Piccolo spaccato italiano
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Piccolo spaccato italiano. Un libro di Antonello Siti (alias Antonio Tisi). Gli accadimenti e le notizie si rincorrono velocemente. Il ricordo di esse viene indebolito dalle repentine e nuove vicende, sommerso da altre informazioni. Questo libro è una modesta raccolta di articoli e riflessioni sulla società italiana. Frammenti di storia del periodo che va tra la primavera del 2012 a quella del 2014. Uno strettissimo, ma altrettanto significativo, lasso di tempo. Fatti, notizie, statistiche e tendenze di un'Italia recente.
Antonello Siti
“Antonello Siti (pseudonimo di Antonio Tisi) è un giornalista freelance, media reporter, studioso e osservatore della società. Collabora da oltre dieci anni con il Giornale Radio Rai, blogger indipendente, fotografo e webmaster. Dopo una breve esperienza di vita a Berlino intorno al 2000, attualmente, vive e lavora a Roma dal 2002.”
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Anteprima del libro
Piccolo spaccato italiano - Antonello Siti
3 MILIONI CHE NON CERCANO PIU' LAVORO
aprile 2012
Tanti sono gli italiani che sono senza lavoro ma che addirittura non lo cercano più e restano inattivi. Questo dato è il più alto dal 2004 ed evidenzia una crescita rispetto all’anno passato quasi del 5%. Rispetto all’Europa questa quantità di persone è il triplo rispetto alla media, mentre in Italia corrisponde all’11,6% dell’intera forza lavoro e le donne sono sicuramente quelle con meno speranza rispetto agli uomini. In totale, quindi, nel 2011, 2 milioni e 897 mila persone in Italia non cercano più un impiego in quanto regna in loro la convinzione di non trovarlo e questa tendenza è aumentata in un anno del 4,8%, cioè ha contagiato altre 133.000 persone. L’Istat (Istituto di Statistica italiano) che ha stilato questa indagine, ha rivelato inoltre che in questa quantità di inattivi, quasi il 17% sono le donne rispetto a tutte quelle che lavorano in Italia mentre per gli uomini la percentuale è dell’8% circa. I giovani dai 15 ai 24 anni che non cercano più lavoro anche se sarebbero disponibili a lavorare aumentano anche loro rispetto all’intera forza lavoro giovanile, attestandosi al 33,9% nel 2011 contro il 30,9% di un anno prima. Nel Mezzogiorno, gli inattivi, sono circa un quarto della forza lavoro italiana; nel Nord invece equivalgono a un sesto e rispetto al 2010 gli uomini tendenzialmente sono quelli che hanno desistito di più nel cercare lavoro anche se disponibili ad essere impiegati se trovato. Sei ogni dieci di questi inattivi e scoraggiati è di sesso femminile e una su cinque di esse lo fa per impegni familiari e per stare con i figli. Quantizzato questo fenomeno di scoramento totale coinvolge il 42,6% del totale degli inattivi, in poche parole circa 1.200.000 persone, non cerca più lavoro perché convinta di non trovarlo più. Nel meridione, la percentuale degli scoraggiati arriva al 47% e per lo più lo sono anche per la mancanza di competenze specifiche da poter offrire al mercato del lavoro; difatti la metà di essi, nel meridione, ha conseguito solo la licenza media, mentre i laureati sono un quinto. In Italia i disoccupati sono circa 5.000.000 e gli inattivi e scoraggiati superano quelli che cercano lavoro; infatti 2.108.000 di disoccupati che cercano lavoro, corrispondono all’8,4% della forza lavoro totale in Italia nel 2011, con 1.114.000 uomini e 993.000 donne; questi sono accompagnati nelle statistiche dai quasi tre milioni di inattivi di cui 1 milione e 523 mila che dichiarano di non cercarlo più perché convinti di non trovarlo più e sono totalmente rinunciatari. In poche parole in Italia gli inattivi superano i disoccupati; coloro che non ci credono più superano quelli che confidano ancora nel trovare lavoro. In Europa, l’Italia con l’11,6%, ha una quantità di inattivi molto superiore a quella dell’Ue che si attesta intorno al 3,6% dell’intera forza lavoro; in Francia 1,1%, in Grecia 1,3%, in Germania 1,4% e nel Regno Unito 2,4%. La percentuale italiana parla da se; i senza lavoro e inattivi, nel nostro paese, aumentano di anno in anno ma quello che preoccupano sono quelli scoraggiati e che non cercano più lavoro perché certi di non trovarlo. Una tendenza molto esplicativa dello stato d’animo della società italiana.
I COSTI DELLA POLITICA
aprile 2013
La presidenza del consiglio, come molti altri compartimenti del governo, sostiene diversi costi per la sua gestione. Nel quadro generale di austerità e di rigore economico che vige e si esige dalle casse dello stato italiano, lo snellimento dei costi e il ridimensionamento dei conti di Palazzo Chigi, tasto alquanto delicato e spesso riservato, diventa un obiettivo prioritario e non più procrastinabile nel tempo. Misure di ottimizzazione e risparmio economico sono importanti in questo periodo per far fronte oltre al bilancio interno dello stato italiano anche per contrattare lo stallo economico dell’Unione Europea e per allinearsi alle sue politiche. La contabilità di Palazzo Chigi, infatti, fu sottratta alle competenze del Ministero Tesoro, grazie ad un decreto legge nel 1999, paventando motivi legati allo status di totale autonomia finanziaria che era già strumento legittimato e goduto dal Quirinale, Senato e Camera dei Deputati. La tendenza purtroppo è che dal 1999 al 2010 le spese del segretariato generale della Presidenza del Consiglio dei Ministri, sono incredibilmente aumentate fino a raddoppiare, difatti, i quasi 350 miliardi di lire del 1999 sono diventati i quasi 500 milioni di euro odierni con un netto aumento di oltre il 115%. Il primo anno di contabilità autonoma, nel 2000, fece subito registrare un incremento delle spese pari a circa il 30%; solo le trasferte del premier ebbero un’incidenza in aumento di 5 volte maggiore e gli oltre 900 milioni di lire raggiunsero la considerevole cifra di 5 miliardi. Nel 2002, una sentenza della Corte Costituzionale, restituì alla Corte dei Conti, la gestione e la responsabilità della contabilità della Presidenza inquilina di Palazzo Chigi, tale ritorno non sortì, però, alcun effetto positivo e non rilanciò alcuna inversione di marcia e di contenimento economico. Da allora è stata salvata la faccia ma non è cambiato nulla e la sostanza rimane la stessa, le spese sono sempre aumentate e le cifre economiche con alcuni miliardi di euro, si presentano senza controlli sostanziali nei bilanci dello stato. L’autonomia della gestione della propria contabilità è stata poi negli anni sempre più rivendicata e utilizzata come per un effetto a cascata, da tutti gli altri organi di stato; ministeri senza portafoglio o Protezione Civile, solo per fare qualche esempio, con l’alibi di necessità d’interventi d’emergenza o straordinari. Una zona franca
dove si possono annoverare stanziamenti di vario genere