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Suor Monika. Il romanzo proibito
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E-book142 pagine2 ore

Suor Monika. Il romanzo proibito

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Il romanzo proibito

Introduzione di Riccardo Reim

Questo trasgressivo romanzo erotico fu veramente scritto da Hoffmann, forse il più moderno e inquietante tra gli scrittori del Romanticismo, cui si deve, tra gli altri, il capolavoro Gli Elisir del Diavolo? È una domanda che resterà senza risposta, probabilmente. Ma, in ogni caso, è molto hoffmanniana la giovinetta protagonista del racconto, che attraversa imperturbabile, come una vittima predestinata, le più disparate e morbose esperienze sessuali. Suor Monika conserva inalterato il suo profilo di fredda sacerdotessa dell’Eros, di cui pure celebra, con encomiabile slancio, i riti perversi. Curiosamente, il personaggio della protagonista – inerme vittima esposta a violenze, sopraffazioni e sevizie eseguite con rituali del tutto impersonali e anonimi – si associa a quelle figure bidimensionali di sante (descritte quasi sempre come «giovanissime» e immancabilmente «purissime») di cui si elencano le interminabili tribolazioni a opera di feroci persecutori. La stessa Monika, del resto (come pure la Justine di Sade), si paragona a una martire: la martire di un piacere perverso.


E.T.A. Hoffmann
Ernst Theodor Amadeus Hoffmann (1776-1822) fu giurista, scrittore e compositore (nel 1812 cambiò il suo terzo nome, Wilhelm, con quello di Amadeus in onore di Mozart, suo modello). Autore di numerosi racconti e romanzi (tra i quali Racconti notturni e Gli Elisir del Diavolo), fu una delle principali figure del Romanticismo tedesco.
LinguaItaliano
Data di uscita16 dic 2013
ISBN9788854157323
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    Anteprima del libro

    Suor Monika. Il romanzo proibito - E.T.A. Hoffmann

    Titolo originale: Schwester Monika, traduzione di Marco Rossetti.

    Suor Monika e gli elisir di Hoffmann

    Nel 1910, presso l’editore Rudolf Ludwig di Vienna si pubblica con grande scalpore la riedizione (molto accurata) di un’opera erotica fino a quel momento presa in scarsa considerazione, Schwester Monika, data alle stampe nel 1815 presso la casa editrice «Kos und Loretto» (probabile sigla pseudonima dell’editore Kühn, specializzato in pubblicazioni erotico-pornografiche) con il lungo titolo di gusto prettamente settecentesco Schwester Monika, erzhält und erfhärt. Eine erotisch-psysisch-psychisch-philantropisch-philantroipinische Urkunde des säkularisierten Klosters X in S, ovvero Suor Monika, esperienze e racconti. Un documento erotico-fisico-psichico-filantropico-filantropinico del convento laicizzato di X a S. A suscitare tanta attenzione è essenzialmente lo scritto introduttivo dell’autorevole curatore, Gustav Gugitz, il quale sostiene «con grande acutezza e intelligenza»¹ che il breve romanzo incompiuto sarebbe da attribuire addirittura alla penna di E.T.A. Hoffmann. Le ragioni addotte da Gugitz sono assai plausibili: la pubblicazione del romanzo a Posen, città dove Hoffmann prestava servizio presso il tribunale; l’ossessione della distruttiva perversione erotica, affrontata (ma con quale altra chiarezza e sintetica genialità!…) negli Elisir del diavolo (Die Elixiere des Teufels); il fatto che in quel momento lo scrittore, afflitto da pressanti problemi finanziari, potesse acconsentire a scrivere lavori per mere esigenze di lucro… Quest’ultima ipotesi, fra l’altro, viene rafforzata da un’affermazione di François-Joseph Fétis, il quale nella sua monumentale Biographie universelle des musiciens² sostiene che Hoffmann, durante i primi anni della sua attività di direttore d’orchestra, si sarebbe dedicato – per necessità ma anche per diletto – alla stesura di romanzi galanti e licenziosi: una delle tante congetture che trovano giustificazione nel voler scandagliare «l’oscura preistoria dell’attività letteraria hoffmanniana, prodigiosamente concentrata nel giro degli ultimi dodici o tredici anni di vita dello scrittore»³. È infatti tra il 1809, anno in cui scrive il primo racconto, Ritter Gluck (Il cavaliere Gluck) e il 1822, anno della morte, che Hoffmann partorisce sei romanzi e tre raccolte di racconti, nonché varie novelle sparse, alcune opere musicali, numerosi articoli di critica, oltre a essere regista teatrale, coreografo, direttore d’orchestra, disegnatore…: tutto questo svolgendo la sua professione di magistrato (aveva studiato diritto all’università di Königsberg) e «bruciando la sua vita in amori tumultuosi, serate d’amicizia e di baldoria, scherzi grotteschi e coraggioso impegno civile, sia nell’entusiasmo delle guerre di liberazione contro il dominio napoleonico sia nella resistenza all’oppressivo oscurantismo della restaurazione»⁴.

    Personaggio leggendario, stupefacente, indecifrabile, proteiforme, dal fascino sulfureo, spesso identificato con i bizzarri e diabolici protagonisti dei suoi racconti, «Hoffmann le fantastique»potrebbe dunque essere l’autore di un romanzo clandestino (incompiuto, per di più: altro elemento curioso!…) come Schwester Monika? Sicuramente sì, ma purtroppo (e lo afferma senza mezzi termini Paul Englisch) «il romanzo stesso dimostra subito che Hoffmann non può esserne l’autore», giudizio condiviso – indubbiamente a ragione – da studiosi come Hans von Mûller, Karl Georg Massen, Johann Cerny, Sarane Alexandrian e più recentemente Claudio Magris, il quale osserva:

    L’indagine sulla paternità di Suor Monika, condotta con scrupolosa puntualità da Gugitz, non approda né può approdare – nonostante l’autorevole convinzione di quest’ultimo – (…) ad alcun risultato definitivo, almeno finché non emergerà qualche nuova prova materiale inoppugnabile. Troppi elementi contrastanti si controbilanciano: il livello scadente del testo mal si concilia con le qualità stilistiche dimostrate da Hoffmann anche nelle sue opere minori⁷.

    In effetti, la scrittura di Schwester Monika è spesso puerilmente stravagante ed erudita, finendo per risultare di faticosa lettura, oscura e confusa. Ancora Paul Englisch, dopo aver rilevato (come quasi tutti prima e dopo di lui) che «in questo scritto sotadico non vi è traccia delle caratteristiche stilistiche di Hoffmann», liquida quasi infastidito la faccenda affermando che in tutto il romanzo «si cercherebbe inutilmente uno spunto degno di nota»…. È davvero così? Si direbbe quasi che la tanto prestigiosa paternità così pertinacemente (fino a una sorta di cieca faziosità) sostenuta da Gugitz abbia finito per nuocere a quest’opera di certo non eccelsa ma neppure totalmente sfornita di pregi, che se nella struttura narrativa volutamente disorganica e slegata sembra richiamarsi alla letteratura libertina fiorita in Germania verso la metà del

    XVIII

    secolo, tuttavia con il suo bagaglio romantico di misticismo cosmico-erotico (dove, ahimè, non manca un bel po’ di chincaglieria) così come nel piglio grottesco e dissacratorio di certe scene rimanda immediatamente al gusto di Hoffmann…

    Schwester Monika è una storia di erotismi crudeli reiteratamente praticati con l’indifferente ossessività di un malato esprit de géométrie: l’inesausta serie di violenze, sopraffazioni e sevizie viene eseguita con rituali e meccanismi del tutto impersonali e anonimi, dove l’«io» (come in Sade, ma con una curiosa venatura romantica) sembra dissolversi. Individualità, coscienza, struttura dell’io, semplicemente non ci sono: in Schwester Monika «ogni figura è fungibile e intercambiabile, perché non è un soggetto individuale di cui vengono predicate alcune qualità o raccontate alcune vicende, bensì un provvisorio conglomerato di dettagli fisici e pulsionali che non si lasciano ricondurre all’unità di un soggetto». Questo ci fa curiosamente associare il personaggio di Monika – inerme vittima esposta alle violenze del mondo – a quelle figure bidimensionali di santi, o meglio, di sante (descritte quasi sempre come «giovanissime» e immancabilmente «purissime») di cui nelle «vite» devozionali (prima fra tutte la Legenda aurea di Jacopo da Varagine)¹⁰ si elencano schematicamente le interminabili tribolazioni a opera di feroci persecutori. La stessa Monika, del resto (come pure Justine), si paragona a una martire. Ed è (guarda caso) proprio una fanciulla atrocemente tormentata da un diabolico nemico-amante anche la protagonista di The Monk, il terrificante capolavoro di Matthew G. Lewis¹¹ che servirà da modello a Hoffmann per Gli elisir del diavolo

    RICCARDO REIM

    1 Paul Englisch, L’eros nella letteratura, Milano 1967.

    2 Pubblicata dal 1860 al 1865, in otto volumi.

    3 Claudio Magris, L’altro elisir del diavolo, introduzione a E.T.A. Hoffmann (attribuito a) Suor Monika, Milano 1979.

    4 Vedi nota 3.

    5 La definizione è dello scrittore Jean Mistler.

    6 Vedi nota 1.

    7 Vedi nota 3.

    8 Vedi nota 1.

    9 Vedi nota 3.

    10 La Legenda aurea di Jacopo da Varagine è la più popolare raccolta di vite esemplari di santi che si conosca: iniziata negli anni sessanta del

    XIII

    secolo, vanne ampliata e rielaborata dall’autore fino alla morte, avvenuta nel 1298. Il libro, originariamente scritto in latino, ha conosciuto decine e decine di versioni volgarizzate diffuse per secoli in tutta Europa.

    11 Il romanzo di Lewis è del 1794.

    Parte prima

    CONCEDO VOLUNTATEM

    !

    Questa baldracca è uno dei corrieri di Cupido… Forziamo le vele…

    Diamole la caccia!… Ai vostri pezzi!… Fuoco!

    W. Shakespeare, Le Allegre Comari di Windsor

    Suor Monika racconta alle sue amiche riunite, fra le quali suor Annunciate Veronica, un tempo contessa di R…, la vita di sua madre Louise e di suo padre.

    Poche di voi, mie care sorelle, sanno qualcosa della mia famiglia; ma tutti quelli che combatterono con Laudon la guerra dei Sette anni, infliggendo numerose sconfitte al grande Federico, ben conoscono mio padre.

    Non lontano da Troppau, in una delle più affascinanti contrade dell’Oppa, in una nobile e appartata residenza adatta a una vedova, lì dove sua madre aveva conosciuto gran parte del mondo e dei suoi piaceri trasmettendovi la sua vivacità, mia madre trascorse i primi anni della sua adolescenza colma di quella calda sensazione della vita che se non sempre inizia con il coeur palpite! generalmente finisce con un haussez les mains!

    Mia nonna, in quella solitudine in cui non aveva portato che il suo amore, si consacrava completamente all’educazione della piccola Louise.

    La piccola Louise era per l’appunto mia madre: venne allevata ed educata senza pregiudizi, e visse nello stesso modo. Alle più seducenti attrattive fisiche univa una grazia senza pari, una cordialità senza remore e senza ipocrisia.

    Il cappellano Wohlgemuth, detto fratello Gerhard, molto caro a mia nonna, aveva ricevuto l’incarico di educare quel giovane fiore.

    Era un bell’uomo sulla trentina, e la sua incantevole alunna, nella solitudine notturna del suo letto, giaceva in preda alla più grande pena del mondo nel tentativo di placare con le dita gli ardori ridestati nel suo essere ancora acerbo dal persuasivo fascino del maestro.

    La nonna assisteva abitualmente alle lezioni e la sua vivacità di spirito animava spesso la conversazione aridamente ascetica e rigorosamente scientifica del cappellano.

    Louise era di continuo distratta: i suoi sguardi, che avrebbero dovuto restare fissi sui libri, nove volte su dieci si soffermavano invece sulle belle mani e sulle ammirevoli gambe di fratello Gerhard.

    «Voi non state attenta, Louise», le disse un giorno il cappellano con severità. Louise arrossì e abbassò gli occhi.

    «Louise, che condotta è mai questa?», intervenne la nonna; ma. Louise, sempre più distratta, se la cavò rispondendo a vanvera a tali domande.

    «Qual è il nome di quel santo che predicava ai pesci?», le chiese padre Gerhard, ma Louise non lo ricordava più. «E come si chiama il cavaliere che sperimentò dinanzi a Cromwell la potenza della macchina pneumatica?», la interrogò a sua volta la nonna. Louise aveva dimenticato anche questo…

    «Aspetta! Adesso ti rinfrescherò io la memoria», proseguì la nonna alzandosi e impadronendosi di una grossa verga.

    A tale vista Louise cominciò a piagnucolare implorando perdono, ma non servì a nulla. Sua madre la trascinò sul tavolo, le alzò la gonna e la camicia, e sotto gli occhi lucidi di fratello Gerhard, fustigò così violentemente le natiche che tutta la mnemotecnica degli Antichi rimase impressa su quelle tenere carni.

    Fratello Gerhard volle intercedere in favore della povera bambina, e quel giorno concluse la sua lezione facendo osservare che «le punizioni inflitte ai fanciulli devono sempre insegnare qualcosa anche agli adulti».

    Così dicendo, si alzò e, ancora eccitato dalla vista di quelle fiorenti natiche, infilò una mano sotto le più ampie gonne della madre di Louise.

    «Si vergogni, Gerhard!», disse la madre ordinando al tempo stesso a Louise di recarsi in giardino.«Spero che non vogliate giudicarmi maleducata come la nostra Louise».

    «No di certo», rispose Gerhard mentre Louise, fermatasi dietro la porta, si asciugava le gote inumidite dalle lacrime spiando dal buco della serratura, «ma, signora, ecco, sapete bene… come i vecchi gorgheggiano, così cinguettano i giovani, e di conseguenza…».

    E senza attendere risposta dalla lasciva interlocutrice che con il sorriso rivelava già i desideri del suo cuore, l’aveva gettata sul divano, le aveva tolto bruscamente la gonna e la camicia e dimostrato in maniera del tutto convincente che voler insegnare agli altri regole che non si ha la minima intenzione di applicare a se stessi non è, a ben guardare, un comportamento

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