Anche agli angeli ricrescono le ali
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Anteprima del libro
Anche agli angeli ricrescono le ali - Patrizia Vallavanti
strada.
PREFAZIONE
Anche agli angeli ricrescono le ali è il racconto di una guarigione. A 48 anni Patrizia, donna in carriera, sportiva, amante dei tacchi alti, è costretta a fermarsi e a passare alcuni mesi in ospedale, tra fisioterapia e riabilitazione motoria. Dovrà abituarsi a non essere autosufficiente, a utilizzare stampelle e sedie a rotelle, a soffrire e lottare per ogni minimo progresso. La struttura dove è ricoverata, l’ospedale Verdi di Villanova d’Arda, diventa per lei il centro del mondo: un microcosmo dove si vive in una sorta di sospensione del tempo, ma anche un rifugio comodo e rassicurante, tanto da farla sentire a disagio nei weekend in cui le è permesso tornare a casa. Circondata dall’umanità e dall’affetto di infermieri e terapisti, Patrizia stringe amicizia con alcuni degli altri degenti: giovani, meno giovani, alcuni destinati a recuperare una perfetta mobilità e altri condannati alla disabilità. Nella prosa di Patrizia Vallavanti si avverte tutta l’empatia con la sofferenza altrui, quel senso di solidarietà come tra naufraghi, quell’essere tutti sulla stessa barca
che fa scattare la molla della condivisione, del sostegno reciproco. Ed ecco quindi che una spaghettata notturna, una barzelletta raccontata al momento giusto, possono essere utili quanto e più di una seduta fisioterapica. I compagni di reparto (e di sventura) diventano una seconda famiglia, persone su cui si può contare e che si salutano con un pizzico di nostalgia, oltre che con la naturale felicità, quando possono finalmente tornare a casa e alla quotidianità. Ma l’esperienza dell’ospedale lascia qualcosa di profondo dentro: la consapevolezza della propria forza, la saggezza di chi è passato attraverso la sofferenza, l’affetto per chi ha condiviso un pezzo per strada. Tanto che – come sostiene un’infermiera, citando un film di successo – chi arriva a Villanova piange due volte: quando entra e quando esce.
Anche agli angeli ricrescono le ali
L'ambulanza incede senza fretta. Non servono le luci e le sirene di emergenza, è un semplice trasferimento da una unità ospedaliera a un'altra: il mio. La gamba mi fa male, l'autista fa il possibile ma la strada è dissestata, ed ogni buca è dolore. Sono stata operata pochi giorni fa e non sono avvezza all'incapacità, alla mancanza di autonomia e alla sofferenza. Non vedo nulla dalla lettiga, ma so che Roberto, mio marito, mi segue in macchina, ed è conforto. Arriviamo all'ospedale Verdi di Villanova d'Arda. Dovrò trascorrere qui diverso tempo, sono spaesata ed ho paura.
I lettighieri mi portano su, in reparto, lungo dei corridoi, fuori dalla stanza che occuperò fra breve.
In corridoio noto i finestroni alti, le pareti azzurre, le tendine gialle che schermano il sole pallido del mattino. Mio marito è al mio fianco, mi dice che sono nella migliore struttura ospedaliera per la riabilitazione del nord Italia; so che ha ragione, ma io vorrei solo essere a casa, senza dolore, a pensare alle piccole cose di ogni giorno, e invece non so quando tornerò al mio quotidiano, quando potrò anche solo infilarmi un paio di mutande da sola; vorrei dirgli Portami a casa
, e glielo sussurro anche, ma so benissimo che non può farlo, e inizio a piangere.
Non riuscirò a fermare il pianto per un giorno intero, le lacrime hanno vita propria. Cercano di rassicurarmi i lettighieri, ma nessuno, nemmeno io, nessuno è in grado di fermare il mio pianto. Il letto è pronto, mi spostano dalla lettiga e guardo la stanza che occuperò per diverso tempo: ha le pareti azzurre, i mobili gialli, la televisione, una bella finestra grande, alla mia sinistra. Si vede il cielo, azzurro e grigio. Entra una infermiera, leggo sulla divisa il suo nome:
Nicoletta. Ha un bel sorriso aperto, sincero, gli occhi scuri e grandi, penso che abbiano visto tante cose. Fa il suo lavoro, elettrocardiogramma, prelievo del sangue, e non si fa intimorire dalle mie lacrime, inopportune e sfrontate. Mi prende la mano e dice: A Villanova si piange due volte: una quando si entra e una quando si esce, ma per motivi diversi
. Ha ragione e lo scoprirò con il tempo.
Dopo poco entra una Dottoressa, ha bei modi, è rassicurante, scrive la mia cartella, mi parla serenamente, ma io non vedo altro che la mia inabilità. Mio marito rientra. So che è stanco, ma sono incapace di pensare che tra poco dovrà andare a casa. Entra il Primario. Ho poca esperienza di Professori, penso con timore quasi riverenziale che ho davanti il capo dell'Unità Spinale per eccellenza e cerco di darmi un contegno, per quanto possibile.
Mi mette a mio agio, mi visita con attenzione, mi dedica più di un'ora. E' prodigo di consigli e avvertenze,