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Traindogs - 365 storie di uomini e di donne
Traindogs - 365 storie di uomini e di donne
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E-book393 pagine3 ore

Traindogs - 365 storie di uomini e di donne

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Info su questo ebook

Questo libro non si legge come tutti gli altri. Questo libro si apre a caso. E si legge la storia che c'è. Poi si richiude e si riapre su un'altra. Tanto sono tutte lunghe uguali. E sono tutte storie di uomini e di donne. Di quello che sono. Di quello che non sono. Di quello che la vita, o il caso, li ha portati a essere. Ecco perché questo libro si apre a caso. Perché è un po' come la vita.” (dalla prefazione). Traindogs è un progetto editoriale di Fabio Palombo nato nel 2010 sul web, che ha prodotto la scrittura di 558 brevi racconti. Traindogs, nel corso degli anni, è diventato uno spettacolo di racconti e musica che ha girato l'Italia; è diventato mostre e video. In molte occasioni, i Traindogs sono stati fatti propri e divulgati dai suoi stessi lettori, nei contesti più diversi: dai teatri alle scuole, dai circoli letterari alle comunità. A scopo ricreativo, didattico e, qualche volta, terapeutico. I Traindogs sono stati definiti racconti universali, spaccati di vita, fotografie della condizione umana, storie comuni nelle quali leggersi e riconoscersi. Questa è la terza raccolta, la più completa. Quella definitiva.
LinguaItaliano
Data di uscita3 feb 2021
ISBN9791220319423
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    Traindogs - 365 storie di uomini e di donne - Fabio Palombo

    treno.

    433.

    A CHI CREDE NEL SUO PEZZO DI CIELO

    Queste undici righe sono dedicate a chi crede nel suo pezzo di cielo. A chi non vuole abbassare la testa, perché se guardi in terra, non vedi tutto il resto. E in quel tutto il resto, c'è tutto ciò che potrai essere. A chi non si è mai arreso, perché se alzi le mani, ti possono colpire dove vogliono. In viso, sul corpo, ma soprattutto dentro. A chi si emoziona ancora, perché un uomo senza le sue emozioni è come una terra senza vento. Che muore lentamente, perché è il vento che porta la vita. A chi non ha mai smesso di giocare, perché solamente chi gioca impara a perdere. E nessuna sconfitta potrà mai sconfiggerlo, perché sa che c'è sempre una rivincita. A chi pensa che i sogni facciano parte della realtà, una parte che all'inizio può essere invisibile, ma che un giorno potrà arrivare a vedere, oltre quell'orizzonte. A chi crede che il suo pezzo di cielo sia com'è tutto il cielo. Infinito.

    492.

    A CHI NON È CAPITATO

    Mi è capitato, a chi non è capitato, di fermarmi un giorno in mezzo alla mia vita e toccarmi le tasche, come se avessi perso qualcosa lungo la strada. Mi è capitato, a chi non è capitato, di cercare una risposta nel cielo di notte, come se il cielo potesse dirci cose che noi non sappiamo. Mi è capitato, a chi non è capitato, di alzarmi in punta di piedi per vedere cosa ci fosse al di là, come se quei pochi centimetri in più potessero superare la curvatura del tempo, o della terra. Mi è capitato, a chi non è capitato, di guardarmi nel riflesso di un vetro e alzare una mano, e poi l'altra, per vedere se fossi proprio io. E anche dopo, rimanere col dubbio. Mi è capitato, a chi non è capitato, di chiudere gli occhi come i bambini, quando c'è qualcosa che gli fa paura e allora sperano che basti questo per non farlo esistere. Mi è capitato di essere solo un uomo. A chi non è capitato.

    118.

    A QUEST’ORA C’È SILENZIO

    A quest’ora c’è silenzio. Un silenzio che mette distanza tra te e il resto del mondo. C’è un parco di fronte a casa mia. Sento gli uccellini, persino adesso, di novembre. A quest’ora le cose le vedi da un’altra prospettiva, come la Terra dalla Luna. Tra un po’ verranno a riempire il distributore del latte, lo fanno ogni mattina. A quest’ora è come essere in riva al mare, quando tocchi l’acqua con un piede. Ecco una macchina: la senti che si avvicina, passa, la senti che si allontana. A quest’ora sai già cosa succederà ma non sai ancora come, ne hai solo un’idea. Sono arrivati quelli del latte, a minuti passeranno a raccogliere le foglie, lo so. A quest’ora ti sembra impossibile che tra poco ci sarai dentro, come tutti gli altri. Passano più macchine, raccolgono le foglie, ormai manca poco, qui ho quasi finito. A quest’ora non sei ancora pronto. E sei lì che ti chiedi se lo sarai mai.

    383.

    A TUTTE LE DONNE

    Questo Traindogs è dedicato alle donne. A tutte le donne. Alle donne che faticano. A quelle che, qualche volta, non vorrebbero più esserlo. Perché è difficile. È sempre difficile. Alle donne che si guardano allo specchio e non si riconoscono. Alle donne che guardano le fotografie. Alle donne che sono madri, e mogli. E per ultimo, solo per ultimo, donne. Alle donne che portano i segni della vita. Addosso. E dentro. Alle donne che un giorno hanno preso quello che avevano, che il più delle volte era poco o niente, e sono andate via. A tutte quelle, e sono tante, che invece stanno in silenzio, perché le parole a che servono quando a nessuno importa quello che dici. Questo Traindogs è dedicato alle donne. A tutte le donne. Alle donne che lottano. Alle donne che hanno messo da parte i sogni che avevano. E ne hanno sognati altri. E ogni giorno, scavano nel cielo a mani nude.

    291.

    A UN ANGOLO DELLA VITA

    Era una donna qualunque, una donna come ce ne sono tante, una che se la incroci per strada non te ne accorgi neanche, una che faceva la sua vita e aveva una borsa piena di sogni, e quando saliva in metrò la teneva stretta al petto, perché se ti rubano i sogni che cosa ti rimane e con quel che ti rimane ci sopravvivi e basta. Era un uomo qualunque, un uomo come ce ne sono tanti, uno che quando cammina guarda sempre non si sa dove, uno che aveva un avvenire dietro le spalle e davanti a sé una lunga fila di giorni tutti uguali, fatti di risvegli, di treni, di ufficio, di una buona bottiglia di vino, di un libro sul comodino, di sogni che non si ricordano mai. Erano così come ce ne sono tanti, un uomo e una donna, così come li vediamo, e ne vediamo ogni giorno migliaia, e per quanto ci sforziamo, non ce ne ricordiamo uno. Erano un uomo e una donna. Che s'incontrarono un giorno, a un angolo della vita.

    249.

    ABBIAMO AVUTO

    Abbiamo avuto anni dove non si è vista una goccia di pioggia neanche a pregarla. Abbiamo avuto quaranta giorni e quaranta notti dove non ha smesso un momento. Abbiamo avuto quasi niente da sognare ed eravamo con gli occhi appesi al soffitto. Abbiamo avuto sogni che sono durati mesi, poi ci siamo svegliati, eravamo sudati. Abbiamo avuto un giorno dove tutto è ricominciato e un altro dove è finito ancora. Abbiamo avuto giorni tutti uguali e tutti in fila, come prigionieri della nostra vita. Abbiamo avuto vino da bere, buono e no, ce lo siamo bevuto, l’abbiamo vomitato. Abbiamo avuto freddo una notte d’estate e battevamo i denti e ci davamo schiaffi. Abbiamo avuto così tanto tempo per cercare che alla fine non sapevamo più cosa. Abbiamo avuto due occhi che ci hanno guardato come se fossimo l’unica ragione. E a quegli occhi abbiamo creduto.

    303.

    ABBIAMO TOCCATO UNA NUVOLA

    Certo che non siamo uccelli. Certo che noi non voliamo. Certo che quella volta però ci siamo andati vicini. Era quasi estate. Tu mi hai svegliato e mi hai detto andiamo. Abbiamo preso tutto. Sogni, speranze, e tutte quelle cose che non hanno peso, ma servono a sollevarti da terra. Come la voglia di ridere. O di guardare solo il lato buono, come si fa con la luna. Siamo partiti che aveva appena fatto giorno. Due uomini senza bagaglio. Abbiamo camminato per ore. Il cuore nelle gambe. Tu mi dicevi che stavolta ce l’avremmo fatta, che avevi capito come, che era solo una questione di rincorsa, dell’ultimo passo. Mi facevi l’esempio dei saltatori in lungo. E il resto sarebbe stato facile. Bastava non ricadere a terra. Siamo arrivati che era quasi sera, c’era ancora una bella luce, una di quelle che accarezzano i pensieri. Sei partito tu, per primo. Io, subito dopo. Abbiamo toccato una nuvola.

    186.

    ABRACADABRA

    Abracadabra. E tutto cambia. Tutto si trasforma. Sparisce quello che deve sparire. Appare quello che vuoi che appaia. Abracadabra. Come i bambini che chiudono forte gli occhi. E contano fino a tre. E in quei tre secondi tutto sembra possibile. Che si possa volare. Che si possano avere i giochi che si vuole. E i dolci più buoni. Che si possa essere principi, re, cavalieri, esploratori. O imperatori delle stelle. Che papà entri da quella porta, ti prenda per le mani e ti faccia girare la testa. Abracadabra. Chiudi gli occhi e conta fino a tre. Uno, per allontanare le cose brutte. Due, per desiderare le cose belle. Tre, per pregare che funzioni. Abracadabra. Che ci siano tanti fiori. E un bel sole che scaldi. E acqua fresca di fonte. Che ci siano sogni. E sorrisi. E calore. Abracadabra e uno. Abracadabra e due. Due e mezzo. Tre. Che smetta di far male.

    264.

    ACQUA DI ONDA

    Era acqua di onda, leggera, profonda. Era schiuma di sole, era goccia di sale. Era un gioco di vento che gira a maestrale. Era vita presa per la vita. E sollevata da terra, senza peso. Era una bandiera che sbatte, un legno percosso, uno strappo improvviso. Era rumore di risacca, quando i sassi parlano tra loro. E chissà cosa si dicono. E gridano, e si rincorrono, come bambini che vedono il mare la prima volta. La notte cambiava, come cambia la notte dal giorno. Era vuoto, dove prima era pieno. Era cristallo di luna, fragile sogno. Era il bianco del buio, il nero della luce. Era un respiro di vento. Era l’eco del silenzio. Era il riflesso di una stella, appena nata, una muta esplosione. Era un battito di cuore, mai più d’uno, uno alla volta. Era la ragazza più bella che si fosse mai vista. Viveva in una casa in riva al mare. La presero in molti, ma non l’ebbe mai nessuno.

    511.

    ADDOSSO AVEVA ANCORA IL SUO ODORE

    Addosso aveva ancora il suo odore. Addosso aveva ancora le sue carezze, il ricordo delle sue dita. Addosso aveva ancora le sue labbra, e le impronte che le avevano lasciato dentro. Addosso aveva ancora il suono della sua voce, la sua risata, le sue parole all'orecchio, i suoi silenzi. Addosso aveva ancora il suo respiro, a refoli caldi, come in un pomeriggio d'estate. Addosso aveva ancora il suo sorriso, leggero e sorpreso, come quello di un bambino. Addosso aveva ancora i suoi occhi, che non l'avevano mai lasciata, neanche quando si erano chiusi. Addosso aveva ancora ogni secondo di quelle ore, da quando si erano conosciuti, all'inizio di quella sera, e poi riconosciuti, come se avessero solo perso memoria di loro. Addosso aveva ancora la bellezza, come una seconda pelle. Non sapeva quello che sarebbe stato. Ma quello che era stato, non era mai stato così.

    286.

    AGGRAPPIAMOCI

    Aggrappiamoci. Fino a farci diventare le nocche bianche e i tendini del braccio così tesi che sembrano spezzarsi. Aggrappiamoci a una promessa, qualunque essa sia. Aggrappiamoci ai ricordi, che è come aggrapparsi al vetro. Aggrappiamoci a un corso di ballo latino, due volte alla settimana. Aggrappiamoci al prossimo ponte, con tutt’e due le mani, i piedi nel vuoto. Aggrappiamoci a un film, dentro il buio di un cinema, che se piangiamo nessuno ci vede. Aggrappiamoci agli amici, anche a quelli che non abbiamo mai visto. Aggrappiamoci al cuscino, quando sogniamo di volare via. Aggrappiamoci ai figli, fino al giorno in cui ci scrolleranno di dosso. Aggrappiamoci a un bacio, come se sulle labbra ci fossero delle ventose. Aggrappiamoci a una bella storia, facendo finta che l’abbiano scritta solo per noi. Aggrappiamoci alla vita, che è l’unica che abbiamo.

    213.

    AGNESE

    Era domenica, la prima domenica di maggio, quando la gente sta in piazza fino all’ora di pranzo, a scaldarsi di chiacchiere e di sole, e i bambini corrono intorno con i loro vestiti belli. Era domenica mattina, quando c’è ancora tutta la domenica davanti, che sembra quasi una vacanza, e nessuno crede che finirà alla sera. Lei lavorava al bar, faceva i caffè, aveva trent’anni, era bella e si chiamava Agnese. Tutti le volevano bene, perché Agnese aveva un sorriso per tutti. Quand'è che ti sposi, Agnese? Ci vuole quello giusto. Un macchiato caldo e per me un ristretto. Verso le undici, era da poco finita la messa, Agnese si fece dare il cambio, andò nel retro e uscì dalla porta che dava sul cortile. Lo attraversò quasi di corsa, salì in casa e prese la valigia. Guardò la sua stanza, sapendo che non l’avrebbe più vista. Lei l’aspettava in macchina.

    362.

    AL BUIO SUCCEDONO COSE CHE NON SI VEDONO

    Il sole quella sera non tramontava mai, come spesso succede, nelle sere di giugno. Era come non si fidasse a lasciare il mondo al buio, perché al buio succedono cose che non si vedono, e non sono tutte belle, e il giorno dopo è già troppo tardi. E le stelle non bastano. Per quante possano essere, le stelle non bastano mai. Le stelle sono troppo lontane, alcune sono già morte, oppure hanno altri pianeti di loro competenza. Pianeti dove il buio non può far paura a nessuno, perché non c’è nessuno a cui far paura. Qui sulla Terra, invece, è diverso. Qui sulla Terra, del buio, abbiamo tutti paura. Non solo i bambini, i bambini lo dicono, è questa la differenza. Emma diceva di non aver paura del buio. Aveva diciott’anni e quella sera se n’era andata di casa. Aveva aspettato che tutti andassero a dormire, anche il sole. La ritrovarono nel parco. Perché al buio succedono cose che non si vedono.

    330.

    AL DI LÀ DELLE NOSTRE PAROLE

    Al di là delle nostre parole, che non sono mai quelle che vorremmo dire, e allora ne diciamo altre, oppure ce ne stiamo zitti, cercando quelle giuste e non trovandole quasi mai. Al di là delle nostre intenzioni, buone o cattive che siano, che restano tali per mesi, per anni, finché una mattina apriamo gli occhi e non ce ne ricordiamo più. Al di là delle nostre emozioni, che ci colgono di sorpresa, oppure non ci colgono affatto, abituati come siamo a prenderne le distanze e non farci mai raggiungere, e ogni tanto ci guardiamo alle spalle. Al di là delle nostre paure, di quelle che conosciamo e di quelle che non ne sappiamo il nome, ma ci svegliano in piena notte e ci saltano sul petto. Al di là delle nostre sconfitte, che ormai non ci facciamo più caso, e a un certo punto non fanno neanche più male, perché ci si abitua a tutto. Al di là di tutto e di tanto altro ancora, c’è questo sole, che anche stamani è sorto.

    467.

    AL MIO TRE

    Al mio tre, ti sveglierai con il sorriso sulle labbra, nessun peso sulle spalle, o in mezzo al cuore, come quando eri bambina, che ogni giorno era nuovo e anche tu lo eri. Al mio tre, tutti questi segni scompariranno, quelli fuori, che ci mettono un po' a rimarginarsi, e quelli dentro, che non lo fanno mai bene, e mai del tutto. Al mio tre, ti ricorderai di quando hai amato, e amerai ognuno di quei ricordi, e tutto quello che ogni volta è avvenuto dopo, sarà come non fosse mai avvenuto. Al mio tre, imparerai a dare importanza alle cose per quello che sono, e di molte ti dimenticherai l'esistenza, e ne rimarranno poche, perché le cose sono solo cose. Al mio tre, nessuno ti farà più del male, neanche quelli a cui vuoi più bene, che è il male peggiore, perché non sei mai pronto a difenderti. Al tuo tre, ti perdonerai per tutto quello che non sei. Che è la cosa più difficile. Io non posso farci niente.

    386.

    ALCUNE IMPERCETTIBILI DIFFERENZE

    Le nuvole sono solo masse d'aria. E acqua appesa al cielo. Anche il mare, in fondo, è solo acqua. Certo, un mare d'acqua, ma è pur sempre acqua. Acqua salata, che non è buona neanche per bere. Il tramonto è solo un fenomeno di rifrazione, dovuto all'angolazione del sole rispetto alla terra. E al variare della lunghezza d'onda della luce. La luna, poi, è solo terra morta. Che non diventa viva perché è illuminata. Tu sei solo una persona. Una delle tante. Una che se la vedi tra le altre, non la vedi neanche. Una che non è la più di niente. Una che vive la vita che è la vita di tutti. Queste vite che sembrano tutte uguali, salvo alcune impercettibili differenze. Ma sono queste impercettibili differenze che fanno della tua vita, una vita di cui voglio far parte. Perché tu non sei solo una persona. Come il mare non è solo acqua. E la luna, non è vero che è terra morta. È viva, quando la guardiamo insieme.

    175.

    ALL’IMPROVVISO ESCE IL SOLE

    All’improvviso esce il sole. Ma non è il sole di ieri, o del giorno prima, o quello della settimana scorsa, che già ti sembrava un bel sole. Un sole così non c’era più da mesi. Ti aspetta dietro un albero, un angolo di casa, una curva a gomito, una nuvola bianca. Oppure fuori dalla finestra, quando apri le persiane e ti ributta all’indietro. All’improvviso esce e ti colpisce. Come un ritorno di fiamma. Come un ricordo che avevi dimenticato. Come una bella notizia che avevi smesso di aspettare. Come tuo figlio quando ti corre incontro e ti abbraccia al collo. Come un bagno caldo, un complimento inatteso, un bacio sulla nuca, un bicchiere di vino buono. Come lasciarsi fare l’amore. Come una promozione. No, come molto di più. All’improvviso esce il sole. E tutto quel freddo, quel buio, quella paura si sciolgono in sudore. E tu vorresti che fosse così per sempre.

    465.

    ALTROVE

    È iniziato tutto su un treno. Perché in ogni storia c'è un treno. Se non c'è, c'è stato. O ci sarà. E non importa che non prendiate mai il treno. Perché, prima o poi, sarà il treno a prendere voi. E a portarvi dove volete. Oppure non volete, ma qualche volta non siete voi a scegliere. Ci sono treni senza rotaie, carrozze, scompartimenti. Tanto che non sembrano treni. Però succede che, da un giorno all'altro, vi ritrovate altrove. Anche solo con i pensieri. E in quell'altrove, ci siete pur arrivati. Ecco, questi sono i treni di cui parlo. Quelli che quasi non te ne accorgi, ma sei già via. E non c'è bisogno che ci sia un motivo valido perché succeda. Succede e basta. Sei lì che vivi la tua vita. Ci sei dentro. Ne sei circondato. E il giorno dopo, è come se la guardassi da un finestrino. E non importa che ci sia, o non ci sia, un treno. Perché, in ogni caso, sei già via.

    188.

    ALZIAMOCI IN PIEDI

    Alziamoci in piedi. Togliamoci di dosso tutta questa stanchezza. La stanchezza che c’è negli sguardi. Nei gesti. Nelle parole. Nel tirare avanti, tutto quello che c’è da tirare. Fanno male le spalle. I muscoli della schiena. Le gambe. Fanno male i giorni sempre uguali. Fanno male le solite facce. Le solite cose. Le solite battute. Fa male questa sceneggiatura. Fa male aspettare. Che cosa. Fa male, fa molto più male, non aspettare più. Fa male qualcosa dentro. Qualcosa che non sappiamo. Fa male tutta questa stanchezza. La stanchezza che ci portiamo dietro. La stanchezza che nascondiamo dietro un sorriso. Perché ci hanno insegnato che bisogna essere forti. Non è vero. Non lo siamo. Non lo siamo

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