni del suo secolo.»

Tra il pubblico incombette il silenzio e si poteva sentire ticchettare l’orologio a muro alle spalle del professore. Marco fece una pausa e dopo mezzo minuto continuò:

— C’era l’eccellente fisiologo russo Pavlov che assicurava: «Niente di ciò che di geniale mi viene attribuito è in me. Il genio è la più alta capacità di concentrare l’attenzione... Pensare a un oggetto senza deviare, sapersi coricare con esso e con esso alzarsi! Pensa soltanto, pensa soltanto per tutto il tempo e tutto ciò che è difficile diverrà facile. Chiunque al mio posto, agendo così, diverrebbe geniale». Ma se tutto fosse così semplice, il mondo consisterebbe di soli geni. Ma di questi come prima ne nasce uno ogni secolo.

Totalmente diverso era il punto di vista del filosofo tedesco Immanuel Kant. Questi riteneva che la genialità fosse un dono che non potesse essere acquisito e che perciò non dipendesse dall’istruzione, dall’educazione o dalla diligenza. Ed effettivamente di Archimede e Newton, Leonardo da Vinci e Michelangelo, Bach e Mozart si può dire con certezza che nacquero geni. Bisogna capire che il principale tratto distintivo della personalità geniale in tutti i tempi è sempre stata la capacità di vedere più in profondità e più lontano degli altri, di scegliere tra un enorme numero di fatti e fenomeni i più importanti, creando su questa base una coerente visione del mondo. Non per nulla, quando uno dei discepoli di Confucio lo chiamò molto sapiente, il filosofo esclamò: «No, io lego solo tutto insieme, niente di più». Così, in conseguenza del ripensamento creativo del mondo esistente da parte di un genio, nasce qualcosa di nuovo e senza precedenti. Parlando di questo lavoro gigantesco, il pensatore italiano Niccolò Machiavelli sottolineava che «non c’è niente di più difficile che intraprendere qualcosa di nuovo, niente di più rischioso che indirizzare o di più incerto che capeggiare la creazione di un nuovo ordine di cose».

Concentrandosi sulla soluzione di problemi globali, i geni, trascinati dalla creazione, vivono non di rado in un loro particolare mondo lontano dai circostanti. Ecco perché le loro biografie spesso abbondano di fatti che testimoniano della loro mancanza di praticità, della loro distrazione, della loro particolare sensibilità e della loro mancanza di comprensione per le cose più semplici delle cose di tutti i giorni. Da qui le tante leggende che circondano ogni personalità geniale e i tentativi degli psicologi, a partire dal 17° secolo, di condurre un parallelo tra genialità e follia. Peraltro come uno degli argomenti da essi utilizzati sono serviti gli enunciati... degli stessi geni, in particolare le parole di Aristotele sul fatto che «non c’è stata ancora una sola grande mente senza un misto di pazzia». La scienza psicologica moderna ha confutato in modo convincente questo tipo di teorie. Ma qualunque siano stati i risultati dell’influenza delle personalità geniali, tutte queste, in un modo o nell’altro, hanno cambiato il mondo in cui viviamo.

Leonardo da Vinci fu uno di questi giganti — uno dei geni che tracciano la strada per il futuro di tutta l’umanità. Egli visse in un tempo, — continuò la lezione Marco, — in cui l’umanità sapeva disgraziatamente poco del mondo che la circondava. Qualche secolo separava quel periodo dallo sviluppo del turismo e a pochi allora poteva venire in mente di viaggiare per pura curiosità, infatti tali viaggi erano un affare estremamente rischioso e spesso anche un’occupazione mortalmente pericolosa per via della mancanza di trasporti adeguati e pure a causa del fatto che un forestiero andava prima liquidato, in primo luogo per la propria sicurezza, e poi ci si poteva anche interessare di chi fosse e di cosa facesse in paesi stranieri. Solo i mercanti, essendo coraggiosi e commercianti per natura, si azzardavano a viaggiare lontano a caccia di un solido profitto che faceva capolino. Perfino nelle carte geografiche serie di quei tempi si potevano vedere spesso le scritte «Qui vivono uomini dalle orecchie lunghe» o «Paese delle Scimmie». Alcuni luoghi sulle carte furono del tutto verginalmente vuoti fino al 19° secolo! L’America era appena stata scoperta, ma capitare là a quel tempo non era affatto più facile che ai nostri giorni volare sulla Luna. Ma nonostante l’apparente oscurità, tra le piazze insozzate d’Europa, sopra le viuzze strette e curve, dove si versava la sporcizia dalle finestre delle abitazioni, già s’innalzavano grandiose cattedrali. Per quanto riguarda le scienze, queste erano appena nate e ad uno scienziato si guardava come ad una stranezza esotica. Ogni persona istruita che aspirava alla conoscenza si occupava di tutto insieme: dalla matematica all’alchimia e dall’astrologia alla specializzazione in divinazione con la sfera di cristallo.

Ma nella memoria umana sono rimaste non le viuzze imbrattate e l’oscurantismo di quel tempo, ma le cose grandi: mosaici e sontuose statue, dipinti e libri, straordinari meccanismi e scoperte scientifiche che fanno esplodere il cervello. Leonardo da Vinci, essendo una persona universale, poté darsi da fare su una grande quantità di questioni e gli riuscirono tutte, tanto da colpire le menti dei contemporanei. Creò l’enigmatica Gioconda ed altri dipinti non meno stupefacenti, come ingegnere creò macchine da guerra, si occupò di idrotecnica, elaborò apparecchi volanti, per primo al mondo elaborò l’idea del paracadute e dell’elicottero.

— Forse era un alieno di altri mondi? — interruppe la lezione uno studente da un banco lontano.

— Leonardo da Vinci, piuttosto, restò bloccato in un intervallo tra i secoli per un guasto della macchina del tempo, — profferì del tutto seriamente una simpatica studentessa a sinistra di Marco.

— No, — scosse il capo Marco, — tutte queste numerose versioni sono state create da chi non è in grado di capire di cosa è capace la mente umana quando appartiene a una grande persona posseduta dalla creatività e dall’idea e con quale furiosa capacità lavorativa ed energia possano accendersi queste persone per il raggiungimento di un proprio come irraggiungibile scopo! — gli occhi di Marco ardevano di fuoco, — mezzo millennio fa le persone sia pure parzialmente paragonabili al livello di Leonardo avevano abbastanza arditezza per conoscere sul serio i segreti del nostro imperscrutabile mondo. Sentivano in sé le forze e questo gli dava il coraggio di darsi da fare decisamente per ogni questione — dalla progettazione di cattedrali e alla pittura di grandi dipinti fino alla creazione della catapulta, del carro armato e degli scafandri da sommozzatori. Davanti ai loro successi e alle loro scoperte dobbiamo rispettosamente chinare il capo, — concluse la lezione Marco, rafforzando la sua infiammata convinzione con un’eloquenza ciceroniana.

Verso sera, tornato a casa e posta a scaldare nel forno a microonde la pizza appena comprata, Marco cambiò il suo abito universitario in golf e jeans, ponendo attentamente l’abito nell’armadio a muro. Dopo essersi accuratamente lavato e asciugato le mani, andò in cucina. Il forno qualche minuto prima aveva già segnalato che la cena era pronta e Marco si versò un bicchiere di vino Chianti rosso e secco, prendendo il primo piccolo sorso.

— Ah, questo divino Chianti! — gustò Marco in solitudine. — Infatti un tempo era un comune vino a buon mercato in un canestrino di paglia, ma ora era diventato una bevanda semplicemente fenomenale per popolarità, compiendo una rivoluzione nella produzione di vini in tutta Italia. Proprio grazie a questo vino di uva di tipo Sangiovese — culto e orgoglio toscano — al mondo comparve l’interesse anche per gli altri vini italiani.

— Che tutti sappiano che in Toscana si fanno i vini di più alta qualità, — pronunciò questo con il pathos di un vero patriota e ad alta voce, come se lo sentissero.

Come al solito, di sera accese il televisore, che pareva potesse mostrare solo il canale televisivo di notizie 24 ore su 24 della corporazione radiotelevisiva di Stato Rai News 24. Ogni 30 minuti sul canale passava la rassegna delle ultime notizie, a cui seguiva una varietà quasi sempre non necessaria e non utile a tutti come la rassegna del traffico sulle strade, il tempo, le analisi, i reportage speciali e le rubriche tematiche.

Ecco, anche ora, per esempio, si riferiva che nella Firenze odierna si era accumulata una grande quantità di problemi e alcuni di essi, in particolare la questione dei flussi di migranti affluiti in Europa alla ricerca della dolce vita, creavano grattacapi al governo, rivelandosi difficili da risolvere. Oggi, si diceva nel reportage, presso l’edificio della prefettura sono avvenuti scontri tra un gruppo di profughi somali e i tutori dell’ordine. Circa 50 migranti richiedevano alle autorità locali di risolvere il problema delle abitazioni, originatosi dopo che, il giovedì precedente, era bruciato l’edificio dell’ex fabbrica in cui si erano sistemati. Allora era morta una persona. Alcuni partecipanti alla protesta avevano tentato di penetrare nella prefettura, tuttavia la polizia gli aveva bloccato la strada.

Nella seconda parte dello stesso reportage si diceva che un’altra parte, più intraprendente, dei migranti della stessa ondata di profughi affluita nella regione, tentando in qualche modo di sistemarsi la vita in un paese straniero, aveva preso a creare un proprio piccolo business. Fondamentalmente erano punti vendita di kebab e shawerma. Purtroppo i prodotti da loro lanciati erano estremamente lontani dalle norme igieniche, il che aveva portato a ripetuti casi di avvelenamento della popolazione locale, di regola dei giovani e della gioventù studentesca, ma anche di turisti sfaccendati. La reazione delle autorità non si era fatta attendere; la città aveva introdotto dure misure di controllo sanitario, chiudendo un punto commerciale dopo l’altro. La autorità avevano pure proibito ai proprietari di ristoranti e caffè che si trovano nel centro di Firenze e nei quartieri storici di avere nel menù meno del 70% di piatti locali. Le autorità locali ritengono giustamente che in una città che è oggetto mondiale di eredità storica tali attività non sono permissibili. Firenze, a loro parere, deve conservare le tradizioni e la propria cucina.

Il televisore funzionava, continuando la sua azione zombizzante, ma per Marco spesso creava semplicemente il fondo sonoro per un’altra attività. Egli aveva già imparato a cogliere solo l’informazione a lui necessaria, senza dare accesso ai suoi organi di senso a tutto il superfluo, che sporcava il cervello e faceva perdere tempo prezioso.

La pizza con cui si preparava ora a cenare si chiamava «Quattro Formaggi» o «Quattro stagioni», Marco non aveva comunque imparato a veder chiaro tra le diverse varietà di pizza. Ma questo era davvero importante, se sembra così appetitosa? Nella sua farcitura si univano con successo quattro tipi tradizionali di formaggio, Ricotta, Mozzarella, Gorgonzola e Parmigiano ed era divisa in quattro settori, ognuno dei quali significava una stagione. Primavera: carciofi e olive. Estate: peperone colorato. Autunno: formaggio Mozzarella e pomodori maturi. E Inverno: uova sode e funghi.

La pizza era fresca, sugosa e si scioglieva impercettibilmente in bocca. Stupitosi di come se ne era sbarazzato rapidamente, Marco prese per abitudine a lavorare sugli appunti per le lezioni del giorno dopo, secondo l’orario ne aveva alcune. «Ci sarebbe stato bisogno di svegliarsi prima oggi», — disse a sé stesso.

Finito con le carte, scorse con gli occhi la stampa mattutina e alla fine si ricordò delle lettere che oggi gli aveva consegnato il postino. La prima era di David, un vecchio amico e compagno di classe, che lo invitava a Roma al suo matrimonio. «Anche tu, Bruto», — ridacchiò Marco, sapendo che David ora lo avrebbe chiamato «l’ultimo dei Mohicani», in quanto, secondo le informazioni di Marco, oggi era l’unico della sua classe che ancora non aveva messo su una propria famiglia.

Infilò attentamente di nuovo la lettera nella busta e prese la seconda. E questo gli causò un interesse non falso. Un invito a una Conferenza a Londra! E su una tematica che occupava non solo una solida, ma piuttosto la più importante parte della sua attività scientifica, ma in lui risvegliava pure un inestinguibile interesse personale per una delle personalità indubbiamente più enigmatiche nella storia dell’umanità!

E così, cosa scrivono. Marco scorse rapidamente con gli occhi il foglio di carta dall’alto in basso. Una volta terminato, cominciò subito a leggere dall’inizio, come mettendosi a studiare il tema.

Destinatario: Dr. Marco Toscano,

Professore di Storia dell’Arte, Università di Firenze

Egregio Signor Toscano,

il Fondo Internazionale di Studi Storici La invita cortesemente a prendere parte alla Conferenza Scientifica Internazionale sul tema:

«Leonardo da Vinci e la sua eredità».

La dirigenza del Fondo Le sarebbe estremamente riconoscente, se Lei accettasse di intervenire con una Relazione conforme al tema della Conferenza.

Luogo di svolgimento della Conferenza: Museo di Vittoria e Alberto, Cromwell Road, Knightsbridge, Londra, SW7 2RL, Regno Unito

Data di svolgimento della Conferenza: 2 maggio 2019.

Inizio: 10:00.

Lingua ufficiale della Conferenza: inglese.

Ricezione dei materiali (non più tardi): entro il 15 aprile 2019.

Invio delle raccolte stampate agli autori: entro il 28 aprile 2019.

Tutti i materiali della Conferenza si troveranno in forma elettronica nel sito Web del Fondo.

Inserimento della versione elettronica della raccolta: entro il 22 aprile 2019.

I materiali della Conferenza saranno inviati a:

*British Library

*Biblioteca dell’Università di Cambridge

*Biblioteca Bodleiana di Oxford

*Biblioteca Nazionale di Scozia, Edimburgo

*Biblioteca Nazionale del Galles

*Biblioteca del Trinity College, Dublino

Ai partecipanti alla Conferenza sono garantiti tre pasti gratuiti. Caffè, tè e bevande rinfrescanti saranno offerte negli intervalli.

Ai partecipanti fuori sede sarà offerto il soggiorno gratuito nell’hotel Hilton London Metropole e il trasferimento dall’hotel al luogo di svolgimento della Conferenza e ritorno.

La preghiamo di confermare la Sua partecipazione alla Conferenza.

Con stima,

Dr. Patrick Horn, Direttore

Fondo Internazionale di Ricerche Storiche

Letta la lettera, Marco percepì una forte agitazione emotiva. Ogni volta che sentiva il nome del Grande Maestro, lo prendeva un sentimento simile. Ma stavolta era qualcosa di particolarmente forte. Avvertì il battito del proprio cuore e sentì un afflusso di sangue al volto e secchezza nella bocca. «Bisogna calmarsi e addormentarsi prima possibile», — si aggiustò Marco alla ricerca dalla salvezza da una spiacevole scomodità. Giunto al letto, si coricò, coprendosi di un lenzuolo leggero. Ma la sua coscienza era sovreccitata e invece di un sonno tranquillo ottenne non solo la prosecuzione ansiosa, ma pure il tempestoso sviluppo delle esperienze serali. Sognò... la morte. La morte di Leonardo da Vinci.

CAPITOLO 2

Al mattino presto, il 2 maggio 1519, nel castello di Clos sulla Loira, a mezz’ora di cammino di distanza dalla città di Amboise in Francia, così lontano dalla nativa Italia, circondato dai suoi capolavori, finiva di vivere le ultime ore a lui assegnate il pittore di Sua Maestà il re di Francia, il fiorentino Leonardo da Vinci. Per quattro anni il Grande Maestro aveva vissuto sotto la protezione del monarca Francesco I, riuscendo a portare a compimento una serie di sue vecchie invenzioni e ad elaborarne di nuove, tra cui anche il progetto di un palazzo ideale in una città ideale a due livelli con il nome di Piccola Roma.

La corte reale riservava grandissima attenzione al grande italiano. Il re di Francia apprezzava nella giusta misura la poliedricità della natura di Leonardo e chiese all’artista solo la possibilità di colloquiare con lui e godere della sua compagnia. Il re e tutta la corte lo imitavano in tutto e per piacere al Maestro presero pure ad utilizzare parole ed espressioni italiane nei loro colloqui. Proprio in Francia il Maestro dimenticò cosa fosse la necessità, ricevendo lo status di primo artista, architetto e ingegnere del re. Francesco I gli pagava un compenso di 700 scudi all’anno, manteneva il personale della sua servitù, pagava le necessità quotidiane e comprava i lavori dell’artista.

Ma nel terzo anno di vita in Francia il 67enne Leonardo cadde gravemente ammalato, adesso poteva muoversi senza aiuto esterno con difficoltà. Il 23 aprile 1519, sabato, quando il maestro già quasi non si alzava più dal letto, fu invitato un notaio. Il maestro gli riferì le sue ultime volontà, in cui scriveva:

«In segno di gratitudine per i servigi e la disposizione, il testatore dona a messer Francesco Melzi tutti e ciascuno dei libri che si trovano in sua (del testatore) proprietà e altre proprietà e disegni che hanno a che fare con la sua arte e le sue occupazioni in qualità di artista, come pure gli apparecchi scientifici, macchine, manoscritti e il resto del compenso che dovevo ricevere dal tesoro reale. Al servo Battista Villanis — le suppellettili domestiche nel castello di Clos e la vigna fuori dalle mura di Milano — all’ex allievo Salaì».

Non tagliò fuori dal testamento neanche i suoi fratelli per parte di padre, che gli avevano causato molte preoccupazioni con una prolungata lite per l’eredità del padre ser Piero da Vinci:

«Il testatore ordina e vuole che la somma di 400 fiorini sia data ai suoi fratelli di sangue in segno di perfetta riconciliazione insieme al profitto e al reddito che potessero aggiungersi ai 400 fiorini indicati nel periodo di custodia». Alla sua vecchia serva, la cuoca Maturina, lasciava «un fazzoletto di buon panno nero, un copricapo foderato di pelliccia, pure di panno e due ducati di denaro per il pluriennale e fedele servizio». Per quanto riguardava il rito del funerale, Leonardo chiese al notaio che lo seppellissero nella cappella della chiesa di Amboise, indicando Francesco Melzi come suo esecutore testamentario.

Nella stanza già da tempo era ospite la Morte, bramando l’ineluttabile trapasso e senza togliere il suo sguardo fisso dal morente, che giaceva ora indifeso davanti al volto dell’eternità, mentre la sua mano sinistra sosteneva la testa coperta di lunghi riccioli canuti, che incorniciavano con bellezza il suo nobile volto. Al mattino, quando si alzò un cupo sole e l’orizzonte prese a illuminarsi di un’aurora sanguigna vivida, cominciò l’agonia. C’era un silenzio mortale, senza considerare il triste canto degli uccelli alla finestra, e pareva che la natura stessa si affliggesse per il genio che stava lasciando il mondo. Accanto al giaciglio di Leonardo sedeva il più devoto dei suoi discepoli, Francesco Melzi, tenendo nelle sue mani la mano destra paralizzata del Grande Maestro. I suoi occhi erano pieni di lacrime, ma il sentimento di riconciliazione con l’inevitabile lo rendeva sobrio e gli dava forze per accogliere la Morte del Genio in tutta la sua triste grandezza.

Non lontano sedevano due monaci: un francescano e un domenicano. Erano stati invitati per l’esecuzione dei loro obblighi tradizionali, che consistevano nel trovarsi permanentemente presso il giaciglio del morente allo scopo di facilitare il viaggio della sua anima da questo mondo a quello ultraterreno. Stanchi dell’ozio e degli sbadigli, intrapresero la loro eterna disputa:

— Non trovi qui, fratello mio, delle analogie con la morte del fondatore del nostro ordine, san Francesco di Assisi? — chiese al monaco domenicano, chinandosi verso il suo orecchio unto. — Si ricorda negli scritti, che il santo fu cantato da allodole canterine ancor prima del canto funebre in chiesa. Ecco che pure ora danno voce gli uccelli,

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