Il debito pubblico e le illusioni degli italiani
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Anteprima del libro
Il debito pubblico e le illusioni degli italiani - Stefano Imperiali
633/1941.
Premessa
Non sono un economista, ma solo un anziano (Napoli, 1953) ex presidente di sezione della Corte dei conti. Ciò non ostante, ho pensato di scrivere questi modesti appunti sulla situazione politico-economica attuale. Parlando con amici e conoscenti, ho capito infatti che non tutti si rendono conto dell’enormità del debito pubblico italiano. E molti pensano ancora che un’uscita del nostro Paese dall’Euro sarebbe la panacea di tutti i mali.
Poiché ho utilizzato soprattutto e.books, le citazioni presenti nel testo in genere non precisano le pagine dei libri dalle quali sono tratte. Per brevità non ho nemmeno citato gli articoli di stampa, specializzata o no, che ho consultato accedendovi da Google.
Dedico questo piccolo lavoro a mia Madre, Maria.
1. Il debito pubblico italiano.
Il debito pubblico dell’Italia è costituito dalle passività finanziarie delle sue amministrazioni pubbliche. Cresce se c’è un deficit, cioè uno squilibrio tra le spese e le entrate pubbliche, poiché il debito pubblico è il modo in cui le amministrazioni pubbliche di un Paese finanziano il proprio disavanzo.
Questo squilibrio, il deficit, è il risultato di due componenti: il saldo primario e la spesa per il pagamento degli interessi sul debito pubblico. Il saldo primario è la differenza tra le entrate e le spese delle amministrazioni pubbliche, escluse le spese per gli interessi. La spesa per gli interessi dipende, ovviamente, sia dall’importo del debito, che dal livello dei tassi d’interesse.
Va rilevato che se manca un avanzo primario sufficiente per il pagamento degli interessi, e se il Prodotto interno lordo (Pil) rimane costante, o comunque aumenta meno del tasso di interesse sul debito, cresce "non solo il debito pubblico, ma anche il rapporto tra debito pubblico e Pil".¹
Un debito pubblico elevato assorbe una gran parte del risparmio nazionale, che potrebbe invece finanziare gli investimenti privati, e questo "spiazzamento" - detto anche crowding out - aumenta se crescono i tassi di interesse sul debito. Infatti, maggiore è il rendimento dei titoli di Stato, maggiore è la quota del risparmio nazionale incentivata a preferire il finanziamento del disavanzo pubblico a quello degli investimenti privati.
Ma un aumento dei tassi di interesse sui titoli del debito pubblico comporta una riduzione degli investimenti privati anche per un’altra ragione: si trasmette a tutti i tassi di interesse dell’economia e per gli imprenditori diventa più difficile procurarsi il credito di cui hanno bisogno.
Last but non least, il servizio di un rilevante debito pubblico richiede anche una rilevante spesa pubblica - per l’Italia al momento tra i 60 e i 70 miliardi di euro - che potrebbe invece essere utilizzata per investimenti pubblici o anche per produttive
spese correnti.
Soprattutto, un rilevante debito pubblico costituisce un grave vincolo alle scelte future di bilancio e un peso veramente ingiusto per le generazioni che verranno. Queste, infatti, se non vorranno aumentare ulteriormente il loro debito, dovranno inevitabilmente subire rilevanti riduzioni della spesa pubblica e/o rilevanti aumenti dell’imposizione tributaria. "Se ci sono anni in cui il bilancio pubblico è in disavanzo, ce ne devono essere altri in futuro in cui il bilancio pubblico manifesta un avanzo". ²
In definitiva, un gravoso debito pubblico danneggia la crescita economica. Non è un caso che i tre Stati avanzati con il debito pubblico più elevato - Giappone, Grecia e Italia - sono cresciuti negli ultimi anni meno di altri. Uno studio di alcuni economisti del Fondo Monetario Internazionale ha evidenziato che un Paese con un debito pubblico pari al 120% del Pil, a parità di altre condizioni, potrà avere una crescita annua del Pil più bassa dell’1% circa di quella di un Paese con un debito pubblico pari al 60% del Pil. In sostanza, il crowding out opera pesantemente anche prima di una crisi finanziaria.³
Va precisato che il debito pubblico italiano è calcolato secondo le norme del Regolamento del Consiglio delle Comunità Europee n. 549/13 sul Sistema europeo dei conti nazionali e regionali (SEC 2010) e del Regolamento n. 479/09 sui Disavanzi Eccessivi, modificato, quest’ultimo, dai Regolamenti n. 679/10 e n. 220/14. E secondo questo sistema statistico l’"indebitamento netto" non è, come potrebbe forse pensarsi, il debito pubblico, ma il deficit.
Alla fine del 2017 il debito pubblico italiano era pari a 2.263,056 miliardi di euro: il 131,8% del Pil. Il rapporto debito/Pil è significativo perché è dalla ricchezza prodotta, ovverosia dal Pil, che si ricavano, tramite le entrate tributarie, le risorse per ripagare il debito e i suoi interessi. La Banca d’Italia ha poi certificato il raggiungimento, alla fine del maggio 2018, di un nuovo record di 2.327,381 miliardi di euro: +3,6% rispetto alla fine del 2017. Alla fine di agosto 2018 il debito risultava poi pressoché invariato: 2.326,546 miliardi di euro. Va rilevato che il debito pubblico italiano era pari ugualmente al 131,8% del Pil alla fine del 2014, al 131,5% alla fine del 2015, al 132,0% alla fine del 2016: si tratta quindi di un rapporto sostanzialmente stabile, non in diminuzione, negli ultimi anni.
E’ comunque un rapporto, questo tra il nostro debito pubblico e il Pil, molto elevato. Tra gli Stati avanzati, soltanto il Giappone e la Grecia hanno un rapporto debito/Pil maggiore. Ma la Grecia non sembra un esempio da seguire e il Giappone si trova in una situazione particolare.
In effetti il Giappone, la nazione più indebitata del mondo, ha un debito pubblico pari a circa 8.000 miliardi di euro, circa il 250% del Pil. Ciò non ostante, il Paese ha mantenuto dal 2001 una valutazione di AAA, il miglior giudizio sull’affidabilità di un’economia emesso dalle agenzie di rating, e i tassi di interesse sui titoli di Stato giapponesi sono tra i più bassi del mondo: un titolo di Stato decennale giapponese rende meno del Bund tedesco, considerato il titolo di Stato decennale solido per eccellenza. Questa sostenibilità del debito pubblico giapponese dipende in primo luogo dal fatto che circa il 90% del debito pubblico giapponese è detenuto da