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Virus emotivo. La pandemia e le nostre emozioni: Un libro di filosofia emozionale
Virus emotivo. La pandemia e le nostre emozioni: Un libro di filosofia emozionale
Virus emotivo. La pandemia e le nostre emozioni: Un libro di filosofia emozionale
E-book232 pagine3 ore

Virus emotivo. La pandemia e le nostre emozioni: Un libro di filosofia emozionale

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Info su questo ebook

La pandemia ha trasformato profondamente il volto del mondo. Spaesamento, Paura, Angoscia e Rabbia si intrecciano così alle nostre esistenze in maniera inedita e ci spingono a interrogarci su ciò che accade e su quale sia il modo migliore per farvi fronte. Anche la percezione che abbiamo del nostro Corpo cambia e le relazioni interumane, messe alla prova del distanziamento fisico e del timore del contagio, si modificano sensibilmente sotto la cifra del Disgusto. Fa da sfondo a tutto questo una comunicazione mediatica e politica che non sempre riesce a promuovere un clima di fiducia e a indicare la strada della Cura, della solidarietà e della coesione sociale, spesso anzi attivando i nostri meccanismi d’allarme e generando divisioni. Il testo affronta numerose tematiche di grande attualità e rilevanza, cercando di fornire strumenti utili per affrontare questo complesso periodo storico, attraverso la proposta di una filosofia emozionale: “un modo per pensare a sé stessi e al proprio essere-nel-mondo, senza la pretesa di elargire consigli o verità universali, acquisendo una postura filosofica ed estetica nella cura delle proprie emozioni”.
LinguaItaliano
Data di uscita12 gen 2021
ISBN9788894548532
Virus emotivo. La pandemia e le nostre emozioni: Un libro di filosofia emozionale

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    Anteprima del libro

    Virus emotivo. La pandemia e le nostre emozioni - Maddalena Bisollo

    cuore

    Introduzione

    Questo è un libro che medito da molto tempo, ma è anche un libro del tutto nuovo. Non avrei potuto immaginare tempo fa che una pandemia avrebbe trasformato così radicalmente il panorama globale né che avrei applicato il metodo della filosofia emozionale a pensieri, emozioni e sentimenti [1] così intimamente connessi con un terremoto socioculturale, economico e politico di questa portata. Non avrei neppure creduto di aver da mostrare che la filosofia possa venirci in aiuto proprio in un momento di rivoluzione dei nostri paradigmi, ovvero in una situazione di trasformazione ancora in atto e non sul far della sera, come la tradizione hegeliana ci ha insegnato.

    D’altro canto, è davvero possibile una filosofia emozionale che arrivi al tramonto, come la famosa nottola di Minerva? Io non credo, poiché le emozioni sono movimento (lat. ex-moveo, muovere-fuori, uscire, sgorgare) e la riflessione qui deve tenere il passo. Tradirò quindi Hegel, per il quale il sapere filosofico prende il volo al crepuscolo e ha efficacia in relazione a un evento epocale solo quando si sia già compiutamente dispiegato, e abbraccerò lo stesso modo di fare filosofia che impiego con le persone che mi chiedono un aiuto, in veste di consulente. Persone come Elena [2], che da bambina ha vissuto il terremoto del 1976 in Friuli, e che ora ha sentito riecheggiare nel silenzio del lockdown, nell’assenza sospesa di voci per strada, lo stesso antico, mortifero e inquieto silenzio, seguìto al sisma di allora.

    Un’emozione, diceva Sartre, è una trasformazione del mondo (1939, p.176). L’emozione, dunque, non deriva dipende da una trasformazione del mondo, ma proprio lo è. Percepire un cambiamento dell’ambiente in cui viviamo, nelle nostre abitudini, nelle relazioni, è di per sé quindi ritrovarsi catapultati in un’atmosfera emotiva diversa.

    Provate a sentire. Chiudete gli occhi e provate ad ascoltare il cuore. Che cosa dice il suo ritmo, di quali emozioni vi parla?

    Ognuno di noi vive il cambiamento in modo personale, legato al contesto particolare in cui vive, al territorio in cui abita, ai suoi rapporti famigliari, alla sua peculiare situazione lavorativa ed economica. D’altra parte, ci sono anche emozioni diffuse, di cui in questo periodo avvertiamo pesantemente l’esistenza.

    L’irrompere del virus nel panorama internazionale ci ha messi di fronte alla necessità di confrontarci con i temi della malattia e della morte in modo tale che non lascia chance: i giornali, il web e le televisioni pullulano di dati relativi al numero dei contagi, dei ricoveri nelle terapie intensive, dei decessi e noi ci ritroviamo spettatori coinvolti di un disastro sanitario che minaccia direttamente le nostre vite.

    I media ci permettono di essere informati e al tempo stesso amplificano – talvolta, deformano – la nostra attenzione cognitiva ed emotiva su quanto accade.

    Paura, angoscia, ansietà, senso d’impotenza prendono sempre più spazio nei cuori della maggior parte di noi. Succede frequentemente che le emozioni esplodano e diano luogo a comportamenti fuori controllo: i pronto soccorso vengono presi d’assalto al primo raffreddore da persone terrorizzate, aumentano le ipocondrie, le fobie e le ansie, come dimostra anche il vertiginoso aumento nelle vendite di psicofarmaci.

    Le relazioni interpersonali risentono di tutto questo e inoltre si trovano a doversi rimodulare sulla base delle norme preventive prescritte dai Dpcm, che prevedono il distanziamento fisico, l’uso di dispositivi di protezione personale, come la mascherina, e che non consentono o limitano le riunioni famigliari e amicali e in generale le occasioni di socialità e di intimità.

    La sofferenza e la frustrazione per la perdita delle abitudini relazionali, per l’isolamento e l’assenza del contatto, si uniscono all’insofferenza per l’impossibilità di svolgere le proprie attività come un tempo: il lavoro, che purtroppo qualcuno in questo periodo ha perso, spesso si avvale dello smartworking, che riunisce e insieme separa le persone; la scuola diventa talvolta inaccessibile in presenza e così si ricorre alla DAD, la formazione a distanza, che fa rimpiangere a tanti insegnanti e studenti il calore della relazione educativa vissuta in precedenza.

    Ma cambiano anche altre cose: il modo di fare la spesa, di fare la fila alla posta, di camminare per strada perfino, di fare sport, di prendere un caffè o un aperitivo.

    In molte persone monta la rabbia per questa cesura col mondo-di-prima e per la diminuzione della libertà di movimento e di relazione, in cui c’è chi riconosce un’ingiustizia e addirittura una violazione dei diritti individuali. È sempre più diffusa la ricerca del colpevole di questo cambiamento così improvviso e inaspettato che ci ha gettati in un mondo del quale stentiamo a riconoscere il volto.

    "Che cos’è tutto questo? Non lo riconosco più! Dove è finito il famigliare tram tram della vita che avevo? Chi me l’ha sottratto?".

    Già, chi? Qualcuno incolpa il governo cinese, reo di non aver vigilato sulla diffusione iniziale del virus e secondo alcuni di averlo fatto intenzionalmente. Qualcuno ci vede la mano di Bill Gates e dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. Altri danno la colpa perfino ad agenti soprannaturali quali, ad esempio, il Diavolo, come è capitato di sentir argomentare a Livio Fanzaga, direttore di Radio Maria [3]. Infine, c’è chi se la prende con la Natura madre matrigna di leopardiana memoria.

    Le credenze che coltiviamo sulla realtà hanno un enorme influsso sul nostro equilibrio affettivo-emotivo. La confusione generata dalla pandemia, che ha interrotto in nostro modo abituale di vivere e di con-vivere con gli altri, provoca un disordine cognitivo e sentimentale, tale per cui a idee poco chiare corrispondono vissuti emotivi altrettanto confusi.

    Per questo motivo è necessario affrontare il presente sviluppando la capacità di riprendere in mano quel filo, così essenziale alla nostra esistenza e al nostro ben-essere, che lega insieme l’io al mondo e le emozioni che sentiamo ai nostri pensieri. Questo in effetti è lo scopo della filosofia emozionale, presentata in questo libro: tessere le fila cognitivo-emotive del cambiamento in atto.

    Il primo capitolo è dedicato all’analisi di cosa dobbiamo intendere per emozione e in che senso essa rappresenti un cambiamento del mondo. È un’introduzione fondamentale alla filosofia emozionale, in cui la tradizione fenomenologica ed esistenzialista incontra la riflessione neostoica della filosofa americana Martha Nussbaum, per lo sviluppo di un metodo d’indagine che tenga conto insieme dei sentimenti, dei pensieri, delle credenze, dei valori, nella relazione viva e profonda con il contesto socioculturale ora sottoposto a nuove modificazioni, nel quale siamo tutti immersi.

    Si tratta di comprendere quanto sia importante sempre – ma di questi tempi ancor di più – elaborare quel che pensiamo di quanto ci accade, riconoscendo quali siano le idee che ci dominano, che cosa riteniamo abbia valore per noi, in che senso interpretiamo qualcosa come buono o cattivo, giusto o ingiusto, vero o falso e imparando a confrontarci con la nostra emotività, in una interconnessione stretta e puntuale con la società e la cultura. Non credo esista un metodo altrettanto valido per riportare le emozioni a equilibrio quando il mondo intorno crolla.

    Il secondo capitolo affronta il tema della morte e della malattia, come questi concetti siano mutati nel corso della storia e come si presentino a noi oggi, in tempo di pandemia. Diamo spesso per scontato che cosa siano il dolore e il morire, come se l’idea che ne abbiamo non avesse bisogno di alcun esame. In realtà, ammalarsi e morire hanno rappresentato esperienze differenti per gli uomini di epoche diverse, poiché la cultura ha un ruolo molto importante nel nostro modo di affrontare la sofferenza, i lutti, la morte o i contagi. Comprendere questo è alla base dell’acquisizione di un approccio consapevole alle nostre paure e alle nostre angosce odierne.

    Saranno proprio i sentimenti legati al timore, all’ansia e all’angoscia il tema del capitolo terzo. Si tratta di stati emotivi diffusi e che meritano un’analisi approfondita, per aiutare ciascuno ad affrontarli con saggezza. La filosofia emozionale è un’arte della vita emozionale ed è perciò necessario disporsi verso il proprio malessere con un atteggiamento estetico, imparando a trattare un sentimento come faremmo con un quadro o un’altra opera artistica: osserviamo, sentiamo, cogliamo l’idea, tendiamo al bello e al bene. Ritrovare il legame profondo tra le proprie idee e le proprie emozioni, anche le più buie e angosciose, ci permette di comporre un quadro emotivo nuovo e migliore. Come avrò modo di approfondire, si tratta di trasformare il senso di spaesamento in una disposizione rinnovata alla meraviglia.

    Chi lo direbbe poi che occorra fare attenzione anche all’emozione più basica e primitiva che conosciamo: il disgusto. Quell’emozione che ha permesso ai nostri antenati di non venire a contatto con alimenti o oggetti contaminanti e che scatta quasi automaticamente anche in noi ogni volta che ci troviamo davanti qualcosa che minacci la nostra salute. In tempo di pandemia, a cosa e/o a chi rivolgiamo il nostro disgusto? Si tratta di un’emozione sempre affidabile? È possibile incorrere in eccessi dannosi per noi e per le relazioni che intratteniamo con gli altri? In che modo potrebbe eventualmente risentirne la società tutta? Sono queste le domande a cui cercherò di dare risposta nel quarto capitolo, dedicato al pericolo del contagio e al disgusto come cifra della relazione.

    Non potevo, a questo punto, dimenticare di gettare uno sguardo anche sull’intimità e sull’eros, attraverso un’analisi delle loro modificazioni in rapporto alla pandemia e alle disposizioni preventive messe in atto dai governi per farvi fronte. Nella convinzione che le cose d’amore ( ta erotikà) siano fonte insostituibile e fondamentale di piacere e conoscenza, appare necessario interrogarsi sul modo in cui ci è possibile ancora farne esperienza oggi che il distanziamento fisico e la protezione dei corpi s’impongono come necessità.

    Il quinto capitolo è dedicato interamente alla rabbia, sentimento indissolubilmente legato al senso d’impotenza e d’ingiustizia, che oggi si diffonde tra molti di noi. L’ira è un’emozione molto più complessa di quello che potremmo pensare: non è solo impeto istintuale, né stretta alle viscere o rimescolamento delle vene. È corporea, sì, la rabbia ma è anche piena zeppa di idee e di significati con i quali occorre confrontarsi. Non si arrabbia allo stesso modo chi nega l’esistenza del virus e chi vi crede, né chi ascrive il flagello della pandemia a un’ingiustizia divina piuttosto che naturale. Inoltre, esistono tanti modi di intendere il torto che ci tocca di subire e di conseguenza tante sfumature della rabbia, sentimento spesso prezioso ma che nasconde anche alcune insidie e può rappresentare un pericolo per noi stessi e per le nostre relazioni intime e più in generale sociali.

    Sul modo in cui facciamo esperienza di paura, rabbia, disgusto e di tutte le altre emozioni, hanno un ruolo centrale, come già rilevato, i media. Ho quindi deciso di illustrare, nel sesto capitolo, i meccanismi attraverso i quali giornali, tv e web agiscono sui nostri pensieri e sulle nostre emozioni, nel momento in cui trasformano gli accadimenti in notizie, ovvero quando dal piano della realtà passiamo al piano della rappresentazione. La mia guida in questo caso sarà Günther Anders, che scrisse i due volumi de L’uomo è antiquato ormai circa settant’anni fa, ma la cui analisi è tutt’ora per molti versi attuale. A partire dalla sua indagine sul congruismo dell’uomo postmoderno, traccerò alcune considerazioni sulla possibilità di acquisire una distanza critica dalle notizie e dalle immagini mass-mediatiche di cui tutti i giorni ci nutriamo.

    Arriviamo così al penultimo capitolo, in cui svolgo un’analisi dell’esperienza della nostra corporeità. Come percepiamo oggi il nostro corpo? È ancora un corpo di piacere? Lo esponiamo allo sguardo altrui per ottenere un riconoscimento anzitutto estetico oppure qualcosa è cambiato? Che fine fa e come si modifica una società narcisistica, in cui essere belli e piacenti è un valore universale, quando irrompe una pandemia? Quale valore assume oggi un like apposto sotto a uno dei nostri post o dei nostri selfie? Sono domande molto importanti, che interpellano ognuno, considerando anche il fatto che la maggior parte di noi ormai vive un’esistenza incarnata e insieme un’esistenza virtuale sui social network e sulle piattaforme di web meeting. Il modo in cui esperiamo il corpo apre o chiude possibilità di sentire, di pensare, di essere in relazione: appare allora necessario comprenderne la nuova dinamica.

    Conclude il libro un capitolo dedicato alle emozioni politiche ossia al rapporto esistente tra la politica e le sue modalità comunicative e i sentimenti dei cittadini. Appare infatti degno di considerazione che alimentare nello spazio pubblico alcuni stati emotivi piuttosto che altri possa incidere sul mantenimento e lo sviluppo di una democrazia. Inoltre, va ricordato che coltivare il giardino delle proprie emozioni non è mai un compito esclusivamente individuale, ma ha a che vedere anche e in modo fondamentale con il nostro vivere in società.

    In effetti, il libro che avete tra le mani non va inteso come un libro di Self-help, per lo meno non nel senso che questa espressione ha assunto negli ultimi anni. Non è una lettura che voglia stimolare ciascuno a ripiegarsi su stesso e sulla propria interiorità per auto-aiutarsi dimenticando il mondo circostante, ma che invece vorrebbe promuovere l’adozione di uno sguardo più globale. Sovente si utilizza il richiamo alla vita interiore come licenza a preferire sé stessi a tutti gli altri. È naturalmente importante ascoltare quanto si prova nel proprio cuore, così come non si può prescindere dalla consapevolezza delle proprie idee; ma serve altresì cogliere che il tempo presente ci chiama a rispondere fondamentalmente come esseri in relazione, oltre che come cittadini di una società democratica. Come sottolineerò nel corso delle pagine, la filosofia emozionale non è una farmacia e non chiama in causa i lettori come individui isolati che debbano prendersi cura di sé sedando il proprio malessere il più velocemente possibile, evitando di riflettere sul proprio mondo o di porre in discussione il sistema di relazioni nel suo insieme. Credersi delle monadi isolate è tipico della nostra epoca ed è un grave problema se davvero intendiamo avviarci sulla strada di un comune ben-essere.

    Per concludere, vorrei disilludere subito chiunque speri di poter trovare, in queste pagine, risposte e soluzioni definitive e pienamente appaganti. Il compito che qui si tenta di assolvere è quello di tracciare una connessione tra le idee e le emozioni in un tempo che continuamente ritesse sé stesso e in cui i mutamenti sono all’ordine del giorno. Va da sé che alcune considerazioni che incontrerete in questo libro possano risultare insufficienti e imprecise, anche in relazione al momento della lettura.

    Si dice che la riflessione filosofica sia crepuscolare e che possa soccorrerci solo quando tutto si sia compiuto. Tuttavia, qui non troverete quel genere di filosofia che si fa sentenza nei confronti di un mondo e di un’epoca storica, poiché il filosofare è in questa circostanza inteso come una pratica. In questo senso, le pagine a seguire non forniscono un’interpretazione conclusiva – il che, oltre a essere attualmente inconcepibile, ridurrebbe anche il lettore in condizione di mera passività – ma intendono costituirsi come un percorso di cura esistenziale, in divenire.

    Prendete quindi questo libro per ciò che è: non un giudizio insindacabile su quanto accade, ma un modo per pensare a sé stessi e al proprio essere-nel-mondo, senza la pretesa di elargire consigli o verità universali, acquisendo una postura filosofica ed estetica nella cura delle proprie emozioni, in un tempo per molti versi irrazionale e assai poco sensibile. Dedicato a tutti e tutte coloro che come Elena, la mia consultante, sentono il bisogno di risignificare il silenzio e la crisi attraverso parole nuove.

    "Le parole dell'anno passato

    appartengono al linguaggio dell'anno passato

    e le parole dell'anno prossimo attendono altra voce".

    (Thomas Stearns Eliot, 2016)

    [1] Nel corso del libro ho scelto di utilizzare questi due termini – emozione e sentimento – più spesso come sinonimi. Sembra comunque opportuno specificare,

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