Ativalè: Lettere a mio fratello
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Anteprima del libro
Ativalè - Maria Beatriz Pistoia
Maria Beatriz Pistoia
Ativalè. Lettere a mio fratello
Maria Beatriz Pistoia
©2022 Maria Beatriz Pistoia
Prima edizione: maggio 2022
Tutti i diritti sono riservati
Ogni riproduzione anche parziale e con qualsiasi mezzo, deve essere preventivamente autorizzata dall’Autore.
Maria Beatriz Pistoia
Ativalè
Lettere a mio fratello
A Te, che mi dicevi
Fai sempre brillare i tuoi occhi
Il dolore rovescia la vita, ma può determinare il preludio di una rinascita.
L’avevo letta tempo fa, questa frase, scritta con uno spray verde smeraldo su un muretto. Di fianco, un ciuffo d’erba quasi dello stesso colore faceva capolino tra le pietre.
A volte sono proprio i momenti peggiori, le situazioni che ci affossano, che disvelano ai nostri occhi potenzialità mai conosciute.
Hai mai ascoltato la musica di Michel Petrucciani? Era stato proprio mio fratello Vincent a farmelo scoprire. Affetto da osteogenesi imperfetta, Petrucciani è stato uno dei più grandi pianisti jazz di tutti i tempi. La bellezza della sua musica è la testimonianza che dalla sofferenza si possono costruire grandi cose.
Sono passati ormai vent’anni da quando ho scritto le lettere che ti appresterai a leggere tra poco e oggi quasi per caso le riprendo in mano. Sono state scritte a mio fratello a partire da quella notte del 10 aprile 2001.
Scritte per darmi forza, per curarmi l’anima, per lasciare un ricordo di Vincent, di me, di Vincent con me e della ragazza che ero e che avrei voluto essere, diventare con lui, e ora penso a come sono diventata senza di lui, eppure sempre con lui.
Lettere che ho buttato giù come uno sfogo, senza pesare le parole, senza pensare alle parole, senza averle prima ragionate. Lettere scritte per edificare un percorso solo mio, interiore, che mi aiutasse a sopportare la sua mancanza, a riempire il vuoto insopportabile e tremendo che aveva lasciato nelle nostre vite. Forse avrei potuto scrivere altro, avrei potuto scrivere diversamente ma il mio cuore si era fermato, insieme al suo.
Scrivendo, ho cercato di lenire la solitudine che mi aveva avviluppato come in una spire, soffocandomi con una valanga di sofferenza. Perché scrivere è un riparare una ferita, diventa una terapia giornaliera, si lasciano scorrere sulla carta bianca i pensieri in mezzo al silenzio, alle parole, alla confusione, alla meditazione, alla musica.
Le ho scritte sì, anche per ritrovarmi, perché perdendo qualcuno che si ama si perde anche un po’ sé stessi.
Petrucciani con la sua musica ricostruiva quello che giorno dopo giorno stava perdendo, la sua fisicità, la sua salute. Dal disagio, dalla sua sofferenza ha aperto la mente e il cuore e da lì ha creato bellezza. Quando l’ho sentito per la prima volta, Petrucciani era già morto – era davvero giovane quando è successo – eppure era riuscito a lasciare un segno.
Perché in fondo, se non serve a questo, a cosa può servire vivere? Siamo nati per lasciare un segno.
Ma per imprimere qualcosa di sé negli altri è necessario, fondamentale, spalancare la porta della propria intimità, scavalcando il timore di mettersi a nudo, mostrando senza paure ogni angolo e spiraglio del proprio cuore, donare una parte di sé.
Quindi, dopo che per vent’anni queste lettere sono state chiuse in una scatola, adesso vedono la luce proprio in un momento di chiusura. L’arrivo del lockdown, l’isolamento, la tragedia del covid – che rappresentano senza dubbio un freno alla nostra libertà, in un periodo storico in cui gli abbracci e il contatto con il prossimo mancano come l’aria e la paura per il futuro ci asfissia – hanno avuto il pregio di permettere a questi scritti di riemergere, sancendo finalmente che il tempo della condivisione è ora.
La condivisione è semplicemente un dividere insieme a qualcun altro una nostra prospettiva, donare qualcosa di noi, abbracciare la propria identità e donarla sperando che possa renderci reciprocamente più ricchi o quantomeno scoprire un po’ di quella magia che si perde nella quotidianità.
Ho impiegato quasi vent’anni per riaprire quella scatola e il coraggio di pubblicare così tanta intimità la devo a chi mi ruba il cuore ogni giorno leggendolo come se fosse un libro aperto. E sarà che l’età avanza, i pensieri si infittiscono, si ripercorre la propria vita e gli insegnamenti che abbiamo avuto ci ricordano ancora una volta che bisogna rialzarsi.
Sempre.
Sì, perché il ricordo è la nostra storia, la nostra memoria. Non ossessione, ma la parte bella che ci accompagna. Perché ri-cordare significa riportare al cuore e ci serve per guardare meglio avanti.
Non ho pretese da scrittrice. Sono solo un essere umano che ha sofferto, sbagliato, gioito, pianto e riso come tutti gli esseri umani su questa Terra. Sono solo una sorella. Con un dolore immenso e improvviso che non mi ha lasciato il tempo per imparare a conviverci, ma che mi ha portato a capire quanto potere abbiano le emozioni di fronte a una tragedia.
Niente come la dipartita di una persona cara è in grado di smuovere sentimenti e riflessioni, permettendoci di contemplare la nostra esistenza con occhi diversi, da un altro punto di vista. Con un’altra testa, un altro cuore.
Rileggendo queste pagine, lettera dopo lettera, mi sono resa conto di quanto, vicino all’immenso dolore, sia presente anche il continuo tentativo di dare un senso al tutto.
È la vita a imporcelo. Un continuo tentativo.
Cercare di costruire, ricostruire e nel mentre trasformarsi e avere il coraggio di cambiare serve alla nostra sopravvivenza.
E se non si riesce a farlo per sé stessi, bisogna farlo per gli altri.
Nei momenti di dolore è necessario diventare esempio. Dimostrare forza per dare forza a chi ti protegge e ti ascolta, scrollandosi di dosso quella corazza pesante che ci siamo cuciti addosso a mo’ di protezione e barriera.
Siamo stati fortunati ad avere Vincent nella nostra vita. La sua allegria, la spensieratezza del suo sguardo, la sua generosità sono stati per noi un piccolo – grande – miracolo. Noi stessi dobbiamo diventare miracolo, non rinunciando a meravigliarci ogni giorno, non rinunciando a intravedere quel magico sincretismo che fiorisce lungo il nostro cammino.
Quel Lunedì Santo del 2001 abbiamo perso Vincent, vittima di un tragico incidente stradale.
Aveva solo ventisette anni e la vita ce lo ha portato via in un battito di ciglia.
Lo abbiamo perso, sì, in modo