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Sotto la luce fredda
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E-book259 pagine3 ore

Sotto la luce fredda

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Info su questo ebook

Ho trascorso l’intera vita tra corsie e sale operatorie curando i malati. Se escludo appunti di tecniche o di patologie rare, non ho mai scritto un vero diario, per la convinzione che, rileggendolo dopo tempo, i sentimenti, le emozioni e, forse, anche la verità, non sarebbero più gli stessi e assumerebbero valore diverso rispetto al momento dei fatti. Di tanto in tanto, però, quand’ero testimone o attore di episodi fuori dall’ordinario, cedevo alla tentazione di annotare qualche sfogo momentaneo. Dopo tanti anni, ho ritrovato alcuni di quegli appunti e, dopo lunghissima riflessione, ho ceduto alla tentazione di metterli insieme. Ne sono nati questi racconti, sotto forma di esperienza nella sanità raccontata a mio figlio, come accenno nel Prologo.
Dire che in circa quarantacinque anni ne ho viste tante è un luogo comune di scarsa valenza, pertanto, non intendo narrare di quelle tante, ma soltanto raccontare qualcosa che di solito rimane sepolta e inaccessibile nelle pliche della memoria...
...I personaggi hanno lo stesso nome in tutti i racconti. Tanto può essere considerato il segno di una narrazione unitaria, della quale ogni racconto è un capitolo. Nel carattere e nei movimenti, essi sono creati dalla mia fantasia, pur ispirandomi a personaggi esistenti e fatti accaduti. Non è riportato il tempo, anche se a volte può essere dedotto. Le storie possono essere attribuite a quasi tutte le città e aziende sanitarie d’Italia. Se qualcuno ritenesse di individuare elementi di riconoscimento,
va considerato casuale...
...Il titolo sotto la luce fredda è tratto da uno dei racconti, e richiama le lampade scialitiche che illuminano i campi operatori, dette in gergo “luci fredde”. Lascio al lettore l’interpretazione metaforica.
LinguaItaliano
Data di uscita22 ott 2020
ISBN9788868229511
Sotto la luce fredda

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    Anteprima del libro

    Sotto la luce fredda - Salvatore Belcastro

    Collana

    Romanzi

    diretta da

    Antonio D’Elia

    salvatore belcastro

    Sotto la luce fredda

    Proprietà letteraria riservata

    © by Pellegrini Editore – Cosenza – Italy

    Stampato in Italia nel mese di ottobre 2020 per conto di Pellegrini Editore

    Via Camposano, 41 – 87100 Cosenza

    Tel. (0984) 795065 – Fax (0984) 792672

    Sito internet: www.pellegrinieditore.com www.pellegrinieditore.it

    E-mail: info@pellegrinieditore.it

    I diritti di traduzione, memorizzazione elettronica, riproduzione e adattamento totale o parziale, con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche) sono riservati per tutti i Paesi.

    … Non odiatemi se dico la verità:

    nessuno è capace di restare in vita

    opponendosi continuamente dal fondo di se stesso

    alla massa unita di voi o di qualunque altra

    moltitudine, tentando di sbarrare la strada alla marea dell’illegalità e di ribalderie nello stato.

    Platone - L’apologia di Socrate - 32 a

    Questo libro è dedicato a

    EMERGENCY, ONG ONLUS

    per il grande lavoro umanitario che svolge nel mondo

    in difesa della salute e della vita.

    Prefazione

    Le storie narrate, se pure ispirate a fatti realmente accaduti, possono essere attribuite a tutte le aziende sanitarie d’Italia. I personaggi sono nati dalla fantasia dell’autore. Se qualcuno ritenesse d’individuare elementi di riconoscimento, vanno considerati del tutto casuali e richiamano alla mente quanto dice Christa Wolf: deve far riflettere l’assoluta mancanza di originalità di comportamento che gran parte degli operatori presenta[1].

    [1] Christa Wolf, Il cielo diviso.

    Prologo

    Un lupo appenninico – sul dorso una striscia scura – procede a testa alta legato a un grosso guinzaglio. Trascina una giovane coppia, costringendola a tener dietro al suo passo tra i pioppi e i carpini del parco fluviale. Cammina sull’argine del tratturo, come se avesse una meta da raggiungere in fretta.

    Mi affascina osservarne la forza, contenuta a fatica, e i due ragazzi che tirano la corda per rallentare l’andatura. Passano via veloci e il gruppo, in pochi attimi, si allontana.

    Francesco e Carmen mi accompagnano nella passeggiata giornaliera. Mi sento anch’io al guinzaglio, ma l’orgoglio annulla i limiti imposti dalla fisiologia.

    Entrambi stanno per diventare medici, stanno per immergersi in questo strano mondo della salute, che promette soddisfazioni, ma distribuisce spesso delusioni e amarezze. Per Francesco avrei preferito un altro lavoro, ma ha scelto da solo, presumibilmente guidato da Renata, che non ha mai chiesto il mio parere, e che forse vede in lui la realizzazione di quanto ha perso in me.

    Francesco dice che, quando sentono il suo nome in facoltà, in molti gli chiedono se è figlio di Nino, e qualcuno gli domanda come mai non lo vedono più in giro.

    Il ragazzo ha incontrato Carmen sui banchi dell’Università. La ragazza insiste per apprendere direttamente da me qualcosa della mia esperienza. Mi dà del lei e mi chiama professore. Le chiedo di chiamarmi Nino, almeno m’illudo di essere ancora giovane.

    Accetto di raccontare, ma devo prima narrare perché non sono più in giro.

    La nazionale ha perso la partita

    Ero primario dell’Ospedale Associato ormai da un po’. M’era costato fatica dare a quel reparto la giusta direzione. Dormivo poco e trascorrevo gran parte del tempo a lavoro.

    Un giorno tornai a casa affaticato più del solito. Teresa non era ancora rientrata, aveva un consiglio di classe. Non mi piaceva mostrarmi stanco. Andai subito sotto la doccia e decisi che andare a cena fuori mi avrebbe distratto e aiutato a rilassarmi.

    Quando Teresa rientrò, ero già pronto per uscire.

    – Ho voglia di andare a mangiare del pesce al ristorante. Ti va?

    Teresa mi osservò attentamente per un lungo attimo.

    – Hai gli occhi stanchi. Va tutto bene?

    – Una giornata faticosa. Forse uscire è quel che ci vuole.

    Al ristorante mangiai poco, sentivo stringere la gola. Sarà la stanchezza, pensai, e tenni tutto per me. D’altra parte non sono mai stato un grande mangiatore. Dopo cena facemmo una passeggiata, il clima annunciava la primavera imminente. Al ritorno, mentre Teresa si cambiava i vestiti, mi venne sotto gli occhi il suo fisico snello, due seni ancora sodi, capezzoli appuntiti e duri, un paio di mutandine di pizzo che esaltavano la sensualità. Ebbi un’improvvisa erezione e fui colto da un forte desidero. Finché la vita si ergeva fisicamente da farsi sentire con forza e impeto dentro i pantaloni, pensai, significava che il sistema cardio-circolatorio funzionava bene. L’abbracciai mentre lei rideva e in parte si schivava.

    – Non ti sentivi stanco?

    – Non per questo.

    L’ardore passionale era fortissimo. Pensai che fosse effetto del pesce mangiato per cena. Anche Teresa non fu da meno. La stanza, il letto, il soffitto ruotarono intorno a noi. Non c’erano dubbi, non ero fiacco.

    Spossati e sudati ci abbandonammo al riposo. Lei appoggiò la gamba e il fianco su di me, come faceva di solito, la testa nell’incavo del collo e ci ascoltammo per un po’ il respiro. Pian piano si addormentò in quella posizione.

    Mi assopii. Improvvisamente, un dolore acuto, come un bruciore alla spalla sinistra, mi svegliò. Sentivo pesare sul collo la testa di lei. Dovevo spostarla, ma non volevo svegliarla. Dopo un po’ fui costretto, perché il dolore non regrediva. La spostai senza svegliarla ed ebbi un momento di sollievo. Venni colto ancora dal sonno. Mi sembrava di nuotare in un lago tra le mie montagne. Un pizzico alla base del collo mi ridestò e mi trovai bagnato di sudore, il cuscino era inzuppato. Teresa dormiva. Evitai i movimenti per non svegliarla, allontanai soltanto la coperta. Subito dopo, però, avvertii freddo e nuovamente mi ricoprii. Alternavo brevi sonnellini a una veglia nervosa e guardavo spesso verso la finestra per cogliere qualche filo di luce del mattino. Nei momenti di veglia ripassai in mente i vari personaggi dell’amministrazione, quelli dell’Istituzione, i miei assistenti. Mi ricordai della vertenza aperta con la direzione sanitaria e mi passò nella mente lo scontro del giorno prima. Mi ripetevo parola per parola la lite e mi sentivo contento di aver mandato affanculo quel presuntuoso nuovo Direttore Sanitario. Non capiva nulla di organizzazione. O forse la capiva e agiva per conto terzi? Terzi…? Chi…? pensai d’improvviso.

    Mi svegliai completamente che era mattino. Il dolore alla spalla era quasi regredito. Oggi farò una radiografia, pensai, e forse anche un elettrocardiogramma.

    Teresa fece il caffè.

    – Non hai dormito bene, come mai?

    – Forse ero nervoso. Ora sto bene.

    – Dovresti rimanere a casa. Telefona e comunica che sei indisposto.

    – Devo fare molte cose importanti. Dovrò andare anche in amministrazione perché quella canaglia del Direttore Sanitario vuole ridurre l’organico. Ciao, ci vediamo stasera. E preparati, chissà che non ripetiamo.

    Le diedi un bacio sorridendo e andai via di corsa.

    Avevo appena finito l’intervento. Non era stato faticoso, ma mi sentivo terribilmente stanco.

    Già, non ho dormito bene, pensai. Andai nello studio e mi sdraiai sulla poltrona. Sentivo freddo e sudavo, intanto era ricomparso il dolore alla spalla sinistra, saliva su per il collo e s’irradiava verso il braccio. In quel momento entrò un mio collaboratore per ricevere delle direttive e notai che impallidiva.

    – Chiama il cardiologo, – dissi, quando notai che sul viso gli era comparsa una smorfia di sgomento. – Mi sta colpendo un infarto.

    Nella grande sala, i letti erano disposti a semicerchio, dieci, e al centro un tavolo con una fila di monitor, anch’essi a semicerchio. L’infermiera si avvicinò al mio letto. Ero nudo come un verme sul letto numero quattro, collegato con cavi e tubi a monitor e macchine che, a ritmo, emettevano suoni e fischi. Protestai con le poche forze rimaste perché ero tenuto così oscenamente nudo.

    – Devo tenerla nudo per monitorarla, professore. Ma non si vergogni, le sue nudità sono ancora belle da guardare, – mi disse ammiccando e ridendo. – Ora la metto in ordine e la copro. Sta arrivando la signora.

    Rassettò il letto, mi coprì con un telo, sollevò la testiera, e chiuse le tende laterali per garantirmi un pizzico di riservatezza.

    Teresa s’avvicinò e mi diede un bacio sulla fronte. Conteneva l’emozione a fatica.

    – Oggi stai meglio, – disse subito, inventando un bel sorriso.

    Quando sorrideva così, di solito ero colto da una vibrazione che mi prendeva tutto, fino al perineo, e mi veniva voglia di prenderla. Ma in quel momento non sentii nulla, ero solo in preda all’angoscia.

    – Voglio vivere ancora, tesoro.

    Non era la mia solita voce ferma. Parlare aumentava la stanchezza, tanto che ero costretto a fare delle pause.

    – Voglio invecchiare vicino con te… Appena le condizioni saranno migliorate… forse tra una settimana o prima… mi faranno la coronarografìa… Oggi i problemi delle coronarie vengono risolti spesso durante la seduta dell’angiografia… Si posizionano dentro degli palloncini per dilatare le arterie dove sono strette… e poi si inserisce un tubicino per mantenerle pervie, lo chiamano stent... Un lavoro da idraulici.

    – Non preoccuparti di spiegarmi ora, e non stancarti a parlare. Pensa solo che non vedo l’ora che tu torni a casa.

    – Sarà lunga, tesoro. Oggi è venuto a trovarmi Paolo. Mi ha chiesto se voglio incontrare Giacomo e Francesco. Sono mesi che non li vedo… avrei tanta voglia… ma non ora… Non devono vedermi così… Parlagli anche tu e spiegagli.

    Dopo ogni frase ero costretto a fare una pausa perché ero spossato.

    – Cosa pensi? Ai figli? O ti preoccupa qualcosa? – Teresa conosceva il mio sguardo e non si sbagliava.

    – Non ai figli. A Paolo. È distrutto. Lo stanno annientando come professionista e come uomo…. Gli hanno tagliato i fondi per il reparto… ridotto l’organico, sottratto la capo sala che aveva addestrato per un lavoro di alto profilo… e non l’hanno più sostituita… Lo spingono verso le dimissioni oppure dovrà accettare una posizione più modesta… Un professionista del suo livello!... È un’operazione di demolizione, lenta e progressiva.

    – Non pensare a queste cose, ora devi badare a te, devi guarire. Ti prego, tieni lontani i problemi del lavoro.

    Teresa mi parlava supplichevole, mentre mi stringeva la mano.

    – Non riesco. Il lavoro è gran parte della mia vita, lo sai bene. Anche questo infarto è parte del mio lavoro... Stanno facendo fuori Paolo perché è un professionista troppo valente per la loro mediocrità… come hanno liquidato Giannino, perché la sua morale era un’accusa alla loro disonestà. Ci hanno provato anche con me. È tanto che hanno iniziato. Un progetto articolato… Mi hanno rifiutato il rinnovo degli apparecchi obsoleti e inefficienti, ricordi?... Hanno provato a ridurmi l’organico… Avevano incominciato a picchiare sui fianchi… prima ancora che io diventassi primario. Ricordi la poveretta che morì… perché quei coglioni non sono stati capaci di fermare l’emorragia?... Volevano destabilizzarmi.

    – Ti prego, – insisteva Teresa angosciata. – Se continui così ti distruggi da solo.

    Parlavo a fatica e con molte pause.

    – No, ti dico tutto adesso, non so se avrò ancora tempo per dirtelo…. Tutti sapevano che a quel punto non si poteva far niente per quella poveretta… Volevano iniziare il mobbing contro di me… Poi mi hanno mandato primario… credevano che sarei rimasto schiacciato dal degrado in cui era quel reparto… l’ho risollevato… Ora riprendono il mobbing... Demoliscono l’unità operativa… vogliono emarginarmi per annullare la competizione…. L’hanno pianificato appena ho lasciato l’Istituzione… Chi va fuori dal gruppo, viene perseguito fino alla morte… Minghina tira le fila…

    Ci fu un lungo silenzio. Teresa tentava di raccogliere le forze. Tentò di cambiare discorso quando mi volsi ancora per dire qualcosa.

    – Non so se riuscirò a salvare il reparto… o se prima perderò la pelle...

    Teresa sbuffò con rabbia.

    – Se continui così vado via subito.

    – Non ho voglia di morire, tesoro. Ma se accadrà, al mio funerale ne vedrai delle belle.... Si presenteranno con la faccia di bronzo… Diranno che mi hanno voluto tanto bene… Io non potrò più smentirli… Diranno il migliore! Tutti loro potrebbero essere i killer… Tieni su il tuo orgoglio… Sono fiero di te.

    – Basta.

    Teresa era irritata e non sapeva più cosa dire. L’infermiera interruppe il discorso per somministrare i farmaci.

    – Non ho paura. Ho visto morire tante persone. Non si sente nulla… Ma non vestirti a lutto… Avranno distrutto me, non devono vincere contro di te.

    – Ora vado via!

    Quindici giorni dopo tornai a casa. M’ero ripreso dall’infarto, ma ero debole. Non riuscivo a camminare. I cardiologi avevano rinviato la coronarografia perché le condizioni del cuore erano compromesse e attendevano la ripresa. Giannino venne a trovarmi. Trascorremmo insieme un pomeriggio intero, ricordando i bei momenti, le avventure vissute, le delusioni giovanili. Parlammo a lungo delle esperienze di lavoro, mentre Teresa tentava di farci cambiare discorso. Lei temeva che le emozioni dei ricordi potessero danneggiarmi. Ci raccontammo barzellette e aneddoti ridicoli sui medici, sui dirigenti e sull’Istituzione. Giannino fece una bella analisi dei colleghi, cercando di mettere in risalto il lato comico di ognuno.

    – Quante teste pensanti hai visto nella tua esperienza? Io poche, – disse.

    Si lasciò andare all’analisi. Disse che la maggioranza della gente teme di usare la facoltà di decidere e l’affida a chi si assume il compito di farlo per mestiere. Se quelli appartengono alla categoria delle teste pensanti, il più delle volte usano il mestiere di decidere per il proprio tornaconto. Se appartengono, invece, alla categoria degli ignavi, la massa verrà da essi portata a stagnare nella palude dell’indecisione. Come una nave governata da un capitano inefficiente.

    – Gli ignavi, sì, – feci io. – È la categoria più numerosa e condiziona la storia del mondo. Dante nell’Inferno li mette fuori dalle porte, non hanno neanche la personalità di dannati.

    Giannino, libero ormai dagli impegni del lavoro negli ospedali, dopo aver spossato il corpo tra gli ulivi e i filari del vigneto, si rinfrancava dando sfogo alla passione della lettura dei classici. Al ricordo degli ignavi, fu preso dal raptus lirico.

    "… Questo misero modo

    tengon l’anime triste di coloro

    che visser senza infamia e senza lodo.

    Caccianli i cieli per non esser men belli,

    né lo profondo inferno li riceve,

    ch’alcuna gloria i rei avrebber d’elli,

    Questi non hanno speranza di morte,

    e la lor cieca vita è tanto bassa,

    che invidiosi son d’ogni altra sorte.

    Fama di loro il mondo esser non lassa,

    misericordia e giustizia li sdegna:

    non ragioniam di lor ma guarda e passa."

    – Sei capace di toccare l’anima con la lirica, Giannino, – dissi. – È colpa nostra se non siamo ignavi?

    Giannino era saggio. Che bel pomeriggio abbiamo trascorso! Ci salutammo con un forte abbraccio.

    – Verrò a trovarti quando ti faranno la coronarografia. Dopo devi venire da me in Toscana per la convalescenza.

    – Forse fra un paio di settimane. Ti aspetto. Per la convalescenza ne parleremo.

    – Tieni duro Nino!... almeno tu! – E andò via.

    Pasqua era stata alta ed era appena passata. Teresa l’aveva trascorsa su e giù per le scale dell’ospedale seguendo la mia malattia.

    Dopo la coronarografia tornammo a casa. In poche settimane mi sentii invecchiato come se avessi cent’anni. Avevo perso dieci chili di peso e facevo fatica a camminare. Appena a casa, avvertii dei forti dolori alle gambe appoggiando i talloni a terra. Non riuscivo a stare in piedi.

    Teresa tentava di tirarmi su il morale e nascondeva la preoccupazione. Quando mi lamentai che i pantaloni mi cadevano giù perché avevo perso troppo peso, disse che avrebbe pensato lei a farmelo riprendere in poco tempo.

    – Non riesco ad appoggiare i piedi a terra. Avverto un forte dolore dai glutei ai polpacci.

    Tentai di mettermi in piedi, ma dovetti sdraiarmi subito sul divano per il dolore.

    – Mi sembra di avere un chiodo conficcato nel fondo della schiena, poco più su del solco dei glutei. Speriamo che non mi abbiano fottuto l’aorta. L’esame è stato difficile, l’operatore sudava e ogni tanto brontolava perché il catetere non era quello giusto e non riusciva a farlo progredire.

    – Non pensare sempre al peggio. Forse erano emozionati. Non fanno quegli esami tutti i giorni su un collega, un primario.

    – Vero. Ma ho parestesie alle gambe, questa destra è edematosa e dolente appena tocco i muscoli del polpaccio. E poi, guarda com’è cianotica. Sembrano ischemiche. Mi pare di non avvertire il polso femorale. Non mi fido della mia palpazione in questo momento… C’è qualche problema. L’operatore ha fatto una gran fatica a far passare quello stent. Gli ho detto di cambiare calibro, quello era troppo grande, e che conveniva incidere la cute e introdurlo direttamente nell’arteria. Ma non si può insistere con un collega, altrimenti si emoziona e va nel pallone.

    – Prova a riposare. Prendi l’analgesico e più tardi forse ti sentirai meglio.

    – Per favore, chiama Paolo. Voglio parlare con lui, è l’unico che s’intende veramente di queste cose.

    Paolo arrivò dopo venti minuti. Appena Teresa aveva accennato ai miei dubbi, s’era precipitato senza esitare. Quando vide in che stato ero, mi sembrò che facesse fatica a celare la smorfia di dispiacere e rabbia. Indugiò a lungo prima di parlare.

    – Nino, temo che ci sia una trombosi. Bisogna operare… – si chiuse un attimo nel silenzio, poi improvvisamente sbottò. – Bastardi! questa volta l’hanno fatta grossa. Ma come si può pensare di dimetterti in queste condizioni?

    – Lavorano come macchine. Nessuna macchina ha la testa. Dopo tre giorni devono dimetterti per assegnare il letto a un altro. I letti devono ruotare…. La rotazione è la giaculatoria che i dirigenti ripetono mille volte al giorno: rotazione… rotazione…. Per quel maledetto sistema dei DRG[1].

    – E nessuno controlla se le cose vanno bene oppure no.

    – Lo sapevo! È toccato a me. Cazzo!... Gliel’avevo detto di non spingere troppo, avrebbe dovuto procedere a cielo aperto. Lo sanno tutti che la percentuale di complicanze con gli stent è alta. E poi perché questi stent? Si poteva programmare il by-pass. Ma ormai il sistema è un mercato. Gli stent sono merce, più ne metti e più merce è venduta. Chi vende di più è il migliore, e non importa la qualità.

    – La percentuale è alta quando l’indicazione non è corretta, Nino, oppure se le cose vengono fatte male. – Paolo strinse le mascelle e riprese il controllo professionale. – Ora la polemica non ci aiuta. Bisogna operare.

    – È l’aorta, vero?... L’infarto è recente… Ce la farò?

    – Sì, ce la farai, sei forte, Nino. Piuttosto, da chi?

    – Questa sarebbe roba per te. Com’è la situazione da te?

    – È un tasto doloroso. Lo sai che mi hanno messo in condizioni di non poter più fare questi interventi. Me l’hanno vietato.

    – Bastardi. Da chi, allora?

    Teresa entrò nella camera da letto dove si svolgeva la visita con un the per Paolo. Probabilmente gli lesse sul volto la sentenza. Sbiancò in viso fino ad assumere un aspetto cadaverico. Paolo prese il vassoio e la

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