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Un Anno nell'antica Roma: La vita quotidiana dei romani attraverso il loro calendario
Un Anno nell'antica Roma: La vita quotidiana dei romani attraverso il loro calendario
Un Anno nell'antica Roma: La vita quotidiana dei romani attraverso il loro calendario
E-book465 pagine5 ore

Un Anno nell'antica Roma: La vita quotidiana dei romani attraverso il loro calendario

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Info su questo ebook

Un saggio che svela l'antica Roma attraverso il suo calendario, grazie ad un approccio in cui cultura e storia si fondono in modo versatile. Un viaggio della durata di un anno attraverso la cultura e la storia dell’antica Roma.

Néstor F. Marqués, esperto Cicerone e sopraffina guida turistica, invita il lettore a partecipare alle feste e alle cerimonie civili e religiose, ad osservare le occupazioni quotidiane, a comprendere il modo di pensare e di vivere, ad ammirare la struttura sociale e legislativa di quella straordinaria civiltà romana in cui affondano le nostre radici.
Mischiandosi fra una folla di schiavi e mercanti, senatori e soldati, contadini e imperatori, il lettore attraverserà diacronicamente il calendario romano, divenendo parte integrante di un mondo affascinante e di incommensurabile bellezza.

LinguaItaliano
Data di uscita10 gen 2019
ISBN9788869344763
Un Anno nell'antica Roma: La vita quotidiana dei romani attraverso il loro calendario
Autore

Néstor Marqués González

Néstor F. Marqués, archeologo e scrittore, ha lavorato a livello internazionale alla creazione di musei virtuali e allo sviluppo di strategie di diffusione per istituzioni culturali, musei e aziende, tra cui l'American Institute for Roman Culture, il Consiglio Superiore per la Ricerca Scientifica di Spagna (CSIC), il Museo Nazionale di Scienze Naturali e il Museo Archeologico di Spagna.

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    Un Anno nell'antica Roma - Néstor Marqués González

    Néstor F. Marqués

    Un anno nell’antica Roma

    La vita quotidiana dei Romani attraverso il loro calendario

    Traduzione di Elena Longo

    Storia

    Un año en la antigua Roma di Néstor F. Marqués

    © Espasa Libros S.L.U. (España)

    © Bibliotheka Edizioni

    Via Val d’Aosta 18, 00141 Roma

    tel: +39 06.86390279

    info@bibliotheka.it

    www.bibliotheka.it

    I edizione, dicembre 2018

    Isbn libro 9788869344756

    Isbn ebook 9788869344763

    È vietata la copia e la pubblicazione, totale o parziale,

    del materiale se non a fronte di esplicita autorizzazione scritta

    dell’editore e con citazione esplicita della fonte.

    Tutti i diritti sono riservati.

    Progetto grafico: Eureka3 S.r.l.

    www.eureka3.it

    Néstor F. Marqués

    Néstor F. Marqués, archeologo e scrittore, ha lavorato a livello internazionale alla creazione di musei virtuali e allo sviluppo di strategie di diffusione per varie istituzioni culturali, musei e aziende, tra cui l’American Institute for Roman Culture, il Consiglio Superiore per la Ricerca Scientifica di Spagna (CSIC), il Museo Nazionale di Scienze Naturali, il Museo Archeologico di Spagna e il Museo Archeologico Nazionale di Napoli.

    La tecnologia e il mondo romano, le sue più grandi passioni, si sono fuse mirabilmente nel progetto di divulgazione culturale Antigua Roma al Día che, nato nel 2012, ha preso avvio su Twitter (ad oggi oltre 100.000 follower) per poi espandersi su Facebook, Periscope ed Instagram.

    Un libro capace di svelare l’antica Roma e la quotidianità dei suoi abitanti attraverso le fasi principali che ne costellano il calendario. Un approccio narrativo in cui cultura e intrattenimento si fondono in modo versatile, senza mai perdere di vista il rigore storico

    Avo materteraeque carisssimis

    In memoriam

    Romero, per andare a Roma,

    la cosa importante è camminare;

    a Roma da ogni parte,

    da ogni parte si va.

    Antonio Machado

    Campos de Castilla

    Prefazione

    Ho sempre pensato che per guardare al futuro sia necessario prima di tutto conoscere il passato, studiarlo e valorizzarlo quanto merita. Siamo tutti discendenti diretti degli antichi Romani, dunque dovrebbe essere nostro obbligo morale cercare di capire meglio i loro usi e costumi.

    Ho sempre pensato che per guardare al futuro sia necessario prima di tutto conoscere il passato, studiarlo e valorizzarlo quanto merita. Siamo tutti discendenti diretti degli antichi Romani, dunque dovrebbe essere nostro obbligo morale cercare di capire meglio i loro usi e costumi.

    È questa premessa che mi ha spinto, ormai più di dieci anni fa, a diventare uno storico, archeologo e divulgatore della civiltà romana. Nel 2012 la comunicazione era pervasa da diverse forme di tecnologia sociale; in quel momento decisi di creare un progetto culturale online per far conoscere e valorizzare la cultura romana e così nacque Antigua Roma al Día (L’antica Roma oggi), un’iniziativa modesta ma che ho portato avanti regolarmente e in modo convinto. Dalla sua creazione, la piattaforma cerca di rispettare queste premesse: utilizzare la tecnologia per far conoscere la cultura e la società romana in modo immediato e accessibile a tutti. Nonostante questo obiettivo di fruibilità, ho sempre cercato di mantenere ben presente l’aspetto scientifico del progetto, una caratteristica che lo rende particolarmente virtuoso. La divulgazione alla cieca, infatti, può essere distruttiva tanto quanto l’ignoranza.

    A sei anni dalla sua fondazione, grazie a decine di migliaia di sostenitori e a una buona dose di costanza, la piattaforma Antigua Roma al día è considerata un luogo autorevole in cui imparare gli usi e i costumi della civiltà romana. Online – attraverso Twitter (@antigua_roma), Facebook, Instagram, YouTube o la pagina web (antiguaroma.com) – ma anche dal vivo (grazie a corsi, incontri e viaggi), chiunque può usufruire di questo nuovo modo di conoscere la cultura romana.

    La divulgazione è senza dubbio uno degli aspetti più importanti di qualsiasi ricerca in campo storico e culturale. Tra le finalità di un’indagine storica non può mancare la divulgazione a livello sociale di quello che si è appreso. In caso contrario, la storia rimane intrappolata, impossibilitata a raggiungere il suo fine ultimo. Certo è che non tutti i ricercatori vogliono, possono o sanno fare divulgazione; vi è però una nuova generazione di studiosi che sta iniziando a comprendere che la storia non si può costruire ignorando le persone. Ovvero, come scrive Robert Knapp in Invisible Romans, saggio sui cittadini comuni della società romana, il nostro obiettivo deve essere comunicare e trasmettere la nostra passione per la storia alle persone comuni, al 99%. È questa parte della società che deve assimilare quella fetta di storia che, purtroppo, tende a rimanere chiusa in un cassetto difficile da raggiungere.

    Il ruolo dei comunicatori, poi, spetta agli storici. Le conseguenze, altrimenti, potrebbero essere catastrofiche: i miti, le falsità e le incongruenze storiche sono all’ordine del giorno. In alcuni casi sono credenze così radicate che risulta difficile estirparle dalla coscienza collettiva. Chi non ha mai pensato che i gladiatori dovessero sempre combattere fino alla morte? Che i Romani mangiassero e vomitassero senza sosta durante i banchetti? O che i candidati alle elezioni si toccassero i testicoli con una mano quando dicevano la verità? Sono tutte leggende che si sono diffuse proprio a causa della disinformazione e di una errata divulgazione.

    L’obiettivo di questo volume è cercare di avvicinare le persone alla civiltà romana in modo insolito e piacevole, senza però perdere di vista l’importanza della ricerca e il rigore che questa deve avere. Quello che leggerete in questo saggio è frutto di molti anni di studio (in alcuni casi di secoli, perfino) di una grande quantità di autori che hanno dedicato la propria vita a conoscere meglio il passato. Ciononostante, è importante tenere a mente che la ricerca storica è un’entità che vive, respira e cambia costantemente. Non avremo mai delle certezze assolute sulla civiltà romana, ma quello che possiamo garantire è il panorama più aggiornato e preciso secondo i dati attualmente a nostra disposizione.

    Il calendario romano è il punto di origine del progetto Antigua Roma al Día, che tra le sue missioni principali ha quella di commentare i fatti che giorno per giorno avvenivano nell’antica Roma: un tema appassionante e al tempo stesso complesso. Mi considero fortunato ad aver avuto l’opportunità e la possibilità di dedicarmi allo studio approfondito del calendario romano e sono orgoglioso di poter condividere la mia avventura attraverso questo libro. Nelle prossime pagine capiremo insieme che cos’è un calendario, quale valore aveva per una società come quella romana, e scopriremo l’evoluzione di questo strumento dalla sua origine fino ai giorni nostri. Inoltre, ci addentreremo alla scoperta degli elementi che lo costituiscono e vedremo come erano concepiti dai Romani. Molti ci suoneranno familiari: secoli, anni, mesi, settimane, giorni, ore…

    Nella seconda parte percorreremo un intero anno romano, da gennaio a dicembre, e analizzeremo così la società, la cultura, le credenze religiose e la vita quotidiana di questa civiltà. Dall’imperatore allo schiavo, dal mercante al senatore: all’interno di questo volume sono illustrati tutti i membri della società romana rendendolo una guida di viaggio attraverso gli oltre 1.200 anni di storia dell’antica Roma.

    E se alla fine del libro vorrete approfondire ulteriormente la conoscenza della civiltà romana, potrete visitare il sito web di Antigua Roma al Día (www.antiguaroma.com) e gli account social del progetto e avere accesso a moltissime risorse: video in diretta e a 360°, quiz per testare le vostre conoscenze, modellini virtuali in 3D, immagini, articoli e molto altro ancora.

    Non mi resta altro che ringraziarvi di cuore per la vostra voglia di conoscere e condividere la cultura dell’antica Roma.

    L’autore

    PARTE I

    Il calendario romano

    Dalle origini ai giorni nostri

    Introduzione

    Fermati un attimo e pensa a questo momento preciso durante il quale stai leggendo queste righe: che anno è? Che mese? Che giorno? Adesso pensa al 27 a.C., l’inizio ufficialmente riconosciuto del principato, la prima fase dell’Impero romano. Infine, pensa a quanti anni, secoli, perfino millenni sono passati da quell’anno.

    Stabilire una relazione temporale tra l’attualità e qualsiasi altro momento all’interno dell’arco temporale che ci hanno insegnato a considerare sin da piccoli è qualcosa che ci risulta molto semplice. Per quanto lontana sia la data, riusciremo sempre a creare mentalmente un’idea di scala del tempo trascorso.

    Nell’arco della storia, tutte le società hanno fatto uso, in misura più o meno consistente, di un sistema di riferimento temporale nel senso più ampio del termine. Che siano naturali o sociali, i cicli del tempo sono elementi che gettano le basi della nostra vita in comune e che la strutturano. Quello che oggi chiamiamo calendario non è altro che una rappresentazione avanzata e ripulita – in parte grazie anche ai Romani, come avremo occasione di dimostrare – di uno di questi sistemi di base. Il calendario non è altro che un’invenzione umana progettata secondo i nostri bisogni a partire da certe osservazioni naturali e la cui precisione dipende interamente dal sistema.

    Sapreste collocare nel tempo l’anno del settimo consolato dell’imperatore Augusto? E il 727 ab Urbe condita? I due sistemi di misurazione appena citati erano entrambi utilizzati dai cittadini romani per sapere in quale anno ci si trovava. Benché entrambi ci risultino poco comprensibili (soprattutto il primo, che non è nemmeno basato su una successione numerica lineare continua), siamo ancora in grado di individuare l’anno in cui Augusto divenne princeps di Roma, ovvero il 27 a.C.

    Nel nostro quotidiano non ci fermiamo mai a pensare a come diamo per scontata una cosa così fondamentale come il sistema di riferimento che plasma il nostro tempo, tanto in senso figurato quanto in quello letterale. È facile pensare che il tempo e gli elementi utilizzati per misurarlo oggi siano sempre esistiti. Il tempo certamente è invariabile, ma la struttura che ci costruisce sopra la società non lo è.

    Addentrandoci nella concezione romana di tempo – così distinta dalla nostra ma allo stesso tempo origine indispensabile del calendario come lo conosciamo oggi – scopriremo che niente è socialmente invariabile e che le strutture temporali saranno sempre soggettive nonostante affondino in ogni caso le radici nel tempo naturale, immutabile e continuo.

    Ad oggi, tutto il mondo occidentale si basa su un’asse temporale separato in due metà di tempo: avanti Cristo (a.C.) e dopo Cristo (d.C.). Esistono delle alternative che cercano di stabilire una relazione con il tempo che vada al di là della religione (prima o dopo la nostra era), tuttavia continuano a fare riferimento sempre allo stesso punto chiave nella nostra concezione del tempo. In realtà si tratta solo di un momento concordato e non della vera data di nascita di Gesù Cristo, un dato di fatto che trovò d’accordo anche i teologi del XVII secolo e della quale parleremo più avanti.

    Nell’antichità, oltre le frontiere della vera e propria Roma, ogni Stato, città o gruppo culturale aveva il proprio modo di concepire il tempo presente e di calcolare e calibrare il tempo trascorso. L’interconnessione tra le culture del Mediterraneo rendeva indispensabile sincronizzare, o almeno saper adattare, i diversi concetti di tempo in modo da riuscire a stabilire delle relazioni commerciali, politiche o sociali. Il compito era praticamente impossibile, perché il sistema era molto variabile: esistevano anni formati da dieci mesi che venivano chiamati da ogni cultura in modo diverso e che duravano ognuno un intervallo di tempo diverso. Nell’antichità, tutto era possibile.

    Vivendo in un periodo in cui il sistema temporale dell’Occidente vige da standard, questa situazione può sembrarci caotica e distante, ma basta guardarsi un attimo alle spalle per trovare degli esempi di sfasamenti sociali all’interno del calendario. Il più notevole fu quello del sistema adottato durante la Rivoluzione francese: per alcuni anni venne istituito un calendario rivoluzionario basato sul sistema decimale applicato alla divisione dei mesi, delle settimane e perfino alle ore del giorno. Il calendario della Repubblica francese fu utilizzato dal 1793 fino al 1805, quando fu abolito da Napoleone, e deve aver rappresentato un cambiamento molto brusco per la popolazione, assai maggiore anche di quello causato dalla riforma di Giulio Cesare, di cui parleremo nel corso del volume. Nel tentativo di soppiantare le vecchie denominazioni dei mesi, tutti i nomi vennero modificati: vendémiaire corrispondeva più o meno al periodo che va da metà settembre a metà ottobre, brumaire da metà ottobre a metà dicembre, e così via con frimaire, nivôse, pluviôse, ventôse, germinal, floréal, prairial, messidor, thermidor e fructidor. Alcune di queste nuove denominazione, come brumaire, derivavano da voci greche o latine. Questo esempio conferma come l’idea di continuità del nostro sistema di riferimento temporale, che abbiamo inconsciamente interiorizzato, non sia altro che un’illusione molto recente. In questo libro scopriremo insieme che nel corso dei secoli – e fino a momenti molto vicini a noi – il modo di frazionare il tempo è a poco a poco cambiato, fino a cristallizzarsi nel sistema che, ad oggi, percepiamo come nostro e innato.

    Allontaniamoci dai termini ovvi, lasciamo da parte tutte le conoscenze che ci sembrano ormai acquisite e scopriremo quali sono le origini del tempo in cui viviamo: anni, mesi, settimane, giorni, ore… concetti per noi molto semplici che nascondono significati risalenti a diversi millenni fa, alla notte dei tempi.

    Che cos’è un calendario?

    Prima di addentrarci nella spiegazione dell’origine del calendario romano e di come si è trasformato nello strumento che conosciamo oggi, dobbiamo chiederci cos’è un calendario e che cosa rappresentava nel mondo romano.

    In latino, la parola che designava questo strumento era fasti, che deriva da fas, ovvero ciò che è permesso (davanti agli occhi degli dei). Con il termine fasti si indicavano le questioni legali, i giudizi e le altre occupazioni a cui i Romani potevano dedicarsi soltanto in determinati giorni, che venivano chiamati dies fasti.

    La parola latina kalendarium, invece, non aveva alcuna relazione con l’idea di misurazione del tempo. L’unico legame etimologico è fornito dalla parola kalendae, che indicava il registro utilizzato per annotare i debiti, che a Roma dovevano essere pagati il primo giorno del mese. La parola kalendarium venne utilizzata per la prima volta con l’accezione attuale a partire dal VII secolo, quando lo studioso cristiano Isidoro da Siviglia la utilizzò per indicare il registro dei Santi e le relative festività durante l’anno.

    Un’espressione romana molto curiosa legata al kalendarium e conservatasi fino ai giorni nostri è quella delle calende greche. L’origine di questo modo di dire (ad kalendas graecas in latino) fa riferimento al pagamento dei debiti, che, come accennato, avveniva durante le calende. L’espressione era utilizzata in modo ironico per indicare qualcosa che non sarebbe mai avvenuto, poiché i greci usavano un calendario completamente diverso nel quale le kalendae non esistevano.

    Come possiamo constatare da questa breve spiegazione, né fasti kalendarium facevano inizialmente riferimento al concetto astratto di tempo, ma erano piuttosto parole legate agli aspetti più sociali della temporalità. Il passare del tempo è di fatto uno degli elementi presenti nel calendario, ma non è l’unico e molto spesso non è nemmeno il più importante. I calendari sono stati utilizzati storicamente con finalità politiche, economiche e religiose, e certamente quello romano non fa eccezione.

    Ancora una volta, come in molte altre circostanze quotidiane, il termine che indica il nostro modo di misurare il tempo ha origine dalla cultura romana. È interessante fermarsi un attimo e pensare a tutto quello che dobbiamo a questa civiltà, che è origine e fonte di ciò che siamo, di quello che facciamo, di cosa diciamo e di come lo diciamo.

    Dall’antica Roma all’attualità: origine ed evoluzione del calendario

    Per poter comprendere il complesso sistema di misurazione del tempo che utilizziamo oggi in maniera naturale, è necessario tornare indietro a diversi millenni fa, quando non esisteva nemmeno la città di Roma; un’epoca di leggende, dei ed eroi che si perde nella nebbia dei miti che ricopre i sentieri della storia.

    Ci troviamo ad Albalonga, a meno di un giorno di viaggio verso sud rispetto alla costa ancora selvaggia che bagnava il solitario Tevere, che all’epoca era conosciuto con il suo nome più antico: Albula. In questa città governava Numitore, re giusto e onesto che discendeva direttamente da Enea, mitico eroe figlio di Venere che era riuscito a fuggire dalla funesta Troia, incendiata e saccheggiata dai Greci e dai loro inganni.

    Amulio era il fratello minore di Numitore e, assetato di potere, e ne usurpò il trono mandandolo in esilio affinché non potesse recuperarlo in seguito. Fece assassinare o allontanare anche i nipoti, ad eccezione di Rea Silvia, l’unica figlia di Numitore, a condizione che dedicasse la vita a Vesta facendo dunque voto di castità.

    Rea diventò una vestale e rispettò diligentemente la sua condanna servendo la dea vergine al tempio. Un giorno, mentre passeggiava spensierata sul monte, si fermò a riposarsi vicino a un ruscello e si addormentò profondamente all’ombra di un salice. Il potente dio Marte la notò subito e, in barba alle leggi divine e terrene, la violentò nel sonno facendola rimanere incinta di due gemelli destinati a grandi imprese.

    Quando Rea Silvia diede alla luce i figli del dio della guerra, Amulio, accecato dall’odio e dal terrore, ordinò che i gemelli venissero affogati nel fiume. Secondo la leggenda, davanti a tale scenario le acque si ritirarono e alla fine i due bambini, Romolo e Remo, furono messi segretamente in salvo all’interno di una cesta che partì alla deriva sulle accoglienti acque del Tevere.

    Il destino e gli dei fecero sì che la cesta si incagliasse a fianco di un fico poco lontano dai colli della futura Roma. Qui i gemelli vennero raccolti da una lupa, che li allattò come se fossero i suoi cuccioli all’interno della grotta sacra che oggi viene chiamata Lupercale. In seguito Romolo e Remo furono trovati da un pastore di nome Faustolo, che significa colui che favorisce. Con la Acca Larenzia, il pastore si prese cura dei gemelli assieme al resto dei suoi figli.

    Rilievo dell’Ara Pacis Augustae a Roma, con raffigurati i gemelli Romolo e Remo mentre vengono allattati dalla lupa e vegliati dagli sguardi attenti del dio Marte e di Faustolo.

    Una volta raggiunta la maggiore età, essendo già a conoscenza del loro passato, Romolo e Remo tornarono ad Albalonga, dove, grande Romolo, conficcasti la tua spada nel petto di Amulio restituendo così il trono a Numitore. Per dimostrare l’immensa gratitudine nei confronti dei nipoti, il re gli concesse la facoltà di fondare una città.

    Ciascun gemello scelse un colle ed entrambi pensarono che il colle scelto, e non quello del fratello, sarebbe stato deputato alla fondazione della nuova città. Non riuscivano però a mettersi d’accordo, così decisero che sarebbero stati gli dei a scegliere il vincitore, che avrebbe avuto l’onore di diventare il conditor, ovvero il fondatore della città. Remo scorse dall’Aventino sei uccelli. Romolo, invece, dal Palatino ne vide dodici che volavano in formazione perfetta. Grazie a questa visione fondarono la città sopra il colle Palatino, che per molti secoli a venire sarebbe stata la casa dei governanti dell’Impero.

    Dopo le offerte agli dei Giove, Marte e Venere per la fondazione della città, Romolo e Remo costruirono sul solco dell’aratro che delimitava i confini sacri dell’Urbe le mura della città, che decisero di chiamare Roma in onore del suo fondatore. A quel punto Romolo informò i cittadini che nessuno doveva osare scavalcare le mura sacre. O re sfortunato! Non sospettavi nemmeno ciò che il destino aveva in serbo per te e che avrebbe messo a dura prova la tua forza e la tua integrità.

    Remo, ignorante e insolente, si prese gioco dell’altezza della cinta muraria scavalcandola. A causa di questo gesto gli fu inflitto un castigo molto duro: solo la morte poteva riparare un oltraggio così grave alla volontà del re, che rappresenta quella degli dei. Fu duro anche il castigo nei confronti del carnefice incaricato di procedere all’esecuzione di Remo ed espiare così la sua colpa. Alcuni sostengono che fu Celere a eseguire la legge divina, altri che la mano che uccise Remo fu quella del suo stesso fratello, Romolo. Il sangue fu versato e gli dei soddisfatti: la storia della città di Roma poteva cominciare con il lungo e prospero regno di Romolo, il primo seme di una civiltà che dominò il mondo per migliaia di anni.

    Avete appena letto un adattamento della leggenda sulla fondazione di Roma. Abbiamo voluto recuperare in parte lo stile narrativo tipico degli autori classici che la raccontarono, tra cui spiccano Tito Livio, Ovidio, Dionigi di Alicarnasso, Plutarco e Cassio Dione. Le fonti più antiche che narrano la leggenda risalgono al III secolo a.C. Considerando che il racconto si colloca tra il 771 a.C. (data di nascita dei due gemelli) e il 753 a.C. (anno della fondazione di Roma), esiste un margine di più di cinque secoli tra l’evento mitico e le prime versioni della leggenda. Senza dubbio il tempo è un’arma pericolosa.

    Il mito della fondazione di Roma mescola tra loro storie antichissime. Attraverso questo espediente, i Romani non fecero discendere la loro origine dalle popolazioni sconosciute che si trovavano in quel territorio nelle epoche precedenti alla fondazione, bensì da grandi eroi che tutto il mondo poteva facilmente riconoscere.

    Di fatto, gli autori utilizzavano le leggende per esaltare chi deteneva il potere, come fece ad esempio Virgilio nei confronti di Augusto scrivendo l’Eneide. L’autore rese legittimo il governo dell’imperatore stabilendo una relazione diretta tra Augusto e Romolo e Remo, figli di Marte e discendenti della stirpe di Enea, eroe della mitica Troia e figlio di Venere.

    Questo esempio deve farci riflettere sul contenuto delle fonti antiche, che molto spesso sono delle opere faziose che nascondono la verità mostrandola solamente a coloro che sanno cercarla. La maggior parte delle cose che sappiamo sulla Roma più antica, infatti, è stata ricreata a posteriori e lo stesso vale sicuramente per parte delle origini del calendario. Tuttavia, se non esistessero le fonti non potremmo nemmeno cominciare a scoprire come era concepito il tempo nell’antica Roma, attività nella quale stiamo proprio per addentrarci.

    Le origini del calendario romano: il calendario lunare

    I Romani attribuivano alla figura saggia e autorevole di Romolo la creazione del primo calendario dell’Urbe, e fu proprio questo primo calendario a gettare le basi non solo del futuro calendario romano, ma anche di quello che utilizziamo al giorno d’oggi.

    A differenza di questi ultimi, il calendario di Romolo era basato sulle fasi lunari, che venivano utilizzate per contare i cicli dei mesi e degli anni. Tutti i popoli antichi, dalla Mesopotamia fino all’Impero romano, hanno sempre considerato la dea Luna come una delle divinità con la maggiore influenza sulla natura e sulla vita degli uomini. Propiziatrice della crescita delle coltivazioni e degli animali, regolatrice delle maree e del ciclo mestruale, la Luna era una delle poche divinità visibili, e insieme al Sole viaggiava senza sosta su un carro per il firmamento. Era dunque un punto di riferimento perfetto per determinare lo scorrere del tempo, soprattutto in una società di tipo agricolo.

    Secondo la tradizione romana, alla luna era affidato il compito di designare i mesi, che in latino si chiamavano menses. La parola latina deriva da quella che i greci utilizzavano per nominare l’astro, come racconta Varrone nel suo De lingua latina: da μήνη derivava la parola μῆες (mesi in greco), che ha quindi la stessa origine di menses. Il fenomeno si può osservare anche in altre lingue moderne, come l’inglese. Moon (luna) e month (mese) hanno la stessa origine e fanno riferimento a questo primitivo modo di scandire il tempo.

    Il calendario lunare utilizzato nella Roma arcaica era basato su quattro momenti chiave, che servivano per misurare la successione dei giorni che formavano ciascun mese dell’anno. Queste date erano strettamente legate alla luna e alle sue fasi. La prima, con la quale iniziava ogni mese, era chiamata kalendae. Questa data doveva coincidere con la fase della luna nuova ed era decisiva, poiché il mese lunare era organizzato in modo variabile a partire dalle osservazioni della luna, che si svolgevano proprio in questo momento.

    L’osservazione della luna era effettuata da un sacerdote minore, che poi la comunicava al Rex Sacrorum (il re dei sacrifici), ovvero il sacerdote più importante della religione romana, che si posizionava più in alto (anche se non a livello gerarchico) anche del Pontifex Maximus, o sommo sacerdote. Durante le calende si celebravano anche sacrifici a Giunone Covella, dea propiziatrice dei cicli del tempo, che veniva invocata pronunciando la frase te kalo Iuno Covella. Attraverso questo rituale si annunciava il numero di giorni che avrebbero composto il primo quarto del mese, cifra che dipendeva da quante volte era ripetuta l’invocazione. Infatti, l’origine della parola kalendae pare che provenga proprio dalla frase ego kalo («ti invoco» o «ti chiamo»).

    Passata questa prima fase, l’unica che aveva una durata variabile, arrivavano le nonae, che coincidevano con il momento in cui la luna era al primo quarto. Per comprendere il significato originario di questa parola bisogna considerare che i Romani quando contavano utilizzavano il sistema inclusivo (per approfondire, v. p. 68). Nonae deriva da nonum (nove) e fa riferimento al numero di giorni che sarebbero trascorsi per arrivare alla data successiva. Durante le nonae, il Rex Sacrorum annunciava al popolo – a volte dal Foro (la piazza principale di Roma) o dall’Arx (un piccolo colle vicino al Palatino) – la distribuzione delle festività e degli eventi nel mese.

    A metà mese si celebravano le idus, che coincidevano con la fase di luna piena. Le idi erano dedicate al dio Giove e, secondo la tradizione romana, in questo giorno il Flamen Dialis (sommo sacerdote del culto di Giove), assieme ad altri sacerdoti, sacrificava una pecora (ovis idulis) in onore del re degli dei.

    Fino a poco tempo fa, kalendae, nonae e idus erano le uniche date da tenere in considerazione per calcolare il passare dei giorni secondo il calendario romano. Tuttavia, grazie alle ricerche più recenti, osservando le fasi lunari possiamo affermare che nel calendario romano arcaico c’era spazio anche per un’altra data. Non sappiamo come fosse chiamata dai primi Romani (e nemmeno quelli dell’epoca successiva lo ricordavano), ma sicuramente coincideva con la luna all’ultimo quarto, seguendo il ciclo di nove giorni – contando secondo il sistema inclusivo – che era utilizzato durante la maggior parte del mese. Per indicare questa data utilizzeremo un termine già usato da alcuni ricercatori: nundinae post idus (nove giorni dopo le idi). I calendari romani successivi abbandonarono quest’ultima fase, che infatti è sconosciuta a noi tanto quanto lo poteva essere a un Romano del I secolo. Nonostante ciò, vi sono alcune festività celate tra i fasti (la più conosciuta delle quali è il tubilustrium) che testimoniano dell’esistenza di questa quarta data.

    Il tubilustrium (da tubae e lustrare) era un’antichissima festività romana durante la quale venivano pulite e purificate le tubae, delle trombe cerimoniali utilizzate durante i riti funerari, i giochi e i sacrifici. Nel calendario romano meno antico, la festività cadeva due volte all’anno: i 23 marzo e il 23 maggio. Secondo il calendario più ancestrale, invece, la data sarebbe stata celebrata ogni mese, una nundinae (otto giorni secondo il nostro sistema di calcolo) dopo le idus.

    Un altro elemento interessante dei calendari romani è costituito dalle abbreviazioni, che ritroviamo all’interno di moltissimi esemplari. Una delle più frequenti è la sigla QRFC, segnata in corrispondenza del 24 marzo e del 24 maggio. Secondo le fonti storiografiche, QRFC sta per quando rex comitiavit fas. Questa frase si riferiva probabilmente ancora una volta al Rex Sacrorum, che era legato anche ad altre date del calendario, come le kalendae. Anche in questo caso, si pensa che il sacerdote avesse un ruolo di primo piano durante i sacrifici della mattina nel Comitium. Insomma, sia il tubilustrium che i giorni QRFC, durante i quali si svolgevano importanti rituali, ci dimostrano l’importanza della data che segnava il compimento del terzo quarto del mese.

    Senza dubbio le due festività sopracitate sono quelle che rivelano più chiaramente il segreto di questa data andata perduta, ma analizzando il calendario romano più nel dettaglio (come faremo nella seconda parte del volume) scopriamo che ogni mese si festeggiava una data importante (che approfondiremo un po’ più avanti nel volume) che cadeva circa una nundina dopo le idi: i terminalia in febbraio, le parilia in aprile, le neptunalia in luglio, le consualia in agosto e le divalia in dicembre, per citarne alcune.

    A partire dalle nundinae post idus bastava aspettare un nuovo ciclo di nove giorni (sempre secondo il sistema inclusivo) perché si arrivasse ancora una volta all’inizio del mese successivo, che coincideva con la luna nuova. Riassumendo, secondo il sistema del calendario romano arcaico le kalendae avevano data variabile, mentre tutte le altre date del ciclo lunare si susseguivano a intervalli regolari fino a completare il periodo di circa ventinove giorni.

    Kalendae luna nuova

    |

    [3-6 giorni]

    |

    Nonaeluna crescente

    |

    [7 giorni]

    |

    Idus luna piena

    |

    [7 giorni]

    |

    Nundinae post idus luna calante

    |

    [7 giorni]

    |

    Kalendae luna nuova

    Secondo la tradizione Romolo aveva deciso di dedicare il primo mese del ciclo annuale, marzo, a suo padre Marte così da mostrare

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