Quando la VITA ricomincia
Di Luca Gennasi
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Info su questo ebook
Partendo da questa dolorosa esperienza personale, Luca racconta parte della propria storia professionale, iniziata come giovane speaker radiofonico, poi impiegato presso la ditta del padre, in seguito rappresentante e infine imprenditore. La sua storia passata, fatta di numerosi incontri, viaggi, successi e pure di piccoli, utilissimi, fallimenti, s’intreccia con il drammatico presente.
Oggi, Luca è in via di guarigione, segue le terapie e lancia questo messaggio a chi, come lui, sta affrontando un percorso simile: non arrenderti mai, nemmeno nelle circostanze più disperate, perché una luce in fondo al tunnel c’è sempre.
«Ho avuto una paura incredibile, un impatto devastante. Ero certo che sarei morto, nel pieno della vita. Invece, oggi sono qui, e voglio raccontare la mia storia», Luca Gennasi
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Anteprima del libro
Quando la VITA ricomincia - Luca Gennasi
Quando
La
VITA
Ricomincia
Luca Gennasi
Storie di vita
I Edizione maggio 2021
©2021 Astro edizioni Srls, Roma
www.astroedizioni.it
info@astroedizioni.it
ISBN: 978-88-3317-112-8
Direzione editoriale:
Francesca Costantino
Progetto grafico:
Idra Editing Srl
Editing e redazione:
Arianna Teso
Tutti i diritti sono
riservati, incluso
il diritto di riproduzione,
integrale e/o parziale
in qualsiasi forma.
A Monica e Lorenzo,
che mi sono stati vicini
in questo terribile momento.
Indice
Introduzione di Laura Salvetti
Watch over me
La notizia
Il giorno dopo
Il dottor Palandri
Cinque minuti a mezzanotte
Il ritorno della paura
I test cognitivi
Gli esami preparatori
Il ricovero
La mia vita precedente. I viaggi
L’intervento
Il giorno dopo l’intervento
Due giorni dopo
Più in là
Laura
La dimissione
29 gennaio
Tre giorni prima della morte di mio padre
In attesa del molecolare
L’anticipazione del dottor Martinoni
Il mio domani
Il responsabile di radio terapia
Dal dentista
Il modulo della psicologa
Una giornata positiva
La risposta di Daniel
Lettera agli imprenditori
Lorenzo e Annamaria positivi al Covid-19
La buona novella
Aprire una mia fondazione
Il colloquio pre-radioterapia
La prima seduta con la LINAC 3
Monica
Lorenzo
Un Santo Stefano alternativo
Il prato stellato
Prima di dormire
Rocco
Radio Quartiere Bologna
Tempo di resoconti
Carpe diem
Compleanno di mio fratello
A Misha
Misha
Ventesima radio terapia
Quando verrà il mio turno
L’ospedale Bellaria
Introduzione
Luca Gennasi... in questo istante, scrivendo il suo nome, sento risuonare un’eco tutt’attorno, un’eco senza fine.
Un libro non avrà mai una fine, e varcherà i confini del tempo, cospargendo di semi lo spazio.
Un libro è come un seme, un seme è la vita, e la vita di quest’uomo, proprio come un seme, entrerà nelle corde dell’anima dei suoi lettori, germogliando con amore al suo interno.
Ho incontrato Luca prima ancora della scoperta della sua malattia. Si è presentato a me come un imprenditore affermato, che si è costruito da solo con sacrifici, soddisfatto e sicuro di sé, ma altrettanto consapevole di aver tralasciato una parte importante di sé stesso.
Si percepiva distintamente che era, e che è, un uomo di gran cuore, onesto e generoso, e che avrebbe potuto attuare grandi cambiamenti in molti aspetti della sua vita.
Sentivo che possedeva doti e abilità ancor più straordinarie, che si sono manifestate subito dopo la scoperta della sua malattia. Ho visto un uomo spogliarsi di tutte le sue certezze con umiltà e, con coraggio e fiducia, affrontare il cambiamento ogni giorno, passo dopo passo, allentando e dissipando tutte le sue resistenze.
Ho imparato molto da Luca, e lo ringrazio infinitamente per avermi permesso di far parte della sua rete di amici
, quella rete tessuta dall’Universo che ci crea
tutti partecipi e stretti in legami indissolubili, affinché i nostri destini possano compiersi.
Questi intrecci saranno infiniti e si espanderanno con questo libro che, attraversando lo spazio e il tempo, toccherà in modi diversi ed unici i cuori dei suoi lettori.
Laura Salvetti
Pranoterapeuta
Nota introduttiva: alcuni nomi di persona presenti in questo romanzo sono di pura fantasia, nel rispetto delle vigenti norme sulla privacy.
Watch over me
Watch over me
Don’t leave me alone
Don’t let me down
Let me feel you aren’t gone
Stay with me Lord
Now that all dies been thrown
It’s now I need you even more
Towards a destiny I ignore
On that lawn in the fading dawn
Where my steps ’ll be safe
On the softer grass ever grown
(L.G.)
Veglia su di me
Non lasciarmi solo
Non deludermi
Fammi sentire che non te ne sei andato
Stai con me Signore
Ora che tutti i dadi sono stati lanciati
È adesso che ho bisogno di Te più che mai
Verso un destino che ignoro
Su questo prato, nell’alba che svanisce
Dove i miei passi saranno al sicuro
Sull’erba più morbida mai cresciuta
(L.G.)
La notizia
Martedì 22 settembre 2020
Ospedale Bellaria. Padiglione G. Un ragazzo gentile mi prova la temperatura: 36.3, posso accedere all’inferno del piano -1.
Dopo una breve attesa, vengo invitato ad entrare in neurologia, poi a spogliarmi e indossare il camicione verde, quindi vengo intervistato da un infermiere grande e grosso, anche lui molto gentile: peso, altezza, presenza di allergie, protesi, pacemaker, precedenti interventi chirurgici.
Devo fare una semplice risonanza magnetica all’encefalo, il mio medico me l’ha prescritta per indagare sul motivo delle fitte lancinanti che mi hanno squassato la testa per una decina di giorni; ma poi l’osteopata ha agito sulla cervicale e me le ha fatte passare. Saranno cinque-sei giorni che non le ho più, mi sento anche in forma, la nutrizionista mi ha dato integratori e una dieta apposta per sfiammare il colon, che si è sgonfiato, ho meno dolori, ho perso anche un paio di chili, cosa vuoi mai che sia questo esame, solo uno dei tanti. Ne ho già fatte tante di R.M.: ginocchio, spalla, ancora spalla. Una mezz’oretta, e da domani si riparte come se niente fosse.
La cominciamo a fare senza mezzo di contrasto, spesso non serve, poi solo se la dottoressa lo ritiene opportuno, glielo iniettiamo
, mi dice l’infermiere.
Entro nel tunnel con la pompetta del campanello in mano, sereno. I soliti suoni, forti e meno forti, le solite raffiche, le solite vibrazioni sotto la schiena. Penso alle cose che devo fare, alle persone che ho incontrato nell’ultimo mese, alla mia azienda. All’improvviso i suoni cessano e mi tirano fuori. Penso che è durata poco, saranno passati sì e no una ventina di minuti, sono contento. Ma poi un altro infermiere, dandomi del tu, dall’alto della sua posizione eretta mi dice: Facciamo il contrasto, hai delle allergie ai farmaci tu?
No, non sono allergico ai farmaci, solo alle graminacee.
Mi infila il catetere in vena, e me lo inietta.
Per me, è la prima volta. Rientro nel tunnel un po’ meno sereno, mi manca un po’ l’aria e mi gira un po’ la testa, man mano che il liquido mi penetra in vena. Mi arriva una voce femminile da un altoparlante che mi dice: signor Luca, tutto bene? Adesso le facciamo il contrasto, rimanga immobile
. Mi prende un po’ di panico, vorrei schiacciare il campanello, ma mi controllo. Sono abituato a farlo, a non mostrare le mie emozioni. Sono un uomo forte, un leader. Lo sono sempre stato. Ma oggi mi sento fragile, senza difese.
Ho un terribile presentimento di quello che sta per accadere.
Altri suoni, altre raffiche, altra attesa, questa volta un po’ più lunga, poi la slitta riparte e, di nuovo, mi tirano fuori dal tunnel.
Mi dicono di rivestirmi nel camerino a fianco e di aspettare qualcuno che mi venga a estrarre il catetere venoso dall’avambraccio. Ma questo qualcuno non arriva. Mi affaccio e nessuno mi considera. Mi riaffaccio e chiedo allo stesso infermiere che me lo aveva infilato se adesso può togliere l’ago cannula.
Lei stia seduto lì, che prima devono parlare. Quando hanno finito la vengono a prendere, prego, si accomodi pure sulla sedia.
Questa volta mi aveva dato del lei. Ma quella risposta raggelante non mi aveva rassicurato, anzi. Comincio a sentirmi agitato, nervoso.
Quando finalmente mi fanno uscire dal camerino, vengo circondato da tre uomini, uno vestito da chirurgo di E.R., e altri due col camice bianco, che mi invitano a seguirli. Comincia la marcia di una colonna di uomini, verso il primo girone dantesco: nella fattispecie, un ufficio appartato e in penombra.
La colonna è guidata dall’infermiere, in seconda posizione il chirurgo, poi io, poi gli altri due. Intuisco subito che, tra non molto, riceverò una di quelle notizie capaci di cambiarti la vita, ma in peggio.
Ci accomodiamo in questo bugigattolo di ufficio, dove il medico si presenta, e inizia la sua requisitoria. A malapena capisco il suo nome e a seguire quello che dice, tanto sono inquieto. Percepisco le parole lesione nell’encefalo
, che mi terrorizzano. Lui mi sembra giovane, avrà una decina d’anni in meno di me, sembra che sappia il fatto suo, ma si vede che gira attorno alla cosa , forse per paura di darmi una mazzata troppo forte. A metà dell’eloquio, lo fermo e gli chiedo dottore, ma qui non si sta parlando di un tumore, vero?
.
Sento l’eco della mia domanda risuonare tra le quattro pareti di quello stanzino, e tutti e tre i medici che mi fissano, senza rispondermi.
Poi prende la parola il solito, stoico chirurgo, che si chiama dottor Palandri, e guardandomi negli occhi mi dice: Sì, è probabile che si tratti di un tumore
.
A quella conferma, mi crolla il mondo addosso.
Sento la paura salire, una progressione di terrore che si impossessa della mia anima, del mio intero essere. Che mi devasta il cuore. Che distrugge in un attimo ogni speranza, ogni prospettiva, ogni futuro.
Realizzo che la mia vita non sarebbe più stata quella di prima. Mai più.
Tuttavia, per forza dell’abitudine, cerco di controllarmi ancora, ma inizio a tremare, la mia voce trema, il mio corpo trema, l’adrenalina legata alla notizia mi entra in circolo prepotente e così, in breve, non riesco più a stare seduto, mi devo alzare. Il resto del discorso lo ascolto in piedi, con le mani sullo schienale della sedia.
La testa mi vola via...non riesco a restare concentrato, non riesco a capire, non riesco a seguirlo.
Non mi sembra vero che stia capitando proprio a me. Non, come altre volte in passato, a qualcun altro. Stavolta proprio a me.
Ed è una cosa talmente intollerabile, inaccettabile, imprevedibile, che la mia mente si rifiuta di capirla, di tollerarla, di accettarla.
Da quanto riesco a malapena ad afferrare, Palandri mi dice che sono un signore giovane
e che a 54 anni avrei l’impegno morale verso le persone che mi vogliono bene di andare a vedere di cosa si tratta, di asportarlo...
Che ci sono forme di chirurgia mini-invasiva
, ma che per oggi basta così, che non vuole appesantire ulteriormente la mia giornata già pesante. Mi dà appuntamento a giovedì 24 settembre, per una nuova puntata della mini-serie horror di cui sono diventato protagonista: ne avrei fatto volentieri a meno.
Sono tutti e tre molto costernati, e ci sono sguardi pieni di solidarietà, ma io mi sento crollare dentro il pavimento di questo stanzino e non li reggo più quegli occhi accesi che escono dalle mascherine. Devo uscire fuori, ho bisogno di prendere aria.
Barcollo fuori dalla stanza, sbaglio direzione due volte, mi devono sorreggere e indicare l’uscita, svolta a destra, svolta a sinistra, su per le scale, seguo la freccia come un automa, l’unico pensiero che ho in testa è, letteralmente, il mio tumore. Fuori sta piovendo, ma me ne frego e m’incammino verso l’auto sotto l’acqua. Ho bisogno di pensare a cosa fare, di rinfrescarmi le idee.
La prima a cui devo dare la notizia è mia moglie. Devo andare a casa. Devo guidare lento, non devo fare incidenti mentre vado a casa. Devo cercare di non piangere. Devo, devo, devo... ma poi non ce la faccio e in macchina mi abbandono a un pianto disperato.
Piango tutte le lacrime che non avevo mai pianto prima, piango perché in questo momento non vedo una via di uscita, sono solo terrorizzato. Ho paura, tanta paura di morire.
Nel pieno della mia vita, nel pieno della mia corsa, a poco più di cinquant’anni, questa è la notizia peggiore che potevano darmi.
Ho ancora tante cose da fare, ho ancora tanto da dare.
Non posso morire proprio adesso.
In qualche modo arrivo a casa, entro, vado alla scrivania della taverna, la mia bella scrivania d’epoca, mi ci appoggio, sento mia moglie che scende le scale, e poi mi fa la classica domanda: tutto bene?
.
No, amore, non va tutto bene, non va per niente tutto bene, ed è da un po’ che non va bene. È da un po’ che passo dal dolore alla spalla al male alla pancia, dal male al ginocchio alle fitte alla testa. È da un po’ che passo da una terapia a un’ecografia, da un’infiltrazione a un osteopata. È da un po’ che qualcosa nella mia ex-macchina quasi perfetta si è inceppato.
Da quando è cominciato questo maledetto Covid-19. Da quando siamo stati tutti costretti a rimanere chiusi in casa. Sei mesi da marzo ad adesso, sei mesi di problemi fisici. Continui, con brevi pause di benessere. E il grave è che non capivo perché. Ora lo so, era lui che causava tutto questo.
Lui, un bel probabile
tumore di 50x38 millimetri in regione frontale media e superiore sinistra.
Scoppio ancora a piangere, Monica mi abbraccia, ha gli occhi lucidi e la voce rotta dal pianto anche lei, e conferma che affronteremo tutto assieme.
Ma anche questa dolce consapevolezza ora non riesce a lenire, se non in minima parte, il mio dolore, che sento via via farsi più denso, e so che andrà sempre peggio, perché mi conosco.
So che mi ripoterà dentro l’anima quel senso di paura e di precarietà che avevo provato tanti anni prima, da bambino, e che mi illudevo se ne fosse andato per sempre.
In realtà no, niente di ciò che si è provato se ne va, nella vita.
Tutto rimane dentro di noi per ricordarci che,