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Io ce la farò
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Io ce la farò
E-book247 pagine3 ore

Io ce la farò

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Info su questo ebook

La storia, narrata in tempo reale, di un soccorritore professionale che, improvvisamente, si ritrova a confrontarsi con una grave patologia del fegato che lo porterà a necessitare di un trapianto. La descrizione dettagliata del periodo che va dall'estate del 2008 – scoperta della malattia – all'estate del 2017 – trapianto – e il felice ritorno alla vita normale. Nato come un diario da presentare alle visite mediche di controllo durante la malattia, una sorta di terapia antidepressiva, questo libro vuole essere un faro di speranza per quanti soffrono la medesima condizione e per le persone che li accompagnano. Un inno alla vita e una fonte di riflessione su un argomento ancora oggi troppo delicato, del quale si parla quasi sottovoce: la donazione di organi.
LinguaItaliano
Data di uscita27 lug 2022
ISBN9791221420937
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    Anteprima del libro

    Io ce la farò - Nadja Haltinner Bortot

    Io voglio farcela!

    Mancano 9 giorni al Natale 2016. Le giornate sono corte, le serate lunghissime e una miriade di luci natalizie nei giardini e di candele accese dentro casa, unitamente al fuoco nel caminetto, portano ad essere più riflessivi, più spirituali.

    Oggi non è poi andata così male, ho vissuto giornate ben peggiori. Forse perché mia moglie ha potuto passare la giornata con me, e per me la sua presenza è fondamentale. Se lei non c’è io mi sento perso, impaurito, mi sembra che in ogni momento mi possa accadere di tutto… Se lei è con me mi sento più forte, più sicuro ed ho meno tempo per pensare alle mie paure ed alla mia attuale debolezza, impegnato come sono a dimostrare a lei che ho la forza per continuare a vivere.

    In questo tardo pomeriggio di inizio dicembre ho deciso di scrivere la storia di questa mia avventura. Da una parte spero che possa aiutare altri che devono compiere questa mia stessa strada ad affrontarne i problemi con maggior consapevolezza e sicurezza, dall’altra voglio fissare sulla carta i miei sentimenti, le mie paure e le battaglie che combatto giorno per giorno per andare avanti, perché sono convinto che un domani, quando tutto sarà finito ed io sarò tornato a vivere una vita più o meno normale, se dovessi affrontare un momento di smarrimento o di debolezza, rileggere quanto ho passato in questo periodo mi aiuterà a trovare la forza per combattere qualsiasi battaglia. Oggi non so come andrà a finire. L’unica cosa sicura è che sono in lista attiva, in attesa di un trapianto di fegato all’Inselspital di Berna, e che sto lottando con tutte le mie forze per arrivare al momento del trapianto in una condizione che mi permetta di superarne tutte le insidie. Io sopravvivrò a tutto questo, io voglio farcela!

    N.A.S.H.: Nonalcoholic Steatohepatitis! (Steatoepatite non alcoolica)

    Quando sento per la prima volta questo acronimo, nel 2009, passo un buon paio di giorni cercando di capire di cosa stiamo parlando. L’informazione chiara, determinata dai dati di laboratorio, è che il mio fegato si trova in una situazione di cirrosi in stato iniziale. So benissimo cos’è una cirrosi e quali sono le sue conseguenze, ma sono le sue cause che non quadrano. Infatti, questa gravissima malattia del fegato viene associata dal sapere popolare agli abusi; soprattutto di alcool, ma anche di medicamenti o droghe. Io non mi riconosco in nessuna di queste problematiche. Non mi sono mai drogato e non sono mai stato un gran bevitore. Certo non sono astemio, ma avendo sempre fatto lavori che prevedevano un’alcolemia dello 0‰, non ho nemmeno avuto modo di bere più di tanto.

    Oggi ho 57 anni. Ho iniziato a 20 anni a lavorare come autotrasportatore, poi un breve periodo alla Fart a Locarno come autista di bus, per arrivare a 24 anni ad entrare in ambulanza come soccorritore volontario e divenire, l’anno seguente, soccorritore professionale. Ho fatto questo lavoro con grandissimo impegno ed enorme passione fino al 2002, quando un banale infortunio ha evidenziato che avevo un morbo degenerativo alle caviglie che mi ha costretto ad abbandonare la mia professione. Ma di questo parleremo più avanti.

    Dunque, mi sono trovato cirrotico senza avere mai abusato né di alcool, né di droghe. Il discorso medicamenti è un po’ più delicato, perché soffro di una debolezza congenita alle vertebre lombari (due prolassi discali non operabili), che genera forti mal di schiena, per gestire i quali ho utilizzato per tantissimi anni antidolorifici, antiinfiammatori e miorilassanti. Sempre nelle dosi lecite per svolgere la mia attività, ma in maniera ripetuta e costante nel tempo.

    Il professore che mi segue in questa mia malattia, analizzando con me le ipotetiche motivazioni dello stato del mio fegato, facendo un’anamnesi approfondita ha rilevato una probabile debolezza congenita dell’organo, che lo ha reso più sensibile agli effetti dei medicamenti che lo hanno praticamente distrutto, rendendolo cirrotico. La NASH è però attualmente ancora in fase di studio. Si tratta di una patologia ancora poco conosciuta e studiata, per la quale oggi praticamente tutto può essere possibile.

    Ma andiamo per gradi.

    Questa storia inizia in realtà più di vent’anni fa, nel 1994, ma si manifesta nell’estate del 2008, quando inizio a sviluppare delle ipoglicemie spontanee. Mia moglie è diabetica da più di 30 anni ed il fatto che lei utilizza l’insulina ed io sviluppo delle ipoglicemie ci fa fare delle grandi risate. Ma il disturbo progredisce e, ad un certo punto, iniziamo a preoccuparci, perché la situazione ci spinge a ventilare ipotesi gravissime, quali un tumore alla testa del pancreas o accidenti simili… Purtroppo in questi casi le conoscenze mediche dovute alla professione ma non supportate da studi in medicina non ti aiutano certamente, in quanto ti portano immediatamente a lavorare secondo i dettami della medicina d’urgenza, cioè a pensare al peggio per prevenirne le conseguenze!

    Decido così di fare una serie di esami approfonditi. Nella mia mente cerco qualcosa che abbia a che fare con il pancreas, non certo con il fegato!

    Mi ricordo esattamente quando è arrivata la telefonata. Mi trovo con mia moglie e mia suocera in Val Malvaglia, una giornata meravigliosa in un luogo incantevole, che ci trova occupatissimi a goderci un bel pic-nic, bottiglietta da ½ litro di rosé al seguito! Rispondo al telefono e sento il mio medico di famiglia e amico che, preoccupatissimo, mi dice che il pancreas non ha nulla, ma in compenso i valori del fegato sono completamente sbalzati e dobbiamo intervenire immediatamente. Il bicchiere di rosé mi va di traverso e, in effetti, sarà l’ultimo alcool che abbia bevuto fino ad oggi e penso ancora per lungo tempo!

    Fissiamo un appuntamento per i giorni seguenti ed iniziamo a lavorare sull’anamnesi del problema. Lui è il mio medico di famiglia dai primi anni ’90 e siamo praticamente cresciuti assieme, lui come medico generalista e medico d’urgenza del Servizio Ambulanza ed io come soccorritore professionale. Ci conosciamo molto bene e condividiamo da subito le nostre perplessità in merito alla mia malattia. Ricostruendo i fatti si risale al 1994. Non che in quell’anno sia accaduto qualcosa di direttamente collegabile al mio fegato, ma dopo un intervento comprendente un ricovero per meningite, vengo chiamato in ospedale a fare gli esami del sangue e a ricevere i medicamenti di profilassi obbligatori in questi casi. In pronto soccorso è di turno una dottoressa che lavora anche come medico d’urgenza del Servizio Ambulanza. Mi chiama appena ricevuti i risultati, dicendomi che non ho contratto la meningite, ma devo ricoverarmi immediatamente perché i valori del mio fegato sono fuori da qualsiasi norma. Reagisco con poco più che una risata e la dottoressa allerta il mio medico. Lui cerca di farmi ragionare ma, essendo io particolarmente cocciuto, non riesce a ricoverarmi. Iniziamo un trattamento di sostegno al fegato, alla fine del quale rifacciamo gli esami e i valori si sono abbassati, andando verso la norma.

    Bisogna qui specificare che chi lavora in ambulanza vive giornalmente a contatto con il dolore degli altri e indirizza tutte le sue energie e la sua attenzione al paziente, del quale cerca di alleviare le pene. Le malattie del fegato sono subdole perché non generano dolore. Tu non senti che il tuo fegato è ammalato. O meglio, il giorno che inizi ad avere i primi sintomi della sua malattia, in realtà è assolutamente troppo tardi. Il ruolo del soccorritore professionale ti porta poi a vivere in una sorta di corazza indistruttibile; il tuo lavoro è quello di aiutare chi è ammalato; quindi, tu non puoi essere a tua volta ammalato. Però anche il soccorritore professionale più coriaceo è un uomo e si ammala, suo malgrado. Io ne sono la conferma!

    In diverse altre circostanze di lavoro simili a quella del 1994, facendo gli esami di routine, i valori del mio fegato risultano sempre un po’ sopra la norma, ma senza nulla di particolarmente allarmante. L’unica persona che continua ad insistere perché io mi sottoponga a degli esami specifici sul fegato, è la dottoressa che mi ha visitato in occasione dell’intervento per meningite, ma visto che io mi sento bene e non ho problemi di sorta, rimane inascoltata, fino a quando ci perdiamo di vista perché lei si trasferisce a lavorare nel Sottoceneri. Ora sappiamo che non sarebbe comunque cambiato nulla. Semplicemente mi sarei controllato a partire dal 1994 al posto che dal 2008, ma l’effetto finale sarebbe stato lo stesso, forse solo un po’ ritardato nel tempo. Molto probabilmente avrei vissuto questi 15 anni sentendomi ammalato e in pericolo; quindi, non è detto che non sia stato meglio così, in quanto fino a quella fatidica giornata dell’Estate del 2008 io ho vissuto benissimo ignorando la gravità del problema al quale stavo andando incontro.

    Il castello crolla e la mia corazza si sfascia la Notte di Natale del 2002. Nel corso di un intervento devo affidare la barella al soccorritore volontario che è in servizio con me, perché io non riesco a sorreggerne il peso. Ho sentito un cedimento all’interno della caviglia destra e provo un dolore molto acuto. In effetti, appena arrivati in ospedale, chiedo al medico di picchetto di farmi una radiografia per vedere cosa è successo. La radiografia evidenzia delle malformazioni ossee e così mi fissano una TAC per il giorno dopo.

    Il risultato della TAC viene valutato da un chirurgo ortopedico di grandissima fama ed esperienza, allora a fine carriera. La sua interpretazione è quella che si tratti di una vecchia frattura che non era stata diagnosticata e quindi curata adeguatamente. Stabilisce che l’unica soluzione sia quella di pulire i frammenti ossei e bloccare la caviglia.

    Quindi primo intervento alla caviglia destra. L’articolazione viene ripulita dai frammenti ossei vaganti e viene bloccata con una serie di viti. Il piede viene fissato e devo usare le stampelle per le 6/7 settimane di rito. Ma io ho 43 anni e non amo muovermi con le stampelle, anche perché il loro utilizzo mi fa aumentare il mal di schiena. Abito in una casa con locali relativamente piccoli, dove mi muovo molto più agevolmente saltellando sul piede sinistro. Lo avessi saputo… Passa il tempo, il piede destro sembra essersi messo a posto – logicamente ho molto dolore, ma dopo un’operazione simile sembra essere normale – ma inizio ad avere grossi problemi al piede sinistro. Torno dal chirurgo che mi ha operato e mi faccio fare una TAC anche a questo piede. Il risultato è identico a quanto riscontrato nel piede destro: l’articolazione interna della caviglia si sta letteralmente sgretolando. Diagnosi del medico: morbo di Koehler II. Questo è un morbo della crescita, che viene normalmente diagnosticato nella seconda infanzia, al più tardi durante l’adolescenza, quando i ragazzi praticando sport continuano a subire traumi spontanei alle caviglie. Un periodo di blocco dell’articolazione permette normalmente la guarigione completa dal morbo.

    La soluzione è solo una: operare anche il piede sinistro per ripulire l’articolazione e fissarla. Questa volta, però, utilizziamo delle nuovissime viti americane, più lunghe delle precedenti, che promettono di fare miracoli. In questo caso, non avendo ancora recuperato totalmente l’uso del piede destro, mi ritrovo su una sedia a rotelle, perché non posso usare le stampelle!

    Ma la cosa non finisce qui. Naturalmente per il momento di lavorare non se ne parla nemmeno, e sono ormai passati quasi due anni.

    Vista la mal parata, nel 2003 viene avviata una pratica di richiesta di invalidità per i problemi ai piedi ed alla schiena. Questa pratica vedrà un iter inimmaginabile, che richiederebbe un libro a sé stante. Diciamo solo che io ho terminato il periodo di malattia di 2 anni in ambulanza a fine 2004 ed ho ricevuto l’indennità di invalidità a luglio 2015, con il riconoscimento di ben 13 mesi di arretrati. Torneremo di tanto in tanto a parlare di questo piccolo problema burocratico.

    Ad un certo punto, il buon chirurgo termina la sua onorabilissima carriera e va in pensione. Il piede sinistro (l’ultimo operato), essendo stato trattato con la consapevolezza della presenza del morbo di Koehler II, non da particolari problemi. È stato anch’esso bloccato, costringendomi a camminare un po’ come RoboCop, ma tutto sommato si riprende bene. È il piede destro che non vuole guarire, anche perché al momento dell’operazione la diagnosi era stata sbagliata. Mi affido quindi ad un nuovo chirurgo ortopedico, anch’esso conosciuto nell’ambito del servizio ambulanza dove presta servizio medico d’urgenza, che mi riopera, ripulendo nuovamente l’articolazione, cambiando un paio di viti ed aggiungendo 3 chiodi nel tallone…non ci dobbiamo mai fare mancare nulla!

    Il piede destro non si riprenderà mai e anche il sinistro ha i suoi bei problemi. Per me questo si traduce in un costante, acuto dolore che gestisco a suon di antidolorifici. Inoltre, non cammino più correttamente e i dolori alla schiena non possono che aumentare. E giù antidolorifici, antiinfiammatori e miorilassanti per cercare di gestire la situazione. Mi accorgo anche che, non essendo più confrontato con il dolore degli altri, sento molto di più il mio.

    Oggi, a dicembre del 2016, sono cosciente del fatto che tutti questi medicamenti per gestire il dolore hanno collaborato a portarmi a vivere attaccato ad un telefono e un cercapersone, sperando e temendo che suonino perché se da una parte non vedo l’ora che arrivi il fegato per me, dall’altra il trapianto mi fa tanta, tanta paura. Però cosa avrei mai potuto fare? Non potevo ribobinare la mia vita e curare le mie caviglie di bambino. Purtroppo, questo non è ancora oggi possibile.

    A proposito di bambini, a 12 anni, seguendo le lezioni di scienze e corpo umano a scuola, ho manifestato il mio primo esaurimento nervoso. Sembra che tra le altre pecche genetiche, nella mia famiglia sia presente pure una debolezza del sistema nervoso. Già allora, tutto ciò che aveva a che fare con il corpo umano e la sofferenza mi provocava stati d’ansia e malessere diffuso. Questa condizione mi ha accompagnato per tutta la vita, con alti e bassi, ed è presente ancora oggi, naturalmente enfatizzata dalla difficile situazione attuale.

    Non mi sono mai piegato alla malattia e non ho mai accettato di assumere psicofarmaci. Ho combattuto per tutta la mia vita contro la maledetta depressione cercando di affrontare e combattere i motivi che ne stavano alla base. Anche la decisione di entrare a lavorare nel servizio ambulanza è stata determinata dalla mia volontà di superare il trauma che mi aveva sconvolto a 12 anni e che continuava ad accompagnarmi, ogni volta che sentivo le sirene di un’urgenza.

    Ma la bestia è furba e feroce e colpisce quando sei più debole. E per me la debolezza è arrivata l’anno scorso, verso la fine dell’Estate.

    A questo punto della storia, vale la pena vedere come ci siamo arrivati, all’Estate del 2015.

    Alla fine del 2003 ho ambedue i piedi operati e nulla sembra avere l’intenzione di andare per il verso giusto. A inizio settembre mi risposo ed acquisto una casa a Pian San Giacomo, nel comune di Mesocco. Un bel cambiamento, calcolando che la situazione più alpina nella quale avevo vissuto era ad Aurigeno in Valle Maggia.

    Io sono stato un ragazzo ribelle. A 14 anni (cosa impensabile al giorno d’oggi), vivo da solo e mi pago una stanza facendo il raccattapalle al tennis dopo la scuola. Passo il mio tempo con un gruppo di bikers che mi hanno adottato come mascotte, ascolto la musica rock e suono il basso in un gruppo. La mia casa è la strada e conosco la vera faccia della droga, avendo tanti conoscenti che vivono fatti dalla mattina alla sera (siamo alla fine degli anni ’70). A 16 anni lavoro come barista in un night-club al centro di Lugano, dove conosco il retro del mondo della prostituzione. Tutte queste esperienze particolari, fatte soprattutto troppo presto, mi generano delle paure che, in fin dei conti, mi tengono lontano dai guai. Infatti, una sera, durante una prova con il gruppo di cui faccio parte, appare una siringa. Non è strano vedere della droga, quanto piuttosto vederla tra i miei amici. Non ci penso su molto e mi allontano.

    Sto passeggiando sul lungolago con un altro membro del gruppo che la pensa come me, rimuginando sull’accaduto, quando incontro una ragazza che mi conquista. Io sono depresso, lei molto solare ed allegra. Iniziamo a vederci e a crescere insieme. Grazie alla sua conoscenza e a quella dei suoi genitori la mia vita cambia corso: ora ho degli scopi, devo diventare uomo per costruire una famiglia con lei. Mi incitano ed aiutato a trovare il valore nascosto in me, mi spingono a studiare e diventare Soccorritore Professionale. I suoceri ci donano una casetta da ristrutturare, permettendoci di possedere una casa e di costruirla secondo i nostri desideri, cosa che incide molto positivamente sul mio orgoglio. Così tutto va in fretta e a 21 anni sono già sposato e padre di una splendida bambina nata nel 1980. Vivo lottando continuamente per dimostrare, più che altro a me stesso, che sono in grado di mantenere una famiglia. Lotto sempre contro l’esaurimento nervoso, che accompagna praticamente tutta la mia vita, a volte latente, a volte esposto, ma in realtà non mi lascia mai. Nel 1988 arriva anche il mio secondo figlio, questa volta un bel maschietto.

    Ma le strade della vita sono piene di curve ed incroci e non sempre il destino ci porta dove avevamo pensato. Infatti, nel 1994 divorzio dalla mia prima moglie e madre dei mei figli, e inizia la mia storia con la mia attuale compagna, che sposerò nel 2003. Attendiamo 10 anni per fare questo importante passo, probabilmente perché stiamo bene così e forse anche perché siamo divorziati tutti e due; quindi, non abbiamo fretta di commettere l’errore di sposarci velocemente. Oggi sono felicemente nonno di due bei bambini figli della mia primogenita e faccio orgogliosamente parte di una splendida famiglia allargata, perché con il tempo i rapporti tra la mia prima famiglia e la mia famiglia attuale sono maturati ed ora ci troviamo tranquillamente tutti insieme per fare un pranzo, fare merenda, semplicemente passare del tempo insieme. Questo è importantissimo vista la mia salute, perché io sono sempre sicuro che, qualsiasi cosa succeda, tutti i miei cari saranno immediatamente coinvolti e potranno stare accanto a me in armonia.

    Dunque, nel settembre del 2003 mi sono appena risposato ed ho comprato la seconda casa della mia vita; sembrerebbe una situazione idilliaca, ma i piedi non migliorano, l’AI non si fa sentire ed io non so più come fare per andare avanti. Fortunatamente mia moglie ha un’ottima professione, guadagna bene e così riusciamo a vivere con il suo stipendio, nell’attesa che l’AI decida qualcosa (ci vorranno solo 12 anni, in fondo…). Questa situazione di stallo si protrarrà fino alla fine del 2006, quando dopo aver

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