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F. T. Baracchini il D'Artagnan del cielo: Storia di un eroe dell'aviazione italiana nella Grande Guerra
F. T. Baracchini il D'Artagnan del cielo: Storia di un eroe dell'aviazione italiana nella Grande Guerra
F. T. Baracchini il D'Artagnan del cielo: Storia di un eroe dell'aviazione italiana nella Grande Guerra
E-book279 pagine3 ore

F. T. Baracchini il D'Artagnan del cielo: Storia di un eroe dell'aviazione italiana nella Grande Guerra

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Info su questo ebook

Questa è la biografia romanzata di F.T. Baracchini, uno dei più grandi aviatori della Grande Guerra. Un ragazzo di campagna partito da Villafranca in Lunigiana, ha conquistato i vertici di un mondo di eroi quale era quello dei primi piloti dell'aviazione con tenacia, coraggio intelligenza e abnegazione. Anche dopo la fine del conflitto affrontò e superò sfide impossibili che sono rimaste nell'immaginario collettivo dell'epoca. Rivaleggiò con Francesco Baracca per la supremazia nel campo militare, le decorazioni e gli attestati conferitigli certificano la sua grandezza ma la sua memoria si è appannata col passare del tempo ed il mutato sentire degli italiani.
LinguaItaliano
Data di uscita15 mag 2024
ISBN9791222706412
F. T. Baracchini il D'Artagnan del cielo: Storia di un eroe dell'aviazione italiana nella Grande Guerra

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    Anteprima del libro

    F. T. Baracchini il D'Artagnan del cielo - Roberto Natali

    Introduzione dell’autore

    Non pretendo che sia un testo di storia, che sarebbe un lungo elenco di fatti e di date che nessuno ricerca e che a pochi interessa fino in fondo, come è accaduto fino ad ora.

    In questo libro ho cercato di raccontare al meglio la storia di un ragazzo, figlio di un piccolo commerciante, che da Villafranca in Lunigiana arrivò a distinguersi nei ranghi dell’aviazione italiana guadagnandosi la prestigiosa qualifica di "Asso" in un conflitto che fino ad allora non aveva avuto eguali, la Grande Guerra.

    Ho cominciato riportando il lettore all’atmosfera e alle difficoltà che da subito ha incontrato questo giovane per vivere la sua vita straordinaria. Per quanto mi è stato possibile ho rispettato con rigore la verità storica documentata nella ricostruzione degli aspetti militari e dei principali avvenimenti del tempo. Nella parte più specificamente attinente alla vita privata del nostro eroe, non essendoci ovviamente documentazione storica, mi sono preso alcune libertà narrative per consentire al lettore di comprendere meglio il contesto in cui si svolsero quegli eventi e di viverli con maggiore partecipazione. Per questo non me ne vogliano i miei venticinque lettori, come avrebbe detto Manzoni.

    Anche la parte più tecnica, riguardante i segreti del volo, le caratteristiche dei velivoli e lo sviluppo dei combattimenti aerei, per quanto abbia cercato di documentarmi, non può certamente reggere una valutazione critica degli esperti del settore, in primis gli appartenenti all’Aeronautica Militare, ai quali chiedo anticipatamente venia per possibili imprecisioni, errori od omissioni.

    Baracchini è stato un eroe italiano a tutto tondo: la volontà di primeggiare a ogni costo e il totale sprezzo del pericolo, uniti a una certa insofferenza per le regole e l’autorità, si intrecciano nella sua personalità con una grande passione per la meccanica, mentre una certa propensione all’avventura e la capacità di adattarsi alle più diverse situazioni si accompagnano ad un amor di patria fortemente sentito e alla generosità e all’altruismo che lo caratterizzarono anche come imprenditore.

    Per quanto riguarda le fonti, ho dato molta importanza alla tradizione orale locale, visto che molti a Villafranca, direttamente o indirettamente avevano conosciuto Baracchini. Per anni infatti ho avuto modo di intervistare gli anziani del paese i quali mi hanno riferito di fatti ai quali avevano assistito o riportato quanto avevano sentito dire dai loro genitori o dai loro nonni. Ho poi avuto la fortuna di conoscere i discendenti di Baracchini ancora viventi a Villafranca, e sono stato in particolare onorato dell’amicizia del nipote, Alberico Varoli, figlio della sorella più piccola, Marianina, che vive a Mocrone, una piccola frazione del comune di Villafranca. Anche dove non esiste una documentazione a supporto, dai vari riscontri effettuati, associati a controlli incrociati non v’è motivo di dubitare della veridicità dei fatti riportati, e tutte le informazioni così acquisite mi sono servite per inquadrare il protagonista nella società dell’epoca e nella vita familiare.

    La corrispondenza familiare di Baracchini si è rivelata una miniera incredibile di particolari, di dettagli storici e personali mentre i giornali dell’epoca di tutt’Italia mi hanno fornito un’ampia scelta di materiale per raccontare le sue imprese così come erano vissute nell’immaginario collettivo e anche, una volta eliminati i toni aulici e roboanti tipici dell’epoca per tentare di presentarne una ricostruzione il più possibile autentica e vera.

    Tra i documenti ufficiali consultati figurano innanzitutto le motivazioni della medaglia d’oro e delle altre decorazioni, poi i bollettini di guerra, i resoconti delle ferite e delle degenze ospedaliere e anche la documentazione che ho avuto modo di esaminare a Roma, presso l’archivio dell’Ufficio Storico dello Stato Maggiore Aeronautica. Anche se questa risulta piuttosto limitata, sono oltremodo grato al personale per la disponibilità dimostrata e per l’assistenza ricevuta, nonché per l’autorizzazione a riprodurre alcuni dei documenti consultati. Un ringraziamento particolare va però a Luca Mazzini, colonnello pilota dell’Aeronautica Militare, compaesano e amico che mi ha aiutato in questa ricerca ed incoraggiato alla pubblicazione.

    Per quanto riguarda l’avventura in Turchia, pur non avendolo potuto verificare sono sicuro che ci siano riferimenti negli archivi, perché il governo turco del tempo guidato da Kemal Ataturk il padre della patria della Turchia moderna, lo stesso che ha contattato ed ingaggiato Baracchini, ha certamente registrato il contributo del nostro eroe alla conclusione per lui favorevole del conflitto grecoturco.

    Altri hanno scritto biografie di Baracchini: c’è quella del capitano Giuliotti di Terrarossa, scritta in pieno ventennio fascista, quella del professor Livio Galanti, per lungo tempo sindaco di Villafranca, al quale si deve l’erezione del monumento all’eroe e infine la più recente Un fulmine dal cielo, del massese Gianni Bianchi. Con questo scritto però ho voluto fare qualcosa di diverso, tentando di dare al racconto un carattere più intimo e introspettivo. Ho infatti cominciato a raccontare questa storia immaginando la vita villafranchese di un ragazzo talvolta impertinente e sregolato ma nel contempo fortemente legato alla madre, la cui vicenda, una volta uscito dall’infanzia, si svolge con il ritmo della sceneggiatura di un film d’avventura. Il filo conduttore è fatto di determinazione e di coraggio, coniugati ad uno sprezzo del pericolo e ad un’abilità divenuti presto leggendari.

    Roberto Natali

    Motivazione della concessione della Medaglia d’Oro al Valor Militare :

    " Baracchini Flavio da Villafranca Lunigiana, aspirante ufficiale genio corpo aeronautico.

    Abilissimo e arditissimo pilota di aeroplano da caccia, con serena noncuranza del pericolo ed indomito coraggio in 30 giorni di servizio al fronte sostenne brillantemente 35 combattimenti aerei, riuscendo ad abbattere nove velivoli avversari "

    Cielo del basso e medio Isonzo 15 maggio – 22 giugno 1917

    Menzione sul Bollettino Militare

    ... IL tenente Flavio Baracchini ha raggiunto la sua trentunesima vittoria ....

    Bollettino Militare del 27 giugno 1918

    Firmato DIAZ

    Capitolo 1

    Gli Albori

    Villafranca Lunigiana, maggio 1908

    La località era quella zona sotto Villafranca, detta salita di San Bernardino. Andando verso Aulla, prima del Cantiere, ci si trovava a percorrere una doppia esse in discesa e la strada era un po’ diversa da quella di oggi. Acciottolata e polverosa era delimitata da alte masere¹ che venivano meno solo in fondo alla via, le curve erano più strette e accentuate e, al termine, un ponticello superava un ruscello prima di arrivare alle costruzioni che ospitavano gli uffici ed i magazzini edificati per la costruzione della ferrovia Parma – La Spezia, da non molto terminata, da cui la località prende nome: Il Cantiere.

    Una motocicletta proviene dal borgo di Villafranca tossendo e sputacchiando, scollina in mezzo a una nuvola di polvere, aumenta la velocità in discesa mentre il ritmo del motore si fa più ampio e regolare. È un ragazzino che la guida, saltando sulla sella ed aggrappandosi ai comandi. Non diminuisce la velocità avvicinandosi alle curve in fondo, forse per provare un brivido maggiore o forse semplicemente perché non trova il freno. Fa in qualche modo la prima curva, ma non la seconda ed esce dal ponticello piombando nel fossato, mentre il motore rimane acceso con un sordo brontolio. Il ragazzino è tutto pesto e dolorante e si tasta gambe e braccia escoriate: non c’è niente di rotto. Prova a muoversi per uscire dalla scomoda posizione, scava nel terreno molle per sottrarsi alla morsa della motocicletta e si rimette in piedi. La soddisfazione di non aver riportato danni seri è di breve durata. "Come spiegherò a mia madre, ma soprattutto a mio padre, di aver preso in prestito la motocicletta di un fornitore venuto a casa nostra a parlare d’affari?", pensa con amarezza e con un po’ di paura per la reazione del padre.

    L’aveva sentita arrivare che era ancora sul greto del fiume sotto casa e si era arrampicato di corsa lungo la scarpata per vederla. Posso lasciarla qui? stava chiedendo a suo padre un signore di mezza età dalla faccia perbene sa, è un modello nuovo, raggiunge i 70 chilometri all’ora.

    Non si preoccupi, qui non tocca niente nessuno aveva risposto il cav. Ulisse Baracchini avvicinandosi: Però è proprio bella, io non me ne intendo, ma con tutte quelle cromature luccicanti e quella sella così comoda... deve averla pagata cara!.

    Eh sì, è l’ultimo modello della Bianchi, aveva confermato l’uomo, ma mi serve molto per il mio lavoro di rappresentante perché il treno non arriva dappertutto e poi si è vincolati agli orari. Io, invece, vado da un cliente, mi fermo a chiacchierare tutto il tempo necessario, mi faccio un buon bicchiere di vino se concludo l’affare, poi vado da un altro e così via.

    I due uomini si erano appena allontanati che il ragazzino era balzato fuori dal parapetto per guardare la motocicletta. Si era avvicinato, l’aveva studiata a lungo al punto da rimanerne come ipnotizzato. Poi, dopo averla accarezzata dolcemente, non era riuscito a resistere alla tentazione di spingerla sulla strada per poi balzarle a cavalcioni, cercando freneticamente di accendere il motore fino a riuscirci.

    Adesso, tutto pesto e dolorante, pensa al da farsi. Tornare a casa subito è da escludere, sarebbero botte da orbi. Decide di darsi alla fuga per far sbollire un po' le acque e lasciare il tempo a sua madre di ammansire il padre, come è sempre successo. Si avvia zoppicando verso il paese, ma prima di arrivarci devia a sinistra e scende lungo il fiume Magra, fino ad un bozo² che conosce bene, detto la Debia, un’ansa del fiume dove l’acqua verde e profonda è sormontata da roccioni alti che ne formano la sponda destra; dall’altra parte invece la riva digrada lentamente a formare una spiaggetta con un po' di sabbia, che segue un acciottolato bianco, regolare e quasi pianeggiante. Va un po’ lontano sotto Villafranca sperando di non incontrare nessuno e di leccarsi in pace le ferite.

    Nonostante la giornata calda di maggio è fortunato e ancora non ci sono persone a fare il bagno perché l’aria conserva una certa frescura primaverile e l’acqua del fiume, che non è mai molto calda, in questa stagione è decisamente fredda. I pescatori sono più su, sulle more nei pressi del mulino, e Flavio può così godere un po’ di riservatezza per esaminare le ferite. Si spoglia completamente e risciacqua meticolosamente i vestiti dal fango misto a sangue, li stende ad asciugare sui sassi del greto e poi si getta nel fiume. Le ferite e le escoriazioni bruciano al contatto con l’acqua fredda, ma il ragazzino continua a nuotare avanti e indietro per il "bozo", poi si arrampica nudo sullo scoglio, si tuffa e ricomincia a nuotare fino a quando è esausto. Alla fine esce dall’acqua, si sdraia sui sassi bianchi e chiude gli occhi.

    Quella sera mamma Zaira aveva faticato parecchio a sottrarre il piccolo Flavio alla furia del padre armato di cinghia. Piegato su una sedia, con i pantaloni calati, il ragazzino aveva sopportato parecchie cinghiate senza emettere un solo lamento, mentre il fondoschiena cominciava a mostrare strie sanguinolente e il cavalier Ulisse era sempre più rosso e sudato.

    Ma lo sai che il cav. Bruzzone è uno dei miei migliori fornitori? I prodotti che lui commercia per fare i biscotti, dove li trovo se lui non me li da più?... senza contare le spese per le riparazioni della motocicletta!.

    E Zaira: Ma vedrai che si aggiusta tutto, il cav. Bruzzone è una brava persona e poi Flavio è solo un bambino....

    Ma che bambino e bambino ... ha già quasi tredici anni ... e non è la prima volta che fa queste cose, senza contare che non studia, lavora poco, è sempre a correre o a nuotare oppure in giro con gli amici. Te lo ricordi quando ha preso la bicicletta del signor Ardoino e poi naturalmente è cascato e l’ha fracassata ... è un mascalzone ecco cos’è!, e giù un’altra cinghiata rabbiosa che provoca una contrazione involontaria di tutto il corpo del ragazzino, ma senza strappargli un solo lamento.

    Comunque era vero anche l’altro episodio. L’anno precedente un impiegato del Comune in visita di cortesia aveva appoggiato al muro, nell’androne dell’ingresso, una bicicletta Bianchi nera, nuova di zecca. Flavio si era avvicinato, come sempre ipnotizzato da qualsiasi velocipede e non aveva saputo resistere alla tentazione di salirci sopra e provarla, oltre a tutto in bicicletta ci sapeva andare bene! Dopo alcune centinaia di metri percorsi in maniera guardinga aveva cominciato a prendere confidenza con il mezzo e a sfrecciare per le vie del paese. Buon equilibrio e muscoli allenati gli facevano spingere sempre più forte, in piedi sui pedali, su e giù per il borgo, derapage in piazza e poi giù dietro il castello verso il greto del fiume. Ma qui aveva sbagliato una curva, era scivolato sulla ghiaia e era caduto rovinosamente sull’arenile del Magra³.

    La famiglia Baracchini è decisamente numerosa anche per gli standard del tempo: sette figli (cinque maschi e due femmine), tutti ancora da crescere, vivono in casa e lavorano nell’attività del capofamiglia, cavalier Ulisse, prima mugnaio, poi fornaio ed infine pasticciere per la preparazione di gustosi manicaretti secondo le ricette della moglie Zaira. Gran lavoratore, aveva sposato una donna molto più giovane di lui che gli aveva dato tutti quei bei figli sempre più difficili da gestire. Morirà abbastanza presto e non avrà modo di seguire le gesta eroiche del suo terzogenito.

    La signora Zaira è il vero deus ex machina della famiglia: amministratrice prima del bilancio familiare e poi di tutta l’attività dell’azienda, una vera imprenditrice in un periodo storico in cui le donne che ricoprivano quel ruolo erano sicuramente eccezioni. Era anche dotata di fantasia creativa nel suo lavoro che la porterà a brevettare molte ricette originali nel campo della pasticceria e di rinomati biscotti che venivano venduti confezionati in scatole metalliche, sull’esempio di una particolare produzione danese.

    Mamma Zaira in un ritratto che campeggia nella casa

    del nipote Alberico Varoli a Mocrone di Villafranca

    È lei quella che protegge il giovane Flavio quando fa le sue marachelle e lo seguirà durante tutta la sua vita militare; si sistemerà provvisoriamente all’ospedale di Udine quando sarà ferito la prima volta, lo seguirà a Reggio Emilia per la convalescenza dopo la seconda ferita e sarà a Roma ad assisterlo durante la lunga agonia.

    A lei il figlio scriverà con assiduità, raccontando le sue gesta, ma anche le sue paure, le sue preoccupazioni ed i risvolti più intimi della sua incredibile vita. Molte notizie, vere anche se non ufficiali, ci sono pervenute tramite le lettere a casa che ho avuto il piacere di consultare e che sono in possesso del nipote di Mocrone, Alberico Varoli⁴. Lo stesso nipote, tutt’ora vivente, che porta sempre al collo un un’aquila d’oro che tiene fra gli artigli un pezzettino di piombo scuro: il proiettile estratto dalla ferita alla mandibola. Baracchini se l’era fatto consegnare dal chirurgo che l’aveva operato a Udine e, tornato a casa, l’aveva fatto montare da un gioielliere di fiducia per regalarlo alla madre, la quale, alla sua morte, lo aveva donato alla figlia più piccola, Marianina. Quest’ultima, a sua volta, lo lasciò in eredità al figlio Alberico.

    Alberico Varoli mostra il ciondolo costituito dal proiettile estratto dalla mandibola di Baracchini placcato in oro e incastonato tra gli artigli di un aquila

    La signora Zaira è ben cosciente che quel suo terzo figlio con cui ha un rapporto davvero speciale, benché abbia un intelletto pronto e un’innata curiosità di apprendere, manca di concentrazione e di disciplina, non sa cosa significhi programmare ed è allergico ad ogni forma di autorità. Di contro è coraggioso e intraprendente, è per sua natura attratto da qualunque cosa si possa smontare e rimontare per capire come funziona. Il fisico, pur non potendosi definire prestante, è ben equilibrato e i lunghi muscoli allenati dal nuoto e dalla corsa sono nervosi e scattanti.

    Finite le scuole elementari a Villafranca, mamma Zaira avrebbe voluto qualcosa di più per il suo pupillo, che frequentasse magari il ginnasio di Pontremoli e poi chissà ... dottore?...avvocato..? Ma problemi c’erano già stati con un percorso scolastico irregolare, scarso rendimento e una inguaribile tendenza a marinare la scuola. A Flavio piaceva di più andare a nuotare e fare tuffi nel fiume, o vagabondare nei campi, che frequentare diligentemente la scuola ed impegnarsi seriamente negli studi.

    La madre lo difendeva strenuamente e questo era motivo di continui litigi con suo marito, il cavalier Ulisse, e anche qualcuno degli altri figli non vedeva di buon occhio queste preferenze. Ma c’era anche l’appoggio di nonno Torello di cui questo terzo figlio portava il nome e con cui il giovane Flavio si rapportava continuamente ed aveva un rapporto speciale.

    Da parte sua, Flavio pensava che la piccola azienda di famiglia, un forno con annessa pasticceria e negozio di vendita, non si adattasse a lui e non rappresentasse le sue aspirazioni, e poi c’erano già i suoi fratelli che s’erano inseriti bene e sembravano in grado di subentrare completamente ai genitori nella conduzione e nella gestione. Aveva già provato qualche volta, quando era in punizione, a servire al banco o a fare le consegne, ma per una ragione o per l’altra era più la spesa che l’impresa come diceva sempre suo padre. Era scontroso con i clienti e in ritardo nelle consegne; una volta addirittura si era fermato a chiacchierare con gli amici e poi si era mangiato con loro tutto il "ben di Dio" che doveva consegnare.

    È intelligente ma non si applica dicevano le maestre: allora come ora è così che si dice per dare un giudizio negativo cercando di non urtare la sensibilità dei genitori, invitandoli nel contempo a non insistere nel far proseguire studi impegnativi al figliolo. Ma, visto che di lavorare non se parlava, erano state scelte per Flavio le scuole tecniche di La Spezia.

    Capitolo 2

    L’adolescenza

    Moretto, naso un po' prominente e largo alla base, mento piccolo che dava alla faccia una forma triangolare, due occhi grandi e pungenti, Flavio se ne stava sullo scoglio sopra al bozo detto della "debia" e si godeva il sole del primo pomeriggio, dopo una lunga nuotata e numerosi tuffi.

    Era uno dei suoi luoghi preferiti. Il fiume Magra descriveva un’ampia curva e da Villafranca ci si arrivava con un sentiero abbastanza facile: la riva digradava dolcemente, prima con un’acciottolato costellato da massi più grossi e levigati, poi con una lingua di sabbia che formava una piccola spiaggia, lunga e stretta. L‘acqua verde poteva raggiungere anche i quattro - cinque metri di profondità, a seconda delle stagioni e delle piene, e c’era un bel braccio di fiume lungo oltre cinquanta metri nuotabile come una piscina. Sull’altra sponda c’era una scogliera che scendeva dal versante di Mulazzo e, per chi la conosceva,

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