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Com'è fatto il paradiso?
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Com'è fatto il paradiso?
E-book228 pagine3 ore

Com'è fatto il paradiso?

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Nove storie di sentimenti, di esperienze legate alla sensualità umana, si animano appassionate e sincere, poiché al sesso possono essere strettamente legati gli effetti più perversi, così come quelli più sublimi. I racconti ricchi di descrizioni e ambientazioni particolareggiate si susseguono tra ragazzi timidi, professoresse ninfomani, maschi super dotati, ninfe pericolose, cortigiane samaritane e don Giovanni incompiuti. Perché “se c’è un modo per descrivere la complessità della condizione umana, questo è proprio a partire dai rapporti sessuali”. Per
scoprire Com’è fatto il Paradiso bisogna fermare lo sguardo su quella che è “l’unica forma diretta, assoluta, intensa, ravvicinata, coinvolgente, di relazione tra le persone”.

L’autore di questi racconti, che usa lo pseudonimo di Gino Janni, è stato un docente universitario siciliano poi trasferitosi a Roma, che ha avuto lunghe esperienze di viaggi e ricerche sociali in numerosi Paesi dell’America Latina, stabilendo intense relazioni umane con le popolazioni locali delle zone rurali. I suoi racconti si basano sulle esperienze di viaggio e sugli incontri intensi e coinvolgenti che si sono accumulati in lunghi anni. Ma il ritorno costante alla sua terra di origine ha continuamente arricchito e rigenerato i suoi punti di vista sulla condizione umana nelle diversità culturali; e il confronto costante tra le esperienze e la formazione ricevuta in gioventù e le stimolanti analogie e differenze con le situazioni vissute lontano da casa, è stato il tema dominante, esplicito o nascosto, delle riflessioni quotidiane. L’autore ha svolto anche attività di esperto per gli aspetti sociali e culturali in programmi sociali di diverse Istituzioni Internazionali, e quindi ha potuto apprezzare, e anche discutere criticamente, i due differenti fronti delle relazioni tra popoli diversi: quello degli esperti internazionali con i gruppi politici e le élite locali e quello delle relazioni ravvicinate con la povera gente delle periferie. Ha anche pubblicato numerosi libri e saggi di carattere sociale, ma mantenendo sempre una netta distinzione tra gli scritti “accademici” e i racconti delle intense esperienze umane e dei rapporti tra i sessi.
LinguaItaliano
Data di uscita30 mag 2021
ISBN9788830644052
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    Com'è fatto il paradiso? - Gino Janni

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    Gino Janni

    COM’ È FATTO IL PARADISO?

    Prefazione e Postfazione di Fernando Luigi Fazzi

    © 2020 Gruppo Albatros Il Filo S.r.l., Roma

    www.gruppoalbatros.com - info@gruppoalbatros.com

    ISBN 978-88-306-3604-0

    I edizione maggio 2021

    Finito di stampare nel mese di maggio 2021

    presso Rotomail Italia S.p.A. - Vignate (MI)

    Distribuzione per le librerie Messaggerie Libri Spa

    COM’ È FATTO IL PARADISO?

    Alcuni racconti tra sesso e sentimento

    Introduzione di Barbara Alberti

    Il prof. Robin Ian Dunbar, antropologo inglese, si è scomodato a fare una ricerca su quanti amici possa davvero contare un essere umano. Il numero è risultato molto molto limitato. Ma il professore ha dimenticato i libri, limitati solo dalla durata della vita umana.

    È lui l’unico amante, il libro. L’unico confidente che non tradisce, né abbandona. Mi disse un amico, lettore instancabile: «Avrò tutte le vite che riuscirò a leggere. Sarò tutti i personaggi che vorrò essere».

    Il libro offre due beni contrastanti, che in esso si fondono: ci trovi te stesso e insieme una tregua dall’identità. Meglio di tutti l’ha detto Emily Dickinson nei suoi versi più famosi:

    Non esiste un vascello come un libro

    per portarci in terre lontane

    né corsieri come una pagina

    di poesia che s’impenna.

    Questa traversata la può fare anche un povero,

    tanto è frugale il carro dell’anima

    (Trad. Ginevra Bompiani).

    A volte, in preda a sentimenti non condivisi, ti chiedi se sei pazzo, trovi futili e colpevoli le tue visioni che non assurgono alla dignità di fatto, e non osi confessarle a nessuno, tanto ti sembrano assurde.

    Ma un giorno puoi ritrovarle in un romanzo. Qualcun altro si è confessato per te, magari in un tempo lontano. Solo, a tu per tu con la pagina, hai il diritto di essere totale. Il libro è il più soave grimaldello per entrare nella realtà. È la traduzione di un sogno.

    Ai miei tempi, da adolescenti eravamo costretti a leggere di nascosto, per la maggior parte i libri di casa erano severamente vietati ai ragazzi. Shakespeare per primo, perfino Fogazzaro era sospetto, Ovidio poi da punizione corporale. Erano permessi solo Collodi, lo Struwwelpeter, il London canino e le vite dei Santi.

    Una vigilia di Natale mio cugino fu beccato in soffitta, rintanato a leggere in segreto il più proibito fra i proibiti, L’amante di lady Chatterley. Con ignominia fu escluso dai regali e dal cenone. Lo incontrai in corridoio per nulla mortificato, anzi tutto spavaldo, e un po’ più grosso del solito. Aprì la giacca, dentro aveva nascosto i quattro volumi di Guerra e pace, e mi disse: «Che me ne frega, a me del cenone. Io, quest’anno, faccio il Natale dai Rostov».

    Sono amici pazienti, i libri, ci aspettano in piedi, di schiena negli scaffali tutta la vita, sono capaci di aspettare all’infinito che tu li prenda in mano. Ognuno di noi ama i suoi scrittori come parenti, ma anche alcuni traduttori, o autori di prefazioni che ci iniziano al mistero di un’altra lingua, di un altro mondo. Certe voci ci definiscono quanto quelle con cui parliamo ogni giorno, se non di più. E non ci bastano mai. Quando se ne aggiungono altre, è un dono inatteso da non lasciarsi sfuggire.

    Questo è l’animo col quale Albatros ci offre la sua collana Nuove voci, una selezione di nuovi autori italiani, punto di riferimento per il lettore navigante, un braccio legato all’albero maestro per via delle sirene, l’altro sopra gli occhi a godersi la vastità dell’orizzonte. L’ editore, che è l’artefice del viaggio, vi propone la collana di scrittori emergenti più premiata dell’editoria italiana. E se non credete ai premi, potete credere ai lettori, grazie ai quali la collana è fra le più vendute. Nel mare delle parole scritte per esser lette, ci incontreremo di nuovo con altri ricordi, altre rotte. Altre voci, altre stanze.

    A lei

    ovunque sia

    che

    nelle notti d’estate

    sento

    l’odore della sua pelle

    (ad ogni donna

    che attraversa l’anima di un uomo)

    PREFAZIONE

    Gli appunti che qui di getto emergono nella mia mente sulla universalità del sesso che accompagna tutti noi, nell’arco della nostra vita, mi fanno obbligo chiarire alcuni punti che se oscuri o nebulosi possono fuorviarci o banalizzarne l’argomento.

    Rispettosamente dobbiamo riconoscere nell’istinto sessuale quell’istinto naturale, dietro il quale si identifica la ‘conservazione della specie’; così come nell’istinto a nutrirsi ‘la conservazione dell’esistenza’.

    Qui si apre una voragine profonda di un iceberg che come nell’inferno di Dante; o in senso inverso nel Paradiso della ‘Divina Commedia’; rappresentano gli infiniti stadi che dall’alto scendono agli inferi; o nel caso inverso, dal primo cerchio paradisiaco si elévano verso il ‘Massimo Fattore’. Tale è l’animo umano. Non c’è aberrazione alla quale l’uomo inopinatamente riesca a sottrarsi.

    Così come non c’è beatitudine alla quale l’uomo non abbia diritto ad aspirare.

    In tutto ciò, il sesso esercita una componente primaria.

    Al sesso sono strettamente legati gli effetti più orridi, così come quelli più sublimi. Non per niente il Nuovo Testamento recita: ‘Lasciate che i pargoli vengano a me’. E poi ‘Guai a colui (o colei) che macchia la coscienza di un’anima pura’. ‘Sarebbe stato meglio che questa persona perversa non fosse mai nata’.

    Questo ad esaltare la delicatezza e la fragilità dei sentimenti affettivi legati alla sensualità umana. Accertato ciò, ci rimane da esaminare uno degli aspetti più ricorrentemente presente nella fantasia delle generazioni che si susseguono nel tempo e negli spazi, dei quattro Continenti: il dongiovannismo. Anzitutto identifichiamolo nei suoi risvolti più evidenti. Nella fantasia del popolo il dongiovannismo e la ninfomania sono la stessa faccia, al maschile e al femminile, della stessa medaglia. In un certo qual senso questo è vero, ma non svela i segreti dell’anima, o delle anime in cui si cela questa idra dalle cento teste, tutte eguali e tutte diverse fra loro; ma ognuna di loro feroce e famelica.

    Nell’animo di questa idra, il dongiovannismo, si annidano caratteristiche identificabili e ricorrenti. Un desiderio di affetto, oserei dire famelico, insaziabile che si autoalimenta attraverso la continua insoddisfazione, alla ricerca di un amore perfetto. Là dove l’imperfezione umana diventa fonte di cocente delusione; quindi di continua spasmodica ricerca di quell’affetto gelosamente unico, i cui connotati sono sconosciuti e comunque non sempre identificabili. Ma perché, così difficili da identificare? E molto spesso così differenti da soggetto a soggetto? Ci corre d’uopo qui disturbare la psicologia freudiana insieme alla filosofia ed alla sociologia, per farne un ammasso unico e formularne una sintesi, azzardata per quanto tale sintesi possa essere.

    La psicanalisi e la psichiatria ci indicano tre stadi nella formazione del nostro ‘Io’.

    Il cosciente, il subcosciente, e l’inconscio.

    Tre stadi di tre livelli distintamente separati.

    Quello che a noi più interessa è l’inconscio, lo stadio che, sotto forma di grande calderone, contiene un intero universo di sentimenti contrastanti, difficilmente identificabili, sino a quando alcuni di essi non si manifestano attraverso il subcosciente e si trasformano in azioni e pensieri che, se non sublimati, fanno commettere azioni inconsulte e spesso ingiustificabili.

    Prendere per le corna il frutto dell’orrido calderone è impresa ardua. E comunque, molte di queste azioni inconsulte sono, ai nostri occhi, difficili da analizzare.

    Rimane solo l’occhio vigile di chi ha raggiunto uno stadio di autocontrollo molto elevato. Nonostante questo, molto spesso, anche le persone più ‘attrezzate’ non sempre riescono a controllare l’idra dalle cento teste. Qualcosa, ai più, sfugge sempre ‘dalle mani’.

    Da qui si va ‘nella città dolente’, da qui si va verso ‘l’eterno dolore’, da qui si va ‘tra la perduta gente’. ‘Giustizia mosse il mio alto fattore, fecemi la divina potestate, la somma sapienza e il primo amore’.

    Niente meglio delle parole di Dante possono introdurre il tema di questo iceberg che forma l’animo umano.

    Forse gli si possono avvicinare le parole di Pirandello, quand’egli dice: ‘Ciò che noi conosciamo di noi stessi, non è che una parte, forse una piccolissima parte di quello che noi siamo’.

    Ecco come, il nostro ‘Io’, formato di inferno e paradiso, è ‘un oceano immenso, in perpetua ebollizione, in cui nuvole, tempeste ed uragani, costantemente bussano, violentemente si infrangono, contro la nostra mente e il nostro cuore, con tutte le logiche, dalle più brutali e alle più sublimi.

    Sta a noi separare il bene dal male, il giusto dall’ingiusto, l’accettabile dall’inaccettabile, l’amorevole dall’odio, il positivo dal negativo. Che attraverso una piccola porticina fortificata e blindata, o al contrario debole e quasi inesistente, faccia da selettrice dei pensieri e delle azioni che emergono controllate, o incontrollabili, dall’oceano infuocato del calderone di questo terzo stadio, l’inconscio.

    In ogni uomo si cela il ladrone demoniaco a fianco del reo pentito che, nella croce della vita, a ciascuno di noi è offerto esprimere, in ogni istante dell’esistenza.

    Tutto questo, ho voluto descrivere, tempo addietro, in un mio lavoro dal titolo ‘Don Giovanni, tra verità e legenda’, in cui tendo ad evidenziare come ‘le vie dell’Amore e della Redenzione’ sono infinite, anche se molte volte le raggiungiamo attraverso un lungo cammino fatto di insidie e di dolore.

    Fernando Luigi Fazzi

    Una breve premessa dell’autore

    Ho cominciato a scrivere questi racconti molti anni fa, al ritmo di uno ogni due mesi circa, per quasi due anni. Poi più nulla, e per più di un decennio i testi sono rimasti chiusi in un cassetto, quasi nascosti. Non saprei dire perché ho cominciato né perché poi ho sospeso. Forse ero giunto a quella fase della vita nella quale si fanno i bilanci, guardando indietro nel tempo e cercando qualcuno al quale raccontare, al quale raccontarsi, ma si ha anche una certa ritrosìa a rivelarsi completamente agli altri. So solo che ho provato un gran piacere nello scriverli.

    C’ era quasi una necessità, in me, in quel periodo, di mettere sulla carta ricordi, riflessioni, pezzi di storie che avevo nella mente da tempo, per farne esercizio di composizione, di intreccio, di combinazione. Un esercizio che solo con la scrittura poteva essere realizzato e verificato. Spesso lasciavo colpevolmente da parte lavori impegnativi e obbligatori per passare qualche ora a scrivere queste pagine, con grande trasporto e sotto una misteriosa e inaggirabile costrizione. Il rileggerle, subito dopo averle scritte, mi dava un’emozione nuova, che prima non conoscevo. Di tutto ciò ho conservato un geloso segreto. Nessuno ha saputo, durante tutti questi anni, della nuova impresa nella quale mi stavo impegnando.

    Non sono uno scrittore e non ho mai avuto l’ambizione di diventarlo. Ho scritto sì, da sempre, da più di trent’anni. Ma si trattava in ogni caso di saggi, resoconti di ricerche, libri professionali, che hanno accompagnato, come dovevano, la mia carriera. Mai avevo provato il gusto, il bisogno irrefrenabile di scrivere racconti, soprattutto su di me, com’è accaduto in quei lontani mesi.

    Ho scelto il racconto erotico-sentimentale con assoluta naturalezza. Anzi, è stato questo genere che ha scelto me; mi è venuto incontro in modo assai semplice e spontaneo, quasi obbligato. Perché mi è sempre piaciuto, ed ho sempre sognato che un giorno – forse – sarei stato in grado di scriverne qualcuno, di racconti di questo tipo. Mi sono sempre piaciute le storie brevi e quelle che trattano argomenti come i rapporti tra i sessi, con descrizioni esplicite e dettagliate di quella che è senza dubbio l’unica forma diretta, assoluta, intensa, ravvicinata, coinvolgente, di relazione tra le persone. Si tratta della forma più stretta e intima di rapporto che si possa stabilire tra esseri umani, e per questo forse, proprio perché parte dall’estrema intimità, è in grado di farci pensare meglio, con un progressivo allontanamento, a tutte le altre relazioni possibili, più distanti, indirette e discrete, che si possono creare tra le persone. Come sarà subito evidente, ho scelto uno stile di scrittura prudente, sobrio, resistendo alla tentazione di riempire le mie pagine con riflessioni generali, o esibendo le mie conoscenze filosofico-letterarie, incastrandole nei racconti. Mi sono limitato a riportare delle storie, degli aneddoti, dei frammenti di esperienza, nel modo più semplice e meno auto-celebrativo possibile, lasciando che la sostanza dei problemi, che queste storie sollevano, giacesse nelle pieghe dei fatti, dei personaggi, delle vicende narrate. Certo, sono storie che raccontano di un mondo antico, di idee, costumi, comportamenti, sentimenti, che ormai si sono radicalmente trasformati, in Sicilia come altrove. Ci sono dunque qui storie di Come eravamo, ma che mi pare sia importante riportare, per riflettere come si deve sulle memorie, che sono più che semplici ricordi; sono passi indispensabili per pensare un futuro rielaborando il passato.

    Tutti i racconti qui presentati contengono, naturalmente, parte della mia vita. Sono cioè, come spesso accade, in massima parte autobiografici. Ma altrettanto ovviamente, non lo sono mai del tutto. Ho istintivamente deformato, arricchito, alterato, impoverito o trasfigurato, aspetti importanti della realtà concreta, palpitante e palpitata, tratta dalla mia memoria, dalla mia esperienza, che ne stava alla base. Quasi tutti i personaggi che appaiono in questi racconti si riferiscono a persone vive, che sono state parte della mia vita. Se non si riconosceranno tutti perfettamente è perché non potevo trattenermi dal modificare, spesso anche sostanzialmente, le loro figure, gli avvenimenti, le cose dette e le cose fatte. Spesso ho completato una storia che veniva dalla mia memoria con frammenti di altre storie che avevo sentite da qualcuno. A volte ho perfino costruito di sana pianta conclusioni di storie, integrazioni al loro interno. Ho, cioè, immaginato dettagli, aspetti e parti rilevanti di storie, così come le avevo lungamente desiderate e come purtroppo non si erano verificate, contrariamente ai miei desideri.

    Prima di scriverle, queste storie o parti inventate di storie, le ho pensate a lungo. Ho giocato a lungo con esse nelle mie periodiche passeggiate nella villa vicina alla casa dove vivo, tra gli alti alberi di abete e di pino. E quindi, alla fine, esse si sono saldate nella mia memoria con le parti che avevo vissuto veramente, in modo indissolubile. Oggi non saprei più dire quali siano le parti vere e quelle aggiunte o modificate. Mi sono quasi totalmente identificato con le versioni che qui presento. Ma la scelta delle integrazioni e delle aggiunte non è stata mai casuale. Sicché potrei dire che i desideri si sono saldamente fissati e consolidati con le realtà del ricordo, della memoria. È evidente che attraverso questi racconti sono riuscito, in qualche modo, a realizzare alcuni dei miei più tenaci desideri, a scongiurare alcune delle mie più potenti paure, a nascondere alcuni dei miei più pesanti insuccessi.

    Scrivendo di me, della mia vita reale o possibile, e di quella di alcune persone che mi sono state care, ho potuto così realizzare due finalità entrambe molto importanti per me: approfondire in qualche modo la conoscenza che avevo di me, spesso in forma un po’ nebulosa; e chiarire, al tempo stesso, un po’ di più l’insieme delle aspirazioni che per anni avevano sonnecchiato nelle pieghe della mia persona.

    Queste storie sono in parte collocate in luoghi e paesi lontani, nei quali ho trascorso molti anni della mia vita; ma spesso, in esse, appare con leggerezza, e a volte con prepotenza, l’eredità dei luoghi dove sono vissuto a lungo, i luoghi amati delle mie origini, della mia Sicilia, e del mio paese natìo, che hanno lasciato un’impronta indelebile nella mia persona, mi hanno accompagnato nelle mie peregrinazioni all’estero, anche quando apparentemente di essi non si parla direttamente.

    Molto francamente, non so se tutto quello che ho raccontato possa veramente interessare altri che me, che mi sono squadernato nello scriverlo. Non ne ho la minima idea. Ma lo spero molto. Mi piacerebbe moltissimo avere anch’io i miei venticinque lettori. E sarei molto lieto che qualcuno mi chiedesse, dopo aver letto questi racconti, cosa ne è – oggi – dei molti protagonisti; o mi suggerisse di integrare, approfondire, alcuni personaggi, alcune storie, alcuni avvenimenti. Rileggendo dopo molti anni l’insieme di queste storie, una dopo l’altra, ho infatti già pensato a come potrei riscriverle modificando alcuni aspetti, aggiungendo alcuni personaggi che avevo dimenticati, modificando alcuni finali che ancora oggi trovo tristi e dolorosi.

    La tentazione era grande, ed è stato difficile resistervi.

    Offro queste storie alle persone che si sono fatte incontrare da me, e che si sono guadagnate, spesso con prepotenza, un posto nelle mie memorie e nella mia immaginazione.

    Il titolo scelto per questa raccolta di racconti potrà suscitare qualche perplessità. Ma l’espressione: Com’è fatto il Paradiso? ricorre frequentemente fra i protagonisti di queste storie. È, ovviamente, una espressione metaforica, ma esprime fino in fondo la straordinaria importanza che coloro dei quali qui si racconta hanno attribuito a una intensa relazione sessuale e sentimentale, completa, appassionata, emotivamente trascinante.

    LA VICINA DELLA PORTA ACCANTO

    Antonio si affacciò al balcone della sua nuova casa, appena presa in affitto a Catania, con il consueto sguardo indagatore e curioso. Si era trasferito da poco nella grande città sulla riva del mare dal suo paese d’origine, Enna, che si stendeva sulla cima di un piccolo monte, a più di 1000 metri di altezza, per frequentare l’Università. Dal decimo piano si vedeva bene il rutilante formicolìo della gente che si muoveva in basso, caotica e rumorosa, nel colorato tramonto che stava per cedere il passo alla notte. Di fronte, altissimo sullo sperone delle colline della Barriera, si ergeva l’Etna ancora ben visibile; il grande vulcano dominava la scena, imponente, a salvaguardia di quella città vivacissima, ancora in parte coperto di neve. Il giovane era triste e depresso. Nonostante avesse finalmente realizzato la sua aspirazione, quella di trasferirsi dal suo piccolo paese a quella che per lui era una grande metropoli, era assalito da un senso di incapacità, di tristezza e di pessimismo. Era lì da due settimane e non era successo niente; niente di importante, per intenderci.

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