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Il biker e la ladra
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E-book487 pagine7 ore

Il biker e la ladra

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Info su questo ebook

«Se c’è qualcosa che ho fatto di buono nella mia vita, è stato darti il mio cuore. Sei una ragazza da tutto o niente. Ecco perché sono al tuo fianco in questa faccenda. Io sono con te fino in fondo. Noi lottiamo insieme.»
Arcadia “Ace” Jones
Sono una studentessa del college con un passato segreto. Non solo rubavo macchine, ma ero la migliore in circolazione. Adesso sto cercando di rigare dritto, ma Marchetti e la sua organizzazione hanno altri piani e ora non mi restano che dodici settimane per eseguire un furto così grande che è quasi impossibile da realizzare. Il tempo a mia disposizione è poco, ma un irritante tizio in motocicletta continua a bloccare ogni mio tentativo di portare a termine l’incarico. Lui è il grosso lupo cattivo da cui mio fratello mi ha sempre messa in guardia, ma ogni ragazza desidera il bad boy giusto per lei, no?
Kelly Daniels
Sono un biker dal passato violento che mi perseguita ogni giorno. Mi tengo occupato con la mia nuova attività di riparazione e restauro di automobili d’epoca, quando una seccante piccola ladra riesce a soffiarmi da sotto il naso una Dodge Charger. La inseguo, solo per scoprire dietro il volante una donna bella, coraggiosa e selvaggia, tutto quello cui mi è impossibile resistere. Ma lei è nei guai e non esiterò a farmi avanti e cambiare i miei piani: mettere in ginocchio Marchetti e tutta la sua organizzazione e fare Ace mia.
LinguaItaliano
Data di uscita30 set 2020
ISBN9788893128308
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    Anteprima del libro

    Il biker e la ladra - Kate McCarthy

    1

    KELLY, 12 ANNI DOPO


    Tiro il colletto della mia nuova camicia bianca. È troppo stretto. Non riesco a respirare. I miei occhi scrutano la stanza, illuminandosi alla vista di Grace Paterson, la fidanzata di mio fratello maggiore, dall’altra parte della sala. Mi guarda mentre con un dito cerco di allentare il colletto, e gli angoli della sua bocca si sollevano. Sadica stronza. Sa quanto io odi dovermi vestire tutto elegante. Assumo un’espressione torva. La mia reazione le provoca una risata così bella che qualcosa nel mio petto si stringe per un istante. Grace indossa un abito bianco senza spalline. Il candore del suo vestito accentua i colori dei fiori tatuati sulla sua spalla che scendono lungo il braccio sinistro e le fiammeggianti onde dei suoi capelli sciolti sulla schiena. Casey è un bastardo fortunato.

    Sono inchiodato in questo locale chic che si chiama The Florence Bar, costretto a festeggiare il loro recente fidanzamento. I camerieri si muovono senza sosta per tutta la sala con i loro vassoi pieni di tartine. Su degli alti tavolini da bar sono disposti dei vasi riempiti con grandi decorazioni floreali. Il loro odore si mescola al profumo costoso e al dolce e penetrante aroma dello champagne. Non sono a mio agio qui. Non in un posto del genere. Non in mezzo a tutte queste persone bellissime e d’alta classe. E soprattutto non con addosso il ridicolo smoking che mi ha rifilato Grace dopo aver sborsato un sacco di soldi. Mi sento come se fossi chiuso in una dannata camicia di forza. Ruoto le spalle.

    Fox mi lancia un’occhiata di compassione. Anche lui si è dovuto agghindare mettendo uno smoking per la prima volta in vita sua, e sembra fuori posto proprio come me, qui. I suoi capelli biondo scuro sono diventati piuttosto lunghi e li tiene legati in una treccia lungo la schiena. «Un altro drink?»

    Sbuffo. «Me lo stai chiedendo davvero?»

    Luke Fox è il mio vero fratello. Mio fratello nei Sentinel MC. Loro sono diventati la mia famiglia dal momento in cui mi sono lasciato alle spalle la mia, mentre si dissanguava sul tappeto della camera da letto dei miei genitori.

    Dopo aver sparato a mio padre, senza neppure rendermene conto, ero tornato nella mia stanza e mi ero seduto sul letto. Una poliziotta, Morgan, era arrivata venti minuti dopo. Un vicino aveva chiamato per denunciare degli spari di pistola che aveva sentito provenire da casa mia.

    Morgan era una recluta, ma era anche un membro in incognito di una gang di motociclisti. I Sentinel. Aveva esaminato la scena. Aveva visto cos’era successo. Aveva intuito la mia lotta interiore e deciso che ne avevo passate abbastanza. Piuttosto che arrestarmi quando avevo cercato di scappare, si era rivolta ai suoi fratelli biker. Loro avevano fatto in modo che la morte dei miei genitori sembrasse un omicidio-suicidio e poi mi avevano portato via prima che Morgan chiamasse la centrale. Non avrei vissuto con Casey. Non dopo che lui aveva lasciato che accadesse tutto quello. Perciò avevo scelto di nascondermi con i Sentinel, e con loro sono rimasto.

    Ma quella spiegazione non ha dissuaso Casey dal mettersi a cercarmi. Ha continuato a indagare per dieci anni, non ha mai creduto che si fosse trattato di un omicidio-suicidio. Lo so perché Morgan mi ha detto che stava investigando sulla faccenda. Era certo che fosse qualcun altro il colpevole. E che questa persona mi avesse rapito e ucciso perché non era possibile che non avessi trovato il modo di contattarlo se fossi stato ancora vivo.

    Alla fine Casey mi ha trovato. Più o meno un anno fa. Tutto quello scavare sul caso dei nostri genitori stava provocando dei problemi, al punto che non mi era rimasta altra scelta se non intervenire. È stato allora che ha saputo la verità. Che ho ucciso nostro padre. E che incolpavo lui per aver permesso che le cose fossero andate a finire così.

    Ha scoperto anche che facevo parte dei Sentinel, e in quel momento mi ha guardato come se non sapesse più chi ero. È quel genere di esperienza che ti cambia. Ti fa diventare più duro, più oscuro. Non ero più il dolce ragazzino che conosceva. Ma i Sentinel hanno fatto per me ciò che lui non era mai stato in grado di fare. Si sono occupati di me. Mi hanno guardato le spalle. Non mi hanno mai abbandonato. Fratelli per la vita, non solo quando gli fa comodo.

    «Pensi di andare a congratularti con tuo fratello?» mi chiede Fox mentre ci dirigiamo verso il bar.

    Stringo le labbra. «Non ancora.»

    Cerco di evitarlo quando possibile, nonostante i tentativi di Grace di una riconciliazione familiare. Non si può ricucire a forza un rapporto quando il legame è stato reciso in modo irreparabile. Non siamo più fratelli e non abbiamo nulla in comune. Non so come parlare con lui.

    Sono un membro dei Sentinel, mi guadagno da vivere aggiustando le loro moto e le macchine. Casey è il proprietario di una società di consulenza che si chiama Jamieson & Valentine Consulting, insieme ad altri tre suoi amici. Si occupano della sicurezza di un gruppo musicale molto famoso, i Jamieson, ma lavorano anche per la polizia in qualità di consulenti esperti nei casi di rapimento, sequestro a scopo di estorsione e nelle negoziazioni in cui sono coinvolti degli ostaggi. Spesso si sporcano le mani, finendo coinvolti in sparatorie e inseguimenti in macchina. Ma la specialità di Casey è aiutare con qualsiasi mezzo i bambini a uscire da situazioni in cui subiscono abusi.

    Arriviamo al bar. «Due whiskey,» chiedo al barista, sperando che l’alcol lavi via il sapore amaro che ho in bocca.

    Lo so bene. Non è riuscito a tirarmi fuori da quella situazione, perciò sta passando la sua vita a cercare di placare il senso di colpa salvando altri bambini. È dannatamente ammirevole, no? Solo che non si può cambiare il passato. Non conta quante vite salvi Casey, resta sempre il fatto che ha abbandonato il fratello al proprio destino. Il suo stesso sangue.

    «Falli doppi,» aggiungo, mentre tiro di nuovo il colletto della camicia.

    Il barista mette i nostri drink sul bancone. Io e Fox prendiamo i bicchieri e buttiamo giù il whiskey con un movimento simultaneo. Sento un fuoco espandersi nel mio petto. Accanto a me, Fox lascia andare con forza l’aria dalla bocca. È un buon liquore. Di qualità. Costoso. Scende giù con facilità, accarezzandomi la gola come seta. Maledizione.

    È una sfortuna che non sia una cura miracolosa contro l’amarezza che non molla mai la presa su di me. Poso il bicchiere sul bancone del bar con un cling, e con voce dura dico: «Un altro.»

    «Ti vuoi ubriacare stasera, fratellino?» chiede una voce alle mie spalle. Quando parli del diavolo…

    Stringo i denti mentre il barista mi passa il secondo drink. Lo afferro e mi volto. Casey indossa un completo simile a uno smoking, ma in qualche modo riesce a sembrare più affascinante di me. E un po’ più a suo agio. Ha i capelli corti dietro e ai lati, mentre sopra sono leggermente scarmigliati, come se avesse permesso alla sua donna di scegliere quella pettinatura per lui. Cosa probabile. È quello che fanno le donne. Cambiare il tuo aspetto finché non ti riconosci più.

    I miei capelli sono più chiari dei suoi e più lunghi. Sono legati in modo sbrigativo in una piccola coda alla base del collo. Paragonato a lui, mi sento come se mi avessero cresciuto le scimmie e adesso degli estranei stessero cercando di reinserirmi nella società civile. Solo che non funziona. Puoi allontanare l’uomo dalla giungla e vestirlo in modo elegante, ma non puoi sopprimere l’animale che ha dentro.

    «Esatto, quello è il piano,» ribatto irritato, e le mie labbra si piegano in un ghigno tutt’altro che amichevole. Accanto a Casey appare Grace, e io cancello in fretta la dura espressione che ho sulla faccia. Mi piace la sua donna. Potrà anche avermi costretto a vestirmi da damerino, ma ha un cuore. Un cuore grande. Non ho idea di come quel giuda di mio fratello sia riuscito a conquistarla.

    Le faccio un occhiolino ammiccante. «Ehi, bambola.»

    Casey si innervosisce e io ridacchio tra me e me.

    «Kelly,» mi ammonisce Grace con voce severa. Sa che sto cercando di provocarlo.

    Il problema è che non riesco a fermarmi. Percorro la sua figura con uno sguardo lento ed eloquente. «Sei sexy da morire stasera, dolcezza.»

    «Daniels,» mormora piano Fox accanto a me; le nocche di Casey sbiancano mentre stringe il bicchiere che ha nella mano, dimostrando un considerevole autocontrollo.

    Quell’autocontrollo mi fa battere forte il cuore per la rabbia, spingendomi a sfidarlo ulteriormente. Alzo il mio bicchiere. «Congratulazioni per il tuo fidanzamento, fratello. Anche se è un vero peccato.»

    «Che cosa è un peccato?» mi chiede lui, mentre un muscolo della sua mascella si contrae.

    «Che la tua donna non abbia scelto il fratello migliore. Forse se ne accorgerà molto presto.»

    Grace trattiene il respiro in modo così brusco da essere udibile.

    «Occhio a quello che dici, Kelly,» ribatte mio fratello. «Così sembra che tu sia un po’ geloso.»

    Accidenti a lui. Butto giù d’un fiato il secondo whiskey e mi godo il calore bruciante che si diffonde in tutto il mio petto. «È difficile essere geloso di un uomo che abbandona la sua famiglia.» Il mio sguardo si sposta su Grace. «Sta’ attenta che non si comporti così anche con te, Slim.»

    Casey mi afferra il polso, la sua presa è ferrea. Il bicchiere mi cade di mano e va in frantumi quando finisce sul pavimento di legno massello, attirando l’attenzione degli ospiti intorno a noi. «Adesso basta,» mi ringhia contro, stringendo i denti. Slim è il soprannome che lui le ha dato e che solo lui può usare. Il fatto che io l’abbia appena pronunciato è la classica goccia che fa traboccare il vaso. «Ti avrò anche lasciato solo, ma stavo tornando da te. Dannazione, stavo tornando da te.»

    Stringo le labbra. «Il problema è che non l’hai fatto.»

    Casey lascia andare il mio polso e fa qualche passo indietro, il viso pallido. «Questo non è né il momento né il luogo.»

    «Non lo è mai,» replico con foga, poi mi guardo intorno. Siamo circondati da dei gruppetti di persone composti da donne nei loro vestiti scintillanti e uomini nei completi eleganti, con i bicchieri di champagne in mano e gli occhi puntati su di noi. Ci stanno fissando, soprattutto me. La bestia selvaggia lasciata libera nel loro mondo.

    «Forse dovresti andartene,» dice mio fratello con voce piatta, monotona.

    Le mie provocazioni hanno funzionato. Casey mi ha dato la via d’uscita che mi serviva per andarmene da lì. È la cosa migliore che possa fare. È molto meglio per me andarmene piuttosto che rimanere in un posto in cui non sono a mio agio. «Forse hai ragione.»

    I frammenti di vetro scricchiolano sotto i nostri piedi quando io e Fox li calpestiamo allontanandoci. Davanti a noi le persone si fanno da parte per farci passare, lasciando libera l’uscita. Non mi volto indietro.

    «Aspettate!» grida una voce mentre io e Fox stiamo scendendo di corsa i gradini esterni del locale.

    Ci fermiamo e ci giriamo entrambi. È Jake Romero. Lui è un vecchio amico di Fox ed è il batterista dei Jamieson. Stavano spesso insieme in passato, quando Romero era un membro dei King Street Boys, una gang che ormai non esiste più a causa della legge e di Mackenzie Valentine, sua moglie.

    Anche lui indossa un completo, ma senza cravatta. Mi chiedo come sia riuscito a farla franca. Percorre gli scalini in fretta raggiungendoci, e nella sua voce c’è un’accusa. «Siete rimasti appena cinque minuti.»

    Fox fa un’alzata di spalle. «Abbiamo degli affari da sbrigare.»

    «Ah, sì?» Romero inarca le sopracciglia. «Che genere di affari?»

    «Affari che riguardano i Sentinel,» si limita a rispondergli Fox. Nonostante la loro passata amicizia, noi siamo una famiglia e non condividiamo i fatti nostri con gli estranei.

    «Giusto, okay.» Romero annuisce. Lo capisce. Poi punta il suo sguardo su di me. «Volevo parlare con te.»

    «Di cosa?»

    Lui si guarda intorno. «Non qui.»

    Stringo gli occhi. «Fammi indovinare, non è il momento né il luogo.»

    «Datti una calmata, Daniels. Qui sulle scale del Florence Bar, proprio davanti all’entrata del locale, non è decisamente il posto adatto per discutere.»

    Incrocio le braccia. «E dove, allora?»

    «Che ne dici del Fix?» risponde, riferendosi alla caffetteria a Darlinghurst. Si trova dall’altra parte della strada rispetto agli uffici della Jamieson & Valentine Consulting. «Tra dieci minuti?»

    Annuisco, incuriosito. Non abbiamo nulla di meglio da fare questa sera. I cosiddetti affari dei Sentinel sono solo il modo di Fox di rifilargli una scusa incontestabile per poter scappare via. «Ci vediamo là.»

    Romero si volta e risale le scale correndo, mentre io e Fox ci avviamo con calma verso il parcheggio che si trova dietro il Florence.

    «Di cosa pensi ti voglia parlare?» mi chiede lui.

    «Non ne ho idea. Immagino che lo scopriremo tra poco.»

    Raggiungiamo le nostre Harley Davidson. Monto in sella facendo scivolare una gamba oltre il telaio e do un calcio al cavalletto. Avverto la familiarità con cui la motocicletta si adatta al mio peso. Faccio correre una mano lungo il lucido serbatoio nero in una carezza affettuosa. Ciao, ragazza. Ti sono mancato?

    Lei risponde con un brontolio di assenso quando la faccio partire. Le vibrazioni del motore penetrano in profondità nel mio animo, sono una melodia per l’animale dentro di me, lo confortano. Mi sbarazzo del cravattino intorno al collo aprendo i primi tre bottoni della camicia, poi lo infilo in una delle borse ai lati della sella e guardo Fox. Anche lui sta facendo lo stesso. Una volta libero, allarga il petto con un profondo respiro. Poi mi guarda e sorride. Andiamo.

    Le nostre motociclette ruggiscono mentre ci immettiamo nella strada principale e le mie mani allentano la presa sul manubrio quando mi immergo nella sensazione di correre sull’asfalto. Le Harley sono basse e pesanti. Il piacere di guidarle sta nel viaggio, non nella destinazione. Ci fermiamo vicino al Fix, e anche se i miei capelli sono scompigliati e i miei vestiti sgualciti, sento il cuore più leggero.

    Gli occhi di Fox sono accesi mentre ci incamminiamo verso la caffetteria; abbiamo parcheggiato per strada, a mezzo isolato di distanza dal locale. Andare in moto rende felice anche lui. Mio fratello è un paramedico. Ha visto cose davvero brutte nel suo lavoro. Durante il suo ultimo turno di notte si è trovato davanti un tizio strafatto di metanfetamine che gli ha agitato contro una mazza da baseball; il tipo aveva appena picchiato il figlio fino a fargli perdere conoscenza. Fox è un uomo migliore di me. Io gli avrei strappato la mazza dalle mani, l’avrei spaccata in due e gliel’avrei ficcata nel cuore, a quel pezzo di merda. Per questo preferisco aggiustare motociclette e macchine, piuttosto che avere a che fare con la gente.

    Arriviamo al Fix e Romero è già lì, la sua Dodge Charger brilla parcheggiata davanti all’entrata del locale. Lui sorride. «Vi ho battuti.»

    «Non è la destinazione…»

    Romero interrompe Fox, finendo il nostro motto al posto suo. «È il viaggio. Lo so, lo so…»

    «Va’ a quel paese, Romero,» ribatte l’altro.

    Stanno ridendo entrambi quando poso la mano sulla porta a vetri della caffetteria e spingo.

    2

    ARCADIA JONES


    Alzo gli occhi dallo schermo del mio cellulare quando la porta del Fix si spalanca. Non so perché l’abbia fatto, visto che non posso sentire nulla ad eccezione della musica. Sono seduta al tavolo in fondo al locale, nascosta in un angolo in ombra con i miei libri di testo e le cuffie infilate nelle orecchie mentre scorro la mia playlist preferita su Spotify. Mi sto preparando mentalmente. È la notte del mio ultimo colpo prima di mettermi a rigare dritto, perciò deve essere perfetto. La giusta disposizione mentale è un elemento cruciale. Devo restare calma e concentrata. Devo agire quando è buio ed è tardi, ma non tanto da trovare le strade deserte, perché mi devo mimetizzare nel traffico per evitare di spiccare.

    L’istante in cui lo vedo entrare nella caffetteria è come un pugno nello stomaco. Scorro verso il basso nella lista di canzoni e seleziono Joker and the Thief dei Wolfmother, la mia canzone di riferimento in queste situazioni, poi premo play. È il brano che scelgo sempre quando vedo una macchina che devo avere. Quell’istante è insieme consapevolezza e desiderio bruciante. Un momento eccitante, mozzafiato, che mi blocca il respiro in gola. Una fame così feroce da diventare un’ossessione che non mi lascia in pace. Provo tutto questo e anche di più quando lo vedo mettere piede nella caffetteria piena di clienti, seguito da due tipi grandi e grossi.

    Il ritmo della canzone pulsa dentro di me mentre guardo lo sconosciuto di nascosto, sapendo che non noterà che lo sto fissando. Sono vestita in modo da non dare nell’occhio, con la mia massa di capelli biondo scuro celati sotto un berretto di lana e una sciarpa avvolta attorno al collo e al mento. È una sera fredda, quel genere di freddo che penetra fin nelle ossa. Lui sembra indifferente alla temperatura rigida mentre si avvicina al bancone con passo sicuro, come un leone a caccia.

    Spingo più su sul naso gli occhiali dalla montatura nera, studiandolo mentre la mia canzone finisce. Non è il mio tipo. Non mi piacciono gli uomini in giacca e cravatta. E lui indossa un completo davvero elegante. È di sartoria e mette in evidenza il suo corpo slanciato e le spalle ampie più del blocco motore che c’è nel mio garage. I suoi capelli arrivano fino alle spalle, anche se è evidente che erano corti e li sta facendo crescere. Li tiene legati dietro la testa, con delle ciocche ribelli infilate dietro le orecchie.

    Sono brava a individuare anche i più piccoli dettagli, e nello sconosciuto noto un particolare che non si adatta allo schema. La sua barba non è molto lunga, ma neppure corta. In genere gli uomini che indossano dei completi come quello hanno il viso perfettamente rasato. E le sue mani… Le guardo mentre ne infila una nella tasca della giacca. Sono grandi e ruvide. Sono le mani di un uomo che fa un lavoro manuale. Tira fuori un portafoglio. È di pelle e ha un aspetto malconcio, vecchio e logoro. L’età di quell’oggetto mi dice che quando quello sconosciuto trova qualcosa che ama, lo lascia andare solo se lo strappano dalle mani gelide del suo cadavere.

    I miei occhi si spostano sui suoi amici eleganti mentre lui paga le ordinazioni. Neppure loro sono i tipici uomini distinti. Uno dei due ha i lunghi capelli legati in una treccia, l’altro invece li ha molto corti e si intravede un tatuaggio che spunta dal colletto della sua camicia blu scuro nuova di zecca.

    Quel trio paradossale si allontana dal bancone tenendo in mano i loro caffè. Chino il capo sul mio libro di testo, ma non riesco a vedere le parole e il cuore mi batte all’impazzata. Sento scemare le ultime note della canzone e mi accorgo che hanno occupato il tavolo accanto al mio. Le sedie graffiano il pavimento e voci profonde mi avvolgono come una coperta calda.

    All’improvviso parte un nuovo brano, Him and I di G-Eazy e Halsey, che sovrasta ogni altro rumore. Cerco di concentrarmi sull’argomento da studiare, qualcosa che riguarda la domanda e l’offerta, quando il ding di un messaggio irrompe nelle mie orecchie. Lo apro per leggerlo.

    Echo: Datti una calmata.

    Stronza. I miei occhi scattano verso l’alto, esaminando il perimetro del soffitto. Individuo un’unica telecamera di sicurezza fissata nell’angolo alto in fondo alla sala ed è puntata verso l’esterno. Anche se il mio tavolo è vicino, quell’aggeggio non può comunque vedermi. Poi mi sposto leggermente e guardo verso l’entrata del locale. Dannazione. Ce n’è un’altra proprio sopra lo scaffale più alto dietro il bancone, si confonde in mezzo alle tazze e ai grandi barattoli di vetro.

    La mia migliore amica può violare qualsiasi apparecchiatura elettronica desideri senza lasciare alcuna traccia, e proprio questa notte ha scelto di entrare illegalmente nel sistema di sicurezza del Fix e osservarmi.

    Ellington Echo Reid è un prodigio. Siamo diventate amiche a sedici anni, quando il mio ex ragazzo ha diffuso una foto del mio seno nudo su Facebook. Lei era la mia nuova compagna di laboratorio, a inizio semestre.


    Si sedette accanto a me; indossava sempre tanti di quei cappotti che quasi non la si notava sotto tutti quegli strati. Pensai fosse muta finché non fece scivolare il suo cellulare sul tavolo verso di me mormorando: «Queste sono le tue tette?»

    Sobbalzai al suono della sua voce roca e i miei occhi si spalancarono alla vista dello schermo. Erano proprio le mie tette. E anche tutti gli altri avrebbero saputo che erano le mie. Non perché nella foto ci fosse la mia faccia, non c’era infatti, ma perché indossavo la collana che Johnny, il mio ex ragazzo, mi aveva regalato e su cui era inciso il mio nome. La portavo ogni giorno.

    «Lo ucciderò,» sibilai, e avrei voluto farlo subito, ma non potevo perché aveva saltato le lezioni.

    «Vuoi che cancelli la foto?» mi chiese Echo.

    Inarcai le sopracciglia. «Puoi farlo?»

    Il lento sorriso che si formò sul suo viso fu davvero sinistro. «Posso fare questo e molto di più.»

    Ma a quale prezzo?

    Provenivo da una lunga stirpe di ladri e avevo imparato che c’era sempre un prezzo per ogni cosa, anche quando si rubava ciò che non ci apparteneva. Ero la discendente del grande Racer Jones, ma non mi mettevo di certo a far pubblicità al mio retaggio. Ero in grado di rubare qualsiasi oggetto grazie agli insegnamenti di mio nonno, ma le macchine erano il mio forte. Le loro linee belle e aerodinamiche erano come il richiamo di una sirena, l’adrenalina che saliva quando le guidavo era meglio di qualsiasi droga si potesse mai creare.

    «Cosa vuoi in cambio?»

    I suoi occhi si accesero di un bagliore malevolo. «Voglio la macchina di Miles Howard.»

    Inarcai le sopracciglia ancora di più. Non tanto perché la mia compagna di laboratorio conosceva il mio segreto, ma perché mi aveva chiesto una ricompensa davvero grossa. Miles Howard era il bullo della scuola. Tutti sapevano che, quando prendeva di mira uno studente in particolare, gli rendeva la vita un inferno al punto da farlo diventare nient’altro che un’ombra, un fantasma che si trascinava fiacco per i corridoi della scuola. L’unica cosa buona di lui era la sua adorabile, meravigliosa automobile. «Una macchina per la cancellazione delle mie tette da internet non si può certo definire uno scambio equo.»

    Lei fece un’alzata di spalle. «Puoi accettare o rifiutarti. Ma se decidi di tirarti indietro, quella foto ti perseguiterà per tutta la vita. La troverai sui social media, sui siti porno e sui blog. Diavolo, qualcuno la userà per farci perfino dei meme e la diffonderà ovunque.»

    «Okay, okay.» La mia compagna di laboratorio aveva appena dipinto uno scenario davvero orribile. Per non parlare del fatto che, se mio fratello maggiore avesse scoperto che il mio seno nudo era finito in rete, sarei morta comunque. E Miles se lo meritava. «Accetto,» le dissi, porgendole la mano.

    Lei la strinse. «Andata. A proposito, io sono Ellington,» si presentò. «Ma puoi chiamarmi Echo.»

    «Ace,» risposi io.

    «Piacere di conoscerti,» aggiunse, iniziando a mettere via i libri nello zaino mentre eravamo a metà della lezione.

    «Te ne vai?»

    «Più a lungo le tue tette restano in rete, più tempo ci vorrà a cancellarle.»

    «Hai ragione.»

    Così la mia nuova amica sgattaiolò fuori dalla classe lasciandomi a prendere appunti per tutte e due. Due ore più tardi mi raggiunse in mensa, dopo che avevo passato la mattina a cercare di ignorare le risatine allusive, gli sghignazzi e le frecciatine che mi lanciava la gente intorno a me. Anche se mi ferivano. Come aveva fatto a piacermi un tizio che non aveva avuto nessuna remora a fare una cosa del genere? Non sarei più stata così sciocca da fidarmi di nuovo di un ragazzo permettendogli di farmi delle foto intime. Avevo imparato la lezione.

    Echo tirò indietro una sedia, vi si sedette con un tonfo e mi rivolse un sorriso compiaciuto. «Fatto. Dov’è la mia macchina, Ace?»

    «Fuori, nel parcheggio dove Miles l’ha lasciata, immagino,» risposi vaga, dando un morso al mio panino al prosciutto e insalata. I miei genitori erano dei fanatici salutisti. Era frustrante sedersi al tavolo della mensa in pieno inverno e sentire l’odorino del cibo che veniva fritto, mentre tu eri costretta a mangiare cavolo e pane ai cereali. «Un’adeguata nutrizione mantiene la mente attiva e lucida,» amavano ripetere. «Ti serve per rubare le tue macchine, cara Ace.» Era bello sapere che si preoccupavano della mia salute ma non sembravano curarsi affatto della possibilità che finissi in prigione. «Sei una Jones. E i Jones non vengono mai presi.» La fiducia che riponevano nelle mie capacità era totale.

    Echo mi rubò il panino dalle mani dandogli un morso enorme. Poi sorrise con la bocca piena e mi chiese: «Bene, che stiamo aspettando allora?»

    Presi il bicchiere e sorseggiai rumorosamente dalla cannuccia il mio succo di menta, mela pink lady e cetriolo spremuti a freddo. «Ci sono delle videocamere nel parcheggio.»

    Il suo sorriso si trasformò in un’espressione di superiorità. «A quanto pare, non funzionano per un problema tecnico oggi.»

    L’eccitazione era cresciuta in me; feci pugno contro pugno con la mia nuova scaltra amica e poi mi alzai, abbandonando il mio pranzo schifoso. «Andiamo allora.»

    Alcune ore dopo, avevamo rubato la macchina e l’avevamo venduta all’officina Marchetti Brokers. Senza perdere nemmeno un istante, gli operai avevano smontato la vettura quello stesso pomeriggio e avevano venduto i singoli pezzi ricavandone un grosso profitto. Miles Howard non avrebbe mai più ritrovato la sua automobile.

    «Che ha fatto per farti incazzare?» le chiesi più tardi mentre sedevamo in una caffetteria del posto, con lei che beveva il caffè che aveva ordinato e io che mi gustavo un milkshake al doppio cioccolato.

    «A parte essere quello che ha preso la foto dal cellulare del tuo ex fidanzato e l’ha caricata su internet?»

    «È stato Miles?»

    «Già.»

    Mi accigliai. Rubare la sua macchina non era stata una vendetta sufficiente per ciò che aveva fatto, ma mi sarei dovuta accontentare. «Ancora non mi hai detto che brutto tiro ti ha giocato.»

    «Un giorno te lo racconterò.»


    La seconda canzone della mia playlist termina e il tintinnio delle tazze di caffè e il getto della macchina per fare il cappuccino mi strappano ai ricordi, riportandomi di nuovo al presente e al Fix.

    Digito un messaggio di risposta a Echo.

    Io: Sono calmissima. E concentrata. Non potrei essere più concentrata di così.

    Lei inizia a scrivermi subito un altro messaggio, vede attraverso la mia bugia grazie alla videocamera numero due. Osservo i tre piccoli puntini muoversi su e giù sullo schermo del cellulare finché non sento di nuovo il familiare ding.

    Echo: Non è vero. Guarda fuori.

    Stop the Rock degli Apollo 440 inizia quando alzo gli occhi. Invece di posarsi sulla vetrina del locale e sul paesaggio esterno, finiscono su di lui nello stesso momento in cui lo sconosciuto mi guarda. Smetto di respirare. E di muovermi. Resto seduta lì, con la musica sparata a tutto volume nelle cuffie, inchiodata sulla sedia dallo sguardo freddo e duro dei suoi occhi azzurri.

    Si muovono su di me, curiosi, scivolando sul mio libro di testo prima di salire di nuovo. Poi si allontanano e tornano sul suo amico con la treccia, che sta parlando. Faccio un profondo respiro.

    Echo: Guarda la vetrina, ACE. Non il dio del sesso.

    Ci riprovo, e finalmente riesco a guardare fuori, oltre lo sconosciuto. La mia bocca diventa secca e sento le farfalle nello stomaco. Una Dodge Charger. Del 1979. Rossa e lucida come una mela caramellata e con delle strisce bianche centrali che la attraversano longitudinalmente. È in ottime condizioni. Porca miseria! Vieni dalla mamma, tesoro.

    Per la mia migliore amica è la prova definitiva che mi sono distratta e che sono fuori allenamento. Come ho fatto a non vederla? Allontano lo sguardo dalla macchina il tempo necessario a scrivere alla mia amica.

    Io: Chi è il proprietario?

    Echo: Il dio del sesso numero 2.

    I miei occhi si posano sull’uomo con la treccia.

    Echo: Non lui. L’altro.

    Passo a osservare il tipo con i capelli corti. Sembra il genere di persona che ti darebbe la caccia fino ai confini del mondo se solo osassi toccare la scintillante verniciatura di quella meravigliosa e bellissima automobile. Mi scrocchio le dita sopprimendo un sorriso. Amo le sfide.

    Echo: Il suo nome è Jake Romero.

    Io: Che altro puoi dirmi?

    Capisco che la mia amica sta recuperando quante più informazioni possibili dal momento che le ci vogliono dieci minuti per rispondermi.

    Echo: Lascia perdere. È il batterista dei Jamieson. Troppo rischioso. Ha molti contatti.

    Solo che io non voglio lasciar perdere.

    Io: Che genere di contatti?

    Echo: King Street Boys. Sentinel. Valentine.

    I King Street Boys sono una vecchia gang, storia passata ormai. Ma i Sentinel MC no. Neppure i Valentine, che non ho mai incontrato ma di cui ho sentito parlare. Come tanti mastini, quella gente individua chi gli causa problemi, lo scovano e lo fanno a pezzi.

    Io: Buh. Vado fuori a dare un’occhiata più da vicino.

    Echo: Oh, fantastico. Ottima idea, sì. Entra pure nel raggio d’azione del loro radar.

    Ignorando il suo spumeggiante sarcasmo, bevo il mio ultimo sorso di caffè ormai freddo e faccio una smorfia. Alzandomi, chiudo i libri e il quaderno con gli appunti e li metto nella mia borsa. Passo a una nuova canzone della mia playlist e faccio scivolare il cellulare in tasca, dopodiché infilo il manico della borsa su una spalla ed esco dal locale. Loro non prestano la minima attenzione al fatto che me ne sto andando.

    L’aria fredda mi schiaffeggia il viso quando mi ritrovo fuori. Ne vale la pena per osservare più da vicino quella macchina. E non sono l’unica attirata dal suo incantesimo. Altri due tizi, ventenni, sono fermi lì vicino, parlano e la guardano con ammirazione. Li raggiungo e mi nascondo dietro di loro, così da avere più tempo per studiare l’automobile.

    Echo: È splendida.

    Sospiro. Ovvio, c’è una telecamera puntata sull’entrata del Fix.

    Io: Davvero meravigliosa.

    Echo: Sbrigati a finire quello che stai facendo e allontanati. Il tuo dio del sesso si sta muovendo.

    Il mio dio del sesso? Pfff! Ma lei ha ragione sulla prima parte. Devo andarmene. Il mio autocontrollo sta scricchiolando. Non potrei rubare alcuna macchina stanotte in queste condizioni. Forse dovrei andare a casa e farmi un bel sonnellino. Il problema è che vivo con mio fratello maggiore e non sono dell’umore per sopportare il suo terzo grado su dove vado e cosa faccio. Mason è fuori dal giro e sta facendo di tutto perché anche io ne resti alla larga. Ed è proprio quello che desidero. Davvero. Sto studiando per laurearmi in Economia, con specializzazione in Finanza. Non c’è nulla di meglio per dimostrare che voglio rigare dritto.

    Cerco anche di calarmi nella parte, sforzandomi di indossare gli occhiali da lettura e di usare un make-up leggero quando in genere non mi trucco mai. Mi vesto con camicette bianche e pantaloni su misura, e ci abbino anche delle graziose scarpe basse a punta. Ammetto di avere un paio di Converse nel mio zainetto. Non posso certo rubare una macchina con delle scarpe poco pratiche.

    Rimetto il cellulare in tasca, poi i miei occhi tornano sulla Charger per un ultimo sguardo di apprezzamento. Le note finali dell’ultima canzone sulla mia playlist stanno svanendo quando dietro di me sento una voce profonda: «È bellissima, vero?»

    Il mio corpo si tende in allerta. Tolgo le cuffie dalle orecchie nello stesso momento in cui una serie di messaggi in arrivo fanno vibrare il mio cellulare, uno dopo l’altro. Lancio un’occhiata alla videocamera di sicurezza prima di voltarmi.

    È lui. Ovviamente. Echo mi aveva avvertita. Forse i miei piedi erano rimasti incollati all’asfalto perché volevo dare anche a lui un ultimo sguardo di apprezzamento. Ne vale la pena. Visto più da vicino, è devastante. I miei sensi stanno lavorando a pieno ritmo mentre assorbo il suo profumo e il calore che irradia dal suo corpo, e mi immergo nell’enigmatica profondità dei suoi occhi. Tutto ciò che mi serve per completare il mio viaggio sensoriale, adesso, è toccare e assaggiare.

    «Sì, immagino sia così,» rispondo con un tono che spero trasudi ignoranza. Non voglio che si accorga che sto esaminando la Charger.

    Lo sconosciuto dà un morso al muffin che ha in mano. È grosso e pieno di pezzetti di cioccolato bianco e al latte. Ha un aspetto delizioso, quasi quanto lui, e dopo anni di privazione ora soffro di una potente voglia di zucchero.

    «Ne vuoi un po’?»

    Il mio respiro accelera. «Scusa?»

    «Un po’ di muffin.» Mi spinge sotto il naso il suo morbido dolce. «Lo stai guardando come se volessi…» Si interrompe come se stesse per dire qualcosa di osceno.

    Sono intrigata. Non parla come una persona d’alta classe. E la sua voce è profonda e ricca come un sigaro cubano. «Come se volessi cosa?»

    «Metterci le labbra sopra.»

    Dolce Gesù. Mi sento contrarre tra le gambe, ma prendo il muffin. C’è qualcosa di così stranamente intimo nel condividere il cibo con un perfetto sconosciuto. Le sue narici si allargano quando gli do un morso.

    «Ce l’hai un nome?» mi domanda mentre mi guarda masticare. Non mi sono mai sentita così impacciata come adesso.

    Inghiotto il boccone. È buono. Ha un sapore ricco e dolce, ma non stucchevole. «Arcadia.»

    «Arcadia,» mormora tra sé, come se stesse assaporando il mio nome sulle labbra.

    Il ding di un altro messaggio sul cellulare mi riscuote e gli restituisco il dolce. Echo è sempre più ansiosa che me ne vada. «Qual è il tuo?» gli chiedo quando si riprende il muffin.

    «Kelly.»

    Kelly e Arcadia. Perché ho pensato subito una cosa del genere?

    Lui dà un altro morso al dolce, proprio accanto al punto in cui l’ho addentato io. Un brivido di desiderio percorre la mia pelle. Voglio che quella bocca morda me. I suoi occhi si accendono mentre mi fissa. Riesce a vedere dentro di me così facilmente?

    Cerco di sorridergli in modo educato e con il pollice indico la strada alle mie spalle. «Beh, è stato un piacere conoscerti, Kelly. Adesso però devo andare.»

    Mi guarda corrucciato. «Hai una macchina?»

    È preoccupazione quella che vedo sul suo viso? È carino, ma anche stranamente confortante sapere che una persona che non conosco affatto si preoccupi per la mia sicurezza, in un mondo in cui tutti pensano solo a se stessi. L’unico problema è che la mia automobile è tre isolati più giù, in attesa di essere liberata dal suo parcheggio protetto nel garage del concessionario. Echo si è infiltrata nei computer della ditta. Si tratta di una BMW serie cinque M550i ed è nuova di zecca. Quella sexy signora si trova lì perché ha ricevuto la sua prima revisione oggi. Ma domani mattina, quando i suoi proprietari andranno a prenderla, lei sarà già sparita.

    «Esatto.» Gli rivolgo un lento sorriso mentre faccio qualche passo all’indietro. «Grazie comunque.»

    Lui avanza verso di me come se non volesse vedermi andare via. «Sei sicura?» C’è una nota allusiva nel tono che usa. «Perché posso darti un passaggio io.»

    Dannazione, sì, dolcezza, scommetto che mi faresti fare il viaggio migliore della mia vita. Respiro profondamente, raccogliendo la forza di rifiutare la sua proposta. Ho bisogno di fare quel furto. «Ne sono sicura.»

    Kelly annuisce. «Allora ci vediamo in giro, Arcadia.»

    Mi mordo il labbro inferiore, attirandolo nella mia bocca. «Ci vediamo.»

    3

    KELLY


    Vaffanculo a me, idiota che non sono altro. Arcadia ha risvegliato in me una fame che pretende di essere placata. Che peccato che non abbia voluto un passaggio. Anche se non è il mio tipo, mi sono ritrovato a fissarla. Sembra una persona studiosa e diligente, come lo sono certi impiegati, con le sue scarpe e i suoi pantaloni costosi e quegli occhiali provocanti. Nella caffetteria era così concentrata sul libro di Economia da far pensare che la sua vita dipendesse dal prendere una A+.

    Catturare il suo sguardo è stato intenso. Ha gli occhi grandi e grigio-azzurro, turbolenti come il mare durante una tempesta selvaggia. Sono incorniciati da sopracciglia nere, e le ciglia sono ancora più scure. Due zigomi pronunciati conferiscono una personalità forte a lineamenti altrimenti molto delicati,

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