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Paolina. La casina rosa
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E-book366 pagine5 ore

Paolina. La casina rosa

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Info su questo ebook

Dopo gli innumerevoli attentati e barbari assassinii degli anni '80 e '90, in Sicilia, e non solo, sarebbero mutate le convinzioni di quanti ancora dibattevano se la mafia esistesse anche nella Sicilia Orientale?

Era sotto gli occhi di tutti che non solo la mafia esisteva, ma aveva già irrimediabilmente intaccato e minato il tessuto produttivo, la politica, la finanza e persino gli strati sociali più deboli, e aveva persino attanagliato le piccole province e le piccole città.

Forse nemmeno Paolina Greco, trentaquattrenne all'epoca dei fatti, cresciuta gioiosamente in una famiglia siciliana "normale" e "borghese" si era mai chiesta se la mafia esistesse o no, almeno fino all'età dell'adolescenza, quando il suo sviluppo psicologico e cognitivo l'avrebbe portata a riflettere e ad avere dubbi persino sulla sua famiglia. Il suo animo ribelle sarà così portato a sfidare l'ambiente familiare e quanto le sta intorno. Percepisce che deve tirarsi fuori al più presto da quella rete prima di restarne impigliata per sempre. Ci riuscirà o, per necessità di sopravvivenza, dovrà desistere?
LinguaItaliano
Data di uscita8 giu 2018
ISBN9788827834602
Paolina. La casina rosa

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    Anteprima del libro

    Paolina. La casina rosa - Corrado Morale

    Indice

    Ringraziamenti

    Prefazione

    CAPITOLO 1

    CAPITOLO 2

    CAPITOLO 3

    CAPITOLO 4

    CAPITOLO 5

    CAPITOLO 6

    CAPITOLO 7

    CAPITOLO 8

    CAPITOLO 9

    CAPITOLO 10

    CAPITOLO 11

    CAPITOLO 12

    CAPITOLO 13

    CAPITOLO 14

    CAPITOLO 15

    CAPITOLO 16

    CAPITOLO 17

    CAPITOLO 18

    CAPITOLO 19

    CAPITOLO 20

    CAPITOLO 21

    CAPITOLO 22

    CAPITOLO 23

    CAPITOLO 24

    Dedicato a quanti hanno sacrificato la loro vita

    per rendere più dignitosa la nostra.

    Corrado Morale

    PAOLINA

    La casina rosa

    Youcanprint Self-Publishing

    Paolina - La casina rosa

    © 2018 - Corrado Morale

    ISBN | 9788827834602

    © Tutti i diritti riservati all’Autore

    Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta senza il

    preventivo assenso dell’Autore.

    Youcanprint Self-Publishing

    Via Roma, 73 - 73039 Tricase (LE) - Italy

    www.youcanprint.it

    info@youcanprint.it

    Facebook: facebook.com/youcanprint.it

    Twitter: twitter.com/youcanprintit

    Nomi, personaggi e avvenimenti sono comunque frutto dell’immaginazione e sono usati in maniera fittizia. Qualunque somiglianza con fatti, luoghi o persone reali, viventi o defunte, sono del tutto casuali.

    Questo libro è un romanzo e come tale va letto. Le vicissitudini e le azioni dei personaggi sono frutto della fantasia dell’autore.

    Note: di alcuni vocaboli o detti dialettali, troverete l’apice sopra la parola o testo e la relativa spiegazione nelle pagine finali.

    Ringraziamenti

    Ringrazio indistintamente per la loro collaborazione e generosità i miei amici, primi suggeritori e utilissimi lettori della prima e successive bozze, e quanti con i loro suggerimenti e aneddoti hanno consentito l’arricchimento del romanzo: Alessia Bianca, Mariella Macca, Teresa Bono, Antonietta Giummo, Corrado Gisarella, Francesco Muccio, Maurizio Furlanetto, Natale Sgandurra.

    L’AUTORE

    Prefazione

    Dopo gli innumerevoli attentati e barbari assassinii degli anni ’80 e ’90, in Sicilia, e non solo, sarebbero mutate le convinzioni di quanti ancora dibattevano se la mafia esistesse o no?

    Oramai, se ce ne fosse stato ancora bisogno, era sotto gli occhi di tutti che non solo la mafia esisteva, ma aveva già irrimediabilmente intaccato e minato il tessuto produttivo, la politica, la finanza e persino gli strati sociali più deboli. Ci si renderà conto che non era solo un maledetto problema che aveva attanagliato le grandi città, ma anche e soprattutto le piccole province e le piccole città.

    Forse nemmeno Paolina Greco, trentaquattrenne all’epoca dei fatti, cresciuta gioiosamente in una famiglia siciliana normale e borghese si era mai chiesta se la mafia esistesse o no, almeno fino all’età dell’adolescenza, quando il suo sviluppo psicologico e cognitivo l’avrebbe portata a riflettere e ad avere dubbi persino sulla sua famiglia.

    Scoprire che tutto ciò che ruotava intorno a lei non era poi così limpido, come aveva sempre immaginato, la fece andare in crisi esistenziale. Saranno i suoi primi amori di gioventù a farla scontrare con l’autorità del padre e con l’ambiente vicino a lei. Si ritroverà invischiata, suo malgrado, in una spirale di violenza e un alternarsi di sentimenti.

    Il suo animo ribelle sarà così portato a sfidare l’ambiente familiare e quanti le stanno intorno. Percepisce che deve tirarsi fuori al più presto da quella rete prima di restarne impigliata per sempre. Ci riuscirà o, per necessità di sopravvivenza, dovrà desistere?

    Sabato 23 maggio 1992

    Ho trentaquattro anni, e stamane questa passeggiata sotto un caldo sole e una leggera brezza marina che spinge verso la collina avrebbero dovuto rasserenare il mio umore. Non so del perché sto guardando l’ora, 17:56, e mi rattristo nell’avvicinarmi alla soglia di casa mia, casa di

    Paolina Greco. Il pensiero di trovarmi stasera, come ogni sera, nel buio pesante come un macigno, con al fianco l’uomo che credevo potesse ridarmi la serenità perduta, con la speranza che non mi prenda il solito dormiveglia, mi fa venire l’angoscia. Quanto vorrei che i sentimenti che mi legano fortemente a questa terra non condizionassero le mie scelte e non mi sospingessero quotidianamente ad affrontare un bivio perenne: la mia vita? Ma fin quando i miei bambini saranno lì ad aspettarmi… 

    CAPITOLO 1

    Paolina

    Entrò nella stanza senza tanta delicatezza, incurante dello sbattere della porta, come faceva spesso d’altronde. Andò a stravaccarsi sul divanetto per qualche attimo, poi si ritirò su e si mise seduto a sfilarsi gli scarponi. Si guardò intorno nella stanza illuminata in parte dalla tivu accesa e dalla luce che arrivava dal cucinino.

     "Tutti scumpareru. Paolina! " Chiamò.

     Un bellissimo viso, bruno e asciutto da contadina d’altri tempi, ben curato, con la chioma ondulata e nera legata dietro la nuca, apparve sull’uscio.

     Il divano l’ho pulito da poco disse secca senza un saluto, mentre andava a posare un vassoio sul tavolo. Ti ho detto mille volte che non voglio che te ne vada in giro con indosso la sola canottiera, usa la camicia o la maglia. Come mai così in ritardo? Ti stiamo aspettando da più di un’ora. I bambini hanno già cenato e la pasta è fredda e incollata.. Potevi avvisarmi lo redarguì.

     Da quando in qua ti devo avvisare? Lo sapevi che per tutto questo mese c’è quel lavoro urgente da finire. All’ultimo momento ci hanno detto di una riunione, volevano parlare a tutte le maestranze e non doveva mancare nessuno. Peppino Racioppo ha piantato un casino. È con noi da appena due settimane e già si lamenta. Ci sta rompendo la minchia. Vuole già fare il capo squadra. Io l’ho fatto assumere nella ditta! Io l’ho consigliato a don Nele! Per colpa di questo scimunito sto facendo una figura di merda! È sempre a lamentarsi che guadagna poco! Minchione! imprecò a testa bassa, mentre faticava a sfilarsi gli scarponi, tanto era nervoso. Poi rialzò la testa e si voltò a cercare la moglie che si era allontanata nel cucinino. "Mi spieghi per quale motivo sei andata a casa di quei due scassapagghiara²? Ti rendi conto della figura meschina che ho fatto? I miei amici mi hanno riso dietro!" alzò il tono della voce.

     Allora cambia amici arrivò la risposta sorda di Paolina, che si affacciò in controluce. Sei tu che non ti rendi conto di quello che hai fatto! Sono solo due ragazzini. Hanno sbagliato, lo so, ma ti avevo detto che sarei andata io a parlare ai loro genitori, invece hai voluto fare di testa tua e si ritirò.

     "Sei una testa di cazzo! Non sei tu, ‘na fimmina, che devi preoccuparti di risolvere queste cose! Anche tuo padre mi aveva fatto intendere che sarebbe stato giusto dare loro una lezione!".

     Paolina si riaffacciò ancora col viso contrariato. Prendere a schiaffi e calci due ragazzini tredicenni la chiami lezione? C’è solo da vergognarsi! e sparì ancora nel cucinino.

     Per te quindi è normale che ti abbiano scippato della borsa con ottantamila lire, documenti, patente e…

     Hanno fatto solo una stupidata; i loro genitori sono brava gente.

     "Ma vai affanculo bofonchiò, precipitandosi nel cucinino e additandola. Non andare mai più in giro a chiedere scusa per i miei comportamenti, mai più!"

     E tu non intrometterti nelle mie disavventure. Mai più! replicò, voltandosi verso l’uscio; ma Vito si era già allontanato. Per un attimo calò il silenzio. Lei si riaffacciò nel tinello più tirata in viso e lo cercò nel semibuio. Te l’hanno dato lo stipendio? domandò, ancora a voce alta per meglio farsi sentire.

     No! rispose secco. Per colpa di quel cornuto di Racioppo hanno rimandato i pagamenti degli stipendi. E se a qualcuno non sta bene, possiamo rimanercene tutti a casa. Insomma, se non l’hai capito, dobbiamo aspettare!

     "E quanto dovremmo aspettare? Devo dare i soldi al macellaio e a don Carmelo il pizzicagnolo."

     E tu digli di aspettare! Anzi, diglielo chiaro e tondo che passerò io a saldare il conto, vedrai che non insisteranno.

     Vito, dove faccio debiti io, me la sbrigo da sola. Ho detto pure a Enzina che per il momento non ho bisogno che venga ad aiutarmi, non abbiamo una lira. Capisco che il tuo amico è senza lavoro ed è giusto fare guadagnare qualche lira alla moglie, poveretta, con tre bambini da sfamare, ma è vero anche che ogni volta che passo davanti alla birreria all’angolo suo marito è sempre lì fuori a sghignazzare e a bere. Non mi pare proprio che lui sia così preoccupato della famiglia. Insomma, non riusciamo manco a farceli bastare per noi.

     Vai a lavorare pure tu, allora! cambiò e alzò il tono di voce, ingrugnato e a muso stretto. Vai a chiederli a tuo padre o a quel padreterno di tuo compare Nele. Dopo tutte le promesse, mi ha relegato a fare il manovale. Anche peggio. Solo lavori di facchinaggio mi fanno fare, altro che capo cantiere!

    Lei non rispose subito, sembrava che nemmeno più lo ascoltasse. Andò alla credenza mentre si asciugava nervosamente le mani nel grembiule e riprese: "Vito, ogni simana c’è ‘na scusa. Io mi vergogno a chiedere ancora credito a don Carmelo. Sono tre mesi che non gli do una lira. Non è giusto. Anche lui ha una famiglia da mantenere. E non ricominciare a tirare in ballo mio padre, non voglio assolutamente chiedere soldi a lui."

     Ah sì! E allora lasciami in pace! gridò ancora, stavolta con gli occhi rabbiosi.

     Mi dici piuttosto che fine hanno le duecentomila lire che avevi in tasca la settimana scorsa? Sono spariti nel nulla. Anzi, lo immagino, dove saranno andati a finire.

     Da quando in qua mi controlli pure nelle tasche? si voltò rabbioso, mentre tirò fuori un pacchetto di sigarette.

     "Per lavarteli dovrò pure svuotarle. Se non ti va bene, portali a quell’altra. Piuttosto, come mai non hai più una lira? Te li sei giocati alla riffa⁴, vero? O sei passato dai tuoi amici della sala giochi? Dalla mattina alla sera in quella sala succhia soldi! Quel posto oltre alle tasche ti sta rosicando pure il cervello!" e sparì infuriata nel cucinino, imprecando.

     Lui si alzò di scatto e si precipitò alle spalle della moglie che armeggiava davanti ai fornelli, l’afferrò per un braccio.

     "Paolina! Tu non mi devi rompere i coglioni, ‘u capisti? La devi smettere di parlarmi in questo modo! Quello che guadagno è mio e decido io cosa farne! O forse non è ancora chiaro! Vatti a cercare un lavoro! e la strattonò stringendole sempre più forte il braccio. Lei si girò di scatto, col viso tirato, mantenendo denti e muso stretto, lo fissò dritto negli occhi fintanto che lui allentò la presa e senza dire una parola ritornò nel salottino borbottando. Accese finalmente la sigaretta, si sdraiò svogliatamente sul divanetto e volse lo sguardo alla tivù. Tastò sul tavolino alla ricerca del telecomando per alzare il volume dell’audio. L’interruzione improvvisa dello spettacolo serale del sabato sera aveva attirato la sua attenzione. Trasmettevano uno speciale del TG1. Alzò il volume più volte. Min…chja!" imprecò a voce alta, tanto che la moglie si affacciò disturbata.

     Sei sordo? Che cosa succede?

     "Mi sembra di capire che… sì, sì, stanno parlando di quel becco e cornuto di giudice. Un macello hanno fatto! All’aria ‘u ficiunu sautari!"

    Mentre si toglieva il grembiule, andò a sedersi al tavolo ad ascoltare e a guardare incredula le immagini. Dalla stanza di fronte apparve il figlio Andrea, seguito dalla sorellina Lia.

     Papà, per favore, abbassa il volume, sto finendo di studiare e… si bloccò subito nel vedere la madre fargli segno di zittirsi.

     "Hanno fatto bene, così la finiscono di dire fesserie macari l’autri curnuti!" tuonò Vito.

     Ti ho già detto che non devi parlare in questo modo, specie davanti ai bambini lo rimproverò. La figlioletta si aggrappò al suo fianco, quasi in soggezione.

     Continui a pensare che i tuoi figli non sanno da che parte stare? Sei tu, quella fuori di testa, non loro e continuò con gli occhi sgranati a guardare la tivù.

     Certe volte mi chiedo se sei sempre stato così o lo sei diventato lo riprese ancora senza mezzi termini "e se la prima ipotesi è quella giusta, non capisco come possa essere stata io accussì scimunita…" troncò volutamente la frase. Stavolta lui si voltò.

     Andrea, guardami in faccia. Vostra madre, da un po’ di tempo a questa parte, non sa più quello che dice. Quelli sono sbirri e faranno tutti quella fine e fece segno verso il televisore che si oscurò proprio in quell’istante: la moglie l’aveva spento col telecomando. Lui la fulminò con lo sguardo, ancora più ingrugnato. "È colpa loro se c’è sempre meno lavoro! A furia di parrari di mafia, mafia, stanno chiudendo un sacco di cantieri! Per loro oramai tutte le ditte sono in… odore di mafia. Si stanno riempendo le bocche con questa bella parolona."

     Ma papà stanno parlando del giudice Falcone, una bravissima persona. Ne abbiamo parlato anche a scuola con…

     "Scommetto che è stato il professorino? ‘U prufissurinu dice questo, ‘u prufissurinu dice quest’altro!"

     Papà, quello che ci ha spiegato il prof è vero, me l’ha pure detto il mio amico Amal.

     Vattene nella tua stanza! Muoviti! Andatevene di là! e con occhi rabbiosi intimò ai due figli di allontanarsi; lo fecero senza fiatare, mogi mogi, sotto l’indice minaccioso della mano tesa del padre. "Un altro che ritorna dal Nord e vuole cangiare la Sicilia! Andrò a parlargli di nuovo a ssù curnuticciu! gridò per farsi sentire. Si voltò ritrovandosi la moglie a tu per tu che lo guardava con occhi di ghiaccio. Che cosa hai da guardare? Quello gli sta riempiendo la testa di chiacchiere! Lo sta rovinando! Ti avevo già messo in guardia che non sarebbe stato adatto a insegnare a nostro figlio. Quello è convinto che siamo al Nord. Eppure l’avevo avvisato di non rompermi le scatole!"

    Ora che ti sei sfogato potresti anche smetterla. Ne abbiamo già parlato tante di quelle volte che ho la nausea a ripetermi. Dovresti vergognarti a parlare in questo modo ai bambini. Non ti accorgi di com’è cambiato nostro figlio? È più riflessivo, più gentile, più sensibile disse Paolina allentando la rabbia.

    "E, infatti, la cosa non mi piace per niente! Prima ‘a pissicologa e ora ‘stu prufissurinu ca fa ‘u filosofo. Per campare in Sicilia, tutta ‘sta gentilezza nun sebbi, ed è pure colpa tua! La devi smettere di mettergli in testa queste fesserie! Se lo venisse a sapere tuo padre…" si zittì nell’istante che incrociò lo sguardo della moglie e nel leggerle la mutata espressione; le si era rabbuiato di colpo il viso. Era tentata di troncare la discussione, come spesso faceva, pur di darci un taglio, invece replicò.

     Questa è la nostra famiglia, mio padre non c’entra niente. Devi smetterla di tirarlo sempre in ballo come a volerti confortare col suo nome. Certe volte ho l’impressione che tu lo faccia apposta.

     E tu finiscila di far finta che non sia vero. La presenza di tuo padre in questa casa si sente, anche se non ci mette più piede! E anche questo è merito tuo ironizzò. La signora ha deciso lei! le rinfacciò urlando, allontanandosi in bagno. E sì, perché in questa casa decide tutto lei!

    Sentivano entrambi la necessità di lavarsi lo stomaco. Questi scontri verbali, così violenti, erano oramai all’ordine del giorno. Paolina non ce la faceva più ad essere accomodante e spesso reagiva senza freni, lo aveva fatto anche col padre, impedendogli persino di vedere i nipoti, o almeno cercava di farli incontrare il meno possibile.

     Circa due mesi addietro, quando il padre si era presentato a casa sua chiedendo spiegazioni, era stata piuttosto chiara.

    "Paolina, mi spieghi perché non vuoi farmi vedere i miei nipoti?"

     Buongiorno papà. Non mi saluti più? Papà, non fare l’ipocrita, tu sai bene qual è il motivo.

     E invece non lo so! 

     Non cambi mai, papà. Bell’esempio che dai ad Andrea, complimenti. Io faccio di tutto per dargli un minimo di educazione decente e tu che fai? Ti sembra corretto parcheggiare in piazza davanti agli scivoli di accesso per i portatori di handicap, quando a qualche metro di distanza c’è lo spazio libero? Bell’esempio che dai.

     Te l’ha raccontato Andrea? Ne ha di stomaco questo ragazzino. Ti attacchi anche a queste minchiate ironizzò. Insegnagli piuttosto a tenersi per sé quello che vede.

    Dimentichi che sono sua madre e che è un bambino sensibile. Quelle che tu chiami minchiate sono un minimo indispensabile di educazione che sto cercando di inculcare nei miei figli. Per te parcheggiare sfacciatamente dove non dovresti, e per di più farlo alla presenza dei vigili, che hanno soggezione persino a fartelo notare, è normale? Che cosa vuoi dimostrare? E il sacchetto a terra?

    Anche questo ti ha raccontato? sogghignò.

     Ti rendi conto che lo hai rimproverato solo perché stava per raccogliere da terra il sacchetto che gli era caduto?

     Gli ho solo spiegato che… ci sono quelli della nettezza urbana per raccogliere… la spazzatura. A me pare che con tutte queste gentilezze, il ragazzino stia diventando un po’ troppo effeminato. Non ti pare? Sarebbe meglio se passasse più tempo col nonno che con te.

     E ti pareva. Tu non hai mai avuto fiducia in me, mai. Abbiamo un modo di vedere le cose lontano anni luce, e anche mio marito si sta adeguando… 

     È per questo che sono qui. Ho saputo che quel minchione di tuo marito ti tratta male. È vero? Guai a lui se si azzarda a metterti un dito addosso! Guai a lui!

     Papà non urlare, almeno in casa mia non urlare. In quanto ai miei problemi familiari, sappi che ce li risolviamo da soli. Se mai dovesse rendersi necessario saprò difendermi da sola, non preoccuparti. In questo sei stato un buon maestro. 

     Mentì, come oramai faceva da parecchio tempo, più che altro per tranquillizzarlo e non dargli occasione d’intromettersi nelle sue beghe familiari. 

    Hai fatto una stronzata a sposartelo. Dovevi accorgertene subito ca è unu pigghjatu di fumu⁵. È diventato una minchja china d’acqua. Quello si è messo in testa di fare il cavallaccio⁶ in casa mia. Non vorrei che i miei nipoti diventassero come lui!

     Dimentichi che me lo facesti conoscere tu? Ma non sentirti in colpa, papà, e accennò un timido ironico sorriso,in fin dei conti ho deciso io di sposarmelo e ti ricordo che è il padre dei miei figli.

     Spero che almeno questa sia… una verità. Per come sei cambiata, a volte mi vengono pure dei dubbi che siano figli di quel degeneratoe si zittì all’istante, rendendosi conto che la lingua era stata più rapida del pensiero. Stavolta lei lo guardò con aria di sorpresa. Non si sarebbe mai aspettata quelle parole. Mosse la testa più volte, stringendo i denti, poi reagì, ma con calma. 

     Tu mi offendi ed io non dovrei replicare. Un figlio non deve mai rispondere al proprio padre, tantomeno una figlia femmina cominciò a ironizzare. E già, tu sei abituato che tutti ti riveriscano, anche quando butti merda sulle persone.

     Paolina, non ti permetto di parlarmi in questo modo! urlò don Pippo, sgranando gli occhi e stringendo il muso verso la figlia che invece sentiva forte l’esigenza di continuare a svuotarsi le viscere. 

     Tu papà puoi darmi della puttana ed io non dovrei replicare?

     Quello lì è diventato un fimminaro! E sai che dicono i Castellanesi? Che è colpa tua se va in giro a circari fimmini. Ti sta rovinando la vita, e alla nostra famiglia la reputazione! 

     Papà, la cosa più triste per me è avere la certezza che mio marito non è l’unico a rovinarmela; ma ho aperto gli occhi, papà. Più passa il tempo e sempre più stai diventando come i tuoi amici, spero senza rendertene conto. Oramai sei troppo condizionato da loro e ragioni come loro. Alle soglie del duemila vivete ancora il vostro tempo aggrovigliati in questi pregiudizi che mi spingono persino a odiare la mia terra, e io non voglio farlo! E siccome ai miei figli ci tengo molto, li crescerò a modo mio e decido io chi devono frequentare.

     Io non ti capisco. Una volta non eri così. Pari avvilinata cu tuttu u munnu. Ti ho mai fatto mancare qualcosa? Da quando hai lasciato il lavoro tranquillo da segretaria, che altri se lo sognano, e curavi i miei affari, sei peggiorata.

     Io penso di essermi ravveduta, papà. Per fortuna ora guardo il mondo diversamente da come lo vedevo a vent’anni. Agli altri potrai sempre far credere ca u zù Pippo aiuta il prossimo, ca u zù Pippo fa gli interessi della collettività… non a me! Vi mancano soldi per sposare i vostri figli? si mise a declamare ironicamente, andate dallo zio Pippo. U zù Pippu è ginirusu si voltò quindi ancora verso il padre. Papà, mi sono allontanata da te proprio per non sentire nemmeno l’odore dei vostri affari. 

     Scommetto che ti stai riferendo a nostro compare Nele!

     Tuo compare, papà, non nostro, tuo!

     Mi stai mancando come sempre di rispetto! Ti ricordo che è il tuo padrino di cresima urlò don Pippo. Non capisco perché parli sempre male di nostro compare! Che cosa vuoi capire tu dei nostri affari!

     Certo, certo, io non posso capire. Nemmeno che ti stai invischiando in qualcosa più grande di te. Tempo fa ho sentito, per mia sfortuna, quella telefonata dove parlavi con… tuo compare: pavimentazioni con scorie, fertilizzanti, rifiuti industriali…Cosa state combinando?

     Lo vide girarsi lentamente, fulminandola con lo sguardo, serio, sorpreso. Poi forzò un sorriso. 

     Vorremmo cambiare attività. Cerchiamo alternative per il futuro dei nostri nipoti. E’ peccato? e sorrise amaro. Ma che vuoi capire tu…

     E già. ‘Una femmina non può capire. I fimmini su’ scimuniti. I fimmini sebbunu sulu pi fari di mangiari, puliziari ‘a casa e fare il loro dovere a letto.

     Non ti permetto di parlare in questo modo a tuo padre! Non te lo permetto! la additò imbestialito, ebbe la forte tentazione di sferrarle uno schiaffo. Allentò il braccio. Sei… un’ingrata! Ecco cosa sei. 

     Papà, per favore, vattene. I picciriddi appena posso te li porto. Buonasera lo congedò, tenendo lo sguardo con aria di sfida, invitandolo con la mano a uscire. Lui mise il cappello in testa e prese per andarsene. Ieri ho portato dei fiori freschi alla mamma disse lei, con voce calma che attraversò il silenzio della stanza, facendolo soffermare per un attimo sulla soglia. 

     Grazie rispose, ancora imbronciato, mentre si avviava a passo svelto." 

    …Quell’ennesima discussione col marito l’aveva fiaccata non poco. Paolina si sedette al tavolo, poggiò i gomiti, chiuse gli occhi e si coprì il viso con le mani. Non era disperata, non le capitava quasi più di esserlo, ma stanca sì, e parecchio. Ultimamente si stupiva sempre più anche di se stessa, di come potesse continuare a sopportare quelle liti, oramai da parecchi anni. Nemmeno lei capiva più se in quello sforzo che faceva, nell’essere comunque rispettosa verso il padre dei suoi figli, fosse rimasto un briciolo d’amore per quell’uomo.

     Nel tempo e senza nemmeno rendersene conto aveva perso la sua garbatezza, la sua compostezza, ma soprattutto la serenità. Aveva perso anche la sua eloquenza, riscoprendosi di poche parole, triste e irascibile, persino verso gli amici, e questo la faceva star male.

    La relazione col marito si era ridotta al lumicino, oramai l’unica ossessione che si portava dentro era il futuro dei suoi figlioli. Che il marito avesse un’amante da almeno tre anni non era un segreto per nessuno in città. Quando quel giorno un’amica le aveva confidato la notizia, mettendola in guardia, in cuor suo se ne compiacque. Era consapevole che quel rapporto extra coniugale non era serio, a lui bastava sfogare i suoi istinti sessuali che con lei si erano spenti del tutto. Probabilmente era anche questo il motivo dei loro continui screzi ma Paolina non aveva resistito nel continuare a fingere, era troppo umiliante. Per troppo tempo si era dibattuta con se stessa, fino a quando non glielo aveva detto in faccia chiaro e tondo: " Con quale coraggio pretendi che io dorma nello stesso letto con te, senza che tra noi esista un briciolo d’amore? Come potrei? Voglio riacquistare la mia dignità, Vito, un po’ di amor proprio. E con i tuoi comportamenti non vedo come possano cambiare le cose se non in peggio" si lavò lo stomaco, quella volta.

    Aveva smarrito l’orgoglio di essere moglie, che per anni aveva sognato. Quasi non lo riconosceva più. Si era persino chiesta più volte se la causa di tutto potesse essere lei; e ritornava ad essere più accondiscendente; e ritornava ad assuefarsi alla quotidianità. In cuor suo credeva ancora che qualcosa nella sua vita potesse cambiare e che stava vivendo solo un brutto sogno. Al di fuori delle mura di casa ostentava tranquillità, viveva alla giornata in funzione della serenità e del benessere dei suoi figli.

    Quell’orrore ascoltato in TV qualche momento prima, sembrava ora non interessare a nessuno dei due. Paolina aspettava con ansia che il marito uscisse dal bagno, era decisa a parlargli per l’ennesima volta. Gli sentì chiudere la porta e senza nemmeno voltarsi o alzarsi dal tavolo si lasciò andare: Vito esclamò cambiando tono e cercando l’attenzione del marito, che invece la sfuggiva, siamo ancora in tempo a dare una svolta alla nostra vita. Questo non è modo di vivere, io non ce la faccio più. Vito guardami. Che vita facciamo, me lo dici? Abbiamo perso tutti gli amici. Pure Cristina, la mia migliore amica, non viene più a trovarmi. Nemmeno più tra noi due parliamo, sembriamo due estranei. A causa della tua assurda gelosia sto perdendo anche la mia libertà e tu sai quanto ci tengo. Vito, stiamo perdendo la capacità di sognare e di emozionarci. Hai dimenticato tutte le promesse che mi facesti prima di sposarci. Eppure sono convinta che siamo ancora in tempo a recuperare la nostra vita, dare un avvenire migliore ai nostri figli. Un lavoro da giardiniere lo troveresti senza difficoltà. Eri così bravo nel tuo mestiere…

     "Tu sei un’illusa! Io ho studiato per diventare geometra, non per fare il campagnolo! Vedrai che alla fine cambieranno idea e mi ridaranno il mio lavoro. Dopo quello che ho fatto per loro, non possono continuare a trattarmi in questo modo. Vedrai che don Nele si ricrederà. L’avvenire dei nostri figli è qui, a Castellino. E finiscila con la solita storia, me lo rinfacci a ogni occasione: l’Australia, l’Argentina, u Belgiu!… Tuo padre verrebbe a cercarti fino in capo al mondo, e mi facissi scippari ‘a testa. E poi, dico io, ti lamenti che siamo senza una lira, senza soldi dove andiamo?"

    Se non te li giocassi in quelle maledette macchinette o al…

    Mi hai rotto i coglioni! Il gioco! Il gioco! urlò come un forsennato.

    Paolina si allontanò nel cucinino, perse la voglia di ribattere e di insistere con le sue ragioni. Si pentì amaramente d’averlo fatto. Nemmeno volle ascoltare le sue risposte, sapeva già quali sarebbero state; ma fu lui a insistere: Sappi che io da questo paese non mi muovo! Non mi devi più rompere la minchja! Mi hai stufato! Vuoi andartene? Fallo tu! I bambini restano con me, da mia madre! urlò facendo anche rovesciare con una violenta manata la sedia di lato.

     Questo mai! lo additò lei, rabbiosamente, col volto acceso dall’ira. Se ti azzardi a portarmi via i bambini, ti ammazzo, stanne certo che lo farei.

    L’improvviso suono del campanello alla porta fece sussultare entrambi. Col fiatone, ansimante, Vito afferrò una pesca dalla fruttiera e la scaraventò violentemente sul pavimento, con la polpa che schizzò in tutte le direzioni. Raccolse con una manata la canottiera che era scivolata per terra e si diresse alla porta, mentre da fuori proveniva una voce che chiamava: Signora Paolina, sono Giuliano, il garzone!

    Vito aprì la porta furiosamente e col braccio urtò di proposito il ragazzo facendogli cadere per terra il sacchetto col pane. Paolina si asciugò le lacrime col dorso della mano e si premurò d’andare all’uscio, con gli occhi ancora umidi.

     "Mi perdoni,

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