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Dov è finito il progetto? Riflessioni sull'importanza di ritrovare il tempo, la società e il cambiamento
Dov è finito il progetto? Riflessioni sull'importanza di ritrovare il tempo, la società e il cambiamento
Dov è finito il progetto? Riflessioni sull'importanza di ritrovare il tempo, la società e il cambiamento
E-book106 pagine1 ora

Dov è finito il progetto? Riflessioni sull'importanza di ritrovare il tempo, la società e il cambiamento

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Info su questo ebook

"Senza la dimensione del tempo, di se stessi, della società, di quello che ci circonda e di come questi ingredienti creino tutti insieme uno zeitgeist, uno “spirito del tempo”, ovvero la tendenza culturale predominante di un determinato periodo, il progetto è impossibile. Ancor di più quando non sappiamo come criticarla. La consapevolezza del presente, gioca un ruolo fondamentale nella costruzione del futuro."
LinguaItaliano
Data di uscita7 gen 2016
ISBN9788892537545
Dov è finito il progetto? Riflessioni sull'importanza di ritrovare il tempo, la società e il cambiamento

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    Anteprima del libro

    Dov è finito il progetto? Riflessioni sull'importanza di ritrovare il tempo, la società e il cambiamento - Lamineio Becoran

    Note

    Introduzione

    Nauseato dai tanti futili contenuti che condiscono la quotidianità, avvilito dall'indifferenza verso la cosa pubblica da parte della mia generazione; ormai stremato dal tempo perduto all'inseguimento di realtà superflue e degradate (che impediscono l'affermazione di nuove idee) stanco e inquieto, ho sentito la necessità di articolare i miei pensieri e cercare di capire il perché, di un atmosfera così decadente. Sono per la vita rivestita di bellezza e significato. Così come i designer Radicali italiani degli anni '70, m'interrogo sul tempo che mi trovo a vivere. I Radicali, come i Neorealisti, contribuirono a sviluppare il senso critico (oggi forse in disuso) nei confronti della società del benessere e dei consumi. Il Design, come nella maggior parte dei casi, riuscì in quegli anni a rispondere con nuovi contenuti. Si formarono gruppi e realtà di progetto da cui si levò alta, la critica che contestò la natura social-democratica del progetto moderno.

    Gli intellettuali disquisirono sull'aspetto sociale e le conseguenti manifestazioni in campo tecnico. A distanza di quarant'anni, alla luce delle innegabili evoluzioni del Design, che analizza i contenuti nel contesto di attuazione, avendo io acquisito con lo studio specifico una struttura mentale applicabile nella cultura del fare progetto, mi ripropongo di arrivare ad un'analisi. La mia critica conclude che da sempre, l'uomo diventa grande al pari delle sue capacità di progettare, deve e può continuare a realizzare ciò che non esiste, nel rispetto dei riferimenti, delle passioni e dei valori. Questa pratica che non riesco più a vedere, temo si sia spersa.

         Le riflessioni che compongono questo testo, sono di carattere sociologico, psicologico, politico, economico e passano attraverso la vita del progetto stesso, in Italia sopratutto, ma sono oggettivamente anche non italiane. Per progetto, il testo mette in nuce la cultura, oggi evidentemente in crisi, che da sempre l'uomo ha dimostrato esser frutto della sua mente. Una mente addormentata da una serie di anestetici tipici della vita post-moderna, uno su tutti vivere il presente senza confini, in una dimensione continua e consumistica fine a se stessa. Il senno in queste condizioni, nutre solo il proprio Io e genera paradossalmente la morte di se stesso. Allora la morte dell'intelletto, preclude l'uomo contemporaneo da qualsiasi atto progettante e scegliente, rimanendo schiavo di questa realtà costituita maggiormente dai consumi. Quest'uomo consuma a ritmi vertiginosi la propria identità, il proprio lavoro, l'amore, le relazioni e i beni materiali. Per questo ha un bisogno compulsivo di consumare di nuovo, ogni qual volta quello che ha, è già un rifiuto da dismettere. Soffre e non riesce più a controllare il suo desiderio, le dovute attese. Desidera dal mondo solo ciò che può nutrire questo loop egoista ed edonista, dimenticando definitivamente cosa sia l'impegno e la costanza. Nasce così una società senza soci, ma di individui soli e separati. Senza alcuna deriva generazionale, si sente forte la mancanza di veri legami sociali e collettivi. C'è una carenza di mediazione tra gli individui pensanti, di creazione di nuove idee e cultura, di evoluzione del significato dell'uomo che perde la sua umanità, di rinnovazione del sistema educativo al fine di fronteggiare questa forma di vita superficiale.

    Ciò che mi ritrovo a scrivere è frutto di letture, conversazioni con amici, conoscenti e sconosciuti, studi costanti, persino di chiacchere da bar. L'esigenza di scrivere nasce dal bisogno di raccontare e testimoniare. Una risposta classica all'attraversamento dei periodi avversi, cresce così un profondo senso critico, analitico, problem solver. Non più altro parlare, ma scrivere. Studiare la realtà, analizzarla in profondità, al fine di raggiungere un'esperienza conoscitiva. Recuperando una relazione con il tempo, che oggi sembra sempre poco e sfuggente. Risolvere così l'urgenza di costituire una prova, non potendo più attendere i tempi faticosi e rari dei rapporti dialettici con i miei coetanei e la difficoltà di affrontare questi "hot topics" anche con la rappresentanza della generazione che mi precede. Troppe posizioni, troppe certezze e troppe esperienze diverse che imbrigliano i ragionamenti. Rimane certo che solo attraverso il confronto generazionale, potrebbe scaturire un cambiamento.

         Nel verificare la difficoltà, provo frustrazione e avvilimento. Chi ci precede è poco appassionato e meno capace di spendere energie in una proiezione di progetto futuro. I giovani sono arrabbiati e rabbiosi. Demotivati dall'impossibilità di essere attori del cambiamento in cui vorrebbero vivere. Esausti di essere pazienti e nel mentre essere divorati dalla sensazione del tempo sprecato. É l'idea stessa che tutto rimanga tale, mentre tutto scorre che ha peggiorato la nostra relazione con la crescita. La sensazione è quella di essere trascinati da una corrente che non ha una direzione. Il tempo non scorre più, si consuma stando fermi. Il testo assume la forma di ricettario della nostra alienazione. Quando Erasmo da Rotterdam scriveva nel lontano 1511 L'elogio della Follia, intendeva esattamente il tipo di follia che porta a immaginare grandi cambiamenti e a metterli in atto. Egli pensava che soltanto i giovani, grazie al loro spirito spregiudicato e coraggioso, ne sono capaci. La cosa peggiore è vedere i miei amici afflitti, delusi, incoscienti e spaesati.

    Scrivere per me non è stato facile; un esercizio lento e faticoso. Un impegno con me stesso, contro qualsiasi eccitamento immediato, che mi ha ripagato generosamente. Penetrare e superare la dimensione del tempo, ritengo che aiuti a pacificarsi, a ritrovare un ritmo consono all'individuo, provando a produrre in maniera significativa e significante. Potremmo progettare il nostro futuro prossimo, e quello che verrà nei prossimi trent'anni. Dobbiamo solo decidere di iniziare a farlo.

         Tutto ciò che viene esposto in questo testo, sono riflessioni atte a innescare e motivare il ragionamento. Queste parole non vogliono in alcun modo sostituire il lavoro e le opinioni dei professionisti, bensì offrono un'analisi personale, un punto di vista sull'attuale condizione sociale e individuale.

    L'uomo dell'arancia e il frutto della riflessione

    Sono appena salito sul treno che mi riporterà a casa: Roma, nell'eterna grande bellezza. Mi attende un viaggio di circa due ore e mezza da Verona. Per la seconda volta in una settimana sono in trasferta per sostenere colloqui di lavoro. Ho pernottato nella storica e ricca cittadina Veneta, per una posizione presso una multinazionale. Sono passati sei mesi dalla mia tesi finale di laurea, durante i quali ho condotto decine di colloqui per trovare uno straccio di lavoro, pronto ad iniziare dove capiti. Dopo capirò la differenza tra il sentirsi pronto ed esserlo.

         Ho la testa in fiamme sono stufo di sentire le stesse risposte e sopratutto, le stesse domande. Tutti sembra che seguano lo stesso copione. Tutti tengono strette tra i denti le stesse parole. Hanno le mascelle gonfie dalla posizione innaturale, si vede. Tutti fanno affermazioni di grandi successi mai veramente raggiunti. Grandi opere che rilanciano l'economia (e il morale) e di fantastici progetti che cambieranno il mercato del paese. Facile schierarsi con il successo, ma nessuno mette la faccia nei problemi. Le soluzioni si vedono e camminano da sole, mentre i problemi vanno capiti e accompagnati. Quando poi torno a parlare con le persone comuni che vivono le città, commercianti, giornalai, passanti, venditori, le loro facce parlano da sole. Ho la nausea di un simile artefatto. Non ricevo stimoli da questo particolare momento storico e crearseli da soli, diventa un'impresa. Non esiste paesaggio, ma una linea dritta. Nessuno si sbilancia, nessuno tituba; si parla solo di enormi modelli economici e aziendali, di super politiche di ripartenza. Belle parole, ma le piazze e le strade suono vuote. Dove sono i corpi? La gente non tratta più. "Ma è un mondo bellissimo!. È un progetto fichissimo!"

    E' finita anche questa trasferta. Sterile! Si torna a Sud. Anzi al centro. Appena seduto sul mio posto, il 13b della carrozza 9, la mia mente è pesante, e ancora si sforza di capire quell'ennesimo colloquio sostenuto quella mattina. Cerco di capire come viene costruito il colloquio di gruppo nell'era del super-Io. Si, in effetti la contraddizione calza. I colloqui di gruppo sono una serie di prove concatenate fra di loro

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