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Cantiere Expo - I gatti di Mozart sui tetti di Milano
Cantiere Expo - I gatti di Mozart sui tetti di Milano
Cantiere Expo - I gatti di Mozart sui tetti di Milano
E-book98 pagine1 ora

Cantiere Expo - I gatti di Mozart sui tetti di Milano

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Info su questo ebook

Milano in questi mesi è un cantiere. Lavori ovunque. Interruzioni, deviazioni, code e amenità simili. La frenesia per l'Expo si è impadronita della città. Eppure c'è una Milano che deve essere riscoperta, ritrovata, che forse abita in cronache perdute e che potrebbe meglio spiegare il carattere del capoluogo lombardo. L'occasione la offre un libro di Filippo Senatore, intitolato “Cantiere Expo”, con il curioso sottotitolo “I gatti di Mozart sui tetti di Milano” (Edizioni Liberalia, pp. 160, euro 8,90). Ha due prefazioni: di Gian Antonio Stella e di Marco Travaglio. Da quest'ultima ecco un passo che riassume l'indole del libro, un ritratto a colpi di pennello di una certa Milano: “Vecchiette indigenti che non rinunciano a leggere il giornale. Cittadini indignati e politicanti sordi. Ma soprattutto personaggi maggiori e minori che si avvicendano in rigoroso disordine cronologico… Celentano Adriano denunciato nel 1962 dai vicini di casa per schiamazzi con voce e chitarra, e condannato dal pretore a 100 mila lire di multa per ‘rumori molesti'. E poi poliziotti e banditi, puttane ed étoiles della Scala, banchieri e barcaioli, soldati e poeti, giornalisti e faccendieri..”.

L'autore avrebbe potuto chiamare il libro “Vedere l'Expo dalla parte delle radici”, anche perché parla di Giulio Cesare che scopre il burro a Milano (e quindi conobbe meglio il colesterolo), degli antichi mestieri o di quei ladri e rapinatori degli anni Quaranta e Cinquanta che, data l'aria che tira, sembrano gentiluomini con qualche problemuccio. Filippo Senatore non ama Radetzsky e appena può mette in luce il suo rigore: ma forse questo vecchio maresciallo, che si guadagnò i gradi combattendo Napoleone, aveva un cuore migliore di quello del macellaio Bava Beccaris, che frequentava la medesima amante di Umberto I, e che non esitò ad aprire il fuoco sulla folla. Il finale del libro è dedicato all'arrivo di Mozart a Milano. Aveva 14 anni quando vi giunse, correva il 1770. Venne invitato dall'eccellente amministrazione austriaca, dal plenipotenziario Conte di Firmian, e a Milano ebbe con “Mitridate re di Ponto” il suo vero debutto come operista. Abitò per il suo primo soggiorno nella foresteria del convento di San Marco, dove ora c'è il liceo Parini. Ma questa, come direbbe Kipling, è un'altra storia. Un giorno magari ve la racconteremo. Armando Torno Il Sole 24 Ore
LinguaItaliano
Data di uscita24 feb 2015
ISBN9786050359992
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    Anteprima del libro

    Cantiere Expo - I gatti di Mozart sui tetti di Milano - Filippo Senatore

    Filippo Senatore

    Cantiere Expo I gatti di Mozart sui tetti di Milano

    «Ritroviamo in questo gustoso balletto, collocato nel tempo

    che fu, persone, luoghi, avvenimenti che, felicemente raffrontati ad analoghe situazioni del nostro tempo, suscitano memorie e rimpianti, rievocano sorrisi e affetti. Ricca di rimandi e citazioni, la raccolta cattura la curiosità del lettore accompagnandola insieme alla puntuale cronaca del Corriere della Sera, attraverso errori e glorie di  Milano che l’autore, cosentino di nascita, ha imparato ad amare come fosse un nativo, ad apprezzarla o  –  amorevolmente  –  biasimarla, spronandola ad maiora » .

     Wanda Allora

    UUID: 978-88-98740-04-8

    This ebook was created with BackTypo (http://backtypo.com)

    by Simplicissimus Book Farm

    Table of contents

    Cantiere Expo

    I dimenticati di Via Solferino e altre divagazioni

    Antichi mestieri

    Aspirante capitale

    Podestà e sindaci

    Casta e divi

    Animali esotici e luoghi magici

    Tempio musicale

    Resistenze e Risorgimenti

    Olio di gomito

    Extra Expo

    Cieli rasserenanti

    Note

    Ringraziamenti

    Cantiere Expo

    I gatti di Mozart sui tetti di Milano

     «Nel suo profondo vidi che s’interna

    legato con amore in un volume,

    ciò che per l’universo si squaderna»

    (Dante, Commedia, Paradiso, 33° canto)

    «What are the roots that clutch, what branches grow

    Out of this stony rubbish? Son of man,

    You cannot say, or guess, for you know only

    A heap of broken images, where the sun beats,

    And the dead tree gives no shelter, the cricket no relief…»

    (Thomas S. Eliot, The Burial of the Dead)

    «Ma intanto lei, portata via dal sonno, inconsapevole del male che ha fatto e che farà, si libra sotto i tetti

    i lucernari le terrazze le guglie di Milano, è una cosa giovane piccolissima e nuda,

    è tenero e bianco granellino sospeso pulviscolo di carne,

    o di anima forse con dentro un adorato e impossibile sogno».

    (Dino Buzzati, Un Amore)

    Tutti i diritti riservati all’Autore

    ­­Indice

    La città piena di vita di Gian Antonio Stella

    La galleria della mente di Marco Travaglio

    I dimenticati di Via Solferino e altre divagazioni

    I Labirinti 

    II Archivi 

    III Avrei bisogno subito 

    IV Nostromo 

    V Barzini e Montanelli 

    VI Il venditore di almanacchi 

    Antichi mestieri

    VII Quando i Cesaroni vivevano a Milano 

    VIII Il mio nome è Lara 

    IX Quei due spari in Via Fiori Chiari 

    X Poeti maledetti 

    XI Banditi a Milano 

    XII Ieri e oggi 

    XIII Per non dimenticare Ernestina 

    XIV Mussolini e le milanesi 

    XV Movida infinita 

    Aspirante capitale

    XVI Quando Giulio Cesare scoprì il burro 

    XVII Un inno da strada per Expo 2015 

    XVIII Milano da Costantino a Expo 

    XIX Cicco e i suoi fratelli 

    XX L’amico Fritz e le sue impressioni su Milano 

    XXI Gli orti di Milano 

    Podestà e sindaci

    XXII Oldrado e la casta (nel 1229) 

    XXIII I bambini di Vienna e i tramvieri milanesi 

    XXIV La filosofia di Antonio Greppi 

    XXV Il sindaco ambientalista 

    Casta e divi

    XXVI Deputato milanese senza compensi 

    XXVII Il lamento della casta 

    XXVIII Le due prime del 1953 

    XXIX ‑Quel giorno in pretura 

    XXX Ruggero Ruggeri 

    Animali esotici e luoghi magici

    XXXI L’iguana e il boa 

    XXXII D’Amora noir

    XXXIII Il romanzo di Milano 

    XXXIV La Bullona, una stazione in cerca di futuro 

    XXXV La maledizione della torre fantasma 

    XXXVI I tremila passi 

    XXXVII L’Anfiteatro romano in condominio 

    XXXVIII La fontana che guarì il nipote del re 

    Tempio musicale

    XXXIX Prima alla Scala 

    XL Il sogno di Mariafrancesca 

    XLI Verdi in Piazza Scala 

    XLII Un autore dimenticato 

    XLIII Prove generali per una Milano migliore 

    Resistenze e Risorgimenti

    XLIV La signora del Risorgimento 

    XLV Adele, quell’amore per Milano 

    XLVI Comandante Giustizia 

    XLVII Tafferugli alla Scala 

    XLVIII La marcia di Radetzky 

    XLIX Da Ventotene a Via Solferino 

    L Come Antigone 117

    LI La tregua 118

    LII L’amico di capitan Facchetti 

    Olio di gomito

    LIII Albergo Candidezza 

    LIV Il giudice onorario 

    LV Pugni 

    LVI Il milanese che inventò il ventilatore 

    LVII L’artificio e l’invenzione 

    LVIII Raimondo Guaita 

    LIX Fotografia in movimento 

    LX Raffaele e Guglielmina 

    Extra Expo

    LXI Scossi come siamo 

    LXII La bicicletta dell’equilibrista 

    LXIII Il poeta cancelliere 

    LXIV Convergenze parallele 

    LXV Le vedovelle milanesi 

    Cieli rasserenanti

    LXVI Stelle cadenti 

    LXVII ‑Quando la tristezza si dissolve

    come la nebbia al sole 

    LXVIII Addio Maestro

    LXIX Verga e Milano 

    LXX I gatti di Mozart e la Marsigliese 

    ­­­­­

                                                                                                          PREFAZIONI

    La città piena di vita

    «C’è un Duomo con tante guglie appunto perché ogni immigrato ne scelga una e vi alzi o vi ammaini la sua bandiera. Io così feci, la mia era una gu­glia nana, secondaria, verso il Corso Vittorio Ema­nuele, ma agì come qualsiasi altra e Milano mi trattenne, eccomi qua».

    Forse nessuno, fra tutti coloro che hanno amato e raccontato Milano, è riuscito a cogliere con tanta poesia una delle cose che per decenni hanno segnato questa città: lo spirito di accoglienza, magnificamente descritto da Giuseppe Marotta alla fine degli anni Quaranta in questo articolo sul Corriere d’informazione intitolato «Piazza Duomo». Spiegava il grande scrittore partenopeo: «Del giorno in cui vennero a Milano molti di noi parlano come di una loro seconda nascita». E proseguiva, descrivendo quelle guglie: «Chi avrà ora la mia guglia, un manovale di Pontassieve o un baroncino di Catania? Tieni du­ro, amico: è una cara vecchia guglia che in principio sta sulle sue ma poi cede, ma poi si scalda. Met­titi all’angolo di Via Pattari, lasciati vedere e guardala, sembra un dito puntato sui santi per dirgli tirate a sorte fra voi ma il designato si spicci, aiuti questo ragazzo che ha i giorni di pensione contati, che diavolo ci state a fare lassù?».

    Scrisse negli anni del boom Indro Montanelli che il capoluogo lombardo era «la città italiana meno xe­nofoba e quindi la più qualificata a diventare una metropoli. Le industrie non bastano a creare un cli­ma cosmopolita. Torino di industrie ne ha quante Mi­lano, ma rimane chiusa nelle sue allergie razziali, quindi è provinciale. Milano è aperta, anzi spalancata, come lo sono tutti i porti franchi».

    Forse quest’idea di «Milan col coeur in man» era un po’ troppo ottimista. E dettata dall’amore che il gran­de giornalista di Fucecchio provava verso quella città che gli aveva dato tutto: «Io sono un contadino, uno cresciuto nella campagna delle Vedute e tra i boschi della Cerbaia. Un contadino che andò a Milano con quattro stracci e poi ebbe molto da quel­la città, dall’Ambrogino all’ambrogione"». Una città che aveva mantenuto con lui le promesse dei mi­ti infantili quando andava pazzo «per certe scatole di burro che si chiamava, ricordo, Locate Triulzi » e che il nonno riportava dai suoi viaggi nel capoluogo lombardo: «Il burro nostro era certamente mi­gliore perché ce lo facevamo in casa col latte delle no­stre mucche. Ma il Locate Triulzi era il burro della domenica perché veniva da

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