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Inconsapevoli crisalidi
Inconsapevoli crisalidi
Inconsapevoli crisalidi
E-book104 pagine1 ora

Inconsapevoli crisalidi

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Info su questo ebook

Il romanzo descrive l’identità a tempo che ognuno di noi vive inconsapevolmente rispetto alle tappe della propria esistenza, processo per il quale cambia nome, amicizie, amori, senza accorgersi che rimane, in fondo, sempre lo stesso.
L’amore sentimentale ed erotico vissuto dai cinque personaggi nelle varie fasi del ciclo di vita (infanzia, adolescenza, giovinezza, adultità e post-adultità) permea le loro esistenze fino a definirle e completarle, attorno alle esperienze vissute nel tempo: amicizie, pensieri, scoperte, valutazioni, emozioni, progetti si rincorrono e mutano a seconda delle fasi.
La trasformazione termina e trova il suo compimento in punto di morte-vita, quando la stessa trasforma i cinque personaggi maschili e le loro compagne da crisalidi in farfalle, donandogli la consapevolezza dell’alternativa visione.
Intrigante opera prima. Una storia in cui i protagonisti paiono dipanarsi di fronte a uno specchio, se stessi e i loro lati più oscuri e intimi. La fragilità, la finitudine umana, l’ultimo appiglio rintracciato in un bacio innocente, in un sorriso atteso a lungo, in un abbraccio morbido. Una trama scomposta in sottotrame, tessere cangianti di un mosaico ineluttabile.
LinguaItaliano
Data di uscita10 apr 2021
ISBN9788832928334
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    Anteprima del libro

    Inconsapevoli crisalidi - Andrea Barbuto

    1991

    Introduzione

    La nostra identità viene giorno dopo giorno costruita e arricchita da elementi che, con il tempo, se si riconoscono reciprocamente, formano un corpo centrale dal quale difficilmente riusciamo a staccarci.

    Questo corpo è fatto da tutte le caratteristiche, gli aggettivi, le qualità, le criticità, le spigolature, gli slanci che gli altri ci hanno in qualche modo riconosciuto e assegnato chissà per quale motivo.

    Il processo di completamento non ha una fine e tantomeno gli step della crescita della personalità sono propedeutici: cioè se nell’adolescenza eravamo impulsivi e litigiosi non è detto che, grazie ad alcune esperienze di gestione delle emozioni e al cosiddetto processo di maturazione, poi, nella fase dell’adultità necessariamente diventeremo pacati e mediatori.

    Questo perché lo sviluppo non sempre presuppone la crescita.

    E quindi le caratteristiche che gli altri nel tempo ci riconoscono plasmano il nostro essere e diventano il biglietto, anzi i biglietti, con i quali mostriamo al mondo i nostri volti.

    La reciprocità.

    Il nostro specchio sono gli altri. I pesi che gli altri poggiano sulla nostra bilancia ne determina l’inclinazione.

    Sono gli altri che ci dicono quanto siamo gentili, quanto siamo disponibili o, al contrario, quanto siamo burberi e inservibili. E noi attorno a questa nomea creiamo un’identità a tempo che rispecchia quei tempi, quelle compagnie e quegli amori.

    Grazie a questo processo cambiamo anche il nome: da Pietro a Marco, da Giovanna a Pamela, da Christian a Luca e qualche volta anche da Maurizio a Dalila… ma questa è un’altra storia. Voglio dire che spesso non ci accorgiamo del nostro cambiamento, della bellezza nell’assumere sembianze diverse, della spettacolarità dell’esistenza stessa e delle opportunità che ci mostra dinanzi.

    A noi, esseri speciali perché umani, invece di percorrere tracciati inesplorati interessa viaggiare su binari erosi dal tempo e dalle consuetudini, privi di raccordi e di traiettorie imprevedibili.

    Forse perché la paura, come una trappola, ci attanaglia e ci vincola a sé privandoci della libertà dell’essere e dell’alternativa visione.

    Il punto è che alla resa dei conti, mentre mesti ci voltiamo indietro nel ricordare le vicende sulle quali tangibile appare la nostra impronta, scorgiamo proprio lì quei molteplici volti che abbiamo assunto e che hanno contraddistinto il tempo messo a nostra disposizione.

    Ed ecco che la vita diventa le vite. Gli amici, a seconda del tempo, parlano lingue sconosciute appellandoci con nomi apparentemente diversi. Le emozioni, come impazzite, prendono possesso del nostro corpo in maniera irrazionale e slegata dal tempo. L’amore distrugge e ricompone il sogno.

    E infine le lacrime, abbondanti come ruscelli, inondano le gote.

    Andrea Barbuto

    1

    L’ultimo respiro

    Un’amara espressione facciale campeggia sul tuo viso al giungere di quel momento: penso che un essere umano non nasca con la voglia di vivere dentro, ma, al contrario, nasca con la voglia di non morire mai, che quell’attimo che spesso imprigiona la sua mente non gli si debba mai presentare dinanzi. Proprio perché quando sei certo che sarà per te l’ultimo respiro ti accorgi che vorresti premere il tasto del rewind e rivivere tutto sulla tua vecchia pellaccia.

    Proprio tutto. Compresi quegli interessi passivi che ancora non riesci a capire.

    E quindi sorridi malinconicamente quasi come ad avercela con te stesso per il tempo perso, per le emozioni non vissute e i problemi messi sul piatto vuoto della tua quotidianità.

    Per me era stato così. Avevo vissuto una vita piena di sorrisi, dolori, slanci orizzontali e cadute verticali, emozioni a bassa, media e alta intensità.

    Proprio come in questo momento: stavo lasciando la vita e provavo paura, anzi, ero terrorizzato dall’idea della morte. Avevo riempito quel piatto solo di pensieri e preoccupazioni. Ero stato così sciocco, così banale! Avevo concesso ai neri pensieri di nidificare una piccola area del cervello e, loro, riconoscendo quel luogo come proprio, avevano turbato così tanto il mio saper essere fino a plasmarne il carattere e definirne l’identità.

    Come se non bastasse a quella tavola imbandita di piatti vuoti banchettavo sempre in compagnia della mia amata che inevitabilmente mi faceva notare la parzialità di quelle situazioni.

    Io continuavo dritto su quel sentiero: annuivo… ma dentro di me non ci credevo. E il tempo, che a volte non fa il suo dovere, con cadenza ciclica scalfiva quell’identità marmorea che avevo falsamente creato e riportava alla luce la mediocrità della mia anima rendendola visibile agli occhi della mia amata.

    Solo l’amore che provava per me la faceva restare accanto.

    Ma, ella se andò prima. Sorridendo… con serenità, quasi a sbeffeggiare la morte. Non come me che adesso sto avvertendo un terrore implacabile che mi sta sfinendo.

    E l’ineluttabilità dell’ultimo respiro non tarda ad arrivare. È come quando aspetti una notizia che non vorresti mai ricevere: ti prepari mentalmente e fisicamente ad accoglierla ma, quando giunge, ti trova così impreparato che ti aggrappi a tutto pur di non farti raggiungere, di non farti colpire.

    Adesso non sapevo più a cosa o a chi aggrapparmi.

    Decido di cedere alla morte.

    Ha vinto lei. Vince sempre lei.

    Non c’è rimedio, non c’è antidoto. Non si può fare un passo indietro e chiedere scusa.

    Per poi ricominciare.

    Quel che è stato è stato.

    È la fine. Sto arrivando amore. Sono qui. Ti sento…

    2

    Mattia

    E tu, con quel ciuffetto biondo, come ti chiami?

    (Silenzio)

    Ehi sto dicendo a te bambino. Come ti chiami piccolo?

    Con la mandibola che mi tremava riuscì a rispondere: Ma-ma-mattia…

    Mattia. Che bel nome. Bambini salutiamo tutti Mattia… disse la maestra.

    E i bambini: Benvenuto Mattia.

    A quel grido simultaneo provai una certa emozione, che qualificai come imbarazzo. Le guance mi si fecero immediatamente rosse, gli occhi più piccoli, una sensazione di sudore mi permeava il corpo e il cuore batteva più forte fino a far tremare i denti.

    Nessuno mai aveva detto a gran voce il mio nome. Così fragoroso e imponente. Sì, perché ero nuovo per loro, per quella classe, per quei compagni.

    La mia famiglia si era trasferita da poco nella zona marina della città per via di quella villa in costruzione che i miei genitori ansimavamo di realizzare per stare più comodi e tranquilli, senza le ossessioni e i frastuoni che la città inevitabilmente prima o poi ti offre.

    Qui era tutto molto più pacato, fermo. Anzi sotto certi punti di vista sembrava il deserto del Sahara. Strade e corsie disegnate dalla terra con ai lati le montagne di terra, illuminazione non pervenuta, case in costruzione, automobili rare e poco rumorose, vento che troneggiava sulle giornate e sulle nottate.

    Di contro c’era molto verde attorno a noi: una pineta immensa a ridosso della spiaggia, campi incolti nei quali giocare e costruire tutte quelle cose che la fantasia dei bambini progetta e realizza in un batter d’occhio.

    E ancora, complicità e coesione della comunità, senso del vicinato.

    Ci volle comunque del tempo per ambientarsi sia con i luoghi che con le persone.

    Strange in a stranger land.

    A scuola i miei compagni mi vedevano come un alieno, venuto da chissà quale altro mondo. S. era un bambino di dieci anni con anelli alle dita e catene al collo, R. era una bambina di dieci anni e ne dimostrava almeno tredici, S. era una bambina deliziosa con i fiocchetti nei capelli, M. era un bambino taciturno ma molto perspicace.

    E poi c’ero io. Bambino timido e vivace allo stesso tempo, dipendeva dalla situazione. Se mi sentivo accolto e sufficientemente stimolato potevo avere ogni sorta di slancio; al contrario, quando la situazione mi era sfavorevole, il mio umore pietrificava le mie gambe impedendomi qualsiasi tipo di movimento.

    Ma si sa come avviene con i bambini, basta un sorriso, un gesto, una carezza e parte un mondo interiore che ti consente di fare amicizia con tutti quelli che prima parevano mostri

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