Non stancarsi mai di tessere
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Anteprima del libro
Non stancarsi mai di tessere - Elisabetta Fattori
molti.
PARTE PRIMA
I FILI DEL MIO ORDITO
Grovigli e trame
Un ricordo della mia infanzia che ancora oggi mi dà una suggestione di serenità è legato ai pomeriggi passati con mia nonna, vicino a un grande camino sempre acceso, forse anche d’estate. Eravamo sedute vicine, io su una piccola seggiola e la nonna sulla sedia dei grandi, con accanto una cesta di vimini piena di rimasugli di lana di diversa consistenza e di differenti colori. Mi raccontava con voce soave e calma le storie del suo passato, trovando sempre un senso positivo o comico anche agli eventi nefasti che la vita le aveva fatto incontrare. La piccola nonna con la sua crocchia di capelli bianchi sempre in ordine e con la sua bella carnagione chiara era sempre pronta ad ascoltarmi e i miei perché?
di bimba, con lei, avevano sempre una risposta. Stavamo vicine, io giocavo con i bottoni facendo delle collane bellissime e lei lavorava con l’uncinetto. Alcune volte rimanevo incanta dal movimento veloce delle mani, i fili colorati scorrevano tra le sue dita come arcobaleni. Tra una storia raccontata e le pause per mettere la legna nel camino e mantenere il fuoco sempre vivo, la nonna creava delle coperte colorate e calde. Aveva anche un buon gusto e da quel groviglio insensato di lana riusciva ad abbinare in modo accurato i fili variopinti e i suoi accostamenti risultavano sempre una sorpresa per tutta la famiglia.
Ora, quando ho necessità di mettere un po’ di ordine nelle situazioni della vita, rivedo l’immagine di quei pomeriggi e cerco di creare un mio tessuto dai grovigli quotidiani. Non con l’uncinetto ma con la scrittura, usando la tastiera del computer come fosse un telaio con i suoi fili di ordito sui quali intreccio i miei fili di trama.
Anche in questa situazione di disagio lavorativo, tesso con il filo di trama dell’agire le mie reazioni ai cambiamenti. Vedo il mio percorso di vita come un tessuto lavorato al telaio, il tessuto che ho realizzato con le mie esperienze tra momenti bui e momenti brillanti. Il primo filo d’ordito l’ho trovato proprio mentre attraversavo un momento buio. Pur non conoscendone la consistenza lo tesi sul telaio e con il tempo capii il suo valore: l’importanza della motivazione.
Motivazione
Il mio corpo è immerso in un liquido acquoso e incolore, non è caldo, sto sudando freddo, mi sento stanca e svogliata. Apro gli occhi e non vedo nessuno intorno a me. Sono sola, ma dove? Che giorno è oggi, che ore sono? Tutte queste domande si accavallano nella mente. Non riesco a capire che cosa mi sia successo, ho un po’ di nausea e un mal di testa latente mi rende confusa, forse sono i sintomi della sbornia di ieri sera? Sento alcuni rumori in lontananza, soffocati, come se le pareti della stanza fossero insonorizzate. Mi sento disorientata, mi rigiro verso la parte vuota del letto per trovare un po’ di sollievo tra le lenzuola fresche. Con tutte le mie forze cerco di ricordare cosa è successo la sera prima, forse una cena con alcuni amici e un bicchiere di vino in più? No, ora ricordo, il giorno prima ho ricevuto un telegramma che mi annunciava l’inizio della cassa integrazione.
"Con rif. all’accordo sindacale del 14 ottobre u.s. Ella è sospesa dal lavoro a partire dal 29 aprile p.v. fino a nuova disposizione. Segue lettera.
Distinti Saluti
Azienda spa"
Rimango senza respiro, in apnea. Un groppo alla gola mi impedisce di respirare e il sudore riprende a bagnare il mio corpo, assaporo il sale delle lacrime che mi scivolano lentamente sul viso. Non so cosa fare, non ho bisogno di nulla. Il sole che attraversa le tende mi riscalda il cuore e mi dà la forza per alzarmi, ma mi gira la testa, mi siedo sul letto con movimenti molto lenti. Ora sento meglio i suoni che prima erano ovattati, li riconosco: sono le voci dei bambini dei miei vicini di casa che stanno facendo i soliti capricci per andare a scuola. Quindi oggi è un giorno lavorativo. Lavoro. Ma io non ho più un lavoro e ora che faccio? Non devo più preparami per andare in ufficio, non devo organizzare la mia giornata in base agli impegni lavorativi. No. E ogni cosa, come altre tante piccole e grandi azioni quotidiane, è stata cancellata. Mi rimetto a dormire.
I giorni che seguirono quel primo drammatico risveglio si sono ripetuti con la stessa desolante routine per molto tempo. Ogni mattina mi alzavo con la sgradevole sensazione che il giorno fosse inaffrontabile e andavo avanti per tutto l’arco della giornata rifiutando inviti e qualsiasi contatto umano e restando sola per poi concludere la giornata infilandomi nel letto completamente sfinita dal continuo rimuginare sulla mia condizione e avvilita dalla carenza di energia che sentivo dentro.
Trascorro così un’intera settimana, dormendo a fatica la notte e rimanendo per la gran parte del giorno completamente inerme, vinta.
Ma una mattina, alle prime luci dell’alba, vengo svegliata dal suono di un telefono. Balzo a sedere sul letto, che ore sono? Chi mi sta cercando? Nessuno. Non stanno chiamando me, la chiamata proviene dalla casa a fianco.
Questo suono mi disturba, mi avverte che oltre le mura di casa ci sono persone che continuano nel loro agire quotidiano, vanno a lavorare, incontrano gli amici, si confrontano con i colleghi, fanno la spesa, vanno al cinema e via così, seguendo il loro ritmo. Io no. Io sono qui ad ascoltare questo trillo con la speranza che finisca subito di suonare, non ho voglia di parlare con nessuno. Mi avete allontanata dal mio nido e ora cosa volete da me? Non voglio essere compatita. Rivoglio il mio nido. Un nido costruito di anno in anno con tanta fatica e soddisfazione, un posto dove potevo esprimere le mie competenze e i miei ideali. Nell’azienda dove lavoravo ero me stessa anche se emergevano dei contrasti forti che io vivevo come momenti di confronto per crescere insieme.
Finalmente ritorna la calma e io posso ritornare ai miei pensieri, ho la sensazione di avere perso la mia identità e il mio ruolo sociale e che non potrò più sostenere la vita agiata e piena di impegni di prima. Prima del telegramma.
Chiudo gli occhi e mi addormento. Di nuovo.
Il periodo di buio dura quasi un mese e si alternano momenti di inerzia e di rabbia profonda e la voglia di reagire.
Finché un pomeriggio di un giorno qualsiasi, oramai tutti i giorni sono uguali tra loro, sono seduta in poltrona, nel silenzio della casa, mi guardo intorno e vedo in un angolo della libreria una pila di libri: i testi universitari.
Lo scorso anno, infatti, mi sono iscritta all’università. Durante una manifestazione contro la riduzione della forza lavoro richiesta dalla mia azienda, a causa del difficile momento di contrazione che stava vivendo il settore informatico, ho preso la decisione di intraprendere un percorso formativo. La riflessione e il confronto con gli altri colleghi sulle trattative sindacali, sulla miope strategia aziendale, che da lì a poco avrebbe portato a uno stillicidio delle figure professionali presenti in azienda, mi persuase a reagire a tutto ciò rimettendomi in discussione e così dopo qualche giorno mi iscrissi al corso di laurea in Formazione e Sviluppo delle Risorse Umane. Ebbene sì, Risorse Umane e non forza lavoro! Noi lavoratori, in quel momento, eravamo considerati solo come numeri: costi aziendali da