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Il Richiamo Del Falconiere
Il Richiamo Del Falconiere
Il Richiamo Del Falconiere
E-book800 pagine10 ore

Il Richiamo Del Falconiere

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Info su questo ebook

Otto anni dopo i tumultuosi eventi de Il cavaliere della profezia di Dante, Pietro Alaghieri vive esule a Ravenna, soffrendo per la perdita del suo famoso padre e, intanto, segretamente allevando Cesco, l’erede bastardo del Signore di Verona Cangrande della Scala.


Il sopraggiungere della notizia della morte di Cangrande costringe Pietro a tornare in fretta e furia a Verona per impedire che i rivali di Cesco usurpino il posto che spetta di diritto al suo protetto. Ma il giovane Cesco è determinato a non diventare pedina nelle mani di nessuno.


Ingegnoso e brillante, questi sfida anche le sue stelle. Nel frattempo, lontano dalle scene, un regista tira le fila, dirigendo i personaggi verso un sanguinoso finale.


Nato sui drammi di Shakespeare d’ambiente italiano, questo romanzo esplora i pericoli, gli inganni e le perfidie dell’Italia dell’alto Rinascimento. Pieno di spavalde avventure, amori non corrisposti e tradimenti brutali, questo epico viaggio richiama alla mente le opere migliori di Bernard Cornwell, Sharon Kay Penman e Dorothy Dunnett.

LinguaItaliano
Data di uscita14 dic 2021
ISBN4824120950
Il Richiamo Del Falconiere
Autore

David Blixt

David Blixt's work is consistently described as "intricate," "taut," and "breathtaking." A writer of historical fiction, his novels span the Roman Empire (the COLOSSUS series, his play EVE OF IDES) to early Renaissance Italy (the STAR-CROSS'D series) through the Elizabethan era (his delightful espionage comedy HER MAJESTY'S WILL, starring Will Shakespeare and Kit Marlowe as hapless spies), to 19th Century feminism (WHAT GIRLS ARE GOOD FOR, his novel of reporter Nellie Bly). During his research, David discovered eleven novels by Bly herself that had been lost for over a century. David's stories combine a love of theatre with a deep respect for the quirks and passions of history. As the Historical Novel Society said, "Be prepared to burn the midnight oil. It's well worth it."Living in Chicago with his wife and two children, David describes himself as an "author, actor, father, husband-in reverse order."

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    Anteprima del libro

    Il Richiamo Del Falconiere - David Blixt

    Il Richiamo Del Falconiere

    IL RICHIAMO DEL FALCONIERE

    Destini Incrociati Libro 2

    DAVID BLIXT

    Traduzione di

    ANNA MARIA DURANTE

    Copyright (C) 2012 David Blixt

    Layout design e Copyright (C) 2021 by Next Chapter

    Pubblicato 2021 da Next Chapter

    Copertina di The Killion Group

    Mappe: Jill Blixt

    Questo libro è un’opera di finzione. Nomi, personaggi, luoghi e incidenti sono il prodotto dell’immaginazione dell’autore o sono usati in modo fittizio. Qualsiasi somiglianza ad eventi attuali, locali, o persone, vive o morte, è puramente casuale.

    Tutti i diritti riservati. Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo, elettronico o meccanico, incluse fotocopie, registrazioni, o da qualsiasi archiviazione delle informazioni e sistemi di recupero senza il permesso dell’autore.

    INDICE

    Libri di David Blixt

    In Memoriam

    Personaggi

    Italia Settentrionale

    Prologo

    Atto I

    Capitolo 1

    Capitolo 2

    Capitolo 3

    Capitolo 4

    Capitolo 5

    Capitolo 6

    Capitolo 7

    Capitolo 8

    Capitolo 9

    Atto II

    Capitolo 10

    Capitolo 11

    Capitolo 12

    Capitolo 13

    Capitolo 14

    Capitolo 15

    Capitolo 16

    Capitolo 17

    Capitolo 18

    Capitolo 19

    Atto III

    Capitolo 20

    Capitolo 21

    Capitolo 22

    Capitolo 23

    Capitolo 24

    Capitolo 25

    Capitolo 26

    Capitolo 27

    Capitolo 28

    Atto IV

    Capitolo 29

    Capitolo 30

    Capitolo 31

    Capitolo 32

    Capitolo 33

    Capitolo 34

    Capitolo 35

    Capitolo 36

    Capitolo 37

    Atto V

    Capitolo 38

    Capitolo 39

    Capitolo 40

    Capitolo 41

    Capitolo 42

    Capitolo 43

    Capitolo 44

    Capitolo 45

    Capitolo 46

    Capitolo 47

    Epilogo

    Nota dell’autore

    1. Fortune's Fool

    Notizie Sull’autore

    Nota

    Caro lettore

    LIBRI DI DAVID BLIXT

    Serie «Destini incrociati»

    The Master Of Verona

    (tr. it. Il cavaliere della profezia di Dante)

    Voice Of The Falconer

    (tr. it. Il richiamo del falconiere)


    Serie «Nellie Bly»

    What Girls Are Good For – A Novel of Nellie Bly

    (tr. it.: A cosa servono le ragazze. L’incredibile storia di Nellie Bly)


    Visitate www.davidblixt.com


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    IN MEMORIAM

    Jim Posante

    (1946 – 2008)


    Page Hamilton Hearn

    (1960 – 2008)


    Will Schutz

    (1962 – 2009)


    Artisti – Maestri – Amici


    «Il tempo è per le libellule e per gli angeli. Per le prime la vita è troppo breve,

    per i secondi troppo lunga.»

    — James Thurber

    «Il tempo è per le libellule e per gli angeli. Per le prime la vita è troppo breve, per i secondi troppo lunga.»

    JAMES THURBER

    Per Janice, Dashiell & Evelyn

    Che significano tutto

    PERSONAGGI

    ♦ personaggio storico

    ◊ personaggio di Shakespeare


    Famiglia Della Scala di Verona


    ♦ FRANCESCO ‘CANGRANDE’ DELLA SCALA – Governatore di Verona, Vicario Imperiale della Marca Trevigiana

    ♦ GIOVANNA DI SVEVIA – Moglie di Cangrande, pronipote dell’Imperatore Federico II

    ♦ FEDERIGO DELLA SCALA – Cugino di Cangrande

    ♦ALBERTO II DELLA SCALA – Nipote maschio maggiore di Cangrande

    ♦/◊ MASTINO II DELLA SCALA – Nipote maschio minore di Cangrande

    ♦ VERDE DELLA SCALA – Nipote femmina maggiore di Cangrande

    ♦ CATERINA DELLA SCALA – Nipote femmina mediana di Cangrande

    ♦ ALBUINA DELLA SCALA – Nipote femmina minore di Cangrande

    ♦/◊ FRANCESCO ‘CESCO’ DELLA SCALA – Bastardo

    ◊ PARIDE DELLA SCALA – Pronipote di Cangrande, figlio del defunto Cecchino della Scala


    Famiglia Nogarola di Vicenza


    ♦ ANTONIO NOGAROLA – Nobile vicentino, fratello maggiore di Bailardino

    ♦ BAILARDINO NOGAROLA – Signore di Vicenza, marito della sorella di Cangrande, Katerina

    ♦ KATERINA DELLA SCALA – Sorella di Cangrande, moglie di Bailardino

    ♦ BAILARDETTO ‘DETTO’ NOGAROLA – Figlio maggiore di Bailardino e Katerina

    ◊ VALENTINO NOGAROLA – Figlio minore di Bailardino e Katerina


    Famiglia Alaghieri di Firenze


    ♦ PIETRO ALAGHIERI – Cavaliere di Verona, figlio del poeta Dante

    ♦ JACOPO ‘POCO’ ALAGHIERI – Figlio minore di Dante

    ♦ ANTONIA ALAGHIERI – Figlia di Dante, agli ordini sacri Suor Beatrice


    Famiglia Carrara di Padova


    ♦ MARSILIO DA CARRARA – Signore di Padova, cugino di Gianozza Montecchio

    ♦ NICCOLO’ DA CARRARA – Cugino di Marsilio, fratello di Ubertino

    ♦ UBERTINO DA CARRARA – Cugino di Marsilio, fratello di Niccolò

    ♦ CUNIZZA DA CARRARA – Sorella di Marsilio


    Famiglia Montecchio di Verona

    ◊ ROMEO MARIOTTO ‘MARI’ MONTECCHIO – Signore di Montecchio, padre di Romeo

    ◊ GIANOZZA DELLA BELLA – Moglie di Mariotto, cugina di Carrara, madre di Romeo

    ◊ ROMEO MONTECCHIO – Figlio di Mari e Gianozza

    AURELIA MONTECCHIO – Sorella di Mariotto, moglie di Benvenito Lenoti, madre di Benvolio

    BENVENITO LENOTI – Cavaliere di Verona, marito di Aurelia, padre di Benvolio

    ◊ BENVOLIO LENOTI – Cugino di Romeo, figlio di Benvenito e Aurelia

    Famiglia Capulletto di Verona


    ◊ ANTONIO ‘ANTONY’ CAPULLETTO – Signore della famiglia Capulletto, nato a Capua

    ◊ ARNALDO CAPULLETTO – Zio di Antony

    ◊ TESSA GUARINI – Moglie di Antony, madre di Giulietta

    ◊ TEBALDO ‘THIBAULT’ CAPULLETTO – Nipote di Antony

    ◊ GIULIETTA CAPULLETTO – Figlia di Antony e Tessa


    Comparse


    BADESSA VERDIANA – Badessa benedettina di Santa Maria in Organo in Verona

    ♦ ALBERTINO MUSSATO– Poeta-storico padovano

    ANDRIOLO DA VERONA – Stalliere dei Capulletto, marito di Angelica

    ANGELICA DA VERONA – Balia di Tessa e Thibault, moglie di Andriolo

    AVENTINO FRACASTORO – Medico personale di Cangrande

    BATTISTA MINOLA – Nobile padovano, padre di Katerina e Bianca

    ♦ BERNARDO ERVARI – Cavaliere di Verona, membro degli Anziani

    ♦ VESCOVO FRANCIS – Vescovo francescano, guida della crescita spirituale di Verona

    ◊ FRA’ LORENZO – Frate francescano con famiglia in Francia

    ♦ FRANCESCO DANDOLO – Nobile veneziano

    ♦ GUGLIELMO CASTELBARCO – Nobile veronese, armigero di Cangrande

    ♦ GUGLIELMO II CASTELBARCO – Figlio di Castelbarco

    GUISEPPE MORSICATO – Medico, cavaliere, abitante a Ravenna

    ◊ HORTENSIO & PETRUCHIO II BONAVENTURA – Figli gemelli di Katerina e Petruchio

    ◊ JESSICA – Ebrea veneziana, figlia di Shylock

    ◊ KATERINA BONAVENTURA – Ereditiera di famiglia padovana, moglie di Petruchio Bonaventura

    ♦ MANOELLO GIUDEO – Maestro Cerimoniere di Cangrande

    MASSIMILIANO DA VILLAFRANCA – Conestabile del palazzo di Cangrande

    ♦ NICCOLO’ DA LOZZO – Cavaliere padovano, cambia schieramento per unirsi a Cangrande

    NIKLAS FUCHS – Amico di Mastino, di origine tedesca

    ♦ PASSERINO BONACCOLSI – Podestà di Mantova, alleato di Cangrande

    ◊ PETRUCHIO BONAVENTURA – Nobile veronese, marito di Katerina Minola

    ◊ SHYLAKH – Usuraio ebreo veneziano, padre di Jessica

    THARWAT AL-DHAAMIN – Maestro Astrologo moresco, detto l’Arūs

    TULLIO D’ISOLA – Anziano attendente, Gran Maggiordomo di Cangrande

    ♦ ZILIBERTO DELL’ANGELO – Maestro di Caccia di Cangrande

    Italia Settentrionale


    La Citta’ Di Verona

    Piazza Dei Signori

    Piazza Dei Signori

    Tapina ahimè, ch'amava uno sparvero:

    amaval tanto ch'io me ne moria;

    a lo richiamo ben m'era manero,

    e dunque troppo pascer nol dovia.


    Or è montato e salito sì altero,

    assai più alto che far non solia,

    ed è asiso dentro a uno verzero:

    un'altra donna lo tene in balìa.


    Isparvero mio, ch'io t'avea nodrito,

    sonaglio d'oro ti facea portare

    perché dell'uccellar fosse più ardito:


    or se' salito sì come lo mare,

    ed ha' rotti li geti e se' fuggito,

    quando eri fermo nel tuo uccellare.

    – POETESSA ANONIMA DELLA FINE DEL XIII SECOLO

    …Oh, se avessi il richiamo d’un falconiere

    per riportare indietro questo falchetto!

    GIULIETTA ROMEO & GIULIETTA ATTO II SCENA II

    PROLOGO

    VERONA

    Venerdì, 12 luglio 1325

    «I l Veltro è morto! »

    La notizia si diffuse rapidamente in un’infernale sequenza di ondate disperate. Il grand’uomo stava viaggiando in fretta verso Vicenza – sempre Vicenza! – per scongiurare l'ennesimo attacco padovano quando, improvvisamente ammalatosi, era morto.

    In tutta Italia, i guelfi esultarono per la scomparsa della loro nemesi. A Padova le campane risuonarono come per una vittoria, a Treviso si sospirò di sollievo e a Venezia le quote di spedizione s’impennarono drammaticamente. Le città da lui annesse o conquistate si vedevano intorno un mondo rimodellato e si domandavano cosa sarebbe seguito.

    Entro un’ora dall’arrivo della notizia a Verona, un’inevitabile folla si era radunata all’esterno del Palazzo degli Scaligeri in Piazza dei Signori: centinaia di uomini con lo sguardo fisso in alto, in attesa di un gesto, un segnale. Un salvatore.

    Sul lato nord della stessa piazza, nella Giureconsulta, i quattordici membri del Consiglio Comunale alzavano le voci in un feroce dibattimento. «Perché non istituiamo libere elezioni?»

    «Perché non abbiamo idea di chi subentrerà al suo posto!»

    «La gente voterà solo per un Della Scala!»

    «Allora dobbiamo decidere quali membri della famiglia dovrebbero essere autorizzati a presentarsi.»

    C’erano sfortunatamente poche scelte. Il candidato ideale, Cecchino della Scala, era morto, ucciso in un incidente di torneo quell’ultimo febbraio. Restavano tre nominabili, nessuno adatto, nessuno in età.

    «Pazzo dissennato! Non ha guardato oltre alle sue personali illusioni di grandezza, non ha mai preso l’elementare precauzione di lasciare un testamento!»

    «Specie dopo Ponte Corbo, si sarebbe pensato…»

    «Chiudete la bocca», sbottò Guglielmo da Castelbarco il Maggiore, un membro anziano del Consiglio. «Abbiamo del lavoro da fare.»

    «Sì», concordò Bernardo Ervari, funzionario efficiente e amico di Castelbarco. «Innanzitutto, dobbiamo convalidare la sua morte. Ho inviato araldi e preti. Il passo successivo da compiere…»

    «… sarà prendere contatti con sua moglie, a Monaco», terminò un uomo rude dalle ampie spalle in un farsetto macchiato di vino. Il suo suggerimento fu accolto da velati sorrisi. Nuovo al Consiglio, Petruchio Bonaventura era un uomo conosciuto tanto per sua moglie quanto per sé stesso.

    Castelbarco annuì come se quella fosse stata la sua intenzione. In realtà, c’era un altro messaggio da inviare prima, uno che solo lui poteva scrivere. Poiché i suoi compagni erano in errore. Un testamento esisteva.

    «In realtà, Bonaventura, io dico che la lasceremo vivere in una serena ignoranza.» Quando tutti gli sguardi furono puntati su di lui, il cavaliere chiamato Nico da Lozzo, piccolo di statura, allargò le mani. «Su! Sappiamo tutti quello che dirà. Ma Paride ha solo dieci anni. Non esiste possibilità che la gente lo possa accettare.»

    «La gente accetterà chiunque diremo noi», osservò un uomo ben rasato con una mitria da vescovo e un abito talare da francescano.

    Castelbarco tastò il terreno. «Nominereste un bambino, vostra Eccellenza? La Chiesa avvallerebbe qualcuno di così giovane?»

    «È un’opzione più appetibile che…»

    «Anche riconoscendolo», s’intromise acutamente Nico da Lozzo, «chi sarebbe a manovrarlo?»

    Nel silenzio che seguì, il rossiccio Petruchio scoppiò improvvisamente a ridere attraverso la barba incolta. «Almeno il ladro di spose e il predone di culle non sono qui ad accrescere il nostro dilemma. Io per primo faccio volentieri a meno dei battibecchi.»

    Le risatine di assenso furono improvvisamente soffocate da un boato che fece tremare le pareti. Balzando dagli sgabelli, gli Anziani di Verona corsero fuori, pregando che fosse tutto un errore, sperando contro ogni speranza di vedere il Veltro tornato in vita.

    Invece raggiunsero i gradini all'esterno per scoprire la questione della successione sgradevolmente risolta in vece loro.

    Sul balcone del nuovo palazzo scaligero stavano tre uomini, ognuno diverso per quanto la somiglianza familiare lo consentisse. Il primo era un uomo magro di mezz’età e media statura. Federigo della Scala, pronipote del primo Scaligero al governo della città, si stringeva le mani nodose sopra la testa come se avesse appena vinto il Palio, mentre il sole estivo ne metteva in risalto l'argento dei capelli.

    Il secondo uomo, di soli diciott’anni, era di gran lunga il più alto del trio. Spesso deriso per l’andatura incerta, era comunque benvoluto grazie alla sua borsa liberale e al sorriso generoso. Alberto della Scala, detto Alblivious ¹ da chi lo conosceva.

    Il terzo uomo in cima a Palazzo Nuovo stava in disparte dal cugino e dal fratello, proprio sull'orlo del balcone. Non fece cenni, non sorrise. Più scuro di capelli rispetto agli altri, possedeva in viso una bella magrezza. Lampeggianti nel sole del tardo pomeriggio, i suoi occhi erano di un blu così scuro da essere scambiati per neri. Nome ereditato dal primo dominatore scaligero, guardò in basso dal palazzo costruito dal suo omonimo che ora era, per il potere delle acclamazioni del popolo, suo.

    Mastino della Scala. Sedici anni compiuti il mese prima. Nessuno lo prendeva in giro. Giammai.

    Il Veltro era morto.

    Lunga vita al Mastino.

    ATTO I


    Non disturbate il suo fantasma

    1

    RAVENNA

    Sabato, 13 Luglio 1325

    Come Giotto era ambivalente riguardo alla sua O – cosa potrebbe esserci di più semplice? – così le stelle consideravano il ragazzo. Ben al di sotto dei loro ammiccamenti e dei capricciosi inganni del destino, gli uomini mortali commettevano il grave errore di prenderlo per come si presentava.

    Di certo lo fece Corrado. In una stanza laterale della chiesa dei Frati Minori, questi stava misurando, spalle alla porta, una lastra di pietra con l'avambraccio, quando una voce disse: «Era più basso di così».

    Corrado sobbalzò e si voltò, il sudore che colava sulla fronte. Ma l'intruso era solo un ragazzino che a malapena arrivava allo sterno di Corrado. Contro la luce del sole calante, alcuni riccioli dorati tra il castano ne catturavano il bagliore.

    «Steso, misurava cinque piedi e sei pollici, ma stava chino, quindi sembrava anche più basso. È quello che stai cercando di decidere, non è vero?» Il ragazzo entrò nel mausoleo e Corrado vide con disgusto che si trattava di un cucciolo fin troppo grazioso. Eccezion fatta per gli occhi. Che erano inquietanti, di un verde danzante punteggiato d'oro e con un anello d’azzurro pallido intorno. Pieni d’allegria, pieni di malizia.

    Corrado strinse un pugno. «Battitela, monello, o ti batterò io.»

    Scrollando le spalle, il diavoletto sorrise, la bocca arricciata come nel ripensamento di un artista. La perfezione angelica era segnata solo da una piccola cicatrice accanto all'occhio destro. «Sto solo cercando di aiutare. Era mio nonno, sai.»

    Oh, dannazione. A Corrado era stato detto che c'erano dei parenti che vivevano in città, ma non aveva pensato che venissero a visitare la salma nel bel mezzo della giornata. Fece un passo avanti, col pugno in alto. «Ti ho detto di starne fuori!»

    Saltellando all'indietro sui talloni, il ragazzo rise come se Corrado fosse stato un variopinto buffone che danzava per divertirlo. «Come desideri.» Con un ampio inchino il ragazzo svanì di nuovo nella luce del sole, fischiettando mentre si allontanava.

    Ascoltando il fischiettio svanire lentamente, Corrado si asciugò il sudore dagli occhi e biascicò una bestemmia blasfema. Meglio farlo e andarsene. I parrocchiani della chiesa erano intenti a pregare o a spettegolare e la maggior parte dei frati era impegnata in noiosi affari sacri. Ma il piccolo bastardo poteva chiacchierare e ritornare coi parenti con domande imbarazzanti.

    Ad ogni modo, le informazioni del ragazzo erano state utili. Conoscendo le dimensioni del corpo, Corrado misurò semplicemente la lastra che ricopriva il sarcofago, due terzi lo spessore del suo avambraccio. Fatto ciò, avrebbe potuto fare i calcoli alla locanda.

    Passando sotto gli enormi candelabri in ferro battuto della cappella laterale, Corrado si ritirò nella chiesa vera e propria. Per scongiurare i sospetti, fece la genuflessione e finse di pregare. I francescani nei loro stupidi cappucci si facevano gli affari propri, senza prestar attenzione a un pellegrino trasandato in più. Un minuto dopo usciva dalla porta, lasciando cadere una moneta di rame nella scatola delle offerte mentre passava. Era un uomo soddisfatto. La tomba era facilmente raggiungibile, accessibile solo dalla chiesa principale, non attraverso il monastero.

    Il che era un colpo di fortuna, visto che era stato assoldato per trafugarla.

    Facendo attenzione a non essere seguito, Corrado si diresse alla Locanda del Grifone Rosso. A due miglia dalle mura cittadine, era poco frequentata: giusto pochi ubriaconi al pianterreno e nessuna donna, a parte una vecchia grassa con braccia grandi come tronchi d'albero che portava la birra e buttava fuori i piantagrane.

    Quattro uomini armati sedevano con le spalle alla parete perimetrale. Uno fingeva di sonnecchiare, gli altri giocavano a dadi su un tavolo di legno crepato. Non gli fecero segnali, ma ognuno di loro notò il suo ostentato sfregamento del naso. Il lavoro era iniziato.

    Ordinando un bricco di vino, Corrado salì le scale laterali fino alla camera più bella della locanda e bussò.

    «Avanti!»

    La stanza era ben arredata, con pesanti arazzi e un tappeto al posto dei giunchi. Le grandi finestre erano spalancate per far entrare il sole di mezzogiorno, cosicché l’intensa luce illuminava i granelli di polvere che fluttuavano nell'aria calda e grevemente immobile.

    Accanto a un'enorme finestra, l'unico occupante della stanza stava disteso tra una sedia e uno sgabello. Completamente vestito con un bel farsetto, una camicia leggera, calze costose e alti stivali di pelle, stava leggendo da un qualche libro e mangiando olive da una ciotola. Il suo unico sollievo al caldo veniva da un ventaglio, molto simile a quelli da donna.

    Mentre Corrado chiudeva la porta dietro di sé, l'uomo diede un calcio allo sgabello, spostando i piedi sul davanzale della finestra. «Sudi come un maiale, amico. O c’è qualcos'altro? Dimmi che non sei stato visto.»

    Sedendosi, Corrado decise di non parlare del bambino. «No.»

    «Bene.» Immergendosi di nuovo nelle olive, il tizio non offrì di condividerle. «Il tuo rapporto?»

    «La lastra è lunga sei piedi e mezzo, larga due e mezzo e profonda otto pollici. Sembra essere inserita, il che significa un'estensione all'interno, probabilmente altri due o tre pollici. Ha bisogno di tutti e sei.»

    Il dandy sputò un nocciolo fuori dalla finestra aperta e si asciugò delicatamente le labbra. «Cinque, vuoi dire.»

    «Tu non vieni?»

    La domanda fu evidentemente divertente. «Ti sembro un mercenario?»

    Corrado si grattò la testa. «Non sono sicuro di riuscire a farlo in meno. Posso…?»

    «Potrei.» La correzione fu casuale, automatica.

    «Potrei…?»

    «No. Nessun coinvolgimento locale. Si dovrà fare in cinque.»

    Corrado guardò il dandy succhiare un'altra oliva, pensando a quanto sarebbe stato assurdamente semplice ucciderlo. Non avrebbe più potuto mostrare la sua faccia in Toscana, ma sarebbe stato libero. Poteva prendere i quattro uomini al piano di sotto e mettere in piedi una banda di briganti – forse verso Verona, dove le Alpi costringevano i viaggiatori su un unico percorso. Oppure la Spagna. C'era sempre bisogno di soldati italiani in posti come l'Aragona o il Portogallo. Tutto ciò che serviva...

    Corrado si alzò e iniziò a camminare avanti e indietro. «Ciò significa che nessuno può fare il palo: dovremo esserci tutti per sollevare quel dannato affare. Non c'è modo di impedire ai frati di suonare le campane se ci scoprono.»

    «Taglia la corda della campana prima di iniziare.» Rilassato, il dandy si fece aria col ventaglio e sfogliò una pagina del suo libro.

    «Sì, è un inizio.» Fermandosi dietro al dandy, Corrado trasse dal suo alto stivale una misericordia. Con gli occhi fissi sul collo scoperto del dandy, Corrado fece due rapidi passi avanti...

    Venne colpito da piccoli oggetti umidi, poi da qualcosa di duro: lo sgabello. Ci fu una torsione del polso, le sue ginocchia cedettero e un attimo dopo era disteso sulla schiena, il coltello non più in mano ma premuto contro la gola. Il dandy teneva il tacco di uno stivale contro il suo braccio e stava schiacciando il ginocchio contro lo sterno di Corrado.

    «Corrado, Corrado… Sei già incorso in una condanna a morte. Perché cercarne due?»

    Corrado rantolava. «Io... io non l’ho...»

    Il ventaglio si spaccò contro la guancia di Corrado. «Certo che l'hai fatto. Sono sorpreso che tu ci abbia messo così tanto. Non sei un fulmine, giusto? Sei stato liberato dalla prigione e dalla forca con me come unico testimone. Se mi togli di mezzo, sei libero. Ora, quant’è difficile?» Il coltello non vacillò mentre il dandy premeva di più contro il suo petto. Istintivamente Corrado si alzò a sedere, facendo sì che il coltello alla gola creasse un rivolo di sangue. «Ma devi ricordarti, caro dolce Corrado, che non sei rapido come un gatto, né hai denti abbastanza aguzzi per un affondo. Sei un semplice topo con l'abilità di nascondersi. Mentre la mia natura tende molto di più verso il felino. E, come un gatto, posso giocare col cibo prima o dopo averlo ucciso. Per ora, mi servono le tue capacità. Ma non abbastanza da tollerare un altro affronto. Intesi?»

    Vomito in gola, lacrime agli occhi, Corrado non mosse un muscolo. «Sì.»

    «Eccellente.» Il dandy si alzò, lasciando cadere il coltello sul pavimento. Ingoiando aria, Corrado si piegò in due, stringendosi a sé.

    Recuperando il libro, il dandy schioccò la lingua per averne piegato le pagine. Girando la sedia in posizione verticale, sistemò i piedi sul davanzale della finestra. «Raduna i tuoi discepoli e preparati a insegnare loro l'unica lezione che conosci, mio ​​codardo... se non amico… posso dire almeno compagno? Perché siamo compagni, a fin, fin et demi. Stanotte lo stesso mestiere che ti ha condannato ti tiene in vita. Prega di non vomitare sul tappeto. Già si è macchiato per causa tua.»

    Corrado si toccò il collo sanguinante e si rialzò, pestando coi piedi le olive sparse sulla trama del tappeto. Col fiato sospeso, raccolse il coltello e uscì di soppiatto dalla stanza. Sulla porta si voltò. «Dove sarete, mio ​​signore, finché non avremo finito?»

    «O qui o fuori. Nessun timore. Il nostro accordo è solido. Se avrai successo, riceverai le lettere di perdono e sarai libero di morire di nuovo un altro giorno. Ora lasciami a patire questo caldo insopportabile. E, oh, Corrado, potresti mandare dentro la ragazza? Ho finito le olive.»

    Quando Corrado se ne andò, il dandy si prese un momento per regolare la finestra aperta – quella finestra che contrassegnava la stanza come la migliore della locanda. Il vetro era molto più utile delle semplici persiane. Era stato un colpo straziante che cinquant'anni prima i siriani avessero venduto i loro segreti a Venezia e non alla sua città. Tutta l'Italia richiedeva a gran voce vasi e carabattole in vetro. Che monopolio stavano costruendo i veneziani!

    Non era stato un veneziano il costruttore di questa particolare finestra grezza. La cenere del legno di faggio e la sabbia erano stati mescolati in modo improprio, con molte evidenti imperfezioni dove l'artigiano aveva soffiato troppo o troppo poco. Tuttavia, era stata sufficiente per mandare un riflesso. Quel povero semplice Corrado aveva scelto il posto più esattamente sbagliato in cui stare mentre estraeva il coltello.

    La ragazza entrò con una nuova ciotola e il dandy guardò quello stesso riflesso mentre la ragazza si chinava a rimuovere le olive schiacciate dal tappeto. Aveva degli splendidi fianchi e lui immaginò che il suo fondoschiena fosse gustoso come una pesca. Pensò che avrebbe potuto occuparsi di lei più tardi o – meglio – esigere che lei si occupasse di lui. Un bel diversivo mentre Corrado esercitava il proprio mestiere.

    La ragazza se ne andò e lui tornò al suo libro, una raccolta di versi piuttosto povera. Proprio mentre si stava perdendo nella seconda strofa, qualcosa in una delle imperfezioni del vetro attirò la sua attenzione. Qualcosa che si muoveva sul tetto più avanti lungo la locanda. Probabilmente un uccello.

    Qualche minuto dopo, mentre si alzava e si stiracchiava, guardò fuori dalla finestra e notò che la cameriera su cui aveva fantasticato stava parlando con un bambino. Per diversi minuti osservò, divertito, i due che parlavano in modo diretto. Avrebbe potuto sporgersi dalla finestra per ascoltare, ma non era nulla d’importante. Non aveva simpatia per i bambini.

    2

    Corrado attese l'ultima celebrazione benedettina prima d’iniziare, sfruttando il tempo per assicurarsi che i suoi uomini fossero ben preparati per il lavoro da svolgere. Ci voleva un uomo strano per fare il ladro di tombe e Corrado era l'unico tra loro a essere stato condannato per quel particolare crimine.

    Era passata solo una settimana da quando era stato destinato alla forca per aver violato la tomba di un uomo ricco: era una regola della sua professione non prestare attenzione ai nomi. Questo non solo avrebbe potuto generare simpatia per una vedova o un bambino, ma faceva male all'immaginazione.

    Colto sul fatto, aveva subìto un feroce pestaggio prima di essere trascinato davanti a un console che l’aveva giudicato colpevole di reato. Corrado non aveva potuto opporsi, poiché l'avevano preso con gli anelli del morto, con le dita e quant’altro. Aveva implorato senza vergogna per la sua vita, offrendo sfacciatamente i suoi servizi alla città se solo l’avessero risparmiato. Sordi alle suppliche, l’avevano picchiato ancora e gettato dentro con assassini ed eretici, i quali avevano continuato con gioia il pestaggio. La sua professione difettava di stima agli occhi dei cattivi più incalliti.

    Poi, un'ora prima dell’alba stabilita per la sua morte, era stato trasferito dalla cella su una carrozza dai finestrini coperti e trasportato fino a una casa affacciata sull'Arno. Spintonato attraverso la porta e sospinto giù tra i giunchi di paglia dell'atrio, aveva alzato lo sguardo e aveva visto il dandy avvicinarsi a lui.

    «Questo sarebbe un ladro di tombe? Davvero? L’avrei pensato più snello. Forse robusto di stomaco, robusto di cuore. Sai parlare?»

    Corrado aveva borbottato qualcosa e l'uomo era scoppiato a ridere, sfogando un'ulteriore serie di battute. Dopo un'eternità di chiacchiere a vuoto, il dandy aveva sorriso e aveva ordinato a Corrado di alzarsi. «Come gli imperatori dell'antichità, ho il potere di concedere la vita o di consegnare alla morte. E, come quel primo Cesare, vado a concedere un’incauta clemenza. Ma, come Pompeo, devo avere qualcosa in cambio. Non hai una figlia, vero?»

    Corrado aveva balbettato di no, che lui sapesse.

    «Peccato. Allora dev’essere un padre. No no, non tuo padre, e neanche il mio. Sto piuttosto cercando un padre surrogato, uno che tu sei particolarmente adatto a portarmi. Vedi, ho in mente un tipo in particolare. Oh, smettila di tremare e ascolta, non rovinare il mio divertimento… Sto interpretando Cesare! Ho bisogno che sia consegnato nelle mie mani un tipo tutt'altro che vivo. Se fai questa sciocchezza per me, potrei essere in grado di far revocare la tua deplorevole condanna. Beh, sto un po’ mentendo: l'ho già fatta revocare da un decreto speciale. Ho archiviato il documento per bene. Nessuno ne sa niente, a parte me e gli Anziani; e gli Anziani della città difficilmente faranno storie se io ti lascio andare al tuo matrimonio combinato con la forca. Tuttavia, se mi aiuti in questo piccolo compito, lascerò perdere volentieri la faccenda e potremo dimenticarci l'uno dell'altro. Che ne dici?»

    Avendo difficoltà a seguire le divagazioni di quel tipo, Corrado aveva detto: «Se rubo un corpo per te, mi lascerai andare?»

    «Che mente! Che prodigio! Tra una dozzina d’anni saprà leggere e scrivere al livello d’una scimmia ammaestrata! Che ne dici?»

    Cos'altro se non: sì? Aveva scelto altri quattro uomini dalla prigione, mani forti bramose di libertà… Non uomini che l’avevano picchiato: una piacevole vendetta.

    Scoprire di chi avrebbe dovuto rubare il corpo era stato inevitabile e gli aveva provocato un brivido di paura. Ma, col collo in gioco, Corrado avrebbe rischiato qualsiasi cosa. Ora guidava la sua compagnia di tagliagole e demoni alle mura di Ravenna. Non c'era una guerra in atto, quindi la porta era sorvegliata da un solo uomo con una torcia. Non vedendo armature ma solo le armi che un uomo si sarebbe potuto portare su una strada solitaria, il custode alla porta della città li lasciò entrare.

    Corrado li condusse dapprima al carretto a mano che aveva nascosto in città. Sotto la paglia trasportava picconi, piedi di porco e una lanterna da tempesta. Così equipaggiati e coi cappucci tirati su per sembrare dell’ordine dei Frati Minori, si avviarono verso il sagrato. Era una notte perfetta per predare tombe, calda, senza luna e così nuvolosa che persino le stelle avrebbero celato gli intrusi.

    Come usava tra le ore di osservanza, i frati di San Lorenzo avrebbero dovuto esser tutti addormentati. Corrado sperava che nessuno si fosse attardato in chiesa, non avendo alcun desiderio di alzare una mano contro un sant'uomo. Ma senza il cadavere non c'era libertà, solo l'estremità di una corda a rendere cadaveri tutti loro. Un corpo senza vita contro cinque vivi. Lo scambio era più che equo, quindi guai a chiunque avesse cercato di fermarli.

    A uno a uno scivolarono nella chiesa, guardando verso l'altare lungo la navata buia. Quando un ladro si inginocchiò per farsi il segno della croce, gli altri lo fermarono, pensando che non fosse saggio attirar l'attenzione del Signore.

    A passi felpati, Corrado li guidò nella cappella laterale. All'interno appoggiò la lanterna con le imposte sul pavimento e sollevò due alette di metallo tanto da illuminare il sarcofago di marmo. Si guardò intorno, ma tutto era rimasto uguale al pomeriggio, a parte che il candelabro in alto era ora coperto da un telo. Strano. Ma chi poteva dire perché i frati facevano qualcosa?

    Oltrepassando la lastra di pietra, sollevò la sbarra di ferro e la fece scivolare sotto il bordo del pesante coperchio. Gli altri criminali si unirono a lui e cominciarono a far forza.

    Corrado iniziò a sudare. Non per la notte calda né per la fatica e neanche per il timore della scoperta. Aveva seri dubbi riguardo alla profanazione di quella specifica tomba. In ogni circostanza normale non avrebbe osato. In vita, questo era stato un uomo che aveva frequentato i demoni. Portare alla luce le sue ossa era un invito sicuro a fare lo stesso, se non peggio.

    Erano al lavoro da due minuti, raschiando e grugnendo, quando uno di loro disse: «Avete sentito?»

    Tutti e cinque si raggelarono, cercando attentamente di udire qualche scalpiccio di calzari. La chiesa era però immersa nel silenzio.

    Corrado si rivolse all'uomo che aveva parlato. «Cos’hai sentito?»

    «Se… Sembrava… Come una voce.»

    «Dove?»

    «Qui!»

    Corrado si accigliò. «Nervi. Ci passano tutti, la prima volta. Va’ avanti a forzare. Prima salta fuori e finisce nel carretto, prima ce ne andiamo.»

    Ripresero coi loro strumenti.

    «Chi c'è qui dentro, comunque?» chiese un assassino dai capelli scuri mentre inseriva e forzava con l'estremità del piede di porco.

    «Non importa.» Corrado non voleva che lo sapessero. Era già abbastanza che lo sapesse lui.

    «Dev’essere dannatamente importante, per farci guadagnare la nostra libertà.»

    Un uomo si fermò, fissando Corrado con sospetto. «Non è un santo, vero?»

    «No», grugnì Corrado. «Ce ne passa. Adesso taci.» Le chiacchiere non alleviavano certo il nervosismo. Non il suo.

    Stava proprio affondando il piede di porco quando una voce, chiara come il vetro, disse: «Cianfa dove fia rimaso ¹?»

    Questa volta l’avevano sentita tutti. Un ladro alzò il piede di porco pronto a colpire. «Chi è là?»

    «Cianfa dove fia rimaso ?!» La domanda riecheggiò tra le mura della stanza.

    «Non viene da fuori», sibilò un altro ladro. «Da dove viene?»

    Gli rispose una risatina che li raggelò più della voce senza corpo. Le mani tremanti di un uomo lasciarono cadere a terra il piede di porco. «L’avete sentito!»

    Corrado era completamente immobile, cercando di ignorare i peli che gli si erano rizzati alle braccia e al collo. Questa non era immaginazione. Una voce c'era davvero!

    «Chi è?» chiese il condannato che si era fatto il segno della croce. Afferrando la lanterna offuscata, l’avvicinò all'iscrizione scolpita nel marmo. Corrado sapeva che avrebbe dovuto fermare l'uomo, ma non era in grado di muoversi.

    Tutti i condannati si raggrupparono intorno alla tomba, inginocchiati o chini per leggere. Uno di loro pronunciò le parole a voce alta. «Theologus Dantes, nullius dogmatis expers quod foveat claro philosophia sinu.»

    Nella luce raccolta, Corrado vide i loro occhi spalancarsi e tentò di anticipare la loro paura. «Era solo un...»

    «Demone!» Un criminale indietreggiò dall'iscrizione come se avesse iniziato a risplendere di un fuoco infernale. Un altro mise il sigillo alla notte pronunciando ad alta voce il nome del poeta:

    «Dante!»

    Dall'oscurità provenne un tintinnio di catene, seguito dal sussurro di una voce. «Sì?»

    Non ci furono discussioni, né considerazioni su cappio o forca. La lanterna fu lasciata cadere mentre tutti e cinque i criminali incalliti si voltavano e se la davano a gambe levate nella notte. Corrado era in testa, pregando più intensamente di quanto avesse mai fatto. Filò via dalla città e corse finché le gambe riuscirono a reggerlo. Una settimana dopo si sarebbe imbarcato per la Spagna, ancora convinto che i suoi passi fossero perseguitati dal poeta non morto che aveva visto la forma dell'Inferno.

    Se avesse assistito a ciò che accadde dopo, sarebbe stato ancor più certo che il diavolo aveva invaso il mondo degli uomini. Quando la lanterna caduta proiettò la sua luce verso l'alto, un'ombra sul soffitto si mosse.

    Il macabro divenne, a quel punto, banale. Il telo sopra l'enorme candelabro si spostò e una figura si dispiegò per dondolare a mezz'aria. Si udì un leggero rumore mentre due piedi toccavano terra sul pavimento di pietra.

    «Cesco?» giunse una voce da qualche parte in alto.

    «Solo un minuto.» La lanterna fu messa a posto, le sue persiane da tempesta si spalancarono a illuminare l'intera cappella. «E luce sia

    Un secondo ragazzo cadde a terra e i due giovani si sorrisero a vicenda. Vestiti in modo simile con camicie scure, calze e cappucci, erano tanto diversi quanto potevano esserlo due giovani. Uno era grande per la sua età e la sua taglia prometteva solo d’aumentare ora che aveva raggiunto gli anni a doppia cifra. Aveva preso da suo padre, un uomo allegro e corpulento dal petto a barile, e già diversi signori l’avevano richiesto per loro per i tre anni da scudiero. Come suo padre, e come il padre di suo padre, la fedeltà scorreva nelle vene di Bailardetto da Nogarola.

    Purtroppo per gli speranzosi signori del Feltro, la lealtà di Detto era già stata promessa. Nessun giuramento a un cavaliere – e nemmeno a un re – avrebbe potuto legare Bailardetto tanto strettamente quanto l’amicizia che lo legava al diavoletto angelico al suo fianco.

    Nonostante fosse maggiore di tredici mesi abbondanti, Cesco era più basso di Detto. Si muoveva con grazia liquida, apparendo a volte quasi senz’ossa. Irrequieto, irrefrenabile, era dotato di un tale surplus di energia che sembrava potesse bruciare per combustione se non domato. I capelli castani dai bordi dorati gli ricadevano continuamente sugli occhi e da dietro quel velo osservava come una tigre nell'erba alta. Incontrandolo quella mattina, Corrado aveva notato il colore di quegli occhi: verdi, con il pallido anello azzurro intorno. Vibrante, inquietante.

    Pigramente, Detto raccolse un piede di porco mentre Cesco si avvicinava alla lastra di marmo che copriva l’ultima dimora del poeta. I polpastrelli del ragazzo tracciarono le fresche cicatrici nella pietra. «Scusa, teologo. Avrei dovuto fermarli prima. Ma spero che tu abbia gradito lo spettacolo.»

    «Scusa se ho riso, Cesco» disse Detto. «Io l'ho rovinato.»

    «Rovinato? È stata un’ispirazione! Hanno creduto che venisse da un demonio. Ma ora dobbiamo affrettarci.»

    Detto raccolse la lanterna. «Per dove, casa?»

    Il ragazzo chiamato Cesco alzò le spalle. «Sei libero, se vuoi. Io ho un gatto cui tirare la coda.» In risposta allo sguardo interrogativo di Detto, disse: «Da qualche parte là fuori, oltre le mura della città, un uomo aspetta una macabra consegna. Devo dirgli che non arriverà.»

    Qualunque altro bimbo di dieci anni avrebbe potuto intimidirsi all'idea di affrontare un adulto fatto e finito che trattava con ladri di tombe. Ma la fede di Detto era incrollabile. «Guidami!»

    Chiudendo la lanterna, uscirono dalla chiesa avvolti dall'oscurità e si lanciarono per la strada ombreggiata.

    Dietro a loro, una delle ombre si spostò per proseguire nella loro scia.

    In attesa nella sua stanza, il dandy era infastidito. La ragazza era in ritardo. Aveva concordato con la moglie del locandiere che la ragazza fosse mandata in camera prima di mezzanotte, dandogli abbastanza tempo per montarla e poi farsi fare il bagno da lei prima che Corrado e i suoi soci tornassero. Ma non era ancora arrivata e il suo umore si stava logorando.

    «Il che è solo di cattivo auspicio per te, mia cara», disse alla stanza vuota. Una sola candela brillava vicino al letto su cui lui sedeva con impazienza. Forse si era rifiutata? Ma no, aveva pagato così tanto che l'avrebbero picchiata se avesse disobbedito. In effetti, se non fosse arrivata con un occhio nero, decise di fargliene uno egli stesso. Magari due: la simmetria gli piaceva in ogni cosa. I suoi stessi lineamenti, ad esempio, erano perfettamente simmetrici e certo piacevoli da vedere ogni giorno allo specchio.

    Un suono attirò la sua attenzione. Concentrato com'era sulla porta, gli ci volle un momento per rendersi conto che proveniva dalla finestra. E ancora. Che diavolo...? Andò alla finestra, ma indietreggiò un po’ quando un terzo sassolino colpì lo spesso vetro soffiato.

    Muovendosi rapido, spalancò la finestra e scrutò nella notte. Un ragazzo muscoloso se ne stava lì, intento a preparare un'altra pietra. «Smettila immediatamente!»

    Il ragazzo dai capelli neri parve subito domato. «Non è la stanza di Luigi?»

    «No», fu la risposta arrabbiata del dandy, «né conosco questo Luigi di cui parli. Ma parlerò al proprietario e mi accerterò che la tua pelle resti rossa a lungo!»

    Il ragazzo guardò per un momento oltre la testa del dandy, poi scrollò le spalle e corse via.

    Già di cattivo umore, il dandy si allontanò dalla finestra aperta e iniziò a camminare. Ora aveva un motivo per parlare col proprietario. Avrebbe chiesto soddisfazione per essere stato disturbato e poi parlato a bassa voce della sua pazienza nell'attesa del bagno. La ragazza sarebbe stata mandata, anche se ora non c'era quasi più tempo per fare sia l'amore che il bagno. Uno avrebbe dovuto esser fatto rapidamente o saltato. Uomo meticolosamente pulito, di solito avrebbe messo da parte i piaceri della carne, o almeno ne avrebbe fatto un lavoro rapido, per poter essere lavato. Nel suo stato attuale, tuttavia, era cupamente certo di ciò cui avrebbe rinunciato.

    Un colpo alla porta, seguito da una timida voce di ragazza. «Signore?»

    Tirando un respiro soddisfatto, approntò il viso in un sorriso sgradevole. «Sì.»

    «Sono qui per... Per il vostro bagno, Signore», giunse il sussurro vergognoso.

    Lui tornò al letto. «Allora entra e inizia a prepararlo.»

    La porta si spalancò e la ragazza si guardò intorno come una lepre che entra nella tana di una volpe.

    Vedendo che le sue mani erano vuote, disse: «Dov'è l'acqua?»

    «Io… pensavo… Voglio dire...»

    Fece un passo verso di lei. «Pensavi cosa?»

    «Pensavo che voleste… Che avrei dovuto… Cioè…»

    Il suo disagio era delizioso. «Che volevo cosa?»

    Chiudendo la porta, la ragazza arrossì di una tonalità di cremisi ancora più scura. «Che… voleste che vi… compiacessi», concluse, umiliata e spaventata.

    «Cosa mai ti ha dato quest’idea?»

    Adesso era confusa. «La mia padrona ha detto...»

    Avvicinandosi, le girò intorno, facendo finta di studiarla. «La tua padrona è chiaramente ottusa. Se mi fossi aspettato di essere soddisfatto, avrei chiesto una ragazza più bella. Tu non hai molto da guardare, a dir la verità. Come ti chiami?»

    «Emilia», rispose in un sussurro.

    «Un nome semplice per una roba semplice. Difficile immaginare un qualunque uomo che porti a letto una ragazza così ossuta e sciatta. Puoi sorridere? Fammi vedere i denti. No, non hai nemmeno denti buoni. Probabilmente non avrai neanche più un dente in bocca l'anno prossimo a quest’ora, sempre che tu sia ancora viva.»

    Adesso era pronta a piangere, a malapena in grado di stare in piedi, da quanto forte tremava. «Dovrei andare…»

    «Si, dovresti.» Rimase a guardare finché le sue dita non furono sulla maniglia della porta. «Ovviamente non so cosa intendi dire alla tua padrona. Immagino pensasse che volessi che tu... ah, mi compiacessi. Che frase! È possibile che domattina mi faccia domande. Ora, poiché non sono altro che un uomo onesto, che posso dire se non che te ne sei andata senza neanche provarci? Oh, le racconterò tutto di come sei arrivata e hai pianto e squittito come un topo, poi sei corsa via. Non credo che apprezzerà questo misero sforzo, no?»

    La mano di lei rimase sospesa sulla maniglia della porta. «Pensavo che non mi voleste.»

    «No. Affatto. Sei forse il pezzo di carne femminile più inutile che abbia avuto la sfortuna d’incontrare. Suppongo che tu non abbia un corteggiatore… Ce l’hai? Il suo nome? Ah, beh, la reticenza è il tuo punto forte, vero? Non un uomo arguto, immagino. E cosa penserebbe se scoprisse che sei entrata nella stanza di un ospite a tarda notte per fargli il bagno, ma non hai portato l'acqua? Sei così ottusa che... Come si chiama?»

    «Dom», disse, con un'espressione di orrore totale che si riversava sui suoi lineamenti.

    «Dom accetterebbe al valor nominale una simile dimenticanza? O potrebbe pensare che desideravi stare qui? Non glielo direi mai, no, ma è una storia piuttosto divertente, non credi? Potrei deliziare gli altri ospiti a colazione e lui potrebbe sentire e, poi, cosa penserebbe? Cosa potrebbe pensare?»

    «Per favore, no» disse, avanzando verso di lui con le mani in fuori.

    «Sarebbe devastante, vero? Tuttavia, ora che ci penso, sarebbe tutta un'altra faccenda se dovessimo davvero avere una sorta di rapporto. Allora il racconto perde tutto il suo umorismo. Voglio dire, guardati: potrei difficilmente vantarmi della mia conquista, vero? No, mi farebbe solo passare per un degenerato di cattivo gusto e senza morale. Un disperato, in realtà.»

    «Per favore», ripeté, anche se a questo punto era così sconcertata che non sapeva neanche più per cosa stesse supplicando.

    «E ti aiuterebbe anche nel rapporto con la tua padrona.» Sospirò stancamente. «Bene. Se devo.» Iniziò a slacciarsi il farsetto. «Ma non aspettarti pure il pagamento. Mi stai già chiedendo parecchio così.»

    «Per favore», disse ancora lei. «Niente luci.»

    Piegando il farsetto, egli lo mise da parte ordinatamente. «Sono d’accordo, certo. È già abbastanza brutto dover sentire il sacco di ossa, almeno non devo guardarlo.» Si tolse la camicia in modo che lei potesse contemplare il suo splendore. Piegando anche questa, si chinò per spegnere la candela. La finestra era aperta, ma senza luna né stelle la notte era nera come la pece, sia fuori che dentro. «Facciamola finita.»

    Sentì un fruscio mentre si sfilava gli stivali, lasciandoli cadere rumorosamente sul pavimento. Appoggiò ordinatamente le calze sul bordo del letto prima di sedersi sul materasso bitorzoluto. Le lenzuola erano sue personali: non intendeva portarsi i pidocchi a casa. Avevano persino le sue iniziali, il pesante ricamo evidente contro la sua pelle nuda mentre scivolava in una posizione comoda e aspettava che la ragazza lo raggiungesse.

    Ci fu un suono curioso, un tonfo leggero come se lei avesse saltato. Poi il peso nel letto si spostò mentre una forma leggera si univa a lui. «Farai meglio a esser già umida. Se mi fai fare fatica, te ne pentirai.» Allungò una mano e fu sorpreso di sentire della stoffa sotto le dita. «Avresti dovuto toglierla. Ora dovrò strappartela.»

    «Non essere così ansioso», fu la risposta fredda. «Potresti aver bisogno di un po’ di energie più tardi.»

    Anche se acuta, la voce era inconfondibilmente mascolina. Il dandy fece per mettersi a sedere, solo per sentire un coltello alla gola. «Cianfa, Cianfa, hai già subìto una sconfitta. Perché cercare la seconda?»

    Una serie di pensieri balenò come lampi nella sua mente. Non conosceva la voce. Era giovane – quanto giovane? – e colta, dotata della stessa punta di disprezzo che lo stesso Cianfa aveva speso anni a coltivare. E chi parlava sapeva come si chiamava! Come? Era a Ravenna sotto falso nome.

    Anche la cadenza delle parole stesse era familiare. Gli ci volle un momento per ricordare d’aver detto qualcosa di simile nel pomeriggio al criminale che aveva assoldato. Riuscendo a tener nascosta la sorpresa, disse: «Tu non sei Corrado».

    «Quel molesto ladro di tombe non tornerà da te, né stanotte né mai più, temo.» Chi teneva il coltello si rivolse alla ragazza, ancora nascosta nell'oscurità. «Puoi andare, mia riluttante Ifigenia. Non ci vorrà molto.»

    Un passo strascicato, poi la porta si aprì e il suo momentaneo spicchio di luce rivelò la forma dell’aggressore, se non la sua faccia. Solo un bambino!

    Mentre Cianfa tendeva i muscoli per lanciare il diavoletto dall'altra parte della stanza, il coltello s’alzò di scatto. Il dandy tirò un aspro respiro mentre il sangue gli colava lungo la guancia.

    «Prevedibile, non credi? Potresti forse – forse – sopraffarmi in una partita leale. Ma cosa è leale in questo mondo peccaminoso? Sicuramente non le nostre spoglie mortali, un fatto che sei più che in grado di trasmettere, se non di capire.»

    «Parli straordinariamente bene per essere un bambino assassino», osservò Cianfa, sentendosi di nuovo il coltello alla gola.

    «Grazie. Tu stesso non sei ineloquente, per essere un leccato spogliatore di tombe e d’imeni.»

    Nonostante la sua difficile situazione, Cianfa non poté fare a meno di ridere. «Se fossi abbastanza grande per raderti, sapresti che devo ucciderti per questo.»

    «Solo per questo? Oh, lascia che ti dia una causa migliore!» Il ragazzo rise, ma la punta del coltello non vacillò, informando Cianfa che la risata era calcolata come le parole. «Per quanto riguarda la mia tenera età, beh, solo gli dei immortali non hanno né età né morte. Ogni altra cosa l'Onnipotente Tempo la agita. Forse posso esercitarmi col rasoio sul tuo collo e rader via alcuni anni di una vita piuttosto miserabile».

    Cianfa prese tempo per formulare una risposta. «Ragazzo, se non hai intenzione di uccidermi qui nel mio letto, non riesco davvero a vedere come farai a scappare.»

    «No?»

    «Come ti muovi, ti sarò alle calcagna.»

    «Abbaiando come il famelico segugio a tre teste, ne sono sicuro. Mi stai consigliando di ucciderti, Signore? Sembra abbastanza contro i tuoi interessi.»

    «Dubito che potresti sopportarlo: uccidere un uomo.»

    «È vero che non ho ancora mai tolto una vita. Ma l'unico modo in cui la tua morte mi inacidirebbe la pancia sarebbe se fossi costretto a mangiare la preda. Tuttavia, sono qui solo per trasmettere un messaggio. Ciò che succede dopo non ha importanza.» Cianfa ridacchiò. «Ti diverte?»

    «Devo confessare di sì.» La mano destra di Cianfa si spostò impercettibilmente verso il cuscino e il temperino lì sotto. «Gettar via una vita con tanti anni davanti solo per trasmettere un messaggio sembra… avventato.»

    Senza spostare la punta del pugnale, il ragazzo trasmise in qualche modo l’accenno di un'alzata di spalle. «Affar mio.»

    «Non nutrire illusioni. Giovane o no, ti tirerò fuori le budella e le trasformerò in corde da liuto.»

    Il ragazzo rise. «Una fine degna per le mie povere viscere! Ma non mi faccio illusioni riguardo alla tua moralità. Dopo aver sentito una certa scena di corteggiamento, mi meraviglio di non aver sentito la tua coda sferzare il letto.»

    «La tiro fuori solo nelle occasioni formali.» Le sue dita avevano trovato il temperino. È ora di insegnare a questo diavoletto la lezione della sua breve vita. Usando la mano libera, respinse la lama minacciosa mentre, con l’altra, squarciava.

    Fu convinto di essere entrato in contatto con la carne del piccolo bastardo ma non poté assicurarsene perché il diavoletto agì velocemente, rotolando all'indietro giù dal letto e via nell'oscurità. Ora era da qualche parte nella stanza, col tappeto che ne attutiva i passi.

    Il dandy nudo strisciò lentamente fuori dalla paglia del letto, orribilmente consapevole di ogni rumore che faceva. Teneva il minuscolo pugnale davanti a sé, cercando. Nessuno dalla sua parte di stanza. Il sangue che gli colava lungo la guancia raggiunse il mento e ne sentì una goccia sul petto nudo. Desiderava dei vestiti, la sua spada, una torcia per ardere al suolo quella misera locanda.

    Se apro la porta, avrò abbastanza luce per trovare questa piccola merda. Per farlo, doveva attraversare la traiettoria della finestra aperta. Ma non c'era la luna, né quasi alcuna luce. Non sarebbe stato esposto per più della durata di un respiro.

    Mentre superava la finestra, Cianfa sentì un improvviso dolore alla spalla. Le sue gambe cedettero mentre veniva abbattuto lontano dalla finestra e il suo coltello sbatteva sul pavimento. Lo schianto che fece il suo corpo non fu nulla rispetto alle bestemmie che gli uscirono dalle labbra quando la sua mano sinistra scoprì l'asta di una freccia che gli sporgeva dalla spalla.

    In un attimo il ragazzo si era inginocchiato su di lui, il pugnale pronto. «Senti, senti. Ritiro i miei complimenti precedenti. Hai la lingua d’un marinaio, se non la morale così elevata. Credo che i miei tutori troverebbero la tua custodia repellente, perciò consegnerò il messaggio e mi allontanerò.» Questa volta le parole sbarazzine non nascondevano del tutto la rabbia nella giovane voce.

    Sbattendo le palpebre, il dandy nudo si morse le labbra. «Piccolo e codardo chierichetto!»

    «Piccolo, lo confesso. Ma codardo? Non sono io a minacciare la vita di un bimbo sbarbato. Quanto all'ultimo, se stai facendo un'offerta…» Cianfa si dimenò mentre i suoi genitali venivano stretti. «No, le tue dimensioni non hanno di che suscitare il mio minimo interesse. Forse se io fossi più giovane…»

    Cianfa si dimenò e provò la nauseabonda sensazione di un ginocchio ai testicoli. Nello stesso momento la punta del coltello trovò la morbida pelle sotto il suo occhio. Cianfa trattenne il fiato. «Non puoi farmi questo», ansimò.

    «Oh, ti piace farlo ma non riceverlo?» La rabbia del ragazzo se n’era andata rapida come era venuta. Tutto ciò che restava era la presa in giro. «Triste, triste Cianfa. Cosa penserebbero quelli della Gilda se ti vedessero adesso? La tua famiglia verrebbe di nuovo a salvarti? O il fallimento significa esilio stavolta?»

    Attraverso il dolore, Cianfa provò una vera paura. Come fa a sapere chi sono?

    «Hai una lunga notte davanti a te, quindi sarò breve. Il mio messaggio è diviso in due parti. La prima è questa: non scherzare coi resti del poeta o ti ritroverai a vivere un inferno peggiore di quello che ha dato al tuo omonimo. Se viene rimosso, il nome Donati sarà così rovinato che il destino di Eliostrato sembrerà generoso. Vedi di informare di questo tutti i tuoi amici fiorentini. Firenze l’ha rinnegato. Firenze può non riaverlo.»

    Il bambino si ritrasse all'improvviso, liberando l'occhio di Cianfa Donati dalla punta della lama e l'inguine dal minuscolo ginocchio. Cianfa si raggomitolò sul tappeto cercando di non piagnucolare.

    «La seconda parte del messaggio è ancora più semplice. Quando ne avrai avuto abbastanza, dì: Sono un asino sofferente e dispiaciuto e finirà».

    Dolorante allo stomaco, strofinando la carne insanguinata sotto l'occhio, Cianfa sussultò. «Abbastanza di cosa?»

    In risposta, il ragazzo fischiò. Immediatamente si spalancò la porta e la luce del corridoio incorniciò un uomo massiccio con mani che avrebbero potuto piegare i ferri di cavallo.

    «Cianfa Donati, ti presento Dom. Dom… Il signor Donati. Senza dubbio Dom ha parlato con la sua dolce Emilia e vorrebbe alcuni suggerimenti per trattare col gentil sesso. Previo accordo, la discussione non coinvolgerà armi, ma sarà piuttosto un nobile scambio su nocche, gomiti, ginocchia, dita delle mani e dei piedi. Gli ho detto che sei semplicemente cavalleresco e ha accettato di terminare il dibattito quando avrai pronunciato quelle sette parole magiche». Infilandosi il pugnale nella cintura, il bambino si portò sul davanzale della finestra, preparandosi a partire per la strada da cui era arrivato. «Oh, Dom… Non toccargli la spalla. Non sarebbe sportivo.»

    «Non è la sua spalla che toccherò.» L'uomo entrò, seguito dalla giovane Emilia che portava una candela. Niente di meglio con cui lavorare per Dom il fabbro. Lei chiuse la porta dietro di sé mentre Dom si schioccava le nocche e fletteva le mani.

    Indietreggiando, Cianfa Donati trascinò lo sguardo sul bambino che si teneva languidamente in equilibrio sul davanzale della finestra. Le ciocche ricciolute velavano gli occhi così luminosi da parer quasi febbrili. La luce della candela colse una moneta che pendeva da un laccio intorno al collo del ragazzo. Su di essa, Cianfa vide un rivolo di sangue e provò un fugace attimo di soddisfazione.

    Seguendo gli occhi di Donati, il giovane raccolse il sangue col dito e se lo leccò. «Ah! "La debolezza degli arti dei bambini è innocente, non così l’anima loro." ² E, Cianfa… Nessun pensiero di rappresaglia, per favore! Nemmeno sulla ragazza. Altrimenti dovrò rivelare agli Anziani delle città di Ravenna e Firenze che hai cospirato per liberare criminali condannati al fine di profanare il suolo sacro e rimuovere un nobiluomo dalla sua ultima dimora. Morte e, per di più, dannazione eterna. Ora, ti auguro la buonanotte. E ricorda: «Sono un asino dolorante e dispiaciuto!» Un balzo, una leggera rotolata sul tetto e il ragazzo se n’era andato, lasciando lo sconfitto Cianfa nelle braccia di Dom.

    3

    Fuori, sul tetto , un'ombra era in attesa, accucciata. Saltellando sulle tegole d’argilla del tetto, Cesco disse in arabo fluente: « Ah, mio custode personale. Dove mi conduco, tu ti conduci ». «Che noia!», aggiunse in italiano.

    «Chi era?» La voce dell'ombra risuonò dolorosa.

    Ignorando la domanda, il ragazzo indicò un piccolo arco per uccelli, appena visibile nell’oscurità. «Un colpo ben di maestria, dal sommo della scuderia. Come sapevi che il tuo dardo m’avrebbe oltrepassato?»

    «Sei troppo giovane per angustiarti, piccolo ballerino. Chi era?»

    La risposta di Cesco fu aspra. «Un uomo dalle abilità limitate con cui avrei potuto cavarmela.»

    «Un temperamento impulsivo è una rapida tomba.»

    Quest'ultimo borbottio fu in greco. Il ragazzo scelse di proseguire con l’arabo. «Quanto io son piccolo ma evidente, tanto tu sei, pur grande, pressoché invisibile. Tuttavia, non sei tu che guidi coloro che ami ¹»_.

    L'arciere si alzò dalla sua posizione accovacciata, espandendosi e dispiegandosi come un nero stendardo per tutta la sua altezza. Indossava abiti europei, ma malconci e logori, come se si trattasse di un servo. Senza dubbio aveva vestiti migliori di quelli, ma Cesco non li aveva mai visti. L'aspetto da servitore era importante perché, se avesse indossato l’abito del suo Paese natio o vestiti troppo eleganti, con ogni probabilità avrebbe potuto finire per non aver più bisogno di vestiti. Dannati o salvi, i morti non avevan bisogno d’indumenti, perché non c'era vergogna nella morte. La vergogna era per i vivi, specialmente per quelli che non riuscivano a vedere, oltre la pelle, l’uomo in essa. Perché la pelle dell'arciere era scura, più scura che nella maggior parte della sua razza, anche se non certo di un nero africano. Era un moro.

    Seguendo il ragazzo fino al bordo del tetto, l'arciere recitò diligentemente la fine della citazione del ragazzo. «Dio guida chi vuole lui. Egli ben conosce coloro che sono ben guidati». La sua voce suonava come una spada arrugginita che raschia il fondo di un pozzo, dolorosa e vuota, ma profonda. Le cicatrici inspiegate intorno alla gola ne dicevano la causa.

    Cesco rise. «Cave ab homine unius libri! ²» Detto questo, oscillò oltre il bordo e cadde a terra.

    «Et mors ultima ratio», rispose il Moro, voltandosi per trovare una via più discreta per scendere.

    Come Cesco raggiunse il terreno, Detto spuntò da dietro un barile d'acqua. «Ha funzionato?»

    Cesco diede una pacca sulla spalla dell'amico. «Hai interpretato brillantemente la tua

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