l'EDOnista
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Info su questo ebook
Edo ha amici belli e fortunati insieme ai quali – tra sport urbani estremi e droghe sintetiche, locali di tendenza e sesso spazzatura, alcool e tomi universitari – vive una scissione tra le sue pulsioni e le convenzioni sociali cui deve attenersi.
Edo è un giovane uomo bello e intelligente che vive una scintillante post adolescenza. Prolungata. La sua ossessione è il sesso con ragazze molto magre.
Dentro una vita apparentemente perfetta e dorata, si attorcigliano però i malesseri di un ragazzo inquieto. La madre amata e bellissima, la cui esistenza è stata soffocata da un marito fedifrago e rampante. La famiglia che crolla in pezzi. Un amore infantile e idealizzato per Viola, libera e incantevole, capace di smuovere ogni suo anfratto emotivo. Una zia ribelle fuggita a Londra per allontanarsi da un segreto famigliare inconfessabile, l’unica capace di salvarlo da se stesso. E poi la musica, ritrovato antidoto a una realtà e a una carriera già segnate.
Il viaggio in Inghilterra di Edo è un viaggio di formazione. Un’educazione sentimentale narrata in prima persona, proprio durante gli ultimi mesi di università, un crinale tra giovinezza ed età adulta. Edo è costretto a perdersi per reinventarsi.
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Anteprima del libro
l'EDOnista - Francesca Angeleri
Tavola dei Contenuti (TOC)
La verità del Tronista
Cara mamma ti scrivo
UniTO AcculturaTo
Il colore Viola
Vampiri di ’sto cazzo
Una chitarra blu
I feel mod
La scelta di Sofia
London Calling
golem
© 2021 Miraggi edizioni, Torino
www.miraggiedizioni.it
In copertina: Edo, disegno di Andrea Raviola.
Progetto grafico Miraggi
Finito di stampare a Borgoricco (PD) nel mese di maggio 2021
da Logo srl per conto di Miraggi Edizioni
su Carta da Edizioni Avorio Book Cream 80 gr
Prima edizione digitale: maggio 2021
isbn 978-88-3386-180-7
Prima edizione cartacea: maggio 2021
isbn 978-88-3386-179-1
A Leone
La verità del Tronista
Sono qui, in mutande, seduto sulla mia poltrona rossa di Frau con il telecomando che punta al sessanta pollici, dove mi imbatto in una replica urlata di Uomini e Donne.
Manila compare sullo schermo, è anche lei seduta comodamente, tanto che il tubino bianco le sfiora l’orlo delle mutandine, sempre che le porti. Un tattico accavallarsi di cosce, puntualmente ripreso dalle telecamere. Dispendio di carne da bancone macelleria, ma ben esposta, che termina su décolleté di vernice nera, tacco dodici. Tutto a buon mercato. Mi soffermo sul particolare, coscia, caviglia, scarpa. Inizio a toccarmi.
Nel frattempo la telecamera sembra intuire il rischio che mi annoi nel mio solitario lavoro manuale e si affretta a inquadrare Irene. Si muove legnosa, inguainata in un vestitino rosso, aggraziata come una battona di periferia in attesa del prossimo cliente. Gli insulti arrivano da fuori campo. Il motivo di tanto fervore è lui, Aldo Palmieri.
La faccia di Aldo occupa tutta la cornice dello schermo, fondotinta e sorriso compiaciuto su barba ben curata da vero metrosexual televisivo.
Stringo il cazzo con la mano. Ora ti spiego, Aldo.
Sei in uno studio circondato da zoccole pagate una miseria. Una cifra inferiore alla mancia settimanale che ricevono le mie amiche collinari e anoressiche dai genitori. Extra esclusi. Se ti va bene e sopravvivi sul trono abbastanza a lungo, tra meno di un anno ti ritroverai in una discoteca a firmare autografi a tamarre urlanti con il piercing alla lingua. Poi ti aspetterà il tour estivo al Billionaire, ultima tappa prima di tornare nell’oblio nazional popolare dal quale sei venuto.
Vedi Aldo, non è colpa tua, ti hanno mentito. Chi ti ha detto che potevi farcela, ti ha ingannato, perché nella vita contano i soldi e quelli fatti in una sola generazione non sono sufficienti. Nell’ufficio di mio padre, Aldo, ci sono appese lauree che risalgono agli inizi dell’Ottocento. Da sotto la luce giallastra dei riflettori potrebbero sembrarti solo vecchi pezzi di carta, ma quei titoli rappresentano una vasta rete di contatti e di benessere, nonché un laboratorio di eugenetica che ha portato al mio concepimento. Perché Aldo la tua è un’illusione di cambio di status. Bellezza, ricchezza e potere sono gli unici ingredienti per un successo duraturo e questi elementi non sono dovuti a capacità individuali, sono un diritto di nascita e non importa quanto tu ti prodighi a essere un degenerato. E visto che la rivoluzione francese è lungi da essere attuale, non posso che godermi il momento.
Scusa Aldo per la digressione storica, non credo tu l’abbia capita, però dimmi: hai ancora voglia di ridere adesso?
Vestitino rosso rientra in scena, capelli spettinati, occhio umido, si avventa contro tubino bianco. Partono gli spintoni e la mia mano accelera il ritmo. Qualcuno cerca di dividere le aspiranti fidanzate di Aldo. Quando inquadrano Maria, vengo. Un lungo getto appiccicoso vira sulla poltrona che pulisco appena con un kleenex, tanto è di pelle. Butto il fazzoletto per terra, per la gioia di Vica, la nostra colf rumena, che vive nel nostro seminterrato. Vado a letto.
Dimenticavo, mi chiamo Edoardo. Sorvolerei sui cognomi che affollano la mia carta d’identità.
Mi chiamo Edoardo, ma per gli amici sono Edo.
Cara mamma ti scrivo
A casa mia si fa colazione, rito che sopravvive solo da noi e nelle pubblicità del Mulino Bianco. Ma casa mia è il Mulino Bianco, infatti mia madre ha assunto un giardiniere peruviano che assomiglia a Banderas. Mio padre per risposta ha acquistato una Porsche 911 GT3 e un cane, ma questo è un altro problema.
Mi sveglio puntualmente alle sette e mezza, faccio una doccia e lascio gli asciugamani umidi sul pavimento del bagno. Esco dal mio appartamentino per scendere al piano terra dove si trova la cucina. La colazione si fa in cucina.
Le vetrate sono aperte sul giardino, è la prima bella giornata di primavera e la rumena sta apparecchiando sulla penisola all’americana, mentre mia madre sfoglia distrattamente il quotidiano bevendo un centrifugato d’arancia, carota, limone con una punta di curcuma. Adora la curcuma, da quando ne ha scoperto le straordinarie proprietà curative, la fa mettere in tutti i piatti che ingerisce. Mi siedo al suo fianco e lei non alza lo sguardo, continua a leggere le pagine di economia. Non che sia particolarmente interessata alla materia, semplicemente le notizie spot, assimilate con il centrifugato, la aiutano a instaurare una conversazione-diversivo con mio padre. Verve di coppia. Chiedo a Vica un espresso e un croissant. Meglio del bar.
Arriva mio padre, mi saluta e alla cameriera chiede un toast. Questo è il momento che preferisco. Quando lui sta per addentare il toast, mia madre è scossa da un tremito, poi sbarra gli occhi come se del suo corpo si fosse impossessato il demone del salutismo. «Giacomo, almeno per una volta. Una. La mattina potresti evitare di imbottirti di polifosfati? È disgustoso.»
In questi casi la replica di mio padre contiene una flemma temprata da anni di convivenza: «Buongiorno anche a te, tesoro».
Mia madre in un gesto, tra il rassegnato e il nevrotico, posa il bicchiere, chiude il giornale, ma il copione non viene rispettato, mio padre senza aspettare la replica aggiunge: «Parto per New York dopo pranzo. Devo accompagnare un cliente per la formalizzazione di un contratto. Starò via pochi giorni».
La faccenda si mette male, malissimo. Nemmeno la curcuma e la meditazione del mattino tratterranno mia madre dallo sclero. Con la scusa della lezione all’università me la filo cercando di non farmi notare e, soprattutto, prima che scoppi l’Armageddon.
New York è poco più di un nome in codice che sta a indicare una nuova amante per mio padre. In genere la situazione provoca una reazione a catena dall’esito sempre certo.
La mia genitrice, in sostanza, è una donna pragmatica. Sposata con lo stesso uomo da venticinque anni, abituata a pensare alla fedeltà come a un concetto astratto, formalmente utile alle dinamiche sociali, eppure disposta a riconoscerla inconciliabile con i ritmi di vita moderni. Peccato che i ritmi della vita si traducano in anni e il passaggio da MILF a donna di mezza età, per lei, è molto vicino. Per contro i gusti di mio padre in tema di eterno femminino sono, appunto, immutabili. Perennemente bloccato nella fase fallica, quella che lo porta nei bagni dei ristoranti a misurare in una frazione di secondo la virilità dell’avversario, mio padre non riesce ad andare oltre i cinque lustri. Nella sua agenda appaiono, in modo del tutto casuale, bionde, brune e rosse. Sciampiste, modelle e stagiste. Unico punto fermo, l’età. Il mio amico Gianmarco, elemento dotato di una certa ironia, le chiama: Specialistica. Esattamente come la data ultima e definitiva di scadenza del percorso scolastico delle sue amanti.
A mia memoria la prima è stata Specialistica Erasmus. Bionda danese con un complesso d’Edipo irrisolto e un pessimo rapporto con la fotocamera del cellulare.
Specialistica Erasmus è stata liquidata il giorno in cui ha mandato a mio padre una foto che la ritraeva, nuda, con un cappello da elfo in testa. Purtroppo per lei il suo sugar daddy aveva dimenticato il telefonino sul tavolo in veranda, subitamente afferrato da mia madre.
Ricordo ancora l’espressione neutra di lei mentre gira il display verso mio padre per chiedergli se la sua amichetta avesse almeno raggiunto la maggiore età.
Specialistica Erasmus occupò i miei pensieri notturni e quelli sotto la doccia la mattina per molti mesi. All’epoca dei fatti frequentavo l’ultimo anno di un blasonato liceo a conduzione salesiana che annoverava, con gran sfoggio, ex studenti illustri.
Data la natura del mio istituto scolastico, nel quale si rimpiangevano le punizioni corporali e gli esercizi spirituali obbligatori erano l’unico antidoto contro la cecità, la mia vita sessuale d’adolescente risentiva di un vago senso di colpa. Il mio bacino di conquiste si riduceva a ragazzine fortemente disturbate. Non che lo facessi apposta a gingillarmi con delle brufolose irrisolte che aumentavano la mia confusione tra YouPorn e il santino di Don Bosco.
Avevo più di un problema con le fantasie, fosse stato solo leccarmi le dita prima di infilarle in una vagina. E Specialistica Erasmus mi suggerì che l’attività erotica di un maschio adulto eterosessuale fosse molto più divertente della mia, spingendomi verso un desiderio irrefrenabile di crescita.
Arrivato alla porta del garage, intravedo il giardiniere intento a togliere le erbacce intorno alla copertura mobile della piscina. Fa ancora freddo, El Banderas non può mostrarsi a torso nudo, fattore seccante per mia madre e le sue amiche.
Salgo sulla mia 500 Abarth 695, scendo il breve tratto collinare in direzione Piazza Vittorio. Sul ponte mi fermo al semaforo rosso, il sole ancora basso riveste di un filtro fluo le acque del fiume. È tutto così morbido e sembra scorrere sempre in un’unica direzione. In questo momento mio padre sarà passato dal mutismo di ferro all’evasione per causa di forze maggiori, dettate dal bisogno di aumentare il PIL famigliare. Concetto che mia madre comprende benissimo.
Imbocco corso Regina per arrivare alla segreteria di facoltà. Figuro la mia genitrice al telefono con quella di Gianmarco per pianificare la vendetta. Vendetta che peserà, ovviamente, sul suddetto PIL famigliare.
In genere la rappresaglia tipo prevede che mia madre annunci l’intenzione di passare il weekend in una costosa beauty farm. La successiva sparizione per un lasso di tempo variabile.
La parentesi Specialistica Erasmus le ha regalato un paio di tette da far invidia a una sedicenne. Specialistica Aveda una blefaroplastica. Invece la più difficile da digerire, Specialistica Chanel, fortunata vincitrice di una giacca vintage della famosa griffe regalatale a Parigi in un weekend di amour fou, le ha donato un paio di zigomi che sfidano ogni legge di gravità, labbra perfettamente disegnate, lunghe extension color miele e un giovane personal trainer.
Parcheggio davanti a una scritta sul muro che recita Dio come lo stato è vero solo se ci credi
. Ma Dio nella mia epoca si chiama giovinezza ed è una droga spacciata da uffici marketing impazziti, vera solo se ci credono gli altri.
Faccio un respiro profondo prima di varcare la soglia. Sono due settimane che lotto contro l’autocertificazione dei dati di carriera. Mi manca un esame e poi potrei depositare il titolo della tesi, se non fossero spariti dal mio statino elettronico storia del diritto europeo e sociologia del diritto, rispettivamente sei e nove crediti. Nonostante tali esami compaiano sul libretto e i docenti abbiano assicurato di aver fatto la trascrizione, nonostante la media altissima e i miei disarmanti occhi blu che farebbero impallidire I ragazzi venuti dal Brasile
, la battaglia contro un’ottusa segretaria di facoltà mi sta mettendo a dura prova.
La vedo da lontano, capelli color topo, golfino in tono, occhi spenti che puntano lo schermo del PC dove si alternano con regolarità i siti di cucina a quelli dell’oroscopo. Saluto «Buongiorno». Lei sembra riconoscermi dalla voce «Ah, è lei».
«Eh, sì, sono di nuovo io, sa com’è?»
Carrie sguardo di Satana incrocia il mio «No, non so com’è e la pianti di fare ironia. Ha portato le fotocopie?».
Le passo le copie della trascrizione a registro, lei le guarda appena. «Le faremo sapere al più presto.»
Sorrido dicendo «Quanto presto?».
Sguardo di Satana si anima «Ma secondo lei se avessi una sfera di cristallo starei qui a risolvere i vostri problemi? No, me lo dica perché sono curiosa».
Come posso rispondere a questa domanda? Evidentemente no, avrebbe già vinto al Super Enalotto, optando poi per un Extreme Makeover che la trasformerebbe in una versione sbiadita di Lady Gaga, così finalmente potrebbe realizzare il suo sogno di dominio su un toy boy. Desiderio inconfessato che, anno dopo anno, le passa davanti. Documento dopo documento, pratiche portate da volti eternamente giovani che la guardano appena, lasciandola sola con i suoi capelli sfibrati tra primi piatti e segni zodiacali.
Va bene bellezza, se vuoi, se insisti tanto, se la rogna che sputi fuori dalla bocca è un modo per dirmi che vorresti essere scopata per bene… rompimi meno le palle e anch’io potrei fartelo sapere al più presto.
E mentre la guardo formulando questo pensiero malato, un vago sentore acido mi avviluppa la parte alta dello stomaco. È un chiaro segno che certe idee è meglio tenerle lontane, che bene non fanno. Ci vorrebbe qualcuno più sportivo di me, un amico. Potrei proporlo a Gianmarco.
Saluto cortesemente. Ci sono giornate così, che iniziano male e tendono a finire peggio, meglio arrendersi e barricarsi in biblioteca, studiare, sperando di non incontrare nessuno.
Alle sei e mezza in ordine mi hanno chiamato Gianmarco, Leone, Lorenzo e Sofia. Più volte. Non ho risposto lasciando il telefono silenziato. Esasperato dal mio negarmi, Gianmarco mi ha inviato un numero di messaggi WhatsApp scandaloso, reclamando la mia presenza all’aperitivo per le sette e mezza. Ripetendomi più volte che sua madre sta già preparando le valige per il weekend.
Lascio la macchina vicino al circolo canottieri e ancor prima di attraversare il viale, Gianmarco mi saluta da dietro le vetrine del Gran B. Ha già il bicchiere di spritz in mano.
Gianmarco. Padre nel ramo immobiliare, madre nel ramo finanziario. Un metro e ottantatré di muscoli da kitesurf, unica cosa che realmente gli interessi nella vita. Parcheggiato alla facoltà di economia e commercio, come dice la nostra