Guerra in tempo di bagni
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Anteprima del libro
Guerra in tempo di bagni - Luigi Arnaldo Vassallo
Guerra in tempo di bagni
Copyright © 1896, 2022 SAGA Egmont
All rights reserved
ISBN: 9788728311769
1st ebook edition
Format: EPUB 3.0
No part of this publication may be reproduced, stored in a retrievial system, or transmitted, in any form or by any means without the prior written permission of the publisher, nor, be otherwise circulated in any form of binding or cover other than in which it is published and without a similar condition being imposed on the subsequent purchaser.
This work is republished as a historical document. It contains contemporary use of language.
www.sagaegmont.com
Saga is a subsidiary of Egmont. Egmont is Denmark’s largest media company and fully owned by the Egmont Foundation, which donates almost 13,4 million euros annually to children in difficult circumstances.
I.
Nel quale già si vede un amore infelice.
— Ma quest’omnibus è tornato, sì o no?
— Non ancora, signor conte.
— Pure, il diretto dovrebb’essere già arrivato da mezz’ora!
— Lei sa bene che un treno in orario ha sempre mezz’ora di ritardo, tanto più se è un diretto.
Il conte Giorgio Tibaldi mormorò tra le labbra una parola italiana, che somigliava alquanto al sinonimo d’un accidente, poi escì dall’atrio del Grand Hôtel e si fermò sopra l’ampia gradinata, a fumare rabbiosamente una favorita, guardando, spazientito e distratto, il Tirreno troppo turchino e troppo tranquillo, in desolante monotonia, e la rotonda di Pancaldi, popolata di sonnolenti leggitori di giornali, di mamme industriose, assorte nei lavori di uncinetto, nell’ombra dei larghi tendoni, che riparavano dai raggi torridi, non dai fastidiosi riflessi d’un sole tremendo che pareva l’ira di Dio.
Ogni tanto, il bagnino Tenebrone, con le carni del colore del bronzo, traversava la rotonda e, col sorriso ebete e cortese, diceva a qualche signora, toccando rispettosamente il cappello di paglia:
— Signora Teresina, la baracca è pronta.
Perchè Tenebrone, labile di memoria quanto ai nomi, ha trovato uno spediente machiavellico: qualsiasi bagnante, per lui, è «la signora Teresina».
Due signori, alti di statura e di eleganza irreprensibile, si alzarono dai tavolini del caffè, dove avevano bevuto un vermouth con china e ghiaccio, e col passo indolente del fannullone estivo, traversarono lo stabilimento piano piano, diedero una occhiata a quei magnifici coralli e specialità di Sorrento che nessuno compra, ascoltarono con indulgenza la cantafera del mercante di bastoni, salutarono l’onorevole Guido Baccelli, incantonato nell’ombra con un mucchio di giornali sui ginocchi, indugiarono davanti al mercante di cianfrusaglie giapponesi, che da molti anni ha sempre le stesse ultime novità, e poi si diressero verso il Grand Hôtel. Giorgio salutò familiarmente uno dei due che si avvicinavano:
— Ciao, Cicillo.
— Tu qui? e che ci fai?
— Faccio l’uomo che aspetta.
— A proposito, ieri ho inteso parlare di te. Sei dunque a Livorno da qualche tempo?
— Da un giorno appena.
— E come mai ti circondi di mistero? Assassino, tu premediti qualche cosa.
Giorgio arrossì e sorrise col sorriso idiota dell’uomo il quale ha da nascondere un segreto che vorrebbe far conoscere, poi soggiunse:
— Tu, piuttosto, ho sentito dire che premediti qualche cosa: un romanzo, è vero?
— E come s’intitola?
— Ananke.
— È il nome del protagonista?
— Press’ a poco: è una parola greca, che significa fatalità.
— Parole greche? male, amico mio: indizio di decadenza.
— È quel che gli ho detto anch’io! — esclamò l’altro signore, — ho conosciuto un barone De Renzis molto giovane, che non diceva mai una parola greca, neppure alle signore.
— Ti sbagli: mi son servito di tutte le lingue, — interruppe, ridendo, il barone, quindi aggiunse: — facciamo la presentazione: il conte Tibaldi.
— Tanto piacere! conoscevo molto il generale suo zio.
E il barone completando la presentazione:
— Il commendatore Bellotti-Bon.
Il conte, inchinandosi:
— Ho conosciuto molto suo padre.
— Possibile.
— Diamine! quello che ha formato le più belle compagnie del teatro di prosa.
— Allora, mi spiego! mio padre.… sono io.
— Proprio lui! — proseguì il barone De Renzis, — questo giovane, come lo vedi, ha già centodieci anni.
— Mi permetto dirle che lei è un fenomeno.
— Sono il risultato di una vita virtuosissima. Guardi invece il barone com’è ridotto dagli abusi di gioventù.
— Senti chi parla!
— È a Livorno per i bagni o per l’arte?
— Per una cosa e per l’altra: io recito, e il pubblico fa i bagni. Ma la colpa è mia. Avrei dovuto mandare il pubblico a recitare e io a fare i bagni: ma pur troppo la vita è seminata di sbagli.
— Lasci andare; non è certo lei che deve lagnarsi della vita.
— Sa, io considero la vita per quello che è, da capocomico, appunto come una commedia, — esclamò il Bellotti-Bon, con malinconico e sereno umorismo, — e sia pur certo di una cosa: il giorno in cui, con la pratica che ho, mi accorgessi che la commedia non va più, conosco bene il segnale per la calata del sipario.
— Lo sai che qualche volta sei alquanto funebre? Si direbbe quasi che tu non ami la vita.
— Per un uomo acuto come sei tu, questa considerazione ti fa torto. È uno sbaglio comune di credere, per esempio, che i suicidi sieno stanchi della vita. Al contrario: è gente che ama vivere bene, s’intende secondo il rispettivo punto di vista, e preferisce non vivere, anzichè privarsi di quello che suppone sia la felicità.
— Troppa filosofia; e a mia volta ti dico: bada! è un indizio di decadenza.
— Veramente, — soggiunse Tibaldi, — anch’io son di parere che la vita, quando non si possa ottenere quel che si desidera ardentemente, non sia altro che un fastidio.
— Ci sei cascato! Alla tua età, la filosofia wertheriana non è più decadenza: è sintomo certo di malattia di cuore.
Giorgio si fece rosso una seconda volta.
— E il male, ahimè, è già molto inoltrato! — proseguì, fissandolo, il barone.
— Pur troppo, — rispose sospirando Giorgio, — datemi pure dell’ingenuo, ma io sono innamorato come un collegiale. Quistione di temperamento. Credi, è una cosa seria, sento che sarà il mio primo e ultimo amore.
— Non si comprometta! — l’interruppe gaiamente il commendatore Bellotti-Bon, — io ebbi almeno dodici primi e venti ultimi amori.
— Eh, no: qui non si tratta d’un passatempo qualsiasi, è una passione vera e pura.…
— Ho capito! — esclamò il barone, — passione platonica, romantica e ardente: c’è di mezzo un marito e una virtù indomabile.…
— Niente di tutto questo: è una ragazza bella come l’aurora.…
— L’aurora? Dio mio, il male è gravissimo. E ti ama?
— Non lo so, ma suppongo che mi amerebbe. Tu sorridi? Te lo avevo detto che amo come un collegiale: eppure, vedi, per aver la mano di quell’angelo, sarei capace d’ogni ardimento.
— Ma è dunque una fata chiusa in un castello di bronzo, guardato a vista da un drago con sette teste e sette lingue di fuoco?
— Eh il drago c’è, ma non ha sette teste; però quella sola che ha, è tanto bizzarra!
In quel mentre, un cameriere consegnò una lettera al conte Tibaldi, che la dissuggellò e la lesse con una certa commozione.
— È l’angelo che ti scrive?
— No, è il drago.
— Quand’è così, dal momento che pendono dei negoziati.…
— No, purtroppo, non pende nulla.
— Ma viva tranquillo! — disse bonariamente il commendatore, — nell’epoca in cui siamo, un essere qualsiasi, che si presenti come un marito possibile, si vede spalancare tutte le porte. Si figuri poi un giovane come lei! Ma non sa che, se apre un concorso per matrimonio, non saprà come salvarsi dalla processione delle concorrenti?
— E che me ne importa, se io non desidero che quella, e quella appunto non posso avere?
— Senti, se non ti spieghi meglio.…
— Perdona, non posso: tu sai quanto ti stimo, ma è una faccenda troppo delicata.
— Va bene, ma non siamo mica due ragazzini: anzi potremmo giovarti coi consigli, magari con l’opera.…
— Sicuro! — aggiunse il commendatore, — sarei l’ultimo degli uomini, se non mi prestassi con simpatia in un caso simile. Un giovane ricco, amabile, che vuol prender moglie, figuriamoci! In cento anni di vita è il primo caso che mi capita.
— Centodieci.
— Oh Dio, mi permetterai di nascondere quelli che non dimostro.
— Voialtri vi burlate gentilmente di me. E poi, non avrei nulla da confidarvi, anche perchè non ho preso e non so prendere nessuna decisione.…
— E Massimo non ne ha preso nessuna?
— Bravo! Mi vedi giusto un po’ inquieto, perchè l’aspetto da Firenze con certe notizie