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Perché Piangi?: Cronistoria Romanzata della vita di Nino Fotografo
Perché Piangi?: Cronistoria Romanzata della vita di Nino Fotografo
Perché Piangi?: Cronistoria Romanzata della vita di Nino Fotografo
E-book449 pagine6 ore

Perché Piangi?: Cronistoria Romanzata della vita di Nino Fotografo

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Info su questo ebook

Storia di un incredibile, avvincente e drammatica esistenza che il protagonista Tani rivive nell’arco di ventiquattro ore trascorse tra la vita e la morte. Con determinazione e tenacia, Tani trasforma un hobby in lavoro grazie a un’inseparabile compagna di vita, la sua macchina fotografica, con la quale immortala fattezze, sguardi e sensualità di meravigliose modelle, oltre alle bellezze di luoghi incantevoli che hanno fatto da cornice al suo vivere nel lavoro.

Ha frequentato persona importanti attraverso le quali ha conosciuto il mondo, l’arte e l’amore con la A maiuscola. Racconta di anni attraversati da speranze e traguardi professionali, accompagnati da amori, da frequentazioni di miseri soggetti così come di grandi personaggi dell’arte e della cultura italiana.

Una lucida ricomposizione di un unico puzzle critico racchiuso tra ricordi dolorosi e felici, una metafora perfetta della resilienza umana: la capacità di superare le avversità della vita alla ricerca di un’identità famigliare e un ruolo sociale, combattendo le avversità con coraggio nonostante tutto, nonostante tutti. Un’intensa esistenza racchiusa in un racconto d’altri tempi.

“Scorrevole, profondo e toccante.
Tra le pagine di Perché piangi? Tani ci mostra che tutti noi
abbiamo la forza per rimetterci sempre in piedi e di affrontare
ogni ostacolo che la vita ci scaglia addosso.”


L’autore

Tani Capa
Tani, è il mio nome d’arte… Sono un personaggio unico, miracolato e sfigato allo stesso tempo. La vita è stata severa nell’impartirmi lezione amare, ma anche generosa nell’arricchirmi di esperienze ed emozioni. Ho sperimentato sulla mia pelle la malattia, la sofferenza e la guarigione. So cosa significa essere diverso fisicamente. Ho conosciuto l’odio e l’amore, la frustrazione e la gioia, la bruttezza e la bellezza, la miseria e la ricchezza.
LinguaItaliano
EditoreTani Capa
Data di uscita4 nov 2020
ISBN9791220216111
Perché Piangi?: Cronistoria Romanzata della vita di Nino Fotografo

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    Anteprima del libro

    Perché Piangi? - Tani Capa

    diverso..."

    PARTE I

    INTRODUZIONE

    Questo è un libro sul destino, una storia che oscilla tra la determinazione e la fatalità, entrambe appese ad un filo sottilissimo. La passione porta a fare o strafare, a gioire o patire. Dunque, un libro sull’esistenza che regala qualche elemento utile a ciascuno di noi, per via indiretta, per suggestione, per comparazione.

    Ho conosciuto Tani moti anni fa e poi l’ho perduto. L’ho ritrovato ora ed entrambi siamo molto diversi da ciò che eravamo ai tempi della nostra frequentazione.

    Un altro secolo, ecco. Adesso il desiderio di riunire gli affetti, di fare pace con sé stessi, rende possibile un’indulgenza che credo Tani non diede e non si diede allora.

    Ma siccome l’esistenza, appunto, comanda il fare, abbiamo qui un uomo che ha combattuto sempre. E quando si combatte si compiono moltissimi errori, per foga o per fame, per ambizione o per frustrazione, per cercare una pace.

    Perché chi mangia fa le briciole e poi tocca raccoglierle, cercare un ordine, sbagliando magari ancora. Non credo che la sfortuna conti granché, in definitiva. Piuttosto contano le decisioni, ciò che l’inquietudine finisce col disturbare, giorno dopo giorno. Ecco, inquietudine mi pare una parola appropriata per cercare di star dietro a questa storia che racchiude il lusco e il brusco, come diciamo a Milano. L’oro e il fiele.

    Penso che Tani, scrivendo questo libro, abbia desiderato sistemare i propri conti. Il che vale moltissimo perché indica un’attitudine all’ammissione, un’analisi sincera di ciò che è stato, nel male e nel bene.

    Penso sarebbe un esercizio utile per ognuno di noi. Per meditare non serve necessariamente una fede alta. Piuttosto, la voglia e la disponibilità a riflettere, a guardarsi dentro senza bluffare, magari proprio a proposito degli imbrogli che costruiamo per tirare avanti, per andare a dormire la sera credendo di aver messo a posto la roba nell’armadio. Imbrogliarsi, distrarsi, occuparsi di mille cose pur di non fermarsi, come una febbre o una droga che spinge e accelera. Non per sempre, per fortuna. Non nel momento in cui tocca svelare a sé stessi chi siamo davvero, cosa ci ha portati fin qui, cosa serve e cosa conta per guadagnare finalmente una quiete. Inquietudine, proprio così... Per determinare, una volta tanto, un poco di indulgenza, un’assenza di giudizio, una serenità guadagnata e addirittura meritata.

    Giorgio Terruzzi

    (Giornalista, scrittore)

    DEDICA DI UN AMICO

    Il tempo passa e va. Passa il tempo e con esso i ricordi, le esperienze, le emozioni, gli incontri. Il passato in realtà non passa mai, ci accompagna sempre. L’importante è farne tesoro, non pensare al futuro e vivere al meglio il presente, colorando quelle pagine bianche con nuove emozioni. Tani, amico caro, la tua amicizia ha riempito un vuoto e dato risposte ai miei quesiti attraverso il racconto del tuo vissuto.

    Ora sei davanti alla mia porta... Tu non devi bussare poiché la mia casa è già tua, non devi chiedere, prendi ciò di cui hai bisogno e se vuoi anche di più per condividerlo con altri. Prego, accomodati, e alla fine tieni chiusa la porta. Non per altri amici, ma per il vento cosicché non spazzi via nulla.

    Per ultimo accetta questo mio dono che ci accomuna.

    Foglie

    Come le foglie noi siamo

    Trasportati dal vento dei Desideri

    Travolti dal vento della Passione.

    A trattenerci ben radicati,

    Sui Rami della Vita

    La fresca brezza delle Emozioni

    Fortunato D’Amico

    Presidente AVIS Cusano M.- Cormano

    Ufficiale al Merito della Repubblica Italiana

    PREFAZIONE

    Le donne, i cavalier, l’arme, gli amori, le cortesie, le audaci imprese io canto così, come l’incipit dell’Ariosto, potrebbe cominciare questo libro di Tani Capa che è la rocambolesca storia di un protagonista della fotografia italiana. Un uomo che ha seguito e fatto la storia della nostra arte nuova percorrendo nell’arco della sua vita tutti i momenti di ascesa di questo mezzo di comunicazione che tanto amiamo. Tani ha vissuto e approfondito a lungo i linguaggi della fotografia, indagandone le relazioni col reale e creando un suo linguaggio particolare. Poi non pago di questa esperienza si è dedicato al l’immagine in movimento e ha diretto e realizzato film. La sua ininterrotta fame di racconto sfocia ora in questo romanzo autobiografico in cui la sua straordinaria vita diviene, attraverso la parola, fiume di immagini, relazioni, visioni, incontri, dolori e gioie in cui ognuno di noi può rispecchiarsi. E lo fa con una penna agile ed elegante anche nei momenti più crudi. La vita di un uomo unico che ha scelto l’immagine per interpretare il reale e la parola per raccontarci, come un moderno Ulisse tornato a Itaca, cosa ha visto e provato nel viaggio della sua vita avventurosa. Grazie Tani per questo tuo libro vibrante e pieno di luci e ombre da cui emerge la tua natura di combattente e di uomo unico.

    Giovanni Gastel

    Presidente AFIP INTERNATIONAL

    (Associazione fotografi professionisti)

    UNA LETTERA INASPETTATA

    Per vie traverse ho avuto la bozza del tuo libro. Dopo moltissimi anni, quanti? Un’eternità. Di me nulla hai scritto, è giusto, io sono stata una stella cadente nella tua vita, un solo agosto. Leggo e piango.

    Sì, piango ricordando il tuo bel viso sorridente e stupito nella contemplazione delle infinite stelle che brillavano nel buio di quella notte d’estate. Ricordi? Eravamo sulla collina dove il Fogazzaro scrisse Piccolo mondo antico, sdraiati su quell’erba che poi ci vide amanti. Piango per non aver ascoltato il mio cuore ma quello dei miei genitori, perdendoti per sempre. Piango nell’apprendere quali e quante tragedie hai vissuto da bimbo, non mi avevi detto nulla. Ed ora, ormai con i miei capelli biondi diventati bianchi, mi rimprovero per aver scelto un percorso di vita sbagliata. Non ho mai dimenticato come mi accarezzavi: lo facevi come se il mio viso e il mio corpo potessero rompersi al contatto con le tue mani. Quanta delicatezza e rispetto avevi, persino con lo sguardo, sempre rivolto ai miei occhi e al mio viso, mai al mio giovane corpo che nell’intimità ti piaceva tanto. Mi chiamavi mia piccola Liz perché assomigliavo alla Tyalor di cui eri infantilmente innamorato, gli stessi occhi viola. Ed ora leggo quali tremende vicissitudini hai dovuto superare per essere coerente con il tuo io. Non posso più continuare. Sto troppo male al pensiero che, forse, avrei potuto essere proprio io quel quadrifoglio che tanto cercavi, ma all’epoca non l’avevo capito.

    La tua piccola Liz

    GRAZIELLA

    «Perché ora piangi?», domandò l’uomo fissando il volto in lacrime di Graziella. Il tono era simile a un rimprovero mentre lei si ricomponeva il vestitino a fiori mai indossato prima. Era il mese di Settembre del 1938 e in quel campo alla periferia nord di Milano, non molto distante dall’abitazione di Carluccio, ebbe inizio un percorso di vita che entrambi mai avrebbero immaginato.

    «Ora non posso tornare a casa dallo zio, è tardi, la porta sarà chiusa a chiave…" sussurrò lei con un filo di voce. La luna, alta nel cielo, illuminava il suo dolce volto, turbato da timore e vergogna.

    «Va bene, ti porto a casa mia, domani vedremo…», le rispose lui dandole le spalle e incamminandosi verso casa.

    Camminavano uno avanti all’altra, costeggiando i binari ferroviari che conducevano direttamente alla vicina fabbrica di lucidi da scarpe Brill. Più si avvicinavano a casa, più Carluccio si sentiva come in gabbia e il solo pensiero di dover affrontare una situazione non prevista e sfuggitagli di mano lo irritava: sapeva di aver approfittato dell’ingenuità di Graziella e, in tutta quella situazione, i suoi dieci anni in più avevano certo deposto a suo favore. Papà Gaetano e mamma Teresa erano ben felici che Carluccio mettesse la testa a posto frequentando una ragazza pugliese come loro: le provincie di provenienza, Foggia e Bari, erano diverse come diversi erano i dialetti, ma li accomunava l’essere della bassa Italia e terroni. La giovane età di Graziella, di soli diciassette anni festeggiati il mese prima, poteva sembrare un ostacolo fra i due, ma si convenne che una conoscenza prolungata avrebbe costituito la soluzione migliore per un auspicabile e duraturo rapporto. In fondo, la morosa di Paderno Dugnano, la milanesa, non era fatta per lui: troppo ricca, troppo intelligente e saputella, di sicuro non ci sarebbe stato futuro per una storia così sbilanciata, come era solito affermare papà Gaetano, che negli anni di lavoro alle Regie Poste ne aveva viste tante e ben sapeva come funzionavano le cose lì al nord. Erano ormai trascorsi molti anni da quando papà Gaetano decise di abbandonare la natia San Ferdinando di Puglia in cerca di un avvenire migliore per i suoi cinque figli: Rachele, Antonio e Carluccio avuti dalla prima moglie Filomena, Cosimino e Dorotea dalla seconda moglie Teresa. Si era convinto che ‘amicizia con Graziella avrebbe distolto Carluccio da velleità più grandi di lui.

    «Hai una sorella della sua stessa età. E dimmi, se capitasse a lei, io come dovrei comportarmi? E tu, che cosa faresti?»

    Con lo sguardo truce e voce lenta, Carluccio scandì fra i denti: «Io-non-la-sposo!».

    Sfilandosi la cintura, il padre lo redarguì dicendogli che non sarebbe uscito illeso da quella situazione se non avesse cambiato opinione e cominciò a roteare la striscia di pelle come una frusta, cercando di colpirlo. Carluccio, è bene dirlo, era una camicia nera: non è dato sapere se per reale interesse ideologico o per via dei privilegi elargiti ai giovani fascisti, fatto sta che il ragazzo era ben addestrato al movimento e alla sopportazione del dolore. Con movimenti rapidi, quindi, evitò più volte la cinta che, sibilando, si fermava ora sulla parete ora sul ripiano del comò.

    «Signori, io le devo rispetto, ma smettetela di colpirmi!», disse irritato, rivolgendosi a suo padre come era usanza a quel tempo, dandogli del lei.

    L’intervento della madre pose fine alla discussione evitando una probabile degenerazione a vie di fatto da parte del figlio che sentenziò:

    «Va bene, ma se ne pentirà per tutta la vita!». Fu così che decisero che Graziella avrebbe fatto parte della famiglia, qualunque fosse stata la decisione di Carluccio.

    Seduta nella vettura tramviaria che la stava portando all’altro capo della città, a casa sua, in via Fiamma, Graziella provava un senso di smarrimento che la isolò da tutto: non lo sferragliare delle rotaie, non il vocio degli altri viaggiatori, non il parlottare di Carluccio con papà Gaetano, nulla sembrava esistere attorno a lei. Immagini del passato riaffiorarono prepotenti e iniziarono a scorrere velocemente, una dopo l’altra, nell’ovattato silenzio della sua mente, procurandole lampi di dolore: rivide la madre sul letto di morte e il litigio furioso tra suo padre Giacomo e lo zio Leonardo. I medici avevano vivamente sconsigliato un’altra gravidanza e così, a soli dieci anni, Graziella perse sia la mamma che la sorellina appena nata. Ricordò il collegio a Bisceglie e la separazione dalle sorelle Giuffrida e Mariarosa, rispettivamente la maggiore e la più giovane. Ricordò quando un altro fratello di papà, zio Michele, le disse che non avrebbe più rivisto suo padre e le spiegò che da quel momento in poi avrebbe avuto una nuova famiglia e che i sette cugini sarebbero diventati i suoi fratelli

    Rivisse il lungo viaggio in treno che la portò al nord, in quella Milano che diventò poi la sua città. Un movimento brusco del tram dissolse quei ricordi in un istante. Quando si voltò, Graziella vide Carluccio seduto lì accanto a lei e pensò che si era comportato come qualsiasi altro uomo in una circostanza simile perché, come ripetevano sempre le sue colleghe di lavoro divenute ormai amiche, l’istinto dell’uomo è quello di essere cacciatore. «Stai attenta a quel dongiovanni che ti ronza intorno, non ti fidare», le dicevano.

    In quel momento si sentì persa. Anche se lui le aveva più volte ripetuto che l’amava, che sarebbe stata la donna della sua vita, ora si trovava ad affrontare con vergogna suo zio. Ma più di tutto, temeva il giudizio di sua zia Angela, una donna insensibile, che mal sopportava anche i quattro figli di primo letto di zio Michele e che non le aveva mai dimostrato affetto. Già immaginava la sua reazione e le male parole che le avrebbe rivolto. I pensieri vorticavano veloci procurandole una sensazione di vuoto, desiderava poter scendere e con difficoltà respinse un conato di vomito. Fortunatamente il tram si fermò, erano arrivati. L’incontro con gli zii fu meno terribile dell’immaginato. Zio Michele accettò la proposta di Gaetano, papà di Carluccio, che si offrì di accogliere la ragazza nella propria casa in attesa dei documenti necessari al matrimonio, cerimonia che però poteva essere celebrata solo con il nullaosta sottoscritto dal padre di Graziella, essendo lei ancora minorenne. Così, zio Michele si fece carico dei contatti con il fratello detenuto in Abruzzo. Grande nemico del fascismo e anarchico di fede dichiarata, noto nella regione come sovversivo e comunista, con apprendistati in Inghilterra e Irlanda, Giacomo era rinchiuso nelle carceri dell’Aquila ove scontava una pena provvisoria in attesa di un processo che il regime ciclicamente rimandava con vari artifizi.

    Per Graziella iniziò così una nuova vita nella casa ad Affori. L’autunno lasciò il posto alla rigida stagione invernale del 1938 e con essa giunsero anche le avvisaglie di avvenimenti latenti che di lì a breve avrebbero cambiato la storia del mondo. Migliaia di cittadini furono costretti all’esilio per sottrarsi alle brutalità del fascismo mentre altri ne esaltavano l’ideologia; altri ancora subirono ogni sorta di umiliazione e ingiustizia mentre taluni sembravano non accorgersi di nulla. Nonostante tutto, la vita proseguiva con i quotidiani problemi e la speranza di un avvenire migliore. E anche là, al primo piano di un condominio in Via Grazioli, nell’appartamento di ringhiera con servizi in comune dove vivevano l’ormai pensionato ed ex dipendente delle Regie Poste Gaetano, la sua seconda moglie Teresa e i figli Cosimino, Dorotea e Carluccio, la vita continuava.

    La convivenza in quei mesi fu messa a dura prova da comportamenti autoritari e contrasti continui. Gaetano vigilava costantemente sui movimenti dei due promessi sposi, che non potevano vedersi se non in presenza di qualcuno, in primis di Dorotea che accompagnava Graziella ovunque, anche se malvolentieri, come ordinatole dal padre. Da quella notte di settembre, i due ragazzi non ebbero più la possibilità di appartarsi di nuovo. Il giovane scalpitava e spesso, per ritorsione, la notte non rientrava a casa, mentre Graziella, costretta dalle circostanze, non poteva far altro che sottostare alle volontà del futuro suocero. Raramente riuscì a scambiare qualche bacio e a stringere fra le braccia il suo amato. Solo fugaci manifestazioni d’amore scambiate in fabbrica o in occasioni di feste con balli, ma sempre e solo in presenza di Dorotea che, seppure corrotta dal fratello, più di tanto non concedeva.

    Mesi di litigi sempre più frequenti culminarono nella decisione di ricondurre Graziella dallo zio, ma quell’allontanamento coatto si trasformò dopo pochi giorni in un repentino ritorno alla casa di Via Grazioli. Infine, avvenne una lite furibonda tra padre e figlio che degenerò con un auto-ccoltellamento da parte di Carluccio che giustificò quell’atto dicendo di non voler infierire con disonore contro quel padre che lo insultava a causa del suo atteggiamento verso Graziella e che metteva in atto comportamenti violenti e ricatti psicologici verso colei che Carluccio considerava sua proprietà di diritto.

    Finalmente a fine febbraio arrivò il nulla-osta per il matrimonio e da quel giorno, inaspettatamente, Carluccio cambiò. Per Graziella tutto tornò come ai primi giorni in cui lo conobbe, innamorandosene perdutamente ancora una volta. Al loro primo incontro, Graziella ne fu subito attratta: Carluccio non era molto alto, non superava il metro e ottanta, aveva il viso marcato da quel naso leggermente fuori norma ma regolare, lo sguardo sicuro e altero, penetrante, le labbra carnose propense al sorriso che con mille sottintesi l’avevano talmente colpita da crearle un turbamento mai provato prima.

    In seguito, Carluccio riuscì a conquistarla con corteggiamenti e promesse di eterno amore.

    L’arte della seduzione faceva parte della sua arrogante sicurezza e le numerose e sbandierate conquiste femminili ne erano una conferma: persino in Spagna, vantandosene, ebbe un paio di avventure.

    CARLUCCIO

    Carluccio nacque nel 1912. Fu un parto travagliato con un tragico finale: la madre Filomena morì in seguito a complicanze, lasciando orfani Rosalia, la figlia maggiore già maritata a Canosa di Puglia, Rachele la secondogenita soggiornante a Trinitapoli (dove in seguito, essendo fascista di provata fede, fu nominata Podestà) e Antonio che, non volendo seguire il padre al nord, occupò la casa paterna a San Ferdinando.

    A tredici anni, Carluccio lavorava già come aiuto conducente di un carro trainato da cavalli e come garzone nelle consegne delle bottiglie di seltz, a Milano. Di frequentare le scuole neppure a parlarne, con gran dispiacere e disappunto del padre. Era un ignorante semi-analfabeta che arrivò solo alla terza elementare, ma va detto che colmò questa lacuna diplomandosi sotto le armi.

    Carluccio possedeva qualità e difetti dei figli di immigrati pugliesi, generazione sensibile alle lusinghe e alla cultura del nord, ma ben conscia di possedere quelle caratteristiche che il laborioso settentrione cercava. Aveva innata quella dote furbesca da commerciante che gli permetteva di avere sempre denaro in tasca per soddisfare i sui desideri e fu anche per questo che, dopo il servizio di leva come bersagliere, si arruolò volontario nella brigata camicie nere dove combatté con i lealisti di Franco, decisione che gli fruttò un bel gruzzolo. E furono proprio questi soldi che gli permisero di entrare nel commercio con la vendita ambulante di prodotti oleari e i vini provenienti dalla Puglia. Tra i suoi clienti annoverava anche le maestranze della fabbrica dove Graziella lavorava come operaia.

    La prima volta che la vide, Graziella indossava il grembiule dato in dotazione alle operaie e, lì per lì, gli sembrò sgraziata, senza forme, una ragazza non certo degna di nota. In seguito, però, fu sua sorella a presentargliela e da allora ne divenne un assiduo e tenace corteggiatore.

    L’attrazione che provava per quella ragazzina era un misto d’istinto sessuale e possessività primordiali: saperla vergine e indifesa lo rendeva ancor più sicuro e determinato a raggiungere il suo obiettivo. Nemmeno la frequentazione di alcune donne sposate e una quasi fidanzata impedirono un corteggiamento incessante e ostinato, fatto di romanticismi e scaltre parole. La ricercata eleganza con cui si presentava agli appuntamenti, accessoriato di ghette, gilet, cravatta

    Borsalino in testa, rafforzavano ancor di più la sua fama di conquistatore.

    LE NOZZE, LA GUERRA E IL BOMBARDAMENTO

    Ironia della sorte, il matrimonio fu celebrato il 1° Aprile 1939 e, come stabilito, i due novelli sposi si recarono a Roma in viaggio di nozze. Nei mesi successivi, l’armonia tornò nell’appartamento di via Grazioli: non più litigi ma allegria e spensieratezza e, quando fu certo l’arrivo di un bebè, la gioia di tutta la famiglia fu grande. Le premure e le attenzioni per la gestante e per il nascituro, che si decise avrebbe preso il nome del nonno che sfortunatamente venne a mancare proprio a settembre di quell’anno, riscattarono le iniziali sofferenze patite da Graziella.

    Nel Dicembre 1939 venne alla luce una bimba a cui fu dato il nome dello zio carabiniere e chiamata da tutti con il nomignolo Mina. Carluccio, che come molti uomini dell’epoca desiderava ardentemente un maschio come primogenito, ebbe una sorta di rifiuto nei riguardi della piccola, una delusione che non riuscì mai a superare nemmeno negli anni a venire. La nascita della primogenita e la militanza nelle camicie nere gli permisero di trasferire la famiglia in un appartamento al Giambellino, dove alcuni mesi dopo fu portata anche Mariarosa, la sorella minore di Graziella.

    Con l’entrata in guerra dell’Italia il 10 giugno 1940, Carluccio fu richiamato alle armi e combatté sui fronti dell’Albania e della Grecia, dove venne ferito alla testa. Finalmente, il 2 luglio 1941 arrivò il figlio maschio tanto atteso, chiamato da tutti col vezzeggiativo di Nino. Carluccio tornò in licenza per il battesimo, che avvenne con una grande festa voluta anche dal Conte Scotti e dalla sua consorte, che assunsero il ruolo di padrini religiosi del piccolo.

    La guerra intanto proseguiva e a Milano, già da mesi, le Fortezze volanti inglesi sganciavano tonnellate di bombe provocando distruzione e morte come quel giorno d’agosto del 1942…Come di consueto, Graziella aveva portato con sé la piccola Mina alla ricerca di cibo per nutrire la famiglia, oltre al terzogenito che portava in grembo da circa quattro mesi: con pazienza si accodarono alla lunga fila formata da altre madri di famiglia che, tessera annonaria alla mano, speravano di ricevere un piccolo aiuto alimentare. Quando le sirene presero a dare l’allarme aereo, Graziella indugiò. Era ormai giunto il suo turno e sicuramente avrebbe avuto il tempo di tornare a casa, prendere Nino che riposava nel lettone e raggiungere il rifugio antiaereo in pochi minuti. Mancavano pochi metri quando un sibilo seguito da un tremendo boato sconvolse il suo cuore: dinanzi a sé vide sgretolarsi in macerie e polvere l’edificio dove abitavano. Disperata, s’inerpicò sui cumuli di detriti, tra le fiamme e corpi inanimati, piangendo e urlando il nome del figlio. La bimba, impietrita e senza lacrime, seguiva immobile i movimenti della madre con lo sguardo terrorizzato.

    L’edificio sventrato mostrava la scala che conduceva al primo piano e l’interno della loro sala da pranzo che, a prima vista, sembrava intatta. Graziella si avvicinò e diede uno sguardo tutt’intorno: cercava e chiamava il suo piccolo, spostando mattoni e suppellettili come già altri stavano iniziando a fare per aiutarla. Un uomo, forse un vicino, urlò: «Venite, venite qui… presto, qui, qui…», indicando un pezzo di scala che faceva da ponte. Sotto c’era Nino, impolverato e disteso, che chiamava la sua mamma senza un lamento. Sembrava miracolosamente illeso, eccetto qualche graffio sulle braccia. Solo dopo aver raggiunto con difficoltà la casa della nonna e fattogli il bagno nella tinozza, si accorsero dell’ematoma sulla schiena ma nessuna delle donne presenti pensò di portarlo in ospedale per un controllo radiografico. Nei giorni seguenti il bimbo non si lamentò molto e quindi si pensò che con il tempo tutto sarebbe tornato alla normalità. Non c’era dubbio, trovare Nino ancora vivo sotto le macerie era stato un vero e proprio miracolo.

    SAN FERDINANDO DI PUGLIA

    Nel corso del 1943 le operazioni belliche andavano sempre più delineandosi in modo sfavorevole per le potenze dell’Asse. Dopo la ritirata delle forze italo-tedesche dalla Tunisia, gli alleati decisero di procedere all’occupazione dell’Italia. Diedero il via ad una massiccia e terrificante serie di bombardamenti sulle città italiane che ebbe il proprio culmine nel corso di quell’estate e inizialmente sembrò che la Puglia sarebbe stata risparmiata, ma la considerevole importanza strategica degli aeroporti militari presenti a Foggia fece cambiare i piani. Stranamente, a differenza di quanto accaduto in altre località del Sud Italia, nel corso di oltre due anni e mezzo di guerra, la città era stata risparmiata dalle incursioni aeree dei velivoli nemici, fatta eccezione per due modeste incursioni verificatesi nella notte dell’11 febbraio 1941, quando alcuni velivoli inglesi avevano mitragliato le stazioni ferroviarie di Rocchetta Sant’Antonio e San Severo, provocando solo pochi danni ad alcuni vagoni ferroviari.

    Questo stato di cose aveva erroneamente indotto moltissimi foggiani a credere che la città godesse di un particolare privilegio celeste da parte della sua protettrice, Maria SS. dei Sette.

    La mancanza di una casa dove vivere e i continui bombardamenti su Milano diedero a Graziella la forza per decidere di sfollare la famiglia in bassa Italia, a San Ferdinando, dove senza dubbio sarebbero stati più al sicuro. il viaggio in treno durò giorni a causa delle numerose fermate improvvise necessarie per sfuggire ai bombardamenti e alle mitragliate degli aerei in picchiata, che non davano tregua. Vicino a Pescara, durante un’incursione molto violenta contro il convoglio ferroviario, Graziella fu sopraffatta dal terrore e decise di fuggire con i figli dal treno per trovar riparo dalle scariche di proiettili. Lei correva portando le due valigie, mentre Mina teneva per mano il fratellino. Fu un attimo: il piccolo si svincolò e corse incontro agli aerei che si abbassavano. Un altro miracolo salvò Nino dalla pioggia di ferro che gli cadde tutt’intorno.

    Dopo varie peripezie, riuscirono finalmente a raggiungere il paese incolumi. San ferdinando era il tipico paesino del sud: le strade erano lastricate con pietre tondeggianti messe in posa a schiena d’asino per favorire il deflusso delle acque piovane, la maggior parte delle case era costruita con blocchi di tufo bianco e nessuna superava in altezza i due piani; agli usci erano appese tende variopinte realizzate con noccioli di olive o con piccoli cilindri di canne di bambù che tintinnavano a ogni alito di vento. Quasi tutte le abitazioni erano sprovviste di acqua corrente e di servizi igienici, mancanze che comportavano quotidianamente l’approvvigionamento idrico alle fontane pubbliche con secchi e otri portati a spalle e lo svuotamento all’alba dei pitali al passaggio della botte trainata da cavalli.

    La casa di Graziella non differiva dalle altre. Dalla strada, scendendo uno scalino, si accedeva al grande locale pavimentato con pietra levigata suddiviso in due parti: l’una adibita a soggiorno con tavolo, sedie e una credenza, l’altra fungente da camera da letto, in realtà separata dalla sala con una serie di tendaggi uniti fra loro a creare una cortina divisoria. A destra, il vano cucina a vista si affacciava tramite un secondo ingresso al ripostiglio adibito a ricovero del pollame o, per chi li possedesse, di asini o cavalli. Accanto al camino c’era il braciere d’ottone usato d’inverno per riscaldarsi nelle rare giornate di freddo. Lì accanto, sulla sinistra, una rampa di scale conduceva al soppalco in legno, sul cui pavimento erano disposti materassi e guanciali imbottiti con foglie di granoturco per la stagione estiva e con lana di pecora per quella invernale.

    Dal soffitto pendevano file di pomodori, aglio, peperoni, provole ed insaccati, mentre sulle mensole erano ben allineati i recipienti di terracotta smaltata in verde contenenti le conserve di frutta e verdura; sul pavimento gli orci dell’olio e le damigiane del vino completavano la dispensa alimentare. Alle pareti, quadri raffiguranti la Madonna del Rosario e il Sacro Cuore di Gesù.

    La decisione di abbandonare Milano per San Ferdinando alla ricerca di pace e serenità si rivelò, inaspettatamente, una scelta dolorosa. La povera Graziella dovette affrontare una guerra ben più subdola di quella da cui era fuggita: Rachele, la cognata, la sottoponeva costantemente ad angherie ed umiliazioni per colpa di una bramosa gelosia nei suoi confronti. Il legame che da sempre univa i due fratelli, Rachele e Carluccio, era fortissimo, un rapporto esclusivo e viscerale, che in più di un’occasione si manifestò in tutta la sua profondità, come il giorno in cui Carluccio avrebbe dovuto imbarcarsi a Brindisi diretto in Africa: si presentò in ritardo all’appello di adunata del battaglione a causa dei postumi della sbornia che aveva preso alla festa d’addio della notte precedente e per evitare al fratello severe punizioni militari, Rachele partì subito alla volta di Roma per incontrare il Duce. Al suo ritorno, con i documenti così ottenuti, liberò il fratello che fu subito spedito in Albania come artigliere. Si dedusse, e mai ella smentì, che condivise il letto di Mussolini per una notte.

    L’affetto familiare non era certo l’unica ragione delle frequenti visite che Rachele faceva alla famiglia sfollata e Graziella intuì che i motivi erano ben diversi. Sempre accompagnata da dei camerati, la donna giungeva a San Ferdinando da Trinitapoli, dove aveva un ufficio in prefettura e la residenza, per sorvegliare la cognata e riferirne i comportamenti al fratello. Dal fronte, le minacciose lettere di Carluccio imponevano alla moglie il veto di non partecipare alle feste danzanti cui, a suo dire, assiduamente presenziava divertendosi con altri giovani paesani e trascurando così i figli. Graziella rispondeva negando le diffamazioni, affermando che si trattava di episodi sporadici, per lo più feste frequentate solo da donne o madri con i loro figli.

    Nonostante il clima famigliare teso, le settimane trascorrevano in relativa tranquillità. Graziella, accompagnata da alcune amiche, si recava settimanalmente al mare a Margherita di Savoia, dove scoprì con orgoglio le capacità artistiche del figlio. Con l’argilla prelevata dai numerosi cumuli ben allineati accanto alle vasche naturali per la raccolta del sale, il piccolo plasmava perfette bamboline per la sorella e le amichette, oltre a soldatini con carri e cavalli per lui.

    Fu a maggio, in uno di quei giorni di mare, che dapprima udirono e poi rividero con terrore i portatori di morte volare nei cieli, diretti verso Foggia. La radicata devozione popolare che credeva nella protezione della Madonna dei Sette Veli nulla poté contro una formazione americana di 125 aerei B17 che in tre ondate effettuò un bombardamento di 45 minuti sull’aeroporto e sullo scalo ferroviario di Foggia. Dalle ore 12:45 le Fortezze Volanti americane sganciarono centinaia di bombe da 227 Kg provocando morte e distruzione. Dopo quell’incursione e fino all’8 settembre, giorno dell’armistizio, nel foggiano nessuno ebbe più paura di altre incursioni dal cielo, mentre nel vicino territorio barese l’aviazione tedesca sganciò centinaia di bombe colpendo il porto e la città. Una settimana dopo quella fatidica incursione nacque, Rosalba, terzogenita della coppia e futura cocca di papà.

    La resistenza civile contro il nazi-fascismo richiamò ai ranghi le camicie nere e Carluccio, seppure inquadrato nell’esercito regolare come artigliere, fu costretto a unirsi ai camerati del nord. Tentò invano di defilarsi e solo dopo mesi di peripezie, lunghi viaggi e spostamenti con mezzi di fortuna, rischiando di essere ucciso più volte, tornò finalmente a San Ferdinando. La guerra lo aveva reso ancor più irascibile e geloso e aveva inasprito la sua violenza innata. Il suo comportamento imprevedibile si rifletteva nell’incertezza della quotidianità familiare, alternando giorni tranquilli scanditi da momenti e gesti affettuosi verso i figli e la moglie, ad altri vissuti dalla famiglia nella paura generale, temendo che potesse sfogare la sua ira con botte inflitte a Graziella e più raramente alla figlia maggiore.

    Nell’inverno del 1945 la guerra stava per terminare ma nella casa regnava ancora un’atmosfera densa di paure e violenza, umori che sfociavano spesso in pestaggi a Graziella che doveva essere condotta dal medico per medicamenti e suture. Accadde anche che, durante una lite, ricevette un calcio al basso ventre che le provocò un’emorragia. Ricoverata in ospedale, i medici asserirono che la copiosa perdita ematica, nella sua tragicità era da considerarsi un fortunoso episodio poiché poterono diagnosticarle un fibroma uterino. Fu una diagnosi errata. Dopo aver praticato l’incisione addominale si accorsero che era incinta, Graziella aveva in grembo il suo quarto figlio.

    A maggio nacque Giacomo, ultimogenito della coppia, ma Carluccio manifestò da subito dubbi circa la reale paternità del neonato. Un tarlo si era insinuato nella sua mente: era convinto che durante le sue assenze Graziella avesse instaurato una relazione con un suo giovane cugino, una scusante in più per dar sfogo alle liti e alle violenze divenute ormai quotidiane.

    Nel frattempo, per provvedere al sostentamento della famiglia, Carluccio aveva avviato un commercio di vino e olio Pugliesi, merce che poi rivendeva anche alla borsa nera. Capitava così che si assentasse anche per giorni interi, lasciando in apprensione la moglie che sapeva di persone fucilate per essere state colte a praticare il

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