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Quando la VITA ricomincia
Quando la VITA ricomincia
Quando la VITA ricomincia
E-book193 pagine2 ore

Quando la VITA ricomincia

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Info su questo ebook

In uno stanzino asettico, faccia a faccia con chirurgo, radiologo e uno specializzando, arriva la notizia. Tumore di terzo grado al cervello, oligodendroglioma, grande come un uovo. L’autore di questo romanzo autobiografico, Luca Gennasi, portava la “massa” in testa da chissà quanto tempo, anche se gli unici sintomi erano stati, fino a quel momento, dei piccoli blackout e delle fitte lancinanti. Era certo che sarebbe morto, nel pieno della vita, a 55 anni.
Partendo da questa dolorosa esperienza personale, Luca racconta parte della propria storia professionale, iniziata come giovane speaker radiofonico, poi impiegato presso la ditta del padre, in seguito rappresentante e infine imprenditore. La sua storia passata, fatta di numerosi incontri, viaggi, successi e pure di piccoli, utilissimi, fallimenti, s’intreccia con il drammatico presente.
Oggi, Luca è in via di guarigione, segue le terapie e lancia questo messaggio a chi, come lui, sta affrontando un percorso simile: non arrenderti mai, nemmeno nelle circostanze più disperate, perché una luce in fondo al tunnel c’è sempre.

«Ho avuto una paura incredibile, un impatto devastante. Ero certo che sarei morto, nel pieno della vita. Invece, oggi sono qui, e voglio raccontare la mia storia», Luca Gennasi
LinguaItaliano
Data di uscita12 mag 2021
ISBN9788833171128
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    Anteprima del libro

    Quando la VITA ricomincia - Luca Gennasi

    Quando

    La

    VITA

    Ricomincia

    Luca Gennasi

    Storie di vita

    I Edizione maggio 2021

    ©2021 Astro edizioni Srls, Roma

    www.astroedizioni.it

    info@astroedizioni.it

    ISBN: 978-88-3317-112-8

    Direzione editoriale:

    Francesca Costantino

    Progetto grafico:

    Idra Editing Srl

    Editing e redazione:

    Arianna Teso

    Tutti i diritti sono

    riservati, incluso

    il diritto di riproduzione,

    integrale e/o parziale

    in qualsiasi forma.

    A Monica e Lorenzo,

    che mi sono stati vicini

    in questo terribile momento.

    Indice

    Introduzione di Laura Salvetti

    Watch over me

    La notizia

    Il giorno dopo

    Il dottor Palandri

    Cinque minuti a mezzanotte

    Il ritorno della paura

    I test cognitivi

    Gli esami preparatori

    Il ricovero

    La mia vita precedente. I viaggi

    L’intervento

    Il giorno dopo l’intervento

    Due giorni dopo

    Più in là

    Laura

    La dimissione

    29 gennaio

    Tre giorni prima della morte di mio padre

    In attesa del molecolare

    L’anticipazione del dottor Martinoni

    Il mio domani

    Il responsabile di radio terapia

    Dal dentista

    Il modulo della psicologa

    Una giornata positiva

    La risposta di Daniel

    Lettera agli imprenditori

    Lorenzo e Annamaria positivi al Covid-19

    La buona novella

    Aprire una mia fondazione

    Il colloquio pre-radioterapia

    La prima seduta con la LINAC 3

    Monica

    Lorenzo

    Un Santo Stefano alternativo

    Il prato stellato

    Prima di dormire

    Rocco

    Radio Quartiere Bologna

    Tempo di resoconti

    Carpe diem

    Compleanno di mio fratello

    A Misha

    Misha

    Ventesima radio terapia

    Quando verrà il mio turno

    L’ospedale Bellaria

    Introduzione

    Luca Gennasi... in questo istante, scrivendo il suo nome, sento risuonare un’eco tutt’attorno, un’eco senza fine.

    Un libro non avrà mai una fine, e varcherà i confini del tempo, cospargendo di semi lo spazio.

    Un libro è come un seme, un seme è la vita, e la vita di quest’uomo, proprio come un seme, entrerà nelle corde dell’anima dei suoi lettori, germogliando con amore al suo interno.

    Ho incontrato Luca prima ancora della scoperta della sua malattia. Si è presentato a me come un imprenditore affermato, che si è costruito da solo con sacrifici, soddisfatto e sicuro di sé, ma altrettanto consapevole di aver tralasciato una parte importante di sé stesso.

    Si percepiva distintamente che era, e che è, un uomo di gran cuore, onesto e generoso, e che avrebbe potuto attuare grandi cambiamenti in molti aspetti della sua vita.

    Sentivo che possedeva doti e abilità ancor più straordinarie, che si sono manifestate subito dopo la scoperta della sua malattia. Ho visto un uomo spogliarsi di tutte le sue certezze con umiltà e, con coraggio e fiducia, affrontare il cambiamento ogni giorno, passo dopo passo, allentando e dissipando tutte le sue resistenze.

    Ho imparato molto da Luca, e lo ringrazio infinitamente per avermi permesso di far parte della sua rete di amici, quella rete tessuta dall’Universo che ci crea tutti partecipi e stretti in legami indissolubili, affinché i nostri destini possano compiersi.

    Questi intrecci saranno infiniti e si espanderanno con questo libro che, attraversando lo spazio e il tempo, toccherà in modi diversi ed unici i cuori dei suoi lettori.

    Laura Salvetti

    Pranoterapeuta

    Nota introduttiva: alcuni nomi di persona presenti in questo romanzo sono di pura fantasia, nel rispetto delle vigenti norme sulla privacy.

    Watch over me

    Watch over me

    Don’t leave me alone

    Don’t let me down

    Let me feel you aren’t gone

    Stay with me Lord

    Now that all dies been thrown

    It’s now I need you even more

    Towards a destiny I ignore

    On that lawn in the fading dawn

    Where my steps ’ll be safe

    On the softer grass ever grown

    (L.G.)

    Veglia su di me

    Non lasciarmi solo

    Non deludermi

    Fammi sentire che non te ne sei andato

    Stai con me Signore

    Ora che tutti i dadi sono stati lanciati

    È adesso che ho bisogno di Te più che mai

    Verso un destino che ignoro

    Su questo prato, nell’alba che svanisce

    Dove i miei passi saranno al sicuro

    Sull’erba più morbida mai cresciuta

    (L.G.)

    La notizia

    Martedì 22 settembre 2020

    Ospedale Bellaria. Padiglione G. Un ragazzo gentile mi prova la temperatura: 36.3, posso accedere all’inferno del piano -1.

    Dopo una breve attesa, vengo invitato ad entrare in neurologia, poi a spogliarmi e indossare il camicione verde, quindi vengo intervistato da un infermiere grande e grosso, anche lui molto gentile: peso, altezza, presenza di allergie, protesi, pacemaker, precedenti interventi chirurgici.

    Devo fare una semplice risonanza magnetica all’encefalo, il mio medico me l’ha prescritta per indagare sul motivo delle fitte lancinanti che mi hanno squassato la testa per una decina di giorni; ma poi l’osteopata ha agito sulla cervicale e me le ha fatte passare. Saranno cinque-sei giorni che non le ho più, mi sento anche in forma, la nutrizionista mi ha dato integratori e una dieta apposta per sfiammare il colon, che si è sgonfiato, ho meno dolori, ho perso anche un paio di chili, cosa vuoi mai che sia questo esame, solo uno dei tanti. Ne ho già fatte tante di R.M.: ginocchio, spalla, ancora spalla. Una mezz’oretta, e da domani si riparte come se niente fosse.

    La cominciamo a fare senza mezzo di contrasto, spesso non serve, poi solo se la dottoressa lo ritiene opportuno, glielo iniettiamo, mi dice l’infermiere.

    Entro nel tunnel con la pompetta del campanello in mano, sereno. I soliti suoni, forti e meno forti, le solite raffiche, le solite vibrazioni sotto la schiena. Penso alle cose che devo fare, alle persone che ho incontrato nell’ultimo mese, alla mia azienda. All’improvviso i suoni cessano e mi tirano fuori. Penso che è durata poco, saranno passati sì e no una ventina di minuti, sono contento. Ma poi un altro infermiere, dandomi del tu, dall’alto della sua posizione eretta mi dice: Facciamo il contrasto, hai delle allergie ai farmaci tu? No, non sono allergico ai farmaci, solo alle graminacee. Mi infila il catetere in vena, e me lo inietta.

    Per me, è la prima volta. Rientro nel tunnel un po’ meno sereno, mi manca un po’ l’aria e mi gira un po’ la testa, man mano che il liquido mi penetra in vena. Mi arriva una voce femminile da un altoparlante che mi dice: signor Luca, tutto bene? Adesso le facciamo il contrasto, rimanga immobile. Mi prende un po’ di panico, vorrei schiacciare il campanello, ma mi controllo. Sono abituato a farlo, a non mostrare le mie emozioni. Sono un uomo forte, un leader. Lo sono sempre stato. Ma oggi mi sento fragile, senza difese.

    Ho un terribile presentimento di quello che sta per accadere.

    Altri suoni, altre raffiche, altra attesa, questa volta un po’ più lunga, poi la slitta riparte e, di nuovo, mi tirano fuori dal tunnel.

    Mi dicono di rivestirmi nel camerino a fianco e di aspettare qualcuno che mi venga a estrarre il catetere venoso dall’avambraccio. Ma questo qualcuno non arriva. Mi affaccio e nessuno mi considera. Mi riaffaccio e chiedo allo stesso infermiere che me lo aveva infilato se adesso può togliere l’ago cannula.

    Lei stia seduto lì, che prima devono parlare. Quando hanno finito la vengono a prendere, prego, si accomodi pure sulla sedia. Questa volta mi aveva dato del lei. Ma quella risposta raggelante non mi aveva rassicurato, anzi. Comincio a sentirmi agitato, nervoso.

    Quando finalmente mi fanno uscire dal camerino, vengo circondato da tre uomini, uno vestito da chirurgo di E.R., e altri due col camice bianco, che mi invitano a seguirli. Comincia la marcia di una colonna di uomini, verso il primo girone dantesco: nella fattispecie, un ufficio appartato e in penombra.

    La colonna è guidata dall’infermiere, in seconda posizione il chirurgo, poi io, poi gli altri due. Intuisco subito che, tra non molto, riceverò una di quelle notizie capaci di cambiarti la vita, ma in peggio.

    Ci accomodiamo in questo bugigattolo di ufficio, dove il medico si presenta, e inizia la sua requisitoria. A malapena capisco il suo nome e a seguire quello che dice, tanto sono inquieto. Percepisco le parole lesione nell’encefalo, che mi terrorizzano. Lui mi sembra giovane, avrà una decina d’anni in meno di me, sembra che sappia il fatto suo, ma si vede che gira attorno alla cosa , forse per paura di darmi una mazzata troppo forte. A metà dell’eloquio, lo fermo e gli chiedo dottore, ma qui non si sta parlando di un tumore, vero?.

    Sento l’eco della mia domanda risuonare tra le quattro pareti di quello stanzino, e tutti e tre i medici che mi fissano, senza rispondermi.

    Poi prende la parola il solito, stoico chirurgo, che si chiama dottor Palandri, e guardandomi negli occhi mi dice: Sì, è probabile che si tratti di un tumore.

    A quella conferma, mi crolla il mondo addosso.

    Sento la paura salire, una progressione di terrore che si impossessa della mia anima, del mio intero essere. Che mi devasta il cuore. Che distrugge in un attimo ogni speranza, ogni prospettiva, ogni futuro.

    Realizzo che la mia vita non sarebbe più stata quella di prima. Mai più.

    Tuttavia, per forza dell’abitudine, cerco di controllarmi ancora, ma inizio a tremare, la mia voce trema, il mio corpo trema, l’adrenalina legata alla notizia mi entra in circolo prepotente e così, in breve, non riesco più a stare seduto, mi devo alzare. Il resto del discorso lo ascolto in piedi, con le mani sullo schienale della sedia.

    La testa mi vola via...non riesco a restare concentrato, non riesco a capire, non riesco a seguirlo.

    Non mi sembra vero che stia capitando proprio a me. Non, come altre volte in passato, a qualcun altro. Stavolta proprio a me.

    Ed è una cosa talmente intollerabile, inaccettabile, imprevedibile, che la mia mente si rifiuta di capirla, di tollerarla, di accettarla.

    Da quanto riesco a malapena ad afferrare, Palandri mi dice che sono un signore giovane e che a 54 anni avrei l’impegno morale verso le persone che mi vogliono bene di andare a vedere di cosa si tratta, di asportarlo... Che ci sono forme di chirurgia mini-invasiva, ma che per oggi basta così, che non vuole appesantire ulteriormente la mia giornata già pesante. Mi dà appuntamento a giovedì 24 settembre, per una nuova puntata della mini-serie horror di cui sono diventato protagonista: ne avrei fatto volentieri a meno.

    Sono tutti e tre molto costernati, e ci sono sguardi pieni di solidarietà, ma io mi sento crollare dentro il pavimento di questo stanzino e non li reggo più quegli occhi accesi che escono dalle mascherine. Devo uscire fuori, ho bisogno di prendere aria.

    Barcollo fuori dalla stanza, sbaglio direzione due volte, mi devono sorreggere e indicare l’uscita, svolta a destra, svolta a sinistra, su per le scale, seguo la freccia come un automa, l’unico pensiero che ho in testa è, letteralmente, il mio tumore. Fuori sta piovendo, ma me ne frego e m’incammino verso l’auto sotto l’acqua. Ho bisogno di pensare a cosa fare, di rinfrescarmi le idee.

    La prima a cui devo dare la notizia è mia moglie. Devo andare a casa. Devo guidare lento, non devo fare incidenti mentre vado a casa. Devo cercare di non piangere. Devo, devo, devo... ma poi non ce la faccio e in macchina mi abbandono a un pianto disperato.

    Piango tutte le lacrime che non avevo mai pianto prima, piango perché in questo momento non vedo una via di uscita, sono solo terrorizzato. Ho paura, tanta paura di morire.

    Nel pieno della mia vita, nel pieno della mia corsa, a poco più di cinquant’anni, questa è la notizia peggiore che potevano darmi.

    Ho ancora tante cose da fare, ho ancora tanto da dare.

    Non posso morire proprio adesso.

    In qualche modo arrivo a casa, entro, vado alla scrivania della taverna, la mia bella scrivania d’epoca, mi ci appoggio, sento mia moglie che scende le scale, e poi mi fa la classica domanda: tutto bene?.

    No, amore, non va tutto bene, non va per niente tutto bene, ed è da un po’ che non va bene. È da un po’ che passo dal dolore alla spalla al male alla pancia, dal male al ginocchio alle fitte alla testa. È da un po’ che passo da una terapia a un’ecografia, da un’infiltrazione a un osteopata. È da un po’ che qualcosa nella mia ex-macchina quasi perfetta si è inceppato.

    Da quando è cominciato questo maledetto Covid-19. Da quando siamo stati tutti costretti a rimanere chiusi in casa. Sei mesi da marzo ad adesso, sei mesi di problemi fisici. Continui, con brevi pause di benessere. E il grave è che non capivo perché. Ora lo so, era lui che causava tutto questo.

    Lui, un bel probabile tumore di 50x38 millimetri in regione frontale media e superiore sinistra.

    Scoppio ancora a piangere, Monica mi abbraccia, ha gli occhi lucidi e la voce rotta dal pianto anche lei, e conferma che affronteremo tutto assieme.

    Ma anche questa dolce consapevolezza ora non riesce a lenire, se non in minima parte, il mio dolore, che sento via via farsi più denso, e so che andrà sempre peggio, perché mi conosco.

    So che mi ripoterà dentro l’anima quel senso di paura e di precarietà che avevo provato tanti anni prima, da bambino, e che mi illudevo se ne fosse andato per sempre.

    In realtà no, niente di ciò che si è provato se ne va, nella vita.

    Tutto rimane dentro di noi per ricordarci che,

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