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Un guaio come te
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E-book190 pagine2 ore

Un guaio come te

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Info su questo ebook

Susan non si definisce una "ragazza fortunata". Con un padre che si è dato uccel di bosco da che ha memoria e una madre scomparsa troppo presto a causa di un incidente, essere costretta a passare l'estate dei suoi sedici anni chiusa nel vecchio e fallimentare negozio di famiglia diventa solo la ciliegina su una torta non esattamente di cioccolato.

 

William entra per caso in quel negozio malconcio: un regalo di fretta, uno sbaglio da farsi perdonare dalla propria, ormai, ex ragazza. La commessa è sarcastica, fin troppo dal momento che lo prende a pesci in faccia, però nessuno era mai stato così sincero con lui, prima, in merito ai suoi errori. La ragazza ha le idee chiare e non ha peli sulla lingua: perché non chiederle di aiutarlo a riconquistare la fuggitiva?

 

Un'amicizia improbabile e un piano scombussolato non sempre, però, funzionano come previsto e Susan si ritrova a fare i conti con il proprio cuore che fa le capriole per un bellimbusto, la sorella che le proibisce di frequentarlo perché lo odia per qualche inspiegabile ragione e, infine, il rendersi conto che lui è davvero ancora innamorato della ex, vocalist della sua band, quella goth gnocca da paura.

 

Allora tutto diventa un guaio. Solo un maledettissimo guaio.

LinguaItaliano
EditoreSara Perry
Data di uscita9 dic 2020
ISBN9798201897192
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    Anteprima del libro

    Un guaio come te - Sara Perry

    Che faccenda maledettamente pazza è l’amore.

    (Emanuel Schikaneder)

         Capitolo 1 

    «Sei sicura che non possiamo risparmiare qualche soldo in più per un sito web?» chiedo a mia sorella. Che non mi sta ascoltando. «Terra chiama Margo! Abbiamo una connessione?»

    Mia sorella mi guarda accigliata, infilandosi il grembiule da lavoro. Il vistoso fazzoletto rosso annodato sui capelli acconciati con cura la fanno sembrare una cameriera uscita da un film degli anni Cinquanta. In effetti il Popeye’s, la tavola calda in cui lavora, è arredato in stile dell'epoca e anche le cameriere sono costrette a vestirsi di conseguenza. Margo non è il genere di ragazza che indosserebbe di sua volontà gonne e camicette piene di fronzoli.

    A me quel posto piace perché sembra un mondo a sé.

    Ci sono clienti che amano frequentarlo vestiti come se vivessero negli anni Cinquanta. Il risultato è che certi giorni ti presenti lì a mangiare un boccone e hai l’impressione di aver attraversato per sbaglio un portale temporale. Oppure che intorno a te siano tutti impazziti. Io non giudico nessuno, sia chiaro: per me la gente potrebbe anche andare in giro vestita da scimmia, se ne avesse voglia. Quel posto mi ricorda la vecchia America dei film e mi va a genio sul serio. Forse cambierei idea se ci dovessi lavorare, come Margo, e fare spesso i doppi turni fino a notte fonda solo per riuscire ad arrivare alla fine del mese.

    Verso nella ciotola colma di cereali il latte rimasto. «Quando tornerai, oggi?»

    Mi fa un rapido cenno della mano mentre si dirige al mobiletto d’ingresso, senza neppure voltarsi. Ancora una volta, ignora la mia domanda. Non è un evento insolito, ma mi fa incazzare ogni volta.

    «Sii gentile con i clienti» dice di fretta, prendendo il portachiavi di peluche e le ballerine rosse dalla scarpiera.

    M’infilo in bocca un'altra cucchiaiata di cereali da quattro soldi. La confezione vuole imitare quella di una marca ben più famosa - e migliore - ma fallisce miseramente. Mastico il boccone stopposo senza farci caso: il cibo scadente fa parte della nostra alimentazione ormai da un bel po’. «E quali sarebbero queste creature mitologiche chiamate clienti? Non ne ho visto uno negli ultimi due mesi.»

    Volevo fare la spiritosa, ma la battuta non suona divertente neppure a me. Forse perché è un argomento dannatamente serio. Abbiamo davvero bisogno di più clienti, anzi di clienti e basta. Stiamo a malapena a galla con le spese, e solo perché mia sorella lavora alla tavola calda, altrimenti saremmo già in bancarotta. Lo so, non dovrei neppure pensarlo e sperare sempre per il meglio, perché l'ottimismo è la chiave del successo, ma porca miseria!

    La battuta faceva schifo, però riesce nell’intento di fermare mia sorella con il pomolo della porta in mano. Si volta a guardarmi e incrocia le braccia, coprendo il grande logo Popeye's stampato con un font fantasia sul grembiule a pettorina. Non smette mai di sorprendermi quanto assomigli alla mamma, con i suoi occhi azzurri, i folti capelli biondi e gli zigomi alti e pronunciati. A volte vorrei che non fosse così ma, ultimamente, proprio perché i ricordi di lei stanno iniziando a svanire, sono felice che mia sorella abbia ereditato la maggior parte dei suoi geni. Mi capita di fantasticare che anche Margo si fermi davanti allo specchio a pensare la stessa cosa, forse avendo l’impressione che sia mamma a guardarla, dall’altra parte.

    «Ascoltami bene...» replica con la voce severa sebbene esausta. Sembra che stia per iniziare una predica ma poi si ferma. Si porta una mano alla fronte e chiude gli occhi come chi non ne potesse più già a inizio giornata. «Prenditi cura del negozio. E non essere scortese con chi entra, ok?»

    «Non posso: ho lasciato la mia maschera amichevole nel circo con tutti gli altri pagliacci.»

    Lo so che dovrei risparmiare il sarcasmo almeno con lei, ma la situazione in cui versa il negozio - e le nostre finanze - mi manda in bestia, impedendomi di mordermi la lingua quando, invece, sarebbe il caso.

    Margo sbatte le palpebre un paio di volte, poi scuote la testa. «Fai come vuoi, Sisi.»

    «Nessuna di noi due sta facendo come vuole» commento con tono piatto, allontanando la ciotola della colazione.

    Mia sorella alza una mano, in uno stanco gesto di resa, poi si allontana per uscire.

    «Divertiti al lavoro!» urlo, sovrastando il rumore della porta di casa che si chiude.

    Attendo di sentire il familiare ronzio della decrepita berlina di nostro padre spegnersi in lontananza, poi lascio il bancone della cucina per dirigermi al salotto. C’è una pila di carte, bollette varie e documenti che mi aspetta sul tavolino davanti al divano. Un cumulo piazzato appositamente in un punto ben visibile e impossibile da ignorare ma che, nonostante questo, continua a crescere perché né io né Margo fremiamo dal desiderio di occuparcene.

    Sospiro e mi lascio cadere sul sofà. In realtà, documenti e giornali sono sparsi un po’ ovunque, e mi sento come se ci annegassi dentro. Perché in realtà io sto annegando, ed è in un mare di responsabilità troppo grandi per le mie spalle di sedicenne. Quando c’era ancora nonna era tutto più facile. Nonostante la vita non fosse stata proprio una passeggiata per me e Margo, almeno avevamo potuto pensare solo alla scuola e crescere in una parvenza di vita normale, come le ragazze della nostra età. La gestione e la contabilità di un negozio, per quanto piccolo come quello di famiglia, non era mai stato nostro compito.

    Raccolgo il plico di carte buttate alla rinfusa sul tavolino e inizio a selezionarle, cercando di mettere ordine. Per fortuna la maggior parte sono giornali gratuiti e pubblicità idiote, carta che non devo far altro che ammonticchiare e gettare. A dire il vero, qualche depliant lo avevo conservato dalla scrematura precedente per mostrarlo a Margo. Ci sono un sacco di articoli interessanti in giro, cose di cui pensavo potessimo aver bisogno. E poi come si fa a non essere attratti dagli sconti promozionali? Margo, però, la pensa diversamente. Voglio dire, mi sarebbe piaciuto avere uno scacciamosche automatico ma mia sorella pensa che sia una cavolata e che non ne abbiamo bisogno.

    Sbuffo e mi arrendo a mettere nella pila della carta da buttare tutta la pubblicità, le brochure varie e i volantini. Poi ecco che pian piano emergono: fatture non pagate e solleciti, una busta con il logo della banca...

    Mi blocco. Qualcosa è scivolato a terra dalle carte che ho in mano. È una foto di me e Margo durante la nostra infanzia.

    «Ehi, che cosa stai facendo qui?» mormoro mentre, con un sorriso, mi chino a raccoglierla.

    Ero troppo piccola per ricordare i particolari del contesto di quella foto, ma ci ritrae al mare, dove mamma ci portava non appena aveva possibilità. Eravamo felici, allora, nonostante mio padre se la fosse già squagliata. O, forse, magari proprio per quello.

    Il mio sorriso si allarga nel vedere il visino sorridente di Margo e i suoi grandi occhi vispi, mentre mi stringe forte. È solo un ricordo, certo, ma è un ricordo felice. Sospiro perché l’immagine non può che sottolineare lo stridente contrasto del passato con la Margo di oggi: una ragazza burbera e indurita dalla vita nonostante non abbia che vent’anni.

    Se si guarda la nostra vita dall’alto, potrebbe sembrare un arazzo intessuto di tragedie.

    Nostra madre era morta in un incidente stradale quando avevo poco più di sei anni e non so - né mi interessa sapere - dove si trovi nostro padre. Per me quell’uomo è morto nel momento stesso in cui ha varcato la porta di casa con la valigia in mano mentre l’amante l’aspettava in strada con il motore acceso.

    Ho avuto dieci anni per affrontare la sua perdita e quella di mamma, gestendole in qualche modo. Quello che mi fa più male sono i ricordi di lei che sbiadiscono. Il suo tocco, il timbro della voce, tanti piccoli particolari che si dissolvono dalla mente di anno in anno. Se non fosse per la somiglianza con Margo e qualche rara foto, starebbe svanendo anche il ricordo del suo aspetto. Nonostante questo, il cuore mi si riempie di gioia ogni volta che penso a lei, e forse è proprio quello che dovrebbe accadere perché le madri sono fatte per farti felice. Suppongo che sia abbastanza ma, anche se non lo fosse, so che dovrei farmelo bastare in ogni caso.

    Io e Margo siamo sempre state unite più di quanto normalmente sono le sorelle perché la morte di nostra madre ci aveva spinto a cercare rifugio l’una nell’altra. La ricordo ancora rimanere alzata fino a tardi per guardarmi finché mi addormentavo e per essermi vicina nel caso, neppure tanto raro, in cui avessi avuto degli incubi. Allora mi confortava raccontandomi storie finché non crollavo di nuovo nel sonno, vinta dalla stanchezza.

    Nonna Amalia si era presa cura di noi fin dall’incidente e le cose, tutto sommato, erano andate abbastanza bene per due ragazze senza genitori. Margo aveva dato il massimo a scuola e avevamo esultato tutte e tre quando era arrivata la lettera che annunciava la sua borsa di studi a Los Angeles. Poi il destino, di nuovo, aveva voluto scombinare tutto e strapparci ogni serenità conquistata con impegno e abnegazione. Nonna era morta l’anno scorso, in seguito a un rapido e aggressivo tumore al cervello, e Margo era dovuta tornare a casa in fretta, lasciandosi alle spalle sogni, un ragazzo che amava ma anche tagliando i contatti con tutti i suoi amici dell’università. Non so perché l’avesse fatto, mollare anche gli amici, intendo. Sembrava fosse accaduto qualcosa che andava oltre la morte di nostra nonna, ma non ne ha mai voluto parlare. Di sicuro, da allora, mia sorella non è stata più la stessa.

    La mole di lavoro non aiuta affatto il nostro rapporto, oggi come oggi, visto che lei si divide tra le mattine al negozio, i pomeriggi al ristorante e le serate dei fine settimana di nuovo a servire ai tavoli. Perfino ora che è estate, e posso occuparmi del negozio per l’intera giornata e non soltanto alla fine dell’orario scolastico, Margo non si è fermata un momento, facendosi carico di un altro turno al ristorante nei weekend. Nonostante questo, siamo sommerse dalle fatture non pagate perché la vecchia attività di famiglia sta fallendo e ci sta trascinando a fondo con lei.

    Il mio rapporto con Margo è sempre più teso.

    Capisco che sia arrabbiata con il mondo, ma perché lo è anche con me? Sto facendo del mio meglio per farci andare avanti, tanto quanto lei. Mi divido tra scuola e negozio senza aver conservato un solo momento per me. Mi chiedo perché non possiamo essere compagne in questo viaggio invece che nemiche, dal momento che stiamo lottando nella stessa squadra.

    So che ha rinunciato a tutto quando è tornata in questa piccola città della California per prendersi cura di me e degli affari, ma nessuna di noi due era preparata a dover gestire un’impresa o anche solo a far quadrare i conti. E la cosa è abbastanza evidente - e patetica - da come il nostro frigorifero sia quasi vuoto e il tavolino di fronte alla TV sia coperto dalle bollette non pagate.

    Ne prendo una a caso e faccio un respiro profondo prima di strappare la busta.

    È solo l'inizio dell'estate, e le cose stanno già andando a pezzi.

        Capitolo 2

    Quando la porta del negozio si apre, mi aspetto di vedere entrare Tori con addosso una delle sue t-shirt rosa shocking e in testa un sacco di idee su come smuovermi questo fine settimana.

    Con mia sorpresa, invece, entra un ragazzo.

    Non che individui di sesso maschile non facciano la loro sporadica comparsa qui dentro, ma raramente hanno meno di vent’anni e perfino quando si presentano in dolce compagnia, anche le fidanzate hanno superato da un pezzo l’adolescenza. D’altra parte, il negozio vende soprattutto articoli da collezione che possono piacere a una clientela più matura. Roba vecchia, intendo, anche se alcuni oggetti di modernariato sono qui da talmente tanto tempo che ho il sospetto che nonna Amalia, all’epoca, li avesse acquistati nuovi. A ogni modo, non è solo la giovane età del presunto cliente a meravigliarmi, ma tutto il suo aspetto: dal profumo, che ha l’aria di essere costoso, al taglio di capelli, perfetto e alla moda. Inoltre indossa una camicia elegante che, a occhio e croce, vale più dell’intero incasso mensile che faccio io qui dentro. Se essere ricco puzza di qualcosa, sono abbastanza sicura che quella puzza si stia spandendo nell’aria di fronte a me.

    Il giovane si avvicina camminando con attenzione, come se volesse assicurarsi di non sfiorare per errore nulla di indesiderato. Se ne avesse la possibilità, sono certa che si muoverebbe a due centimetri dal suolo, pur di non toccarlo. Non posso fare a meno di aggrottare la fronte mentre si avvicina al banco con le sue lustre scarpe di cuoio che echeggiano contro il pavimento di legno. Son belle scarpe, non c’è che dire, ma il tipo è, nel suo complesso, così ricercato da farmi rabbrividire. Qualcuno deve avergli detto dress to impress e lui deve averlo preso troppo sul serio.

    Mi tolgo le cuffie e mi alzo dalla sedia. «Cosa vuoi?»

    Sii gentile, Susan, dannazione! Scuoto la testa, ricordando l'avvertimento di Margo.

    «Buongiorno» mi correggo schiarendo la voce e cercando di apparire cortese e disponibile. «Come posso aiutarla... signore?»

    Il ragazzo si guarda intorno, esaminando qualche mensola con

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