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Il segreto della fenice
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E-book370 pagine5 ore

Il segreto della fenice

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Info su questo ebook

In un futuro indefinito, il nostro mondo è profondamente cambiato. Non esistono più gli Stati come li conosciamo, il numero di esseri umani sembra drasticamente diminuito.
Il potere è in mano a delle Fazioni che si fanno la guerra da innumerevoli anni. Tre sono già state eliminate,  ora rimangono solo Fenice e Leviatano, e non sono intenzionate a mettere fine alle ostilità…

D209 è un ragazzino, un giovane che ha passato tutta la sua vita nell’accademia di Fenice. Poco a suo agio nel contatto umano, è cresciuto desiderando di diventare un operativo… Almeno finché non comincia a vedere qualcosa di strano durante le simulazioni di addestramento …

Mi chiamo Omar Giuseppe Ministeri e sono nato il 7 luglio del 1997, a Siracusa. La mia passione per i libri mi accompagna da sempre.
Nel tempo ho scoperto che scrivere è l’unico modo che ho per chiudere i capitoli della mia vita, permettendomi di viaggiare dentro i miei pensieri e di andare avanti.
Mi piacciono molto i generi fantascienza e fantasy, ed è proprio per questo che, quando scrivo, mi diverto a immaginare futuri remoti o mondi fantastici.
LinguaItaliano
Data di uscita31 dic 2022
ISBN9788830674899
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    Anteprima del libro

    Il segreto della fenice - Omar Giuseppe Ministeri

    Nuove Voci

    Prefazione di Barbara Alberti

    Il prof. Robin Ian Dunbar, antropologo inglese, si è scomodato a fare una ricerca su quanti amici possa davvero contare un essere umano. Il numero è risultato molto molto limitato. Ma il professore ha dimenticato i libri, limitati solo dalla durata della vita umana.

    È lui l’unico amante, il libro. L’unico confidente che non tradisce, né abbandona. Mi disse un amico, lettore instancabile: Avrò tutte le vite che riuscirò a leggere. Sarò tutti i personaggi che vorrò essere.

    Il libro offre due beni contrastanti, che in esso si fondono: ci trovi te stesso e insieme una tregua dall’identità. Meglio di tutti l’ha detto Emily Dickinson nei suoi versi più famosi

    Non esiste un vascello come un libro

    per portarci in terre lontane

    né corsieri come una pagina

    di poesia che s’impenna.

    Questa traversata la può fare anche un povero,

    tanto è frugale il carro dell’anima

    (Trad. Ginevra Bompiani).

    A volte, in preda a sentimenti non condivisi ti chiedi se sei pazzo, trovi futili e colpevoli le tue visioni che non assurgono alla dignità di fatto, e non osi confessarle a nessuno, tanto ti sembrano assurde.

    Ma un giorno puoi ritrovarle in un romanzo. Qualcun altro si è confessato per te, magari in un tempo lontano. Solo, a tu per tu con la pagina, hai il diritto di essere totale. Il libro è il più soave grimaldello per entrare nella realtà. È la traduzione di un sogno.

    Ai miei tempi, da adolescenti eravamo costretti a leggere di nascosto, per la maggior parte i libri di casa erano severamente vietati ai ragazzi. Shakespeare per primo, perfino Fogazzaro era sospetto, Ovidio poi da punizione corporale. Erano permessi solo Collodi, Lo Struwwelpeter, il London canino e le vite dei santi.

    Una vigilia di Natale mio cugino fu beccato in soffitta, rintanato a leggere in segreto il più proibito fra i proibiti, L’amante di lady Chatterley. Con ignominia fu escluso dai regali e dal cenone. Lo incontrai in corridoio per nulla mortificato, anzi tutto spavaldo, e un po’ più grosso del solito. Aprì la giacca, dentro aveva nascosto i 4 volumi di Guerra e pace, e mi disse: Che me ne frega, a me del cenone. Io, quest’anno, faccio il Natale dai Rostov.

    Sono amici pazienti, i libri, ci aspettano in piedi, di schiena negli scaffali tutta la vita, sono capaci di aspettare all’infinito che tu li prenda in mano. Ognuno di noi ama i suoi scrittori come parenti, ma anche alcuni traduttori, o autori di prefazioni che ci iniziano al mistero di un’altra lingua, di un altro mondo.

    Certe voci ci definiscono quanto quelle con cui parliamo ogni giorno, se non di più. E non ci bastano mai. Quando se ne aggiungono altre è un dono inatteso da non lasciarsi sfuggire.

    Questo è l’animo col quale Albatros ci offre la sua collana Nuove voci, una selezione di nuovi autori italiani, punto di riferimento per il lettore navigante, un braccio legato all’albero maestro per via delle sirene, l’altro sopra gli occhi a godersi la vastità dell’orizzonte. L’editore, che è l’artefice del viaggio, vi propone la collana di scrittori emergenti più premiata dell’editoria italiana. E se non credete ai premi potete credere ai lettori, grazie ai quali la collana è fra le più vendute. Nel mare delle parole scritte per esser lette, ci incontreremo di nuovo con altri ricordi, altre rotte. Altre voci, altre stanze.

    ringraziamenti

    Ringrazio tutti coloro che hanno supportato il progetto con il loro tempo e le loro energie, credendo in me e nella mia scrittura. Senza di loro la realizzazione di questo sogno non sarebbe stata possibile.

    Voglio ringraziare sicuramente tutta la mia famiglia per aver sopportato la follia delle mie storie, per avermi sempre aiutato e per tutti i momenti passati nel mio mondo mentre fingevo di ascoltarli. Un caro e sentito grazie, mi sento di dirlo, va anche a Riccardo, Elisa, Valentina e Alessandra per aver letto le mie storie e per aver dato un valore a quello che scrivevo e quello che dicevo anche se a volte era ancora molto grezzo.

    Un ringraziamento di cuore va anche ad Angela per aver condiviso con me il sogno e la passione della scrittura e della lettura, supportando le mie mete e dandomi il coraggio di buttarmi anche quando di luce ce n’era ben poca. Se non ho mai perso la speranza è stato grazie a lei.

    Inoltre, anche se potrebbe sembrare banale, voglio ringraziare tutti coloro che hanno fatto parte della mia vita seppur per poco tempo. In fin dei conti, tutte le impronte lasciate da chi percorre un pezzo di strada con noi sono indelebili e alterano, in bene o in male, la nostra andatura o il nostro tragitto. Perciò sì, voglio ringraziare chi mi ha sostenuto e chi mi è stato vicino, ma anche chi mi ha ferito e se n’è andato, perché quello che sono oggi è il risultato di fattori a volte imprescindibili e, appunto, indelebili.

    1

    Osservo attentamente tutto ciò che mi circonda, pensando a come potrebbe apparire ai miei occhi se fosse la prima volta che vedessi tutto questo. La marmaglia di gente si incammina verso le proprie aule, speranzosa di ottenere qualche informazione speciale. Faccio una smorfia di disapprovazione, ma soltanto perché nessun sogno verrà esaudito oggi, se non quello di un pigro. Purtroppo, questo è il periodo prima di un importante esame e non faremo ancora niente fino al giorno della prova finale, almeno noi dell’ultimo anno.

    Il lusso della nostra scuola è a dir poco nauseabondo, soprattutto se si tiene conto delle condizioni del mondo esterno. Per carità, non prendete la mia espressione come se ci fossimo ridotti a vivere in capanne di legno marcio e squallido. Semplicemente credo che ci possa essere povertà anche laddove i grattacieli e le strade aeree inizino a presentare molteplici ferite. Dopotutto viviamo in un mondo reduce da infinite guerre per il potere, quasi come se l’avidità potesse essere la soluzione di ogni il problema e non l’essenza dello stesso.

    Mi chiedo come sarebbe stato, vivere in terre libere e unite nonostante le distanze. Ho letto su qualche libro che la globalizzazione aveva permesso di tenere tutto quanto a portata di mano e, non so perché, credo che questo non fosse poi così positivo. A volte sono le lontananze a rendere tutto più prezioso e speciale. Ad esempio, so che possiamo ricevere visite dall’esterno solamente una volta l’anno, ma sono sicuro che non sarebbe poi così bello se avessi l’opportunità di sentire quelle stesse persone attraverso altri mezzi ogni singolo giorno.

    Pensieri. Sono proprio questi a rapirmi mentre mi incammino verso la mia classe. Per noi è l’ultimo anno da semplici allievi, perché dopo il test di fine anno inizieremo la preparazione al campo. Viviamo in queste mura da quando siamo venuti al mondo, più o meno. All’età di cinque anni i genitori possono decidere di mandare i propri figli nell’unica scuola di tutta la fazione. Sì, è così che la definirei. Sono terminati i tempi delle regioni. Non ci sono ancora abbastanza abitanti da poter provare ad ampliare il nostro territorio.

    Una volta esistevano cinque fazioni, ma con il tempo le due maggiori hanno assorbito le altre e ora sono rimaste solo quelle: Fenice e Leviatano. Delle altre quella che resistette di più fu Ratatoskr. Dicono di aver scelto dei nomi appartenenti ad antiche mitologie, anche se non si sono mai scomodati a spiegarcele. Per quanto ne so io, noi viviamo semplicemente qui, in attesa di entrare nell’esercito che ci porterà alla vittoria completa verso il nemico. In realtà, però, io non so nemmeno come abbia fatto a finire qui dentro. Da che ho memoria, ho sempre vissuto in questo posto.

    L’aspirazione più grande è quella di entrare nell’esercito e non è un ruolo aperto a tutti, sebbene ci siano sempre spazi liberi. Ciò che cercano non sono degli stupidi irresponsabili, ma delle persone che posseggano quello che tutti definiscono il senno di poi. La tensione che mi circonda non mi preoccupa, probabilmente perché sono uno dei ragazzi con i voti più alti e so di poter passare l’esame con estrema facilità.

    Mi siedo al mio solito posto, in cima ad una piccola aula strutturata ad anfiteatro, mentre attendo con ansia l’arrivo del mio compagno. Condividiamo la camera praticamente da sempre e abbiamo deciso di sederci vicini perché ci piace il nostro equilibrio. La maggior parte delle volte lui parla e io penso ad una risposta che pronuncio di rado. Se riuscissi ad esternare tutto ciò che mi frulla per la testa probabilmente sarei un gran chiacchierone, eppure credo che sia meglio così. Essere silenzioso ti permette di assaporare di più ciò che ti circonda, dando valore a piccoli dettagli altrimenti latenti.

    – Ciao D209– annuncia prendendo il posto di fianco al mio. – Pronto per entrare a far parte dell’esercito di Fenice?–

    –Certo– sogghigno allegro.

    Non gli dico che non mi piace che mi chiami con il mio numero di matricola perché mi fa sentire come un semplice numero. È vero che, una volta entrati in questa scuola, ci viene tolto il cognome, ma ho ancora un nome e vorrei sentirlo pronunciare almeno da chi mi conosce. Dicono che ci è più facile restare concentrati sull’obiettivo se non abbiamo troppi legami con il mondo esterno, perciò ci danno il numero di matricola al posto del cognome.

    Vorrei portare avanti la conversazione con Anthony, il mio unico amico, ma la professoressa compare in un attimo alla sua postazione, quasi come se si fosse teletrasportata. Meglio così, non avrei saputo cosa dire. Se non si fosse capito, sono un ragazzo che pensa tanto e parla poco, forse troppo poco. Le nostre conversazioni spesso sembrano essere unilaterali, eppure Anthony capisce il mio modo di fare e lo accetta senza esitazione. Lo apprezzo per questo, anche se non gliel’ho mai detto apertamente.

    La nostra professoressa di storia, e di tutto il resto in realtà, ci guarda come se fosse commossa. Questa è la sua ultima lezione con noi e, a dirla tutta, questa scuola non riserva molto tempo allo studio del passato. Ci si limita ad una semplice carrellata di eventi, senza nomi o date troppo precise.

    La verità è che non ricordiamo l’identità dei nostri predecessori, ne conserviamo semplicemente delle foto che ne rappresentano i volti pesanti e affaticati. Nel momento in cui la professoressa apre bocca per salutarci, in me riaffiorano le memorie del primo giorno trascorso qui, nell’aula di coloro che erano stati accettati come futuri guerrieri.

    Quando i bambini vengono donati a questa scuola, si cerca di capire quale ruolo li rappresenta di più. Le prime macrosezioni vengono stabilite al compimento del tredicesimo anno. Alcuni procedono verso l’addestramento fisico e mentale per l’area riguardante l’esercito, gli altri invece vengono selezionati per lo studio delle tecnologie degli armamenti. Dopodiché la macrosezione che riguarda l’esercito si ramifica in Classe Operativa e in Guida Tattica.

    Oggi è il giorno in cui iniziano i vari test per le decisioni finali.

    Durano una settimana e non sono proprio una passeggiata sul prato.

    Flashback

    1

    Dopo il nostro primo vero esame è emerso che non eccello in nessuna delle due macrosezioni. Ma, in qualche modo, hanno stabilito che per me era meglio proseguire verso l’addestramento del futuro esercito. Per fortuna il mio compagno di stanza, Anthony, ha ottenuto un chiaro risultato positivo verso la stessa disciplina e da oggi saremo compagni di banco per i prossimi cinque anni. Sembrano un’eternità, se paragonati a quelli trascorsi.

    Dentro di me cresce la necessità di diventare il migliore, anche se non ne capisco pienamente la ragione. È come se volessi far capire a tutti che io merito di essere parte dell’esercito di Fenice. Prendo posto in cima ad una struttura ad anfiteatro, mentre l’aula si riempie in modo repentino e allegro. Tutti sembrano conoscersi da una vita intera e il mio modo di essere stona al confronto del loro. So di essere strano, ma non credo di poter definire normali tutte queste persone.

    –Alla fine ce l’hai fatta!– La voce di Anthony mi scuote nella realtà. –Sono contento di poterti avere come compagno di banco. Non fraintendermi, ma sono convinto che io e te non litigheremo mai per una semplice ragione. È quasi impossibile avere degli screzi con te.– Mi dà di gomito.

    Io mi limito a sorridere e aspetto che prenda posto di fianco a me. Oggi non è un giorno qualunque e non mi riferisco semplicemente al nostro recente esame e a tutto il resto: la settimana scorsa si è conclusa una guerra che si protraeva da troppo tempo. Ratatoskr è stato sconfitto perché non accettava nessun trattato, né con noi, né con Leviatano. La cosa aveva destato sospetto perché tutte le altre fazioni avevano stabilito di inglobarsi all’interno di una delle due più forti, mentre quest’ultima sembrava desiderare un armamento più potente e una crescita maggiore. E noi di Fenice non potevamo permettercelo.

    Quando prendo in mano il mio dispositivo olografico, di cui tutti gli studenti sono dotati per prendere appunti, noto una cosa diversa rispetto ai precedenti anni. Adesso come schermata principale non abbiamo più la celebre frase della nostra fazione, quanto un avvertimento. Un guerriero non può difendere niente, se spinto dalla propria sete di orgoglio.

    Mi piaceva di più prima, detto sinceramente.

    –Ma che fine ha fatto la dicitura: Dalle ceneri della Fenice faremo risorgere un mondo nuovo?– domanda Anthony. –Quella nuova fa schifo, non è così D209?–

    –Lo sai che ha un nome, vero?–

    Emily sogghigna mentre prende posto nella fila di un gradino più in basso alla nostra. –Direi che da oggi inizia un nuovo capitolo e sono contenta che anche voi siate stati selezionati nella sezione dell’esercito.–

    Stiamo per rispondere, quando il nostro sguardo viene rapito dall’ingresso della nostra nuova professoressa. Io, Emily, Anthony e Jacob siamo amici fin dal primo giorno trascorso in questa scuola. Peccato che quest’ultimo abbia ottenuto più riscontri per la sezione dello studio tecnologico e adesso potremo vederci solamente durante le pause pranzo. La loro sezione alloggi è dislocata nel piano interrato e non è accessibile da persone di corsi estranei.

    Vorrei poter dire ai miei due amici che sono contento di averli al mio fianco, ma queste parole rimangono dei semplici pensieri. Niente di tutto questo prende forma tramite la mia voce, né tantomeno verrà condiviso con entrambi. Sono fatto così, purtroppo. Troppi pensieri e poca comunicazione. È questo il punto, però, mi piace ascoltare il suono del mio silenzio, perché mi permette di dargli una ragione e un volto. Il mio mutismo mi permette di ascoltare cose che altrimenti potrei sovrastare con parole non indispensabili.

    –Bene– inizia la professoressa. – Il mio nome non ha rilevanza, quindi per voi sarò PS097 e vi insegnerò principalmente le nozioni base della nostra storia. Prima di iniziare, però, vi chiedo di osservarvi tutti quanti a vicenda.–

    Noi lo facciamo.

    Siamo troppi per poterci conoscere a fondo l’uno con l’altro, eppure so già che creerò dei legami forti con alcuni di loro. Sento che saranno i migliori anni della mia vita e lo spero con tutto il cuore perché, dopo l’esame finale, non ci sederemo più tra questi banchi come allievi.

    –Vi prego di farlo ogni giorno, perché da un attimo all’altro, quando entrerete nelle sezioni operative, potrete non ricordarvi di uno di voi. Qualcuno sa dirmi il perché?–

    La voce di PS097 risuona molto profonda quando ci pone la domanda.

    Io so la risposta. L’ho scoperto origliando le conversazioni nella sala mensa, quando fingevo di ascoltare le parole condivise tra Jacob, Emily ed Anthony. Avere un buon udito e la tendenza ad essere silenzioso mi aiutano a passare inosservato in qualunque momento. Anche se, a volte, sapere non ti aiuta a trovare un perché.

    –Chi muore…– mi schiarisco la voce, ma solo perché non sono abituato ad essere io la causa della rottura del silenzio –…viene cancellato dai nostri ricordi. È come se non fosse mai esistito.–

    –Esattamente– PS097 non mi chiede come facessi a saperlo, prosegue come se niente fosse. Come se gli sguardi altrui non chiedessero spiegazioni. Come se non fosse una notizia che cambia la tua esistenza. –È qualcosa di innato, proprio come il consueto trascorrere del tempo. Comunque sia, questo è anche il motivo per cui nella storia non vengono mai detti i nomi, a parte alcune eccezioni.–

    –Perché?– La voce di Emily, risuona dubbiosa, quasi come se stesse facendo da tramite per tutti gli sguardi altrui. –Non si può modificare questa… cosa?–

    –So che al momento vi sembra strano, ma ricordare ci tiene ancorati al passato e noi dobbiamo vedere al futuro, perciò è un bene. Tutto qui.–

    –Ma è una prerogativa di Fenice o è così anche per Leviatano?– Anthony è il primo a mettere a confronto le due fazioni e questo sembra irritare molto la professoressa.

    Lei prosegue senza tenere conto di quella domanda, eppure la risposta sembra chiara a tutti quanti. Se è qualcosa di innato, allora tutti quanti sono ancorati alle stesse condizioni ed è per questo che mi ritrovo a chiedermi se ci sia qualcuno che io abbia dimenticato. In effetti, questo potrebbe essere il motivo per il quale io non ricordi il volto dei miei genitori. Tutto inizia ad avere un senso, o almeno così credo. L’unica vera domanda che mi pongo è: come ci si sente ad abbracciare la persona che più ami, in fin di vita, e in un attimo diventare come di pietra di fronte al suo corpo esanima?

    Non voglio mettere in discussione il beneficio di questa cosa, perciò evito di pensarci troppo e spero vivamente di non dover mai dire addio ad Emily o ad Anthony. Jacob per fortuna è leggermente più al sicuro, dato che il suo settore è meno esposto agli attacchi.

    Così ci ritroviamo a cambiare lezione, dopo una breve presentazione di tutti quanti. Ma, per quanto io ci provi, continuo a chiedermi quali parti della mia vita sono state cancellate.

    2

    PS097 ci chiede di seguirla e in un attimo ci ritroviamo in una sala piena zeppa di postazioni, tutte con una di quelle poltrone che ti permettono di sdraiarti ed un computer pieno zeppo di cavi che ricadono ai suoi piedi. Ogni postazione ha un supervisore e questo mi fa capire che oggi tutte queste persone si sono prese il giorno libero dalle loro solite mansioni.

    Sono preoccupato e ansioso allo stesso tempo, mentre un vortice di pensieri non fa altro che peggiorare la situazione. Il punto è che da oggi ogni mia scelta avrà conseguenze importanti nel mio futuro. Voglio essere selezionato per la Classe Operativa o per la Guida Tattica?

    PS097 ci cammina di fronte, mentre tutti quanti si dispongono in un’unica fila. Questa aula è talmente grande da poter contenere il doppio degli allievi. Non so perché ma questo mi porta a chiedermi cosa succede se qualcuno non viene scelto per nessuna diramazione. I chiarimenti in merito all’esame finale sono sempre stati molto vaghi e, ad un certo punto, tutti quanti abbiamo smesso chi porre domande; anche se questo non significa che i dubbi siano svaniti.

    La nostra professoressa si mette da parte lasciando la parola ad un suo superiore, un uomo piuttosto adulto, con lunghi capelli grigi e una cicatrice sull’occhio destro. Anthony sogghigna e io mi ritrovo a guardarlo di soppiatto nei suoi occhi azzurri.

    –Lui è l’uomo con il grado più alto in assoluto– sussurra. –Mi ricordo quando da bambino gli rovesciai addosso il mio piatto di minestra.–

    Sorrido leggermente, mentre mi volgo ad ascoltare le sue parole. Emily, al mio fianco, è talmente tanto tesa che mi afferra il polso, nel tentativo di calmarsi.

    –Io sono Sean– inizia a gran voce. –Noi dei piani alti non siamo soliti a condividere il nostro numero di matricola. Non so se ve l’hanno spiegato, ma più salite di grado e più lettere vi vengono assegnate. Da oggi verrete spremuti fino al midollo, per sapere cosa c’è veramente dentro di voi, nel vostro lato più recondito e nascosto. Vi auguro buona fortuna, perché non vi verrà detto cosa fare, in nessuna delle prove.–

    –Come mai?– chiede Anthony, senza tener conto del grado che li separa.

    –Perché– la voce di Sean si fa molto brusca –quando sarete nel bel mezzo della guerra non ci sarà una strada giusta e una sbagliata. Dovrete semplicemente scegliere sulla base dei consigli della Guida Tattica.–

    Osservo lo sguardo dei miei compagni vacillare per un attimo, mentre i loro volti si riempiono di emozioni contrastanti. Quanti di noi verranno divisi? I miei occhi si fermano su Pierce e Deborah, due persone che ho imparato a conoscere molto bene in questi cinque anni. Non che io gli abbia parlato chissà quanto, però ascoltando le loro conversazioni ho imparato a capirli. Ormai è quasi come se sapessi decifrare le loro espressioni facciali. Lui prova terrore, perlopiù perché teme di non passare gli esami. Lei è piena di adrenalina, pronta a combattere.

    E io? Be’ io spero di terminare questa parte della mia vita a pieni voti, anche se non credo che importi molto il punteggio arrivati a questo punto.

    A differenza di cinque anni fa adesso sono il primo della classe, ma non penso che conoscere la nostra storia possa essermi di grande aiuto. Forse le lezioni di informatica potrebbero.

    PS097 va verso il fondo della stanza e inizia a leggere da un dispositivo olografico, indicando le varie postazioni.

    Mi sudano le mani quando mi ritrovo sdraiato vicino a visi che non riesco a decifrare. In cinque anni non ho mai fatto conoscenza di tutti i miei compagni e ora avrei voluto farlo. Emily ed Anthony sono dalla parte opposta, scossi dalla stessa ansia che pervade anche me.

    So già che loro verranno catapultati nell’esercito, viste le loro prestazioni durante le lezioni di Combattimento Strategico. Per quanto i miei voti siano alti in tutte le materie, non ho un’impronta specifica per nessuno dei due rami in cui potrei finire. Saremo divisi, immagino.

    Per scuotere via questo pensiero, inizio ad osservare la stanza in cui ci troviamo. Mura e pavimento di colore nero, a tal punto da sembrare di essere in mezzo al nulla più totale. Il tetto è composto da un enorme specchio che ci riflette tutti quanti, in modo troppo dettagliato per i miei gusti. Il lettino su cui sono sdraiato inizia ad infastidirmi, specialmente perché lo vedo come lo strumento con cui stabiliranno il mio futuro. Non sarò io a scegliere, proprio come nessuno di coloro che sarà sottoposto al test.

    –D’accordo mezze cartucce– La voce di Sean attraversa i miei timpani in modo arrogante, mentre degli addetti, con indosso la solita divisa e una spilla dorata, collegano tutti i cavi e una flebo nell’avambraccio. –Tra qualche istante vi verrà iniettato un liquido speciale. È stato studiato per portarvi in uno scenario che risulterà differente per tutti voi. Uno volta che, però, verrà stabilito non potrà essere cambiato. Tutte le volte che tornerete qui sarete condannati a riviverlo fino all’esaurimento, almeno finché non capirete qual è la soluzione giusta.–

    –Quindi ci sta dicendo che metà del nostro esame lo passeremo in una dimensione immaginaria?–

    Lui non risponde, o almeno così pare. La verità è che i nostri occhi si chiudono in un attimo e tutto diventa buio.

    3

    Quando riapro gli occhi fatico a credere di non essere nel mondo vero. Se non lo avessero detto, probabilmente l’idea di essere in una realtà virtuale non mi avrebbe nemmeno sfiorato. Tutto qui è talmente tanto dettagliato, che sembra di stare viaggiando attraverso i ricordi di qualcuno.

    Sono in una città in rovina. I grattacieli e le strade sono logorati da un eterno combattimento, o almeno così pare. Ci sono crateri enormi all’interno di quegli edifici ipertecnologici, tanto che di molti si riesce a vederne l’interno, mobilio compreso. I metalli lucidi sono sgualciti da pesanti strati di polvere e macchie di ossidazione, proprio come quando si abbandona una lastra di ferro all’esterno durante la stagione delle piogge.

    L’aria è rarefatta ed è come se stessi mettendo in bocca un pezzo delle macerie, perché ne sento il gusto pervadermi la lingua. Mi viene da tossire, ma non ci riesco. È come se la polvere di tutta quella cittadina si fosse catapultata all’interno delle mie ghiandole salivari e io inizio a nutrire la malinconia verso il mio mondo, quello vero. Se questo è il primo giorno degli esami, preferisco non partecipare ai prossimi.

    Ormai sono praticamente accasciato al suolo, quando vengo catturato da un suono che saprei distinguere a chilometri di distanza. Mi sforzo di alzarmi e di controllare in giro, muovendo semplicemente la testa. Qui non c’è anima viva, eppure sento il pianto di un bambino. Risuona all’interno delle mie orecchie, pretendendo di essere ascoltato in modo arrogante e autoritario. E io non posso fare a meno di dargli retta, perché sto cercando qualcosa che non comprendo appieno. Tutto questo è parte del test e io devo essere astuto.

    Ogni singolo movimento richiede uno sforzo maggiore, quasi come se fossi redivivo da una guerra combattuta da interminabili anni. Il vento mi colpisce la schiena ogni qual volta decide di farsi vivo, alzando tutta la polvere circostante. Preferisco non pensare a come sono ridotti i miei capelli e i miei vestiti. Probabilmente, al momento, sembro più che altro un soprammobile abbandonato a sé stesso, nascosto agli occhi altrui.

    Entro nell’atrio di un palazzo, o almeno di ciò che ne resta. Le mattonelle nere sono ricoperte da un generoso strato di macerie e polvere, quasi come tutto il resto qui nei dintorni. Lo scenario virtuale è fin troppo dettagliato per i miei gusti, ogni cosa sembra essere messa al punto giusto, quasi come se tutto questo esistesse realmente.

    Il pianto dell’infante si smorza anche se lo percepisco proprio vicino a me. Perlustro ogni angolo dell’atrio, talvolta alzando anche qualche residuo piuttosto imponente. Se quel bambino è qui da qualche parte, devo assolutamente salvarlo. Non solo perché questo è il mio test, ma perché, anche se virtuale, nessuno merita di essere lasciato solo e morente.

    Le colonne ai quattro angoli della stanza mi fanno presupporre che il palazzo non reggerà a lungo. Le crepe sono più che evidenti e sembrano anche profonde e radicate nelle mura circostanti. Provo a chiamarlo, cercando di farlo parlare, nella speranza che sia grande abbastanza per poterlo fare. Come risposta, però, la terra sembra sussultare e tremare al contempo. Forse è questo quello che si intende con il termine terremoto e adesso so che non mi piace. Il senso di impotenza che mi pervade mi fa sentire uno schifo, soprattutto quando un pezzo del tetto crolla proprio ad un paio di metri di fronte ai miei occhi.

    L’infante piange con un tono più sommesso, fino a che la sua voce diventa un piccolo sussurro. Corro, disperato e ansimante mentre il terreno trema sempre di più, e finisco per entrare nello spazio riservato al custode, sempre che ce ne fosse uno. Fatico a ricordarmi che tutto questo non sia reale, perché le sensazioni e ciò che percepisco, diamine, quelle sì che sono vere. Proprio come il bambino che ritrovo, avvolto in una coperta azzurra, con poca voce in gola e

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