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Luoghi Migranti. Tra clandestinità e spazi pubblici
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E-book130 pagine1 ora

Luoghi Migranti. Tra clandestinità e spazi pubblici

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In che modo i migranti sono presenti negli spazi pubblici? Se l’atmosfera di socievolezza che caratterizza i caffè, le osterie, le piazze rende possibile la discussione di questioni di interesse collettivo, quali sono gli effetti della “clandestinità” sulla frequentazione di questi luoghi? Qual è, inoltre, il rapporto tra condizione migrante, cittadinanza e narrazione? A partire da questi interrogativi il volume traccia un percorso teorico tra i concetti di clandestinità, sfera pubblica, luoghi terzi e socievolezza, per esplorare il significato politico della presenza dei migranti nello spazio pubblico attraverso diversi casi etnografici: da Lampedusa alla Stazione Termini, da una scuola di italiano per rifugiati a un caffè marocchino nella periferia romana, fino ai luoghi del viaggio narrati dai migranti.
LinguaItaliano
Data di uscita15 set 2014
ISBN9788868221348
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    Anteprima del libro

    Luoghi Migranti. Tra clandestinità e spazi pubblici - Gianluca Gatta

    Ossidiana

    Teoria cultura e vita quotidiana

    Collana diretta da Paolo Jedlowski

    4

    Comitato scientifico:

    Paolo Jedlowski (direttore)

    Olimpia Affuso (responsabile redazionale)

    Sonia Floriani

    Teresa Grande

    Ercole Giap Parini

    Giuseppina Pellegrino

    GIANLUCA GATTA

    Luoghi migranti

    Tra clandestinità e spazi pubblici

    Proprietà letteraria riservata

    © by Pellegrini Editore - Cosenza - Italy

    Edizione eBook 2013

    ISbn: 978-88-6822-134-8

    Via Camposano, 41 - 87100 Cosenza

    Tel. (0984) 795065 - Fax (0984) 792672

    Sito internet: www.pellegrinieditore.com

    www.pellegrinilibri.it

    E-mail: info@pellegrinieditore.it

    I diritti di traduzione, memorizzazione elettronica, riproduzione e adattamento totale o parziale, con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche) sono riservati per tutti i Paesi.

    Introduzione

    Il 17 giugno del 2011, in un clima di estrema tensione politica, è andata in onda una trasmissione-manifestazione dal titolo Tutti in piedi!, organizzata dal giornalista Michele Santoro insieme alla Fiom. L’operazione mirava a denunciare, tra le altre cose, le censure in atto nei canali ufficiali della tv pubblica. Grazie a una rete di testate giornalistiche e televisioni locali disseminate sul territorio l’evento poteva essere seguito in streaming sul web, ma anche in piazza o nei bar e nelle osterie che aderivano all’iniziativa[1]. In una gremita piazza bolognese, testimoni della società civile, dei sindacati, dell’informazione, dello spettacolo si sono alternati sul palco raccontando storie, mostrando punti di vista, intessendo discorsi che negli ultimi anni erano stati esclusi dalla sfera pubblica. L’intero evento è stato costruito come reazione morale e politica al declino del paese e della sua comunicazione pubblica[2].

    Degno di nota è il fatto che il clima eruttivo della trasmissione abbia consentito, tra le altre cose, l’apertura di uno spazio per l’incursione del tema della clandestinità nella sfera pubblica. In un discorso di rara precisione e commovente incisività, Edda Pando – portavoce del Comitato Immigrati di Milano, attivo nella lotta per il riconoscimento dei diritti dei migranti – ha espresso il punto di vista di chi ha vissuto, vive o rischia di vivere la condizione di clandestinità, annunciando la volontà di perseverare in una protesta già da tempo avviata:

    Noi siamo stati costretti a salire su una torre, a Milano, su una gru, perché in questo paese non si ascolta la voce degli immigrati, abbiamo dovuto andare sopra per far vedere che esistevamo in questo paese (…) e adesso siamo ancora sulla gru a Padova, sull’arena a Verona, a Massa Carrara, a Milano e a Brescia in sciopero della fame, e non ci fermiamo finché non ci danno i permessi di soggiorno, perché siamo stanchi di essere considerati i criminali in questo paese, siamo stanchi di dover aspettare queste sanatorie che sono solo truffe, truffe![3]

    Tirando in ballo direttamente il Governo, il discorso di Edda Pando nomina davanti a milioni di spettatori il segreto di Pulcinella dei migranti senza documenti, cioè la necessità di ricorrere a contratti falsi, pagati fior di quattrini, per ottenere il permesso di soggiorno, perché molto spesso i veri datori di lavoro non sono disposti a regolarizzare la posizione dei lavoratori:

    Voi che cosa avreste fatto dopo che i figli vi nascono e non li conoscete e li sentite per telefono? Dopo che i genitori muoiono e non siete andati a seppellirli? Io sono entrata vent’anni fa in questo paese, senza documenti, ho vissuto quattro anni in clandestinità, e glielo voglio dire al ministro Maroni, ho trovato un datore di lavoro finto che mi assumeva, perché il mio mi faceva lavorare in nero, mi metta in galera signor Maroni, mi metta in galera!!

    A seguire, la denuncia delle vessazioni che una normativa restrittiva e la discrezionalità delle prassi amministrative impongono ai migranti, del carattere aberrante e anticostituzionale dei Centri di detenzione amministrativa e, infine, di questa stronzata dello scontro tra culture:

    A me dicono sempre ti senti più italiana o più peruviana?, io ho due città nel cuore: Milano e Lima. E mi sono sentita limegna, mi sono sentita limegna quando gli studenti del mio paese un mese fa sono usciti a denunciare quello che era la candidata Fujimori e il massacro che suo padre aveva fatto nel nostro paese, ma mi sono sentita milanese quando abbiamo detto il vento è cambiato a Milano. Allora… la mia cultura… la mia cultura è quella dei diritti, quella di chi lotta, quella di chi si ribella, perché come dice una canzone dalle mie parti todo cambia signori, todo cambia, e se qua cambierà questa volta il cambiamento sarà meticcio, meticcio nel cuore, meticcio nella mente.

    Grida Edda Pando, il volume e il tono della sua voce seguono gli stilemi del comizio di piazza, è una presa di parola classica. Ciò che simboleggia l’esclusione dall’arena politica per eccellenza – la clandestinità – diventa qui oggetto di argomentazione nella sfera pubblica nazionale, e giunge a forzare quest’ultima verso una sfera pubblica transnazionale. Un fatto piuttosto anomalo, eccezionale nel panorama mediatico italiano, dove invece la voce dei migranti è il più delle volte silenziata o, in qualche caso, utilizzata strumentalmente nella comunicazione politica ufficiale; oppure, nella migliore delle ipotesi, filtrata da organizzazioni, laiche e cattoliche, che si occupano di immigrazione.

    Questo libro è un tentativo di riflettere sulla irruzione della clandestinità nella sfera pubblica. Tuttavia non ci soffermeremo sui dibattiti politici veicolati dai media o sui discorsi delle occasioni ufficiali, come nell’esempio appena illustrato. Non ricercheremo forme pure, razionali e astratte di discorso politico, ma proveremo a cogliere, nel pulviscolo dei luoghi minuti della vita quotidiana, la formazione embrionale di sfere pubbliche impiastricciate di altri ingredienti primari della vita sociale: giocosità, perdita di tempo, socievolezza.

    Non affronteremo qui l’importantissimo tema della soggettivazione dei sans papier (d’altronde le loro rivendicazioni iniziano a circolare nella sfera pubblica ed è possibile farsene un’idea). A questo proposito è utile soffermarci sulla distinzione, in uso nella lingua francese, tra sans-papiers e clandestins. Il sociologo Laacher commenta:

    I sans-papiers sono diventati un problema politico che ha a che fare con la negoziazione e la contrattazione tra le forze sociali e le istituzioni. I clandestins (in transito o meno) rientrano soltanto nel campo dell’urgenza umanitaria. I sans-papiers sono un po’ più che rivendicatori di un semplice diritto, quello di voler vivere e lavorare in Francia. Essi oggi hanno un nome comune, si raggruppano sotto una identità comune e difendono una causa comune (Laacher 2007, p. 19-20, T.d.A.).

    In Italia non si è ancora pienamente assistito alla formazione e al riconoscimento di un soggetto collettivo di questo tipo. Anche se, come mostra l’esempio in apertura, sono in atto importantissimi processi in questa direzione. La chiave di qualsiasi discorso sulla clandestinità si trova in quel di più rispetto al voler vivere (biologicamente, aggiungerei) e lavorare in un paese straniero. La comprensione di questo di più può essere ricercata in diverse (che non significa affatto opposte e incompatibili) direzioni. Rispetto ai picchi di soggettivazione dei sans papier, in questo libro ci soffermeremo su qualcosa di più sommerso, su processi quotidiani e invisibili più piccoli e sussurrati ma che nondimeno rappresentano, è questa la tesi di fondo del libro, la linfa vitale per la presa di parola dei migranti.

    Che significato ha per questi ultimi la frequentazione di luoghi d’incontro come caffè, bar, piazze, e così via? Questi luoghi, che come vedremo sono stati definiti luoghi terzi, consentono di intrattenersi liberamente, scambiare quattro chiacchiere, confrontarsi, scherzare, trascorrere piacevolmente il tempo, e allo stesso tempo costituiscono il terreno di coltura per lo scambio e la formazione di opinioni, fino a richiamare in alcuni casi i meccanismi della sfera pubblica. Che significato ha tutto ciò per le persone la cui opinione è, per definizione direi, inascoltata? E che valore hanno questi contesti di ascolto reciproco in società, come quelle del Nord, che hanno strutturato le forme postcoloniali di cittadinanza intorno a un confine rigido tra nazionali e il resto?

    Questo libro è il risultato di diverse ricerche condotte in questi ultimi anni, a partire da un fieldwork a Lampedusa sul fenomeno degli sbarchi e una più recente ricerca sulle migrazioni senza documenti per conto dell’United Nations Office on Drugs and Crime (coordinata da Paola Monzini e Monica Massari), fino al lavoro di ricerca-azione con l’Associazione Asinitas e con l’Archivio delle memorie migranti (Amm) di Roma. La sua elaborazione si inserisce nel solco di una ricerca collettiva sul rapporto tra luoghi, socievolezza e sfera pubblica, che ha coinvolto ricercatori delle Università della Calabria, di Napoli L’Orientale e di Bologna. I primi risultati di questi studi sono contenuti nel volume Luoghi terzi. Forme di socialità e sfere pubbliche, numero monografico della Rassegna Italiana di Sociologia (n.1 del 2011) curato da Paolo Jedlowski

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