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Tutte le poesie: Versione metrica
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E-book431 pagine4 ore

Tutte le poesie: Versione metrica

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Info su questo ebook

Questa edizione delle poesie di Anna Ahmàtova (o Achmàtova, a seconda del tipo di traslitterazione) per la prima volta propone in italiano la mole completa del corpus poetico. Le edizioni italiane pubblicate finora sono sedici, sempre scelte molto parziali, in cui compaiono al massimo un centinaio di liriche, scelte dal curatore, sul totale di circa 850 che sono presenti qui. Qui sono stati omessi soltanto le filastrocche e i componimenti propagandistici, due filoni che non appartengono alla poesia intesa in senso artistico.
Inoltre, a quanto ne so, è la prima volta che se ne tenta una versione metrica. Cerco di spiegare perché l’ho fatto.
In questo libro (e quindi nella mia visione), il metro è la dominante assoluta delle poesie di Anna Ahmàtova. Anche nelle intenzioni dell’autrice questo aspetto sembra molto importante. In una poesia del 1946, in cui racconta di avere barattato «quella sera» per la sua fama, scrive che 
[...] né vie né strofe
chiamano «ahmatoviane».
Il riferimento implicito è alla onéginskaâ strofa, ossia la strofa onieghiniana, il verso impiegato da Puškin per il poema Evgénij Onégin, un tetrametro giambico, ossia un verso di otto sillabe divise in quattro gruppi di due, di cui la seconda sillaba è sempre accentata. Questo accenno narcisistico mostra l’importanza che riveste il metro nella creazione ahmatoviana.
LinguaItaliano
Data di uscita14 nov 2021
ISBN9788831462228
Tutte le poesie: Versione metrica

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    Anteprima del libro

    Tutte le poesie - Anna Achmàtova

    Anna Achmàtova

    Tutte le poesie

    (1904-1966)

    versione metrica

    a cura di Bruno Osimo

    Copyright © Bruno Osimo 2020

    Titolo originale dell’opera: Все стихи Анны Ахматовой

    Traduzione dal russo di Bruno Osimo

    Bruno Osimo è un autore/traduttore che si autopubblica

    La stampa è realizzata come print on sale da Kindle Direct Publishing

    ISBN 9788831462211 per l’edizione paperback

    ISBN 9788831462228 per l’edizione elettronica

    ISBN 9788831462501 per l’edizione hardcover

    Contatti dell’autore-editore-traduttore: osimo@trad.it

    Traslitterazione

    La traslitterazione del russo è fatta in base alla norma ISO 9:

    â si pronuncia come ’ia’ in ’fiato’ /ja/

    c si pronuncia come ’z’ in ’zozzo’ /ts/

    č si pronuncia come ’c’ in ’cena’ /tɕ/

    e si pronuncia come ’ie’ in ’fieno’ /je/

    ë si pronuncia come ’io’ in ’chiodo’ /jo/

    è si pronuncia come ’e’ in ’lercio’ /e/

    h si pronuncia come ’c’ nel toscano ’laconico’ /x/

    š si pronuncia come ’sc’ in ’scemo’ /ʂ/

    ŝ si pronuncia come ’sc’ in ’esci’ /ɕː/

    û si pronuncia come ’iu’ in ’fiuto’ /ju/

    z si pronuncia come ’s’ in ’rosa’ /z/

    ž si pronuncia come ’s’ in ’pleasure’ /ʐ/

    Nota alla traduzione

    Questa edizione delle poesie di Anna Ahmàtova (o Achmàtova, a seconda del tipo di traslitterazione) per la prima volta propone in italiano la mole completa del corpus poetico. Le edizioni italiane pubblicate finora sono sedici, sempre scelte molto parziali, in cui compaiono al massimo un centinaio di liriche, scelte dal curatore, sul totale di circa 850 che sono presenti qui. Qui sono stati omessi soltanto le filastrocche e i componimenti propagandistici, due filoni che non appartengono alla poesia intesa in senso artistico.

    Inoltre, a quanto ne so, è la prima volta che se ne tenta una versione metrica. Cerco di spiegare perché l’ho fatto.

    In questo libro (e quindi nella mia visione), il metro è la dominante assoluta delle poesie di Anna Ahmàtova. Anche nelle intenzioni dell’autrice questo aspetto sembra molto importante. In una poesia del 1946, in cui racconta di avere barattato «quella sera» per la sua fama, scrive che

    [...] né vie né strofe

    chiamano «ahmatoviane».

    Il riferimento implicito è alla onéginskaâ strofa, ossia la strofa onieghiniana, il verso impiegato da Puškin per il poema Evgénij Onégin, un tetrametro giambico, ossia un verso di otto sillabe divise in quattro gruppi di due, di cui la seconda sillaba è sempre accentata. Questo accenno narcisistico mostra l’importanza che riveste il metro nella creazione ahmatoviana.

    Col metro Ahmàtova ci dice molte cose, impartisce un ritmo alla lettura, a volte frustra il lettore che vorrebbe cavalcare i versi al galoppo. Uno degli schemi metrici preferiti di Ahmàtova è nove-otto-nove-otto-nove-otto-nove-otto, che con quel secondo verso più corto del primo sembra azzopparlo, sembra frenare, sembra ritardare il climax. È faticoso e dà quasi la nausea, almeno mentre lo si traduce – sembra contronatura. Il secondo verso da otto sillabe dà una martellata negli stinchi al primo da nove. È anche questo un modo per esprimere qualcosa: un’angoscia esistenziale.

    Quando vuole essere ancora più frustrante – costringendo i lettori alla lentezza – usa schemi tipo otto-sei-otto-sei-otto-sei-otto-sei, che col doppio salto all’indietro azzoppano ancora di più. Quando decide di fare metricamente la pazza, crea una poesia composta alternatamente di due versi dodecasillabi e due tridecasillabi. L’endecasillabo puro (ossia non inframmezzato al decasillabo o ad altro) lo usa più di rado, perciò credo che la lettura di traduzioni italiane che adottano sistematicamente l’endecasillabo produrrebbe un effetto indesiderato di omologazione alla nostra cultura, e di estraniamento dal gusto e dall’espressività di Ahmàtova.

    Inoltre il metro dà anche coesione, all’interno delle composizioni lunghe come Requiem, alle varie parti tra loro, che sono state magari composte in anni diversi. Anche in questo caso si è data la precedenza al metro, collocando ciascuna delle parti del poema nell’anno in cui è stata effettivamente composta, anche a costo di distaccarla dalle parti a cui è stata in modo più o meno forzato successivamente incollata.

    Sempre per lo stesso motivo della dominante metrica, mi sono imposto di riprodurre ove possibile in italiano (ossia circa nel 97% dei casi) il metro dell’originale russo.

    Presentare solo una scelta personale sarebbe stato più facile, si sarebbero potute scartare tutte quelle che non piacciono, o che sono più difficili da tradurre, ma che senso ha? Chi può leggerle nell’originale, evidentemente, non è interessato alla questione, ma perché gli studenti di letteratura russa e il pubblico generale di lettori non russofoni amanti della poesia dovrebbero sottostare a una scelta fatta a priori dal curatore, che generalmente non viene nemmeno spiegata tranne che implicitamente dal nome del curatore stesso? Poco più di ottocento poesie non sono tante da impedirne la pubblicazione in un solo volume di dimensioni tutto sommato normali, come dimostra questa edizione.

    Le poesie contenute in questo volume possono essere divise idealmente in due gruppi: le poesie liriche – prevalentemente d’amore, malinconiche, forse romantiche – e quelle caratterizzate da una metrica più ritmata, che generalmente sono le meno tristi – e le meno liriche. Se fosse stato per il mio gusto personale, avrei tradotto solo le prime, anche perché il metro pari in italiano rischia spesso di suonare come una rima didascalica o scherzosa, magari per bambini. Le lettrici se le ritroveranno invece mescolate le une alle altre, proprio per perseguire lo scopo di avere un’edizione cronologica più completa possibile.

    I punti esclamativi in russo sono usati con maggiore generosità che in italiano. Per fare un esempio, le lettere in russo non cominciano con «Cara Anna,», ma con «Cara Anna!». Mi sono permesso di ometterne alcuni, che avrebbero conferito, nella nuova cultura, un’aria di sciatteria e di infantilismo a testi di altissimo valore. Viceversa i trattini per gli incisi li ho mantenuti tutti, anche quando sono singoli e non a coppie, e anche quando non rappresentano un inciso vero e proprio ma solo una sospensione, una pausa, un distacco, o addirittura il presente del verbo essere. Del resto, la letteratura italiana abbonda in trattini medi, che chissà perché vengono poi censurati in àmbito didattico.

    Molte riflessioni mi ha indotto a fare la questione del troncamento delle parole italiane. Negli ultimi decenni il troncamento è abbastanza demonizzato, e il controllo ortografico dei programmi di scrittura lo segnala come errore. (Questi programmi di controllo ortografico sono diventati dei veri totalitarismi, perché il 90% degli scriventi vi si affida ciecamente pensando che siano il Verbo, rendendo i testi omologati sul gusto personale di chi li ha stilati.) Ovviamente troncare una parola risolve il problema quando il verso è troppo lungo metricamente, ma molti colleghi lo considerano strumento d’altri tempi e lo aborriscono. Un esempio dell’uso che ne faccio è nel verso

    Odor di gigli freschi

    Per uscire dall’indecisione, mi sono consultato coi colleghi traduttori editoriali della lista Qwerty i quali, dopo aver giustamente voluto un po’ di saggi di questo mio uso (e anteprime di questa edizione), mi hanno perlopiù incoraggiato a usarli per questioni di ritmo e di metro. Li ringrazio dunque qui pubblicamente per la consulenza.

    Ho dotato il testo di note, per spiegare il significato dei realia russi e alcuni nomi propri di persona o di luogo. Sono certo che non daranno fastidio a nessuno nella lettura, perché se ne stanno discrete a piè pagina e non s’impongono a nessuno.

    Gli accenti tonici sulle parole russe li ho sempre indicati, come sugli omografi italiani, per facilitare il lavoro dei lettori, specie i non russisti. Così potranno dire (o pensare) Aleksàndrovna anziché *Aleksandròvna. Per esempio, Càrskoe Seló, località dove sono state scritte molte poesie, si pronuncia (alla buona) Zàrskoie sielò.

    Tutti i nomi degli zar sono lasciati in originale: Pëtr e non Pietro, Ekaterina e non Caterina...

    I dati biografici di Anna Ahmàtova il lettore li può trovare altrove. Basti qui sapere che nel 1904 – anno della prima poesia – Ahmàtova aveva quindici anni, e nel 1966 – anno dell’ultima poesia e della morte – ne aveva settantasette.

    Buona lettura!

    Deiva Marina, 29 settembre 2020

    Nota alla seconda edizione

    Essendomi accorto che mancavano alcune liriche, provvedo a questa edizione più completa, in cui alcune liriche sono state anche revisionate.

    Deiva Marina, 14 novembre 2021

    I gigli

    Ho colto gigli splendidi e profumati, chiusi

    di timidezza come vergini innocenti,

    dai petali tremanti e rugiadosi

    ho bevuto aroma, felicità e pace.

    E il cuore trepidava come addolorato,

    e i fiori pallidi scuotevano la testa,

    sognavo ancora quella libertà lontana,

    il paese in cui sono stata con te…

    Odessa, 22 giugno 1904

    Sopra l’abisso nero ho camminato

    A A. M. F[ëdorov]

    Sopra l’abisso nero ho camminato

    con te, baluginando i lampi

    brillavano. Quella sera ho trovato

    un tesoro inestimabile

    nell’enigmatica timida distanza.

    E il nostro canto d’amore era

    puro, più etereo del chiaro di luna,

    e l’abisso nero, svegliato,

    aspettava in silenzio la passione

    del voto. Mi hai dato un bacio con

    ansia, tenero, pieno di un sogno

    scintillante, sopra l’abisso

    il vento ululava frusciando... Bianca

    la croce stava sulla tomba

    dimenticata – silente fantasma.

    24 luglio 1904

    Taci! per le eccitanti frasi di passione

    Taci! per le eccitanti frasi di passione

    sono in fiamme e tremante,

    i timorosi occhi teneri

    non distolgo da te.

    Taci! nel mio giovane cuore

    hai risvegliato un che di strano.

    La vita è un prodigioso sogno criptico

    con baci-fiori.

    Perché ti sei chinato su di me,

    che cosa hai letto nel mio sguardo,

    come mai tremo? come mai vado a fuoco?

    Va’ via! Oh, perché sei venuto.

    1904-1905

    ​​So amare

    So amare.

    So essere sottomessa e gentile.

    So guardare negli occhi sorridendo

    Seducente, invitante, oscillante.

    E il mio corpo flessuoso è arioso e snello,

    e fragranza soave dei ricci.

    Oh, chi sta con me è inquieto d’anima

    e avvinto dalla beatitudine...

    So amare. Sono una falsa vergognosa.

    Sono timida-tenera e silenziosa.

    Solo i miei occhi parlano.

    Sono luminosi, puri,

    irradiano nella trasparenza.

    Promettono felicità.

    Penserai – ti tradiscano,

    solo azzurri saranno

    e più teneri e chiari –

    fuochi di splendore celeste.

    E nelle mie labbra – beatitudine scarlatta.

    Petto più bianco di neve di montagna.

    La voce – mormorio di ruscelli azzurri.

    So amare. Un bacio ti aspetta.

    1906

    Frammento su Taškent

    A I. M. Basalaev in memoria della nostra Taškent

    Non saprei come fiorisce il cotogno,

    non saprei come suona la lingua

    nel vostro idioma,

    che la nebbia dal monte discende in città,

    carovana che passa,

    polvere a Beşağaç,

    come raggio, come vento, come flusso...

    1906

    Sei venuto al mare dove mi hai vista

    Sei venuto al mare dove mi hai vista,

    sciogliendomi in tenerezza, anch’io

    mi sono innamorata. Ci sono

    ombre di entrambi: la tua e la mia,

    hanno nostalgia, sciogliendo la tristezza

    amorosa. E le onde vengono

    a riva, come allora, non ci dimenticheranno,

    non dimenticheranno mai. E la barca naviga,

    disprezzando i secoli, dove il fiume

    cade nella baia. E non c’è fine

    e non ci sarà fine mentre corro

    verso l’eterno messaggero-sole.

    1906

    Lui ha molti anelli brillanti alle dita

    Lui ha molti anelli brillanti alle dita –

    dolci cuori di fanciulle conquistate.

    Si bea il diamante, sogna l’opale, e il bel

    rubino è scarlatto in modo così strano.

    Ma sulla pallida mano non c’è il mio

    anello, non lo darò mai, a nessuno. Me

    l’ha forgiato un raggio d’oro di luna, mi ha

    implorato infilandomelo in sonno in un

    sussurro: «Conserva questo dono, sii

    fiera del sogno!» Non lo darò mai, a nessuno.

    Kiev, 1907

    Sorrido, in piedi sulla soglia,

    Sorrido, in piedi sulla soglia,

    è morto il tremolio della candela.

    Da in mezzo vedo  polvere di strada

    e raggi di luna obliqui.

    1908

    Al raggio di finestra prego

    La fleur des vignes pousse

    Et j’ai vingt ans ce soir.

    André Theuriet

    Al raggio di finestra prego –

    diritto, magro, cereo.

    Da stamattina resto zitta,

    ho il cuor – spaccato in due.

    Sul lavandino mio l’ottone

    è diventato verde verde.

    Ma gioca il raggio in modo che

    è bello da guardare.

    Così innocente e disarmato

    dentro il silenzio della sera,

    ma in questa vuota abitazione

    è come festa d’oro che

    è di conforto a me.

    1909

    O con te sono rimasta

    O con te sono rimasta

    o con me sei ripartito,

    ma non siamo separati

    proprio, angelo mio!

    Non sospiri di languore,

    né rimproveri intricati,

    il tuo sguardo calmo e puro

    già m’incute orrore buio.

    1909

    Dal testamento del fiordaliso

    E la mia principessa, dove vuole

    vivere, abbia libertà di scelta,

    io dalla tomba non posso seguirla,

    dalla tomba in mezzo al pieno campo.

    Tutto l'argento lo lascio a lei.

    1909 (?)

    Due poesie

    1

    Il cuscino è già caldo

    di qua e di là.

    Anche questa candela

    si spegne e il grido dei

    corvi si fa più forte.

    Stanotte non dormivo,

    è tardi pensarci...

    È insopportabile la

    bianca tenda sul bianco

    oblò. Ciao!

    2

    Una voce, uno sguardo,

    stessi capelli di lino.

    Tutto come un anno fa.

    Dal vetro raggi del giorno

    intonaco cangiante...

    Odor di gigli freschi

    e le tue parole sobrie.

    1909

    Leggendo Amleto

    1

    A destra del cimitero polvere,

    e dietro il deserto un fiume blu.

    M’hai detto: «Va beh, va’ a farti monaca

    o va’ a sposare un cretino...»

    I prìncipi non sanno dire altro, ma

    questo discorso lo ricordo –

    che scivoli cento secoli come

    manto d’ermellino dalle spalle.

    2

    E come fosse per sbaglio

    t’ho dato del «Tu...»

    Tra i lineamenti dolci c’è

    ombra di riso.

    Per un lapsus come questo

    si arrossisce sai...

    Amo te come quaranta

    dolci sorelle.

    1909

    Frammento

    Tutta la notte sveglia m’han tenuto

    parlavano sonori, inquietanti,

    qualcuno faceva un lungo viaggio,

    portava via il bambino malato,

    e la madre nel seni semibuio

    si rompeva le dita ormai secche

    e a lungo cercava nel buio

    cuffia e copertina pulite.

    1909

    E quando imprecavamo tra di noi

    E quando imprecavamo tra di noi

    nella passione incandescente,

    nessuno dei due capiva ancora

    che non basta per due la terra,

    tormenta il ricordo rabbioso,

    pena dei forti – malattia di fuoco! –

    e a notte infinita il cuore insegna

    a chiedere: dov’è l’amico?

    E quando, tra le onde d’incenso,

    tuona, minaccia, esulta il coro

    duri e cocciuti, inevitabili

    quegli occhi guardan nell’anima.

    1909

    I folli occhi tuoi e il ghiaccio

    I folli occhi tuoi e il ghiaccio

    dei tuoi discorsi. Il tuo amore

    m’hai dichiarato prima ancora

    che c’incontrassimo davvero.

    1909

    È delirio per te la

    È delirio per te la

    mia notte – il giorno è

    indifferente: e sia!

    Ho sorriso al destino

    che mi manda tristezza.

    È pesante l’ebbrezza

    di ieri, mi brucerò

    presto? Credo che questo

    incendio in alba non si

    trasformi. Ancora a lungo

    devo battermi nel fuoco,

    maledicendo in segreto

    te lontano? Nella mia

    trappola terribile

    non mi potrai vedere.

    Kiev, 1909

    Ditirambo

    Più verde di quella primavera non ce n’è state mai nell’universo.

    1909

    Sotterrami, sotterrami, vento

    Sotterrami, sotterrami, vento!

    I miei parenti non son venuti,

    sopra me la sera errante

    e il respiro della terra calma.

    Ero, come te, libera, ma

    troppa era la voglia di vivere.

    Vedi, vento, il mio cadavere freddo,

    nessuno che m’incroci le braccia.

    Chiudi questa ferita nera

    col velo del buio serale

    e conduci l’azzurra foschia

    a leggere i salmi sopra me.

    Perché sia facile per me sola,

    tornare all’ultimo sogno,

    fa’ rumore con l’alto carice

    sulla primavera, sulla mia primavera.

    Kiev, 1909

    Lo stemma dei cieli è curvo e antico

    Lo stemma dei cieli è curvo e antico.

    Quasi indecifrabile la scritta.

    Alla bimba dentro all’osteria

    ho detto di aspettarmi oggi.

    Guardava il prato a primavera,

    sbucciando l’arancia con le dita.

    Sorride: «Non sei di qui, davvero?!»

    E con uno sguardo se ne va.

    Non vedo né sentieri né stradine,

    la carrozza io la fermo qui.

    Le bionde mai mi son piaciute,

    ormai non mi piaceranno più.

    Dopo mezzanotte ho perso ai dadi,

    fortuna del diavolo quel giorno...

    E mentre gli invitati andavano

    l’ombra alla finestra diradava.

    Camminavo cantando Vstreči maâ,

    per gradini incerti irregolari.

    Faceva luce l’oste ripetendo:

    «Piano, ci sono le signore!»

    [1909]

    Sul pavimento i raggi lunari

    Sul pavimento i raggi lunari

    sparsi. Subito il cuore s’è

    fermato, s’è acceso, е beate le

    dita sono scese in onde di

    capelli chiari come il lino.

    Il fulmine ha brillato come

    un fiammifero, ed è morto

    nel cielo torbido. Il tenero

    uccello con l’abito bianco

    ha dormito sul mio letto.

    Si è riscosso e ha incrociato le zampe,

    sussurrando: «Oh Dio, ma tu

    dove sei?» rammento i suoni

    accattivanti della voce,

    rammento com’erano puri.

    1909

    A te, Afrodite, questa danza scrivo

    A te, Afrodite, questa danza scrivo,

    scrivo a te la danza.

    Il rosa tinge le tue guance pallide...

    sorridi al mio destino.

    Andasti a notte a Frine nel palazzo,

    entra mia casa-pace.

    La nebbia lilla nella valle incede.

    Luna sul tuo colle.

    Scivolo e sgobbo – lampo d’impotenza.

    O Dea! mio inno salga a te.

    Come ali mani, come ali mani,

    sopra la testa d'oro c'è un alone.

    gennaio 1910

    La indovinerai ma non di primo acchito

    La indovinerai ma non di primo acchito

    l’[inquietante e oscura] infezione,

    quella che gente chiama con affetto,

    per la quale la gente sta morendo.

    Il primo segno – è la strana allegria,

    come bevendo una pozione inebriante,

    il secondo è una tristezza così forte

    che esausta non riesci a respirare,

    solo il terzo è quello vero e proprio:

    se il cuore s’inceppa più frequente

    e nella nebbia degli occhi una candela,

    è la sera di un incontro nuovo...

    [Notte languisci con un presentimento:

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