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Macchiette
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Macchiette
E-book197 pagine2 ore

Macchiette

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Info su questo ebook

Udite, udite, amanti di Pinocchio! Checché ne dicano, Carlo Lorenzini – in arte Collodi – ha scritto anche molto altro, al di là del fortunatissimo libro che ha per protagonista il burattino con il vizio delle bugie…
"Macchiette" è, insieme ad altre sue opere briose e pungenti, uno dei testi più felici mai scritti dal polemico giornalista toscano. Pubblicato originariamente nel 1880, esso raccoglie sei racconti lunghi incentrati su altrettante situazioni di grottesca ipocrisia, svelando vizi e lazzi di un mondo borghese forse un po' troppo bacchettone. Dal giovane, ricco e di buona famiglia, che cade in una cupa depressione a causa del proprio nome eccessivamente altisonante, al seduttore che cerca la repulsione delle donne (scorgendovi un'implicita attrazione), passando per donne frivole che si fanno fregare per un paio di stivali e scrocconi che importunano coppie gelose: ciascuna di queste novelle vi conquisterà per lo spirito boccaccesco e l'umorismo esplosivo!
LinguaItaliano
Data di uscita28 mar 2024
ISBN9788728429327
Macchiette
Autore

Carlo Collodi

Carlo Collodi (1826–1890), born Carlo Lorenzini, was an Italian author who originally studied theology before embarking on a writing career. He started as a journalist contributing to both local and national periodicals. He produced reviews as well as satirical pieces influenced by contemporary political and cultural events. After many years, Collodi, looking for a change of pace, shifted to children’s literature. It was an inspired choice that led to the creation of his most famous work—The Adventures of Pinocchio..

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    Anteprima del libro

    Macchiette - Carlo Collodi

    Macchiette

    Immagine di copertina: Shutterstock

    Copyright © 2024 SAGA Egmont

    All rights reserved

    ISBN: 9788728429327

    1st ebook edition

    Format: EPUB 3.0

    No part of this publication may be reproduced, stored in a retrieval system, or transmitted, in any form or by any means without the prior written permission of the publisher, nor, be otherwise circulated in any form of binding or cover other than in which it is published and without a similar condition being imposed on the subsequent purchaser.

    www.sagaegmont.com

    Saga is a subsidiary of Egmont. Egmont is Denmark’s largest media company and fully owned by the Egmont Foundation, which donates almost 13,4 million euros annually to children in difficult circumstances.

    STORIA DI QUESTO VOLUME

    V e la racconto in poche parole.

    Erano un centinaio di foglietti, tutti sparpagliati qua e là, come se il vento ci si fosse baloccato.

    Un bel giorno, tanto per non star li colle mani in mano, mi saltò l’estro di raccoglierli, di numerarli e di cucirli insieme.

    Quando li ebbi cuciti, m’accorsi che avevo fatto un libro.

    Moltissimi libri, in giornata, si fanno così: vale a dire, si pigliano dei fogli scritti, stampati o scarabocchiati pur che sia, si numerano uno dopo l’altro come vengono vengono, e se non vogliono stare uniti e d’accordo fra loro, allora si piglia un filo di refe e si cuciono insieme. E il libro è fatto.

    Quel modestissimo filo di refe, vedendolo così a occhio, parrebbe quasi un accessorio da nulla: eppure quel filo di refe, in parecchi libri, è il vero nesso logico che serve a legare i primi capitoli cogli ultimi e a mantenere intera l’unità di concetto dal frontespizio alla fine.

    Questa storia è breve, ma chiara, specie per chi sa leggere.

    UN NOME PROSAICO

    UN NOME PROSAICO

    I

    I o l’ho conosciuto come conosco voi.

    Era un caro giovinetto, su i diciassette anni, dai capelli biondi come l’oro e dalla pelle delicata e quasi trasparente, come la foglia della camelia.

    Al solo vederlo, ti tornavano alla memoria quei graziosi paggi della Corte di Francia, che avevano la cipria su i capelli, il fiocco di raso alle scarpe e la romanza d’amore sulle labbra.

    Figlio unico di ricchi ma onesti genitori, era entrato nella nostra valle di lacrime per un sentiero tutto rallegrato di luce, di sorrisi e di fiori.

    I pedagoghi e i maestri di scuola, queste macchie nere e malinconiche che rattristano l’orizzonte sereno della prima fanciullezza, non avevano mai turbato la giocondità della sua vita nè col cipiglio burbanzoso della minaccia, nè con quelle pantomime sgarbate e violente che, dai pagliacci delle compagnie equestri, passarono a poco a poco a far parte della classica istruzione elementare.

    A dieci anni sapeva leggere e scrivere quasi correntemente: a sedici sonava il pianoforte, un poco più di un dilettante, e un po’meno del canonico Listz.

    La musica era la sua gran passione, s’intende la musica mossa, vivace, allegra.

    I notturni, le melodie, le romanze e le fantasie sentimentali lo annoiavano e lo mettevano di mal’umore, come la vista di un panno abbrunato, come l’aspetto di una stanza umida e senza luce.

    Fortunato giovinetto!

    La natura e il cielo gli sorridevano a gara d’intorno: ed egli, con gentile ricambio, sorrideva amorosamente al cielo e alla natura.

    II

    Q uando una sera… (non mi uscirà mai dalla mente: era di venerdì: mese di febbraio: 24 del mese: tre date fatali!..) volle quasi per forza che lo presentassi in casa del cavaliere Ypsilon Della-Zeta.

    Quella sera in casa del cavaliere, per dirla come dicono gl’italiani quando vogliono far capire che hanno studiato il francese, si faceva della musica.

    Il cavaliere aveva una figlia.

    Si chiamava Fatima: diciott’anni, capello corvino, occhi di fuoco e due sopracciglia lunghissime e profilate, come se fossero disegnate colla matita di Faber dalla mano di un grande artista.

    — Anche voi, — disse la figlia del cavaliere volgendosi con grazia al nuovo presentato, — anche voi vi dilettate di musica, non è vero?

    — Così, per passatempo.

    — Ho qui la sinfonia dei Normanni a Parigi, ridotta per pianoforte a quattro mani. Volete che la soniamo insieme?

    — Impossibile!… resterei a mezzo.

    — Proviamoci.

    — Vi prego, signorina…

    — Su via, siate buono! Rammentatevi che il proverbio dice che tutte le belle si fanno pregare: » non fate che si debba dire altrettanto dei belli!…

    E la fanciulla accompagnò queste parole con uno di quei sorrisi ineffabili, che hanno la virtù di sospendere un uomo a mezz’aria, fra il cielo e la terra.

    Riavutosi dalla sua visione, il mio simpatico amico si trovò seduto al pianoforte, accanto alla bella Fatima, e colla sinfonia dei Normanni squadernata dinanzi agli occhi.

    La sinfonia cominciò.

    Fin dalle prime battute, il cuore del giovine pianista era in preda a uno strano sussulto. I suoi occhi abbarbagliati da una specie di vertigine vedevano le note staccarsi dal libro e corrersi dietro, le une alle altre, scherzando, roteando, mulinando e mescolandosi insieme fra loro, come un brulichio di moscerini lungo una striscia di sole.

    I fiati tepidi e leggermente concitati della sua graziosa compagna, carezzandogli di tanto in tanto il viso e le papille del naso, gli mandavano il cervello in visibilio e lo inebriavano di amore e di voluttà, come i profumi di un aroma preparato nelle officine misteriose di Pafo o di Citera.

    Ahimè, quanti poveri giovani piangono amaramente sulle tristi conseguenze di una sonata a quattro mani!

    III

    - V i faccio i miei complimenti, gli disse la figlia del cavaliere, appena finita la sinfonia — voi siete un gran pianista…

    — Non me n’ero mai accorto.

    — Quanto tempo è che studiate?

    — Non lo so davvero; — replicò l’altro sorridendo; — bisognerebbe domandarlo ai miei vicinanti di casa: sono forse i soli che ne abbiano preso ricordo.

    La conversazione durò qualche altro minuto su questo tono: ma fu sempre una di quelle conversazioni leggiere, spezzate e inconcludenti, che a due persone di sesso diverso servono unicamente di pretesto per avere il tempo di esaminarsi scambievolmente dalla punta dei capelli fino alla punta dei piedi.

    — E il vostro nome? — domandò a un tratto Fatima, mostrando una vivissima simpatia per il suo interlocutore.

    — Govelli!

    — Questo lo so: ma io vi domando il vostro nome di battesimo.

    — Prosdocimo!

    A sentir quel nome, la figlia del cavaliere dette in una gran risata, e rise con quella smodata intemperanza, colla quale ridono in generale tutte le donne, quando sanno di poter mostrare trentadue denti di sfavillante bianchezza.

    Il mio ingenuo amico, non potendo indovinare il motivo di tanta ilarità, rimase di stucco.

    — Animo via! — riprese Fatima — mettete da parte gli scherzi e ditemi davvero qual’è il vostro nome.

    — Mi pare di avervelo detto.

    — Allora vedo bene che non me lo volete dire.

    — Vi ripeto che mi chiamo Prosdocimo.

    — Ma che cosa v’andate prosdocimando? Com’è possibile, che un giovine così gentile, così educato e di buona famiglia, come voi, si chiami con quel nomaccio prosaico di Prosdocimo? Questa è una burla…

    — Sarà una burla!… — balbettò l’altro confuso e mortificato…

    — Davvero — continuò Fatima, pigliando quel fare spensierato delle persone che parlano in buona fede; — davvero, come sono disgraziati quei poveri diavoli, ai quali toccano dei nomi ridicoli e prosaici, come, per esempio, sarebbe quello di Taddeo, di Sempronio, di Gesualdo e quello di Prosdocimo,… non vi pare?

    Il mio povero amico, invece di rispondere, girava gli occhi smarriti in qua e in là, e non sapeva più dove mettersi le mani.

    Ma la fantastica fanciulla, senza badarvi nè tanto nè quanto, proseguiva sullo stesso tono:

    — Vedete! per me un nome brutto o ridicolo è quasi peggio di un difetto fisico. Io la penso così.

    — Distinguo…

    — C’è poco da distinguere. Se lo domandate a me, un uomo, per esempio, che si chiamasse davvero Prosdocimo, dovrebbe nascondere il proprio nome collo stesso zelo, col quale nasconderebbe una spalla più sporgente o una gamba più corta.

    — Questa è curiosa!… — disse il giovinetto, facendo forza a sè stesso e ridendo di quel riso che non si cuoce. — Dunque!… e se io mi chiamassi davvero Prosdocimo?

    — Sareste un disgraziato e vi compiangerei: vi compiangerei proprio di cuore! perchè un uomo che si chiama così, mi pare che non abbia nemmeno il diritto di innamorarsi e di voler bene a una donna.

    — Ma perchè?…

    — Perchè? Siamo giusti: come volete che una donna possa dirgli sul serio e senza ridere: Mio caroProsdocimo? E dato il caso che egli fosse lontano e la sua amante avesse da scrivergli, non ve lo figurate quanto dovrebbe soffrire quella povera ragazza a cominciare la sua lettera con un: Adorato Prosdocimo? Io so che se mi fosse toccato il nome, per esempio, di Brigida, di Taddea o di Gesualda…

    — Che cosa avreste fatto?

    — Mi sarei fatta monaca, per disperazione.

    — E un disgraziato che si chiamasse Taddeo, o… Prosdocimo… che cosa dovrebbe fare, secondo voi?

    — Dovrebbe farsi frate.

    E nel dir così Fatima continuava a ridere, senza avvedersi delle orribili pene che cagionava al suo giovine interlocutore.

    — Dunque — gli domandò di nuovo con fanciullesca insistenza — il vostro vero nome me lo volete dire, sì o no?

    — Ve l’ho già detto.

    — Ah! signor Govelli! lo scherzo diventa un po’lungo. Ebbene, se non volete dirmelo voi, lo domanderò a qualcuno de’vostri amici.

    E alzandosi quasi indispettita, andò a sedersi in un altro punto della sala.

    IV

    L’ infelice giovinetto colse il frattempo e abbandonò quasi di sotterfugio la casa del cavaliere.

    Giunto appena in mezzo alla strada, cominciò a discorrere fra sè e sè, a voce alta, come fanno tutti quelli che sono agitati da qualche forte turbamento di spirito.

    — Non capisco! — diceva allungando il passo e gesticolando, — sarà un nome prosaico… il mio;… ma non mi pare che ci fosse bisogno di ridermi in faccia!… Tutti finora mi hanno chiamato così… e nessuno ha fatto mai tante smorfie per questo nome di Pros… Perchè dunque quella risata sul viso?… Si chiamava così anche il mio nonno, buon’anima… eppure era un uomo che aveva molti quattrini… e mi ha lasciato un bel patrimonio,… e quand’era vivo, sebbene si chiamasse Prosdocimo, lo fecero anche Esattore delle tasse,… e i contribuenti, quando andavano da lui, non mi ricordo di averli mai veduti ridere… Perchè, allora, ridere di me?… e in quel modo?… e in presenza a tutta la conversazione? Po’poi, che cosa c’è di male in questo nome di Pros…? È forse una bestemmia? una parola scorretta? Se la signorina vuole i nomi poetici, se li prenda,… e se il mio non le piace… guà, lo sputi! Me lo sono scelto forse da me? L’ho voluto io?… È un nome che mi hanno dato quand’ero piccino, e io non ci ho colpa!…

    A un tratto si soffermò; e come se gli fosse balenato alla mente una bella cosa, disse con aria di trionfo:

    — Un momento! un momentino!… Ora che ci ripenso bene, il mio nome non dev’essere poi tanto il diavolo, perchè mi ricordo di averlo trovato in un romanzo, sissignori, precisamente in un romanzo che devo avere a casa. Un Pros… in quel romanzo, c’è di certo. Dunque, dico io, se il romanziere lo ha scelto per metterlo a uno de’suoi personaggi, è segno che non è poi un nomaccio tanto buffo da far ridere la gente.

    E il monologo sarebbe durato anche di più, se il giovanetto, quasi senza avvedersene, non si fosse trovato dinanzi alla porta di casa.

    Bussò.

    La porta si aprì e un vecchio servitore, presentandosi col lume in mano, disse al padroncino:

    — Buona sera, signor Prosdocimo.

    — Prosdocimo, un corno!… — rispose l’altro con bizza; — quando si vuol salutare qualcuno, basta dirgli buon giorno e buona sera… e non c’è bisogno di perdersi in tante lungaggini. Lo so che mi chiamo Prosdocimo, lo so! lo so! lo so!

    A questa mossa inaspettata il vecchio servitore, tirandosi le spalle in capo, fece un atto come dire: «O è ammattito… o ha veduto il fondo al bicchiere!»

    V

    A ppena Prosdocimo fu in camera, si dette subito a frugare all’impazzata fra i suoi libri; e trovato il romanzo che cercava, cominciò a sfogliarlo con una furia indiavolata:

    — Oh! ci dev’essere — diceva scorrendo coll’occhio le pagine — Un Pros… c’è di certo… ne sono sicuro,… e quando l’avrò trovato, porterò subito il romanzo a quella smorfiosa della signora Fatima… Oh! eccolo qui! eccolo qui per l’appunto; se Dio vuole, l’ho trovato!..

    E la sua allegrezza fu tale e tanta, da potersi paragonare a quella di Archimede, quando, gridando eureka, saltò fuori dalla tinozza dove faceva il bagno e si dette a correre per le vie di Siracusa, senza ricordarsi della camicia.

    — Eccolo qui! — ripetè per la terza volta, piantandoci sopra l’indice, quasi per paura che quel nome gli scappasse via. — Dice proprio Prosdocimo! e se il romanziere l’ha scelto, è segno, cara signora Fatima, che non è poi quel nomaccio così prosaico… Venga qui, signorina… Senta questo periodo,… glielo voglio leggere io… «L’infelice Maria, trovandosi a quell’ora tarda in una delle strade più

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