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Il bagaglio: Storie e numeri del fenomeno dei migranti minori non accompagnati. Edizione aggiornata e ampliata.
Il bagaglio: Storie e numeri del fenomeno dei migranti minori non accompagnati. Edizione aggiornata e ampliata.
Il bagaglio: Storie e numeri del fenomeno dei migranti minori non accompagnati. Edizione aggiornata e ampliata.
E-book210 pagine3 ore

Il bagaglio: Storie e numeri del fenomeno dei migranti minori non accompagnati. Edizione aggiornata e ampliata.

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Info su questo ebook

La seconda edizione, aggiornata e ampliata, dell’inchiesta che ha fatto luce sul fenomeno dei minori stranieri non accompagnati in Italia. Il libro riporta dati, interviste ad operatori, educatori, rappresentanti delle istituzioni e politici e dà voce ai veri protagonisti del fenomeno, i ragazzi stranieri giunti da minorenni soli nel nostro Paese dopo viaggi drammatici. Una sezione del libro, intitolata “Deserto”, interamente scritta dai giovani immigrati, documenta dall’”interno” la tragica esperienza del viaggio.
Roberto Saviano ne firma la prefazione e scrive: “Alcune delle storie che più mi hanno colpito di questi ragazzi sono raccolte in questo libro di Luca Attanasio. Immaginatevi i vostri figli adolescenti, i vostri nipoti bambini attraversare da soli il Sahara. Immaginate che si preparino per partire. Cosa si porterebbero in quello zaino?
Tra le tante storie, resta centrale quella di Mohammed Keita, partito a 13 anni dalla Costa D'Avorio e giunto a Roma a 17 anni. Oggi Keita è un fotografo affermato. Lo sguardo che buca la copertina è quello di un suo scatto, entrato in alcune gallery online, ripreso da giornali e riviste, proiettato ripetutamente nelle diverse apparizioni televisive dell’autore o durante le presentazioni del libro in tutta Italia.
LinguaItaliano
Data di uscita1 gen 2019
ISBN9788898795598
Il bagaglio: Storie e numeri del fenomeno dei migranti minori non accompagnati. Edizione aggiornata e ampliata.

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    Anteprima del libro

    Il bagaglio - Luca Attanasio

    Keita

    Prefazione

    di Roberto Saviano

    In Italia un migrante su sei è un minore non accompagnato. Oltre il novanta per cento dei minori che raggiungono le coste italiane sono non accompagnati. La domanda che ci poniamo più spesso, per allontanare da noi ogni responsabilità, è come sia possibile che facciano partire bambini da soli, mentre invece dovremmo chiederci che fine facciano questi bambini quando arrivano. La risposta a questa seconda domanda potrebbe non piacerci, perché è tremenda e ha molto a che fare con noi e la nostra indifferenza: molti di loro sono persone senza diritti, che diventano schiavi, schiavi anche delle organizzazioni criminali.

    Alcune delle storie che più mi hanno colpito di questi ragazzi sono raccolte in questo libro di Luca Attanasio. Immaginatevi i vostri figli adolescenti, i vostri nipoti bambini attraversare da soli il Sahara. Immaginate che si preparino per partire. Cosa si porterebbero in quello zaino?

    La storia di Zahara, sedicenne eritrea, è tutta già contenuta nella preparazione dello zaino, perché la prima cosa che sceglie di portare non è biancheria, non sono scarpe, non sono bottiglie d’acqua, ma sono le pillole abortive. Lo fa - uso le sue parole -«perché ero quasi certa che mi avrebbero violentata e non avrei mai voluto avere un figlio in quel modo». Purtroppo aveva ragione: Zahara verrà stuprata durante il viaggio verso l’Italia.

    Mohamed, invece, porta con sé due fotografie dei suoi genitori, che sono morti sotto le bombe in Costa D’Avorio, durante la guerra civile. Il suo viaggio comincia quando ha tredici anni e dura tre anni e mezzo per ottomila chilometri percorsi. Non arriverà in Italia con quelle fotografie, perché prima di imbarcarsi su un barcone in Libia i trafficanti dicono agli immigrati di spogliarsi di tutto ciò che hanno per alleggerire il peso della barca. Mohamed consegna i vestiti e il telefonino, ma il trafficante vede spuntare le foto dalla tasca dei pantaloni. Gliele prende e gliele butta via insieme ai vestiti. Quella carta non avrebbe pesato nulla ovviamente sul gommone, ma sarebbe stata un conforto: invece i trafficanti devono essere certi che i migranti siano soli, e soprattutto si sentano soli. Ti tolgono ogni traccia di umanità per impedirti qualsiasi forma di resistenza, di ribellione, in quella condizione disumana.

    Mohamed non si toglie dalla testa l’immagine di quelle dita che strappano le foto dei suoi famigliari. Diventerà anni dopo un fotografo, esposto al Metropolitan Museum di New York.

    Un luogo sicuro in cui vivere

    di Mohamed Keita

    Quando sono partito, non avrei mai immaginato di arrivare in Italia, non sapevo neanche della sua esistenza. Ho lasciato il mio Paese, la Costa d’Avorio, in piena guerra civile, al solo scopo di trovare un luogo sicuro in cui vivere. Dopo oltre tre anni di viaggio, sono giunto in questo Paese e qui ho deciso di reimpostare il mio futuro. Mi chiedono spesso: ‘Se avessi saputo tutto quello che avresti passato, le difficoltà del viaggio, i rischi che hai corso, le privazioni, le umiliazioni, saresti ugualmente partito? Io penso che ci sono momenti dell’esistenza in cui non esiste possibilità di scelta e che, come mi diceva sempre mio padre, ci sia un bagaglio da portare nella vita, che nessuno può portare al tuo posto.

    Il primo capitolo di questo libro è dedicato alla mia storia. Un bambino di nove anni rimasto orfano, che a tredici sceglie di partire per paura della guerra e a diciassette arriva in Italia. È una storia come quella di tantissimi altri ragazzini che in ogni angolo del mondo lasciano tutto e affrontano l’ignoto da soli. Luca Attanasio ha voluto raccontarla per uno scopo ben preciso: spiegare il fenomeno delle migrazioni forzate, nello specifico, quello riguardante minorenni soli, dall’interno. Credo che Il Bagaglio abbia un merito speciale, quello di esprimere in una modalità particolare una serie di aspetti del fenomeno delle migrazioni forzate di minori soli, che in genere restano nascosti. Attraverso il racconto di storie, Luca Attanasio riesce a comunicare i sentimenti, le paure, le angosce, ma anche le energie, le potenzialità, gli slanci di tanti giovani che affrontano il ‘viaggio’ senza sapere se e dove arriveranno. Temendo di non arrivare.

    Credo che il libro possa togliere molti dubbi a chi pensa di capire il fenomeno migratorio solo a partire dalla narrazione che se ne fa in TV, sui giornali o sui social. Se conosci la storia di ragazzini che lasciano il proprio Paese, le famiglie, gli amici rischiando la vita, ed entri nella loro esistenza attraverso il tentativo narrativo che Luca porta avanti, hai meno possibilità di sviluppare atteggiamenti tipici di chi punta sempre a rimarcare le differenze senza provare empatia.

    La mia storia, nel libro, si mescola con quella di tanti altri ragazzi. Questo aspetto mi ha molto interessato. Mi sono ritrovato assieme a giovani che sono partiti da Paesi diversi dal mio, da altri continenti, con storie totalmente differenti dalla mia. Nello stesso tempo, essi sono così simili a me... Mi sono sentito vicino a loro, ho rivissuto tanti momenti, ho ritrovato gli stessi occhi che osservavo o fissavo in Mali, nel Deserto, in Algeria. Ho rivisto il terrore della violenza, risentito sulla mia pelle lo sgomento davanti alla crudeltà dei trafficanti, apprezzato nuovamente i semplici gesti di solidarietà e sostegno di occasionali compagni di viaggio. La condivisione, anche se semplicemente sulle pagine di un libro, offre sempre più possibilità di andare avanti insieme, di conoscere a fondo i problemi e di darci una mano.

    Spesso si pensa che bisogna condividere cose materiali, e si ritiene che l’aiuto sia soprattutto fatto di cose, di roba. In realtà credo che il sostegno migliore nella vita venga dal comprendersi a fondo, dal capire gli uni le storie degli altri: questo aiuta certamente a tirare avanti e a trovare ognuno la propria strada.

    Un altro aspetto per me molto interessante di questo libro, è come Luca affronta la questione del ‘viaggio’. Il viaggio, nell’esperienza di quasi tutti i migranti, ma ancora di più per i minorenni, è un punto di non ritorno che lascia segni indelebili. Quando si pensa ai pericoli che un migrante forzato corre, si ritorna quasi naturalmente al mare. L’idea comune tra la gente che vede servizi nei notiziari o legge sui giornali o nella rete, che sente parlare di migrazioni forzate, è che il rischio maggiore venga dall’attraversamento del mare. Molte persone, infatti, sono morte nel Canale di Sicilia, o nel Mar Egeo ed è drammaticamente difficile tenerne il conto. Pochi, però, spiegano che tanta gente perde la vita prima di arrivare alla sponda sud del Mediterraneo. Se non la perde del tutto, poi, sicuramente ne lascia pezzi sotto le mani di torturatori, aguzzini senza scrupoli, o subisce ferite, fisiche o spirituali, che difficilmente si rimargineranno.

    È molto importante, quindi, che l’autore entri dentro questo fenomeno, che vada a fondo, analizzi nei dettagli, grazie ai i racconti dei ragazzi da lui intervistati, cosa significhi attraversare luoghi tra i più pericolosi al mondo, alla mercé dei trafficanti.

    In questa nuova edizione del libro, Luca ha deciso di inserire una sezione dedicata proprio a questo tema, intitolata ‘Il Deserto’, che descrive ancora meglio questo particolare aspetto della migrazione. Ho molto apprezzato che abbia deciso, però, di affidarla a noi, a giovani come me che l’hanno vissuta in prima persona e che abbia chiesto a molti ragazzi di tante provenienze e storie diverse, di scrivere in prima persona le proprie esperienze. Il capitolo è un libro nel libro, scritto a tante mani, senza che l’autore intervenga nel linguaggio o nello stile: un grido che si eleva dai deserti che tutti noi abbiamo attraversato perché nessun altro bambino viva più la stessa esperienza.

    Ritengo che sia utile per tanti giovani trovare motivi di speranza. Leggere le nostre storie e sapere che abbiamo avuto tantissime difficoltà ma che siamo anche uomini, donne, con tante potenzialità. Che abbiamo sogni da realizzare e che stiamo provando a farlo, in Paesi e contesti diversi; che possiamo essere una risorsa, di aiuto per tanti, non solo per noi stessi.

    Una irrefrenabile spinta

    Introduzione di Luca Attanasio

    Questa nuova edizione de ‘Il Bagaglio’ nasce da una serie di esigenze.

    Innanzitutto bisognava dar conto delle tante novità - alcune positive, altre molto meno - che hanno riguardato il fenomeno dei minori stranieri non accompagnati negli ultimi due anni e mezzo (dall’uscita della prima edizione) e che hanno profondente mutato il contesto in un senso o nel suo opposto.

    Prima di ogni altra cosa, va senz’altro menzionata l’irruzione nel quadro legislativo del nostro Paese della legge 7 aprile 2017, n. 47: Disposizioni in materia di misure di protezione dei minori stranieri non accompagnati (legge Zampa), una normativa rivoluzionaria, che ridefinisce il sistema di accoglienza di migranti minorenni soli e determina un cambio culturale netto in Italia, oltre a favorire una nuova conoscenza in Europa così come in altre aree del mondo. Tra le principali novità previste dalla legge, c’è l’introduzione della figura del tutore volontario che in prospettiva può fornire un immenso sostegno a questo tipo particolare di migranti e che sta avendo una grande diffusione in tutto il Paese.

    Vi sono poi una serie di cambiamenti geopolitici avvenuti nel mondo che hanno di certo determinato mutamenti significativi riguardanti il fenomeno migratorio in genere, nella fattispecie quello dei minori soli. Tra questi c’è ad esempio l’inaspettato quanto felice passaggio dalla dittatura alla democrazia accaduto in Gambia - uno dei Paesi di maggiore provenienza di minori stranieri non accompagnati - nel dicembre del 2016, o il mutato quadro politico di alcuni Paesi travolti dalla Primavere Arabe. Esempio più eclatante è senz’altro l’Egitto, da cui provengono tantissimi minorenni soli, investito, nel frattempo, dal caso Regeni, che ha fatto emergere tante inquietanti realtà.

    Parlando dell’Italia, nel 2017, il nostro governo e la Libia hanno raggiunto un accordo per il contenimento dei flussi che ha drasticamente ridotto gli arrivi ma aumentato le crudeli permanenze nei centri di raccolta in Libia, così come le critiche di tantissime realtà politiche, associative, religiose.

    La vera svolta italiana, però, nel senso deteriore del termine, in quanto a strumentalizzazione del fenomeno immigratorio, scarsissima comprensione e successivo scivolamento verso politiche dichiaratamente xenofobe a meri fini propagandistici, avviene a partire dall’insediamento del governo Conte e la nomina a Ministro degli Interni di Matteo Salvini. L’invocata chiusura di tutti i porti, la denigrazione diffusa di tutte le ONG che operano nel Canale di Sicilia, la scientifica criminalizzazione ipso facto di ogni tipo di immigrato che tenti di entrare in Italia, accanto a ripetute esagerazioni e magnificazioni del fenomeno che mirano ad accrescere la percezione di immaginarie invasioni.¹

    Proprio l’Unione Europea è l’altro grande protagonista negativo della situazione che si è venuta a creare nella quale il nuovo corso italiano si inserisce a pieno titolo. Il cosiddetto Blocco di Visegrad (Polonia, Repubblica Ceca, Ungheria, Slovacchia, ma vari altri Paesi hanno aderito de facto alla strategia) pur avendo numeri assolutamente irrisori di immigrati extracomunitari nei propri confini, continua ad invocare presunte invasioni e a chiudere le proprie frontiere. Il problema, in realtà, non è solo ‘orientale’. Sono molti i Paesi che hanno mostrato inadeguatezze e imperturbabilità colpevoli o ingaggiato politiche irrispettose dei diritti umani elementari (si moltiplicano i casi di respingimenti al confine perfino di minori, senza parlare del sostanziale rifiuto ad aderire ai dettami di ricollocamento nell’accoglienza che è sancito per legge con potere vincolante) ed elevato, quindi, il rischio che i principi fondanti dell’Unione e le strategie immigratorie a essi ispirate (su cui, va ricordato, tantissimi parlamentari europei continuano a insistere) finiscano definitivamente nel dimenticatoio.

    Alla base della scelta di procedere a una nuova avventura de ‘Il Bagaglio’ c’è anche una nuova consapevolezza del fenomeno dovuta da una parte alla scoperta sempre più evidente di un’altra Italia, (e un’altra Europa), seria e solidale, che in questi due anni e mezzo dall’uscita della prima edizione si è fatta prepotentemente spazio nella mia esperienza, dall’altra a una ulteriore personale immersione nel mondo ‘immigrazione’ che ho desiderato far emergere.

    Dal gennaio 2016 ad oggi, proprio grazie alla pubblicazione de ‘Il Bagaglio’, ho cominciato un tour in lungo e in largo dell’Italia (ma anche oltre confine), da Agrigento a Belluno, da Terracina a Parma, dal confine con la Svizzera alla Campania, passando per tante altre regioni, fatto di presentazioni, dibattiti attorno al tema, incontri con le scuole di ogni ordine e grado e col mondo accademico, associazioni, partiti politici, istituzioni, mai interrotto. Ho visitato tantissimi centri di accoglienza, parlato con molti minori o ex minori non accompagnati, conosciuto tante piccole o grandi realtà, sono venuto a contatto con situazioni di scandalosa gestione del fenomeno a scopo lucrativo e criminale, ho ascoltato le sofferenze di chi, dopo viaggi infernali e condizioni disumane di esistenza, ha dovuto anche subire l’umiliazione del razzismo.

    Ho anche visto meravigliose imprese, economiche, culturali o sociali, realizzate da giovani giunti nel nostro Paese da minorenni soli con la partecipazione di realtà o cittadini illuminati. Ho stretto nuove amicizie, aperto gli occhi e le orecchie su aspetti che ignoravo. Ho viaggiato e visitato luoghi da cui questi giovani partono. Ho ricevuto lettere, mail, messaggi, richieste di contatto così come qualche insulto. Ho accumulato, quindi, una maggiore conoscenza del fenomeno e ho sentito l’urgenza di comunicarla, specie in un momento storico in cui l’Italia, proprio sulla questione migratoria, mal interpretata, mal narrata, vezzeggiata, volgarmente riportata, esagerata in ogni suo parametro e, sostanzialmente, profondamente ignorata, sta rischiando una deriva estremamente pericolosa.

    Questa nuova edizione, quindi, va immaginata più come un laboratorio cui hanno contribuito tanti: responsabili od operatori di realtà associative o centri di accoglienza, politici, rappresentanti di istituzioni, esperti, tutori volontari, blogger, giornalisti e scrittori, rettori, docenti, ragazzi, bambini, e poi loro, i veri protagonisti del fenomeno, spesso incredibilmente negletti nel dibattito, portatori di un vento nuovo di umanità e strumenti efficacissimi per la comprensione di fenomeni sociologici e della vita in genere.

    Non smetterò mai, dopo aver pianto per le loro storie, di incantarmi per la loro bellezza.

    Senza bagaglio

    Bum! bum! bum! I tamburi rullavano diffondendo il loro suono sordo, profondo, cavo fino ai confini dell’Africa. Bum! bu-bu! bum! Il ritmo sincopato della gioia e della tristezza, l’alternarsi violento delle sensazioni. Il villaggio riunito, in un momento di festa, di tregua dalla miseria. Dalla guerra. Bum! Bu-bu! Bum! Bum! Bum! Ta-ta-ta-ta-ta-ta e poi tata-ta-ta-ta-ta, il tempo improvvisamente cambia, ma anche il suono, metallico, regolare senza sincopi, senza gioia. Solo tristezza. La musica muta, i tamburi, abbandonati sulla terra madre, rotolano via, così come i percussionisti, i danzatori, le donne, i bambini, i vecchi e anch’io, Mohamed, un bambino di nove anni. Alzo la testa alla scoperta della nuova musica, è quella di un Apache che ronza proprio sopra le nostre case. Bum! Di nuovo. Stavolta non era il tamburo grave, che rimbomba dalla nascita nelle nostre pance di africani. Una bomba, un’esplosione. Proprio su quella parte di villaggio dove viviamo noi, la famiglia Keita, assieme a centinaia di altre persone. E ora? Solo fumo e macerie. «Mamma! Papà!» Il tempo solo di vederli lì, sotterrati dal povero tetto di casa nostra, immobili.

    Volevo bene ai miei genitori, Fusiene e Naram. Poveri contadini maliani finiti a Mahapleu, nella zona di Man, in Costa d’Avorio, a coltivare un fazzoletto di terra a cacao, riso e caffè, allevare qualche animale e crescere noi, me e mio fratello Mamadi. Volevo bene a papà, mi diceva sempre: «C’è un bagaglio pronto che

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