Storia del mio breve corpo
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Anteprima del libro
Storia del mio breve corpo - Billy-Ray Belcourt
Billy-Ray Belcourt
Storia del mio breve corpo
Titolo originale: A History of My Brief Body
Traduzione di Sara Reggiani
Progetto grafico: Raffaele Anello
Copertina: Sansai Zappini
Redazione: Federica Principi
© 2020 by Billy-Ray Belcourt
All Rights Reserved
CCA_CMYK_black_e.jpgWe acknowledge the support of the Canada Council for the Arts for this translation.
Nous remercions le Conseil des arts du Canada de son soutien.
Edizione italiana:
© Edizioni Black Coffee, 2021
Tutti i diritti riservati
Edizioni Black Coffee
Via dell’Agnolo, 29 - 50122 Firenze
www.edizioniblackcoffee.it
I edizione: settembre 2021
I edizione digitale: settembre 2021
ISBN digitale: 97888-94833-52-2
BILLY-RAY BELCOURT
STORIA DEL MIO BREVE CORPO
Traduzione di
Sara Reggiani
Edizioni Black Coffee
A tutti quelli per cui Utopia è un grido di battaglia
L’incapacità di udire conta per chi non ascolta come per chi non viene ascoltato, non solo perché una storia senza pubblico non sopravvive, ma anche perché essere ascoltati o meno influisce sul modo in cui il passato riecheggia nel presente.
Jill Stauffer, Ethical Loneliness: The Injustice of Not Being Heard
Non mi interessa desiderare di vivere in un mondo in cui vivo già.
Maggie Nelson, Bluets
Nota dell’autore
Se dovessi elencare i miei scrupoli estetici in ordine di importanza, allora l’ambiguità verrebbe prima della veridicità. Pertanto alcuni nomi e certi tratti distintivi sono stati alterati. La mia storia non è lineare, e in queste pagine imbriglio le forze della poesia e della teoria per dar vita a una trama che si estenda ben oltre i confini della mia esistenza individuale.
Nota della traduttrice
NDN, parola che ricorre nel testo, è un’abbreviazione nata online e adottata dagli indigeni nordamericani per autodefinirsi. Alle volte NDN è utilizzato come acronimo di Not Dead Native, «nativo non [ancora] morto», forse in reazione allo stereotipo occidentale che rappresenta il nativo esclusivamente come defunto o sul punto di esserlo.
STORIA DEL MIO BREVE CORPO
Prefazione
Lettera a nôhkom
Questo non è un libro su di te, nôhkom. Scrivere un libro su di te, uno in cui tu semplicemente appari in un mondo di tua stessa fattura, sarebbe un’impresa contro la nazione. Il Canada si mette di mezzo. Per scriverlo dovrei scrivere tutto ingobbito, in fuga continua. A parole dovrei farmi strada fuori dalla cartina e approdare sulla terra. Per ora entri ed esci dai miei libri come il vento in una fotografia. Giuro che nessuno ti scambierà mai per un palloncino sgonfio che mi penzola dal pugno. Qui, e anche nella mia poesia, hai sempre lo sguardo rivolto al cielo, brami il futuro. Per ricordarti come un’apprendista dell’utopico devo rendere onore ai misteri del non scritto. Questo libro, dunque, è tanto un’ode a te quanto al mondo a venire. Nel mondo a venire la tua voce ricorderà a quelli nella tua orbita che possiamo smettere di correre, che abbiamo già smesso.
Penso spesso a come anche a te hanno negato il piacere, il sollievo dell’immobilità. E ogni volta mi si spezza il cuore. Quando si spezza raduno i frammenti a forma di nazione, poi chiudo gli occhi e deglutisco.
*
Io e Courtney, la mia sorella maggiore, scherziamo sul fatto che le telefoni solo quando vuoi parlare con me e non riesci a trovarmi nelle centinaia o migliaia di chilometri che fanno del mondo un posto troppo vasto perché tu possa starmi ancora accanto. Nell’estate del 2016, ad esempio, sono andato a Honolulu per il raduno della Native American and Indigenous Studies Association. Prima di imbarcarmi sull’aereo mi hai detto al telefono: «Non scordarti di chiamare, ché se non ti sento impazzisco».
Una frase niente male! Inscritta nei meccanismi dell’amore c’è sempre la possibilità della cattiva gestione, perché non è possibile prevedere con precisione in che modo può cambiare o modificarsi il rapporto con ciò che si ama. L’amore è avvezzo ad andare in pezzi, incline a indebolirsi e diventare incontrollabile senza preavviso. Forse, paradossalmente, è proprio così che ci àncora a un mondo, che ci spinge a dare tutto nel nostro obiettivo di vivere bene col prossimo. Senza amore, senza quell’oggetto in cui ammassiamo parti di noi, potremmo «impazzire», perdere la bussola. Malgrado la distanza e il tempo abbiano spalancato un abisso intraducibile tra noi due, nella nostra storia c’è ancora qualcosa di cui valga la pena occuparsi, qualcosa che non si trova da nessun’altra parte.
Quanto ti piace raccontare che quando eravamo piccoli, per dare da mangiare contemporaneamente a me e Jesse, il mio fratello gemello, dovevi mettere me sul dondolo e lui nel girello. Mi infilavi in bocca una cucchiaiata di farinata d’avena e poi ti giravi a darla a Jesse, ci spieghi sogghignando. La stanza si riempie di risate ogni volta che descrivi e insceni l’impazienza con cui attendevo la mia porzione. Ero implorante, senza pace – dovevi fare in fretta per tenermi buono. Io sono sbalordito, non solo dalla tua capacità nel richiamare alla mente un ricordo vecchio di decenni, ma anche, e più precisamente, dalla gioia che ti dà aver vissuto quell’esperienza.
Sin da piccolissimo ho sempre avvertito la tua presenza come dilagante. Ero il «cocco della kokum», per così dire. Mi portavi dappertutto (tranne alla sala del bingo!). Mi hai ricoperto di un amore incondizionato di cui oramai sono raramente oggetto. Eri, e sei, il cuore di una famiglia allargata, il ponte tra mio padre e tua figlia, tra i suoi parenti e i tuoi. Da piccoli, come sai bene, era raro che io e Jesse non trascorressimo la notte nella nostra casetta sulla pianura. Sì, attuavamo spesso ambiziosi piani di fuga, ma tu rispondevi sempre alle nostre telefonate serali scaturite da un improvviso malessere e ti facevi dai quindici ai trenta minuti di macchina per venirci a prendere. A dire la verità quasi mai stavamo male davvero; volevamo semplicemente essere dov’eri tu.
Ora che sono grande, mi sembra che questo flusso di emozioni si sia invertito. Oggi ad esempio dimentico di telefonare, certe volte, anche se l’avevo promesso, oppure aspetto che sia il tuo numero a comparire sullo schermo del cellulare. Questo monumentale cambiamento è una conseguenza disorientante della vita adulta: ci tendiamo verso l’esterno trascendendo il confino dell’epidermide familiare. Ma all’epoca il tuo amore era un rifugio, uno a cui posso sempre fare ritorno in caso di necessità.
Questa paura che hai di perdermi solo perché non ti sono vicino potrebbe anche essere rivelatoria dei tanti modi che escogitiamo per abitare un corpo a rischio in un mondo sempre più piccolo, un mondo in cui non ricordiamo più come si faccia a coesistere senza boicottare il benessere collettivo. È un po’ come se mi dicessi, alla maniera di Warsan Shire, che sono una creatura «spaventosa, strana e bellissima che non tutti sanno come amare»¹. Come se mi avvertissi che casa tua potrebbe essere l’unico santuario rimasto per i ragazzi NDN come me che amano alla velocità dell’utopia.
Nôhkom, non sono al sicuro. Il Canada è sempre determinato a far fuori gli NDN. Come se non bastasse, la violenza dello Stato si manifesta sotto forma di una vita in corto circuito, una segnata da malattia, tristezza e altri sentimenti negativi con i quali ci tengono in pugno finché del corpo non resta che una macabra ombra. Malgrado le storie di progresso e uguaglianza su cui si fonda l’identità nazionale canadese, è ancora il legame con una lunga tradizione di brutalità e negligenza a tenere insieme i cittadini di questo Paese, edificato sulle terre di popoli più antichi e stratificati. Non posso promettere che non finirò invischiato nella funesta mitologia razziale di qualcuno. Ciò che posso fare, però, è amare come se l’amore potesse infrangere l’eccezionalità della spietatezza canadese (a prescindere dal fatto che sociologicamente sia o meno una possibilità concreta). È qui che risiede la mia verità poetica.
L’amore, allora, non riguarda affatto ciò che potremmo perdere nel momento in cui il sentimento, inevitabilmente, svanisce. Quanto sarebbe ingestibile, l’amore, se dovessimo sottoporlo ogni volta a un’analisi di costi e benefici! Nel mondo delle statistiche non sopravvive, viene spogliato della sua magia; l’amore dimora in luoghi meno scanditi dalle aspettative, meno mediati da stime e calcoli, e questo ci inganna inducendoci a lottare per mantenere una sovranità che non esiste. In Cruising Utopia: The Then and There of Queer Futurity, José Esteban Muñoz scrive: «Accettare di essere persi significa essere trovati e al tempo stesso non esserlo»². Ciò che tra noi è rimasto costante è questo ciclo, perdersi e ritrovarsi, quest’infinito scambio di vitalità senza il quale ci sentiremmo privi di una direzione. Un amore di questo tipo, però, non implica tracciare una mappa verso un’altra persona che poi diventa la nostra bussola. È affermare di volersi accomodare nell’incolmabile e sempre più ingente debito di attenzioni, in antitesi a uno Stato che continua a perpetrare la sua ignoranza senza attenzioni alcune, attraverso pratiche sterili in cui finiscono per impantanarsi le vite degli NDN e di altre minoranze. Avendo ereditato la tua filosofia dell’amore, nôhkom, che di per sé è anche una teoria di libertà, io posso inscrivermi in una storia di gioia e intralciare così l’orrenda narrativa della razza che mi perseguita, come perseguita te e la nostra gente.
Mi rendo conto che a volte il mio stile di scrittura potrebbe confonderti con la sua agilità, con il suo sottrarsi a una facile interpretazione, ma so che sentirai l’affetto che ribolle in ogni singola parola. Quell’affetto è gioia, e ha avuto inizio con te. Ora lo vedo dappertutto.
kisahkihitin,
Bill, Edmonton, AB
Immagine1 Warsan Shire, Teaching My Mother How to Give Birth (flipped eye, Londra, 2011).
2 José Esteban Muñoz, Cruising Utopia: The Then and There of Queer Futurity (New York University Press, New York, 2009, p. 73).
Introduzione
Breve nota teoretica
Ovunque io vada indosso parole logore. Nel museo della depressione politica¹, ossia il mondo intero, vengo scambiato quotidianamente per un articolo dell’esposizione dedicata al caos della modernità, perché sono sempre fuori sincrono rispetto all’orologio della Storia. Sono un NDN canadese, e questo singhiozzo, questa momentanea amnesia per me non è una novità. Le parole mi si appiccicano addosso come orfani nel nulla. Muto continuamente forma, passo dall’essere l’orfano che guarda il nulla al nulla stesso. Nei panni di entrambi, però, accumulo lettere gonfie di potere simbolico, il prodotto di una Storia non ancora sazia di discorsi sconnessi. Con la ribellione nella mente le indirizzo a un domani libero dai raggiri retorici dei colonizzatori, ovunque essi siano. L’alfabeto, la grammatica e la sintassi: questo è il mio fardello emotivo. Il mio corpo è un mezzo di trasporto, il che rende il mio cuore un motore. Questo aspetto del