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Vi dichiaro divorziati: Storie di cuori spezzati
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E-book197 pagine2 ore

Vi dichiaro divorziati: Storie di cuori spezzati

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Info su questo ebook

L’analisi spietata e a volte ironica di uno dei più noti matrimonialisti italiani, che, con un linguaggio diretto ed efficace, plaude alle riforme degli ultimi anni ma auspica un profondo cambiamento del sistema. Quella di oggi è una società complessa e variegata che non può essere ignorata dalla legge, al cui interno qualunque tipo di famiglia ha diritto di esistere e di essere tutelata. Anche nella fase patologica, la famiglia deve essere posta al centro dell’attenzione. Vi è ancora troppa violenza nelle relazioni familiari, troppe nuove povertà, troppi figli contesi come se fossero oggetti di proprietà. Molte cose sono cambiate negli ultimi anni a livello normativo, ma la svolta, quella vera, deve ancora arrivare.
LinguaItaliano
EditoreDiarkos
Data di uscita2 nov 2020
ISBN9788836160587
Vi dichiaro divorziati: Storie di cuori spezzati

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    Anteprima del libro

    Vi dichiaro divorziati - Gian Ettore Gassani

    Prefazione

    di Maurizio De Giovanni

    A volte mi arrampico sulla collina per guardare la città.

    Lo faccio di sera, quando il mare e la montagna con la sua linea sinuosa e tutto quell’azzurro non possono distrarmi. Non di notte, quando le finestre si spengono trattenendo tutte le storie. Lo faccio per chiedermi concretamente, lasciando scorrere sotto i miei occhi quell’abisso di luci e di corse, di fari e di lampioni, di negozi e di clacson, quali frammenti di passioni io stia inconsapevolmente osservando; e quanti sentimenti stiano nascendo o morendo, e quante passioni di segno opposto si stiano confrontando proprio in quell’istante davanti a me.

    Per affacciarmi sulle storie mi devo allontanare: da vicino tendono a scomparire dietro il paravento delle convenienze, delle forme, della privacy e della buona educazione. E diventano vacui sorrisi e monosillabi, fronti aggrottate e frenetiche, riservate digitazioni, frammentandosi in mille pezzi, nessuno dei quali lascia ricostruire quello che realmente accade.

    Qualcuno ha detto, e sono d’accordo, che gli italiani finiscono sempre per raccontare la famiglia, qualsiasi sia l’argomento dal quale partono. È come se la mente e il cuore si ritrovassero sempre nello stesso luogo, dopo aver percorso differenti tragitti. Come l’identità per gli ebrei, o la salvezza del mondo per gli americani, o l’individuo per i nordeuropei. La famiglia: il posto che si nasconde dietro le luci ammiccanti che vedo dalla collina.

    Siamo abituati a connettere a questa parola la sensazione di calore, il ricordo dell’affetto. La famiglia produce e ospita l’amore, è dove vogliamo tornare in fretta quando fuori piove e fa freddo, all’interno delle anime. Ma è anche il posto dove viene generata la più orribile delle sofferenze, che è proprio la fine dell’amore.

    Non c’è fuga se finisce l’amore. Non c’è dove nascondersi, non esiste un modo per dimenticare. Fioriscono, sullo stesso prato nel quale ci rifugiavamo con la mente di fronte alle avversità, elementi come il risentimento, l’odio, la frustrazione. Assai raramente una storia d’amore finisce contemporaneamente per entrambi: per uno dei due è difficile ammettere che il sogno che l’unione durasse per tutta la vita è morto e sepolto.

    Siamo cambiati. Una volta si rimaneva legati per sempre, anche se il sentimento cambiava e diventava l’opposto di se stesso, anche se l’unione restava in piedi solo per convenzione o per opportunità. Ora siamo meno disponibili a resistere alle tentazioni o a sopportare prevaricazioni e silenzi. L’istituto del matrimonio, la pretesa indissolubilità imposta da retaggi religiosi e morali, deve fare i conti con tempi profondamente diversi da quelli in cui è nato ed è stato coltivato.

    Guardando la città dalla collina, di sera, viene da chiedersi quali tragedie e solitudini stiano maturando dietro quelle finestre. E viene da pensare ai luoghi in cui questi malesseri troveranno sbocco.

    Le pagine che avete tra le mani aprono la porta di questi luoghi. Vi troverete ad affacciarvi sulla selva legale, ma anche affettiva, sessuale ed etica, nella quale si addentra – spesso inconsapevole di quanta e quale strada dovrà percorrere – chi deve porre fine all’unione nella quale credeva fortemente quando l’ha posta in essere. Vi ritroverete a riflettere su quanto certi atti si ripercuotano sugli innocenti, e su come un figlio diventi un devastato campo di battaglia sul quale si riversano le rabbie e le violenze di cuori spezzati. Vi renderete conto di quanto male possa fare l’egoismo, e quanto più lontano dell’amore possa arrivare un odio del quale non ci si credeva capaci.

    Osserverete tutto questo in una chiave nuova, quella che non ci si aspetta da chi svolge la professione di avvocato della famiglia. Un approccio concreto, una narrazione livida e avvincente, a tratti cinicamente divertita e sempre accorata e partecipe; a sfatare quell’idea di distanza e freddezza che, profanamente, si tende ad attribuire a chi deve fare da sacerdote laico alla triste cerimonia della separazione.

    Conoscerete da vicino, attraverso l’appassionato racconto di Gian Ettore Gassani, storie di manipolazioni, di furbizie, di vendette e di perfidie; ma anche di dolori, di rimpianti, di gioie e di felicità rincorse e raggiunte.

    Vi troverete davanti vicende di diritti negati, di innocenze punite, di alienazioni e di allontanamenti.

    Questo, sapete, è un saggio da leggere come un romanzo. Pagine delle quali il lettore, col cuore in gola, capirà di essere il protagonista o di poterlo comunque diventare, da un momento all’altro. Storie da non poter tenere a distanza, perché sono quelle che brillano nelle finestre che si vedono dalla collina. Storie che si dovranno vivere, o che si sono già vissute. Storie che ci crescono attorno e che non si potrà fingere di non conoscere. Storie nostre. Storie che si accendono e si spengono. Senza pietà. Senza ritorno.

    Introduzione

    Caro lettore, scrivo tanti testi tecnici, manuali in diritto di famiglia, codici. Vivo la mia vita di giurista e presidente di una grande Associazion e Forense immerso tra i problemi di cuori spezzati e amori che sono arrivati in Tribunale.

    Da qualche lustro ho pensato di raccontare le vicende di cui mi occupo attraverso l’enorme sforzo di tradurre l’avvocatese in italiano.

    Amo questo genere di saggi che mi hanno regalato soddisfazioni inaspettate.

    Da sempre nutro il progetto ambizioso di rivolgermi alla gente, con un linguaggio semplice, asciutto, sintetico, diretto. Perché il diritto di famiglia appartiene a tutti.

    È una materia difficile, la più affascinante e scivolosa di tutte, che va raccontata nel modo giusto.

    Non c’è impresa più ardua che comunicare in modo essenziale e senza tanti giri di parole.

    Molto più facile è scrivere testi tecnici per i quali occorre soltanto sfoderare una mera cultura giuridica.

    In questo libro leggerete storie di vita che sono entrate nel mio studio, drammi, violenze, vicende senza via di uscita, anche grazie ai racconti straordinari di Maurizio de Giovanni, Gianluca Nicoletti, Carolina Tana e Giorgio Ceccarelli che narrano le loro storie personali.

    Ho scelto di raccontare le storie più significative che potranno indurre Te, caro lettore, a momenti di riflessione sulle malattie dell’amore e della famiglia.

    Ho ripreso in archivio gli appunti che avevo annotato durante il racconto di queste persone. È stato per me un enorme sforzo di memoria riuscire a raccontare i dialoghi e le sensazioni di questi incontri che si sono consumati nel mio confessionale di avvocato.

    Per motivi di riservatezza, salvo eccezioni, non ho rivelato i nomi dei protagonisti, oppure ho scelto nomi di fantasia.

    Da questo saggio romanzato, da questo mio ibrido letterario emergerà quanto sia difficile gestire il dolore. Perché gestire il dolore è molto più faticoso che gestire il processo. È un lavoro sovrumano che pochi conoscono e riconoscono nel modo giusto, anche dal punto di vista sociale. L’avvocato è il sale della giustizia, è colui che si carica addosso i problemi del cittadino contro lo strapotere dello Stato.

    Vorrei che, da questa fatica, emergesse l’affascinante figura dell’avvocato con le proprie fragilità, i dubbi, la propria solitudine, la propria libertà di pensiero, la propria autonomia strategica, la propria fatica e, soprattutto, la propria umanità.

    Se ci fosse la possibilità di scoprire le chat segrete degli italiani su WhatsApp, in pochi minuti si consumerebbe una tragedia nazionale, paragonabile a una vera e propria guerra civile di traditi contro traditori.

    Verrebbe a galla una realtà a luci rosse, foto hard, poesie d’amore, segreti piccanti. E corna da Bolzano a Trapani.

    Potremmo scoprire la signora del piano di sopra, tutta casa e chiesa, che ha inoltrato ai suoi interlocutori virtuali (e reali) il proprio book fotografico con un improbabile perizoma e forse senza nemmeno quello. Si prenderebbe in castagna qualche bigotto moralista a parole, che marcia per il family day, ma che nella sua ipocrita esistenza ci prova con qualsiasi donna, a patto che respiri o che sia ancora calda. Ricordate il film Perfetti sconosciuti? Ecco.

    Non pensiate che si tratterebbe di scoperchiare i segreti di adolescenti impenitenti: non è affatto così. I veri schiavi dei social network sono ormai gli over 40, fino ad arrivare ai centenari.

    Se qualcuno di questi WhatsApper dovesse essere beccato dal partner con le mani nella marmellata, il rischio di finire in ospedale o in tribunale è tutt’altro che ipotetico.

    Ormai almeno la metà delle infedeltà di coppia è tecnologicamente assistita. Uomini e donne in chat si comportano allo stesso modo, non c’è più alcuna differenza tra i sessi: si è tutti cacciatori e prede, senza distinzioni, si è tutti e tutte affamati di avventure. Sui social è tutto più facile mostrare la propria sindrome di Peter Pan. Dietro una tastiera spariscono le inibizioni.

    Anche Facebook, cugino di WhatsApp, miete le sue vittime, ma di social network che hanno la medesima funzione cornificatrice, ormai ce ne sono parecchi, basta scegliere.

    Nella nostra epoca, dunque, c’è tantissima gente eccitata che spende la propria esistenza alla ricerca in rete di amori e storie di sesso, oppure di banali conferme narcisistiche. Per molti vivere la virtualità è diventata una malattia con disastrose conseguenze nel lavoro e nei rapporti umani. Almeno un terzo del proprio tempo la gente lo brucia a scrivere e rispondere in chat, a cercare l’anima gemella, a trovare il modo di guadagnare qualche like su facebook.

    Gli psicologi e gli psichiatri, da qualche anno, sono al lavoro per questi nuovi drogati degli amori in chat. C’è gente che scrive di sé una vita del tutto inventata.

    Essere sposati, in questo mondo virtuale, è solo un dettaglio. Ciò che attizza al cacciatore/trice è proprio la fede al dito della preda di turno e l’invincibile gusto del proibito.

    Questa è la fotografia della situazione attuale italiana (e mondiale) con tutti i risvolti giudiziari che ne conseguono, che gli avvocati divorzisti e i tribunali conoscono molto bene.

    Noi avvocati siamo i primi a monitorare i profondi cambiamenti di costume del nostro tempo. Siamo noi che raccogliamo confessioni, racconti e copie di chat. Ne vediamo e leggiamo di tutti i colori. Nulla può più meravigliarci. Anzi alcune vicende che ci capitano davanti superano l’immaginazione.

    Le corna sono sempre esistite. Ma allo stato attuale sono più facili, più agevolate, più incentivate e molto più frequenti.

    Quindi, a conti fatti, i tradimenti sono raddoppiati negli ultimi due decenni perché tradire un coniuge o un compagno, oggi, non crea nemmeno imbarazzo o vergogna. Le occasioni fanno l’uomo e la donna traditori: «Fedeli sono coloro cui manca l’occasione di non esserlo» diceva Alessandro Morandotti. Questa ondata di corna, anche nelle coppie omosessuali, spiega l’impennata del numero di separazioni e divorzi, nonché di fidanzamenti che si sfasciano alla vigilia del matrimonio.

    Si perché nulla fa incazzare di più che scoprire di essere becchi.

    Restare insieme per sempre, nel tempo che viviamo, è impresa ardua. Le tentazioni e le offerte sessuali sono infinite come le vie del Signore. Non c’è più la crisi del settimo anno, oggi si può divorziare anche dopo mezzo secolo di matrimonio.

    Basti pensare che il 20 per cento di quanti chiedono la separazione o il divorzio sono over 65 i quali, interrogati sul perché della decisione di separarsi, rispondono di volersi rifare una vita o di voler provare nuove emozioni. Ci sono ottantenni, per lo più uomini imbottiti di soldi e di farmaci della virilità, che progettano la rottamazione della moglie per correre dietro a qualche giovanissima spregiudicata a caccia di soldi facili o di scalate sociali.

    Questi illusi crederanno di aver fatto la grande conquista, fino al momento in cui scopriranno che il loro conto in banca è stato prosciugato dalla truffatrice sentimentale che li ha fregati.

    Ricordo il caso di un signore di novant’anni, con aria da nobile, facoltoso ex professionista, che si rivolse a me per divorziare.

    Al primo incontro costui, dopo essere andato in bagno due volte senza fare centro nella tazza del water, mi disse in modo deciso: «Avvocato, ho fiducia in lei, la seguo spesso in tv, mi deve aiutare. Voglio divorziare da mia moglie. Devo rimettermi in gioco».

    Quando constatai la data di nascita sulla fotocopia della sua carta di identità, mi feci forza per non scoppiare a ridergli in faccia. Temetti di essere vittima di Scherzi a parte e che quest’uomo avesse addosso una mini telecamera nascosta. Impiegai un buon quarto d’ora di serrato colloquio prima di avere la certezza che l’arzillo novantenne parlasse sul serio. Avevo letto le sue carte. Era separato dalla moglie da vent’anni. Ormai il divorzio, di fatto, lo aveva ottenuto da un pezzo. Non vedeva infatti la consorte da tantissimo tempo e viveva agiatamente alle porte di Roma in una villa lussuosa a due piani con piscina, assistito da una badante romena. Non si era fatto mancare niente da quando si era separato, tra crociere e viaggetti vari. Se ne fregava degli acciacchi e della sua veneranda età.

    Dal suo racconto, emergeva che l’anziano non fosse soddisfatto della sua vita. Gli mancava ancora qualcosa. Gli era venuto in mente di sciogliere a tutti i costi il matrimonio per sentirsi finalmente libero. Libero da che, poi? E per fare cosa? Con una certa titubanza accettai l’insolito mandato difensivo davanti alla comprensibile incredulità delle mie colleghe di studio. Ricevuto il mandato, mi misi al lavoro.

    Inviai una raccomandata alla sua signora, usando tutta la delicatezza del mondo, e rappresentando la volontà del marito di divorziare. Cinque scarne righe in tutto.

    Questa missiva non ebbe risposta. L’anziana signora probabilmente aveva pensato a uno scherzo o all’arteriosclerosi avanzata del marito. Compresi pertanto questo suo silenzio. Dovetti allora inviarne un’altra, dopo due settimane, dopo le pressanti insistenze del mio cliente che mi aveva chiamato decine di volte per sapere se ci fossero novità.

    «Gentile signora, faccio seguito alla mia precedente missiva, rimasta priva di riscontro, per comunicarLe la volontà di suo marito di procedere a un divorzio congiunto. La invito a mettersi in contatto con il mio studio, preferibilmente a mezzo di un suo patrono di fiducia, per discutere delle clausole dell’accordo di divorzio, entro e non oltre giorni sette dalla ricezione della presente. In mancanza dovrò procedere, mio malgrado, in via giudiziale. Voglia nel contempo gradire i miei migliori saluti».

    Pensai che la donna non avrebbe risposto nemmeno questa volta. Invece mi pervenne, dopo qualche giorno, una lettera scritta dalla sua mano incerta che aveva prodotto una romantica grafia di altri tempi.

    «Egregio signor avvocato, alla fine della mia vita (ho ottantasette anni, due figli probabilmente più anziani di lei e otto nipoti) tutto mi sarei aspettata tranne che ricevere una richiesta come quella di mio marito. Ma in che mondo viviamo? Mio marito crede di continuare a fare il galletto a più di novant’anni? Per caso vorrebbe togliermi l’assegno di mantenimento e la nostra casa? Lui è un uomo ricco, deve aiutarmi ancora, fino alla fine. Sono sempre stata una brava moglie. Fu lui ad andarsene da casa perché diceva che di essere stanco del matrimonio. Gli avevo dedicato la mia vita. Capisce adesso chi è il suo cliente? Ho parlato con i nostri figli, che sono profondamente amareggiati per questa iniziativa del padre. Accetto comunque il divorzio a condizione che ciò che mi era stato garantito nella separazione venga

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