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Il kamikaze
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E-book252 pagine3 ore

Il kamikaze

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Info su questo ebook

Dante non è tipo cui importi molto schiantarsi: con le donne, nel lavoro, nella vita, “abbassa la cloche e si getta in picchiata sul bersaglio”. La sua è incoscienza e incapacità di vivere secondo le convenzioni: lavoro, famiglia, social network sono troppo per lui, diventa un misantropo, gira al largo, sfugge, il contesto sociale lo prova fisicamente e psicologicamente.
Aveva una donna, Marta, che l'ha mollato e un lavoro che ha perso, poi incontra una ragazza, Irina, e trova pure un altro impiego, sembra tutto normale, ma non c'è niente di normale a Milano, soprattutto se la crisi economica ci si mette di mezzo: le coppie scoppiano, la disoccupazione dilaga, chi vuole sopravvivere deve fare il biscazziere o arrabattarsi tra mille lavoretti, la politica dà il peggio di sé.
Con alcuni amici: Penelope, Sergio e Amedeo, e la sopra citata Irina, Dante cerca di orientarsi nel caos quotidiano, ma non sa bene cosa fare, e, a quanto pare, continuerà a non saperlo. 
LinguaItaliano
Data di uscita20 giu 2020
ISBN9788835852025
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    Anteprima del libro

    Il kamikaze - Ernesto Beagle

    spasso

    Il kamikaze

    Ernesto Beagle

    Romanzo

    Copyright © 2018, tutti i diritti riservati all'autore.

    Prima edizione digitale: 2020.

    Quest'opera è protetta dalla Legge sul diritto d'autore.

    E' vietata ogni duplicazione, anche parziale, non autorizzata.

    ISBN 9788835852025

    A quelli che sperano nel miracolo

    1 A spasso

    Un lunedì qualsiasi nella storia di questo porco mondo, sotto un cielo di cemento e desolazione uscì di casa in una fredda mattina di inizio febbraio, ficcò le mani nelle tasche del giaccone e cominciò a camminare senza meta. Era il primo giorno da disoccupato, aveva perso il lavoro. La crisi? Ma quale crisi, l'azienda voleva liberarsi di un po' di gente e non appena quella banca, la Lemon Brothers, era finita all'inferno – perché se esiste un inferno è là che finiscono le banche, tornandosene da dove sono venute – non avevano perso tempo e annunciato gli esuberi, poi, tempo due-tre mesi, avevano dato il via al teatrino: l'email del capo da Londra per dirgli che il tal giorno si sarebbe recata in ufficio a Milano – ufficio in cui peraltro non si era mai degnata di farsi vedere prima – per discutere di importanti aspetti organizzativi, il suo arrivo scortata dal responsabile risorse umane alle otto e trenta, in anticipo sull'arrivo degli altri impiegati, infilandosi in tutta fretta nella sala riunioni, l'aria contrita di chi è " veramente dispiaciuta, ma la difficile situazione economica impone scelte dolorose, la lettera, la proposta di risoluzione consensuale dietro pagamento di un incentivo all'esodo (e questa parola gli faceva venire in mente Mosè e pensare che l'avessero scelta accuratamente per fargli presente la sua condizione di schiavo e di chi è alla mercé delle decisioni altrui), altre amenità varie e finalmente i saluti, good luck for the future" e vaffanculo. Si, se ne andassero a fare in culo, se lo volevano pagare per togliere il disturbo a lui andava benissimo, non gli importava perdere il lavoro, gli dava fastidio doversene cercare un altro.

    A quarant'anni non è il massimo mettersi alla ricerca di un impiego, inoltre, non dimentichiamolo, c'era la crisi, TV e giornali ripetevano questa parola almeno un milione di volte al giorno, sembrava dovessero convincere l'audience " avete capito minchioni? C'è la crisi! LA C-R-I-S-I! Ficcatevelo bene in testa!" Davano la notizia con la stessa foga con cui in inverno dicono che fa freddo e in estate che fa caldo. Che bel mestiere fare il giornalista, pensò, freddo o caldo, crisi o non crisi, qualcuno ci vuole che te lo dica da un teleschermo o te lo scriva su un foglio di giornale, casomai non te ne accorgessi da te, lì il lavoro non manca mai. Le parole, o meglio le chiacchiere , sono sempre di moda, l'Italia gli dava l'impressione di un enorme imbuto, un megafono da dove esce continuamente un frastuono incomprensibile, tutti parlano, parlano, parlano, TV, giornali, libri, riviste, politici, talk show, comizi, blog, twitter, facebook, politici, tutti dicono la loro, tutti DEVONO dire la loro, sarà anche la democrazia, pensò, ma se a qualcuno piacesse il silenzio o, per lo meno, volesse evitare di venire sommerso da quella marea di parole in gran parte inutili? Gli sarebbe piaciuto andarsene su un'isola deserta con Alice, loro due soli, lui avrebbe pescato tonni e pesci spada, lei avrebbe raccolto manghi e papaie, avrebbero fatto l'amore sulla spiaggia scambiandosi parole dolci, sussurrate per non disturbare i tucani e le tartarughe, avrebbero fatto amicizia con le scimmie insegnandogli il linguaggio dei segni, sarebbero stati felici. Ma Alice l'aveva lasciato.

    No, non c'era un nesso tra Alice e il benservito ricevuto dall'azienda, non era la storia di un uomo mollato dalla sua donna, caduto in depressione e finito in disgrazia anche sul lavoro, certo aveva sofferto, aveva pianto, però se ne era fatta una ragione abbastanza presto, sapeva che la loro storia, dopo tanti anni, era ormai una balena arenata, impossibile smuoverla, rimetterla in acqua, darle nuovo slancio. Alice l'aveva lasciato, e il porco mondo, l'intero porco mondo aveva pensato bene di completare l'opera mettendo in scena uno tsunami finanziario dal quale lui naturalmente era stato subito travolto. Sfiga. Questo era l'unico nesso, sfiga totale. Sapeva di dover stare in guardia, sentiva che la malasorte non aveva ancora finito con lui, se la sentiva addosso, percepiva il suo sguardo. La fortuna sarà cieca ma la sfiga, si sa, ci vede benissimo, ha l'occhio di falco, il radar, individua il suo bersaglio tra migliaia di persone e vi si abbatte sopra con la precisione e la potenza devastante di un missile tomahawk.

    Dante guardò in alto, il cielo invernale di Milano non dava speranze a un quarantenne solo e disoccupato.

    2 La città

    Percorse via Solari, attraversò il piccolo parco omonimo e continuò in via Dezza. Gli piaceva camminare in quel boulevard, soprattutto la domenica mattina quando i bambini e i ragazzi riempivano i piccoli parchi giochi e i campetti sportivi al centro del viale, oppure ci andava in bicicletta, approfittando di una delle poche piste ciclabili di Milano degne di questo nome. Quella strada lo rasserenava, non sapeva perché, c'era qualcosa, forse gli alberi, i colori dei giochi, il traffico tranquillo, o era la pista ciclabile, fatto sta che anche quel giorno, pur senza l'allegria domenicale, giovò al suo umore. La città per lui doveva essere così: alberi, giochi per i bambini, campi sportivi, piste ciclabili e traffico tranquillo, tutto l'opposto della realtà.

    Giunse in Corso Vercelli, i negozi erano ancora chiusi e i passanti si affrettavano, gli venne d'istinto fare altrettanto, gettarsi nella mischia, fiondarsi in ufficio e cominciare a produrre. Fare! Fare! Fare! Freneticamente. Camminare lentamente era una chiara ammissione di inutilità, uno che non aveva niente da fare e nessun posto dove andare, uno sfaccendato, un disoccupato, appunto. Gli vennero in mente i servizi dei TG: " pinco pallino, di tot anni, disoccupato..." e quel disoccupato era un marchio a fuoco per identificare un rifiuto della società, uno che non avrebbe mai combinato niente di buono. Doveva ancora abituarsi, dopotutto sapeva bene che il fatto di non avere un lavoro ha i suoi vantaggi, primo fra tutti: non avere un lavoro, poter gestire il tempo a piacimento facendo ciò che si vuole. Riprese il suo passo e lasciò che la città gli vorticasse intorno.

    Non staremo qua a descrivere per filo e per segno il percorso che Dante fece quella mattina, era un buon camminatore e quando passeggiava immerso nei suoi pensieri poteva attraversare piazze e quartieri senza farci troppo caso. Milano non era mai stata la sua passione, però la trovava l'ideale per quelli come lui, camminatori a stile libero, persone che avevano bisogno di uno sfondo, niente di particolarmente bello o che attirasse l'attenzione più di tanto, per cui fermarsi a indugiare con lo sguardo, semplicemente un contesto dove muoversi, alla stregua di chi nuota in piscina.

    Alcuni lo accusavano di avere gusti troppo difficili, lui abituato al mare, all'orizzonte lontano, non si sapeva adattare alla città, sempre a lamentarsi del grigiore, come se i colori fossero importanti un un mondo in cui, si sa benissimo, contano solo il bianco e il nero. Ma lui non aveva niente contro Milano, si chiedeva solamente per quale ragione quella strana città era stata fatta sorgere in una parte di pianura priva di uno straccio di fiume degno di quel nome a darle un senso, un bel fiume sulle cui rive fermarsi a guardare scorrere la corrente e seguirla col pensiero fino al mare, magari seduti sulla balaustra di un ponte. Ecco, a Milano non ci sono ponti. Volete mettere Parigi e il pont Neuf o il pont Alexandre III? E Londra, col ponte dei Frati Neri? New York e il ponte di Brooklyn? Roma e ponte Milvio? Tutti nomi che evocano film, fatti di cronaca, gomme da masticare; attraversare un ponte gli dava l'idea della distanza, passare da una sponda all'altra era un atto esplorativo, o anche qualcosa di più. In una città senza un fiume e senza ponti gli sembrava mancassero vie di fuga, almeno mentali.

    Rimanevano i navigli, quei canali che, lungi dal conferire l'ariosità di un fiume, erano comunque prova di buona volontà, Milano se non altro ci aveva provato ad avere un corso d'acqua. E allora lì arrivò quella mattina, dopo aver girovagato a lungo si ritrovò sulla Darsena e prese a destra l'Alzaia Naviglio Grande intenzionato ad arrivare fino alla Chiesa di San Cristoforo, per poi proseguire fino a casa. Il naviglio si allungava diritto scortato dalle due rive e dava veramente l'impressione di voler arrivare al mare, non vedendosi bene dove terminasse in quell'aria che certi giorni fa di Milano un acquarello in bianco e nero. Dante salì su uno dei ponticelli per stare al centro della scena, ma ormai sentiva di non essere più al centro di niente, era stato messo ai margini da quel porco mondo che pareva avercela con lui.

    3 La ragazza

    Quando conosci una ragazza:

    Tu sei il numero 1

    Mantieni la calma

    Guardala negli occhi. Ho detto negli occhi!

    Ricordati il suo nome senza che te lo debba ripetere tre volte

    Quel momento non si ripeterà, la potrai conoscere solo una volta, non distrarti come al solito

    Frena le tue fantasie, almeno fino a quando non vi sarete congedati

    Cita Madame Bovary e Anna Karenina, se non li hai letti punta su Jane Austin o le sorelle Bronte, se non conosci nemmeno loro spera che sia una fan di Fabio Volo

    Lei conduce il gioco, tu glielo lasci fare

    Non giustificarti, conserva il tuo arsenale di scuse per il futuro

    Ascolta Assassing dei Marillion prima di ogni appuntamento

    " Fanculo al lavoro! Dovevo darmi alla politica, quella volta che mi avevano eletto rappresentante di classe al liceo non dovevo rifiutare, oggi come minimo sarei ministro dell'istruzione" stava parlando da solo, quando udì una voce: " hey, hey tu! Si girò ma non vide nessuno, qua, alla finestra!" Disse ancora la voce di donna, alzò lo sguardo e la vide, una testa bionda sporgeva dal secondo piano di un palazzo su Ripa di Porta Ticinese, una giovane testa bionda.

    «Dici a me?» Le rispose.

    «Sì sì, a te, scusa, avrei proprio bisogno di un favore...»

    Ora cosa c'è di meglio di una giovane testa bionda di donna che ti rivolge la parola quando sei immerso nei tuoi pensieri negativi, lì su un ponticello del Naviglio Grande mentre la nebbiolina del lunedì mattina (sì perché c'è sempre la nebbiolina a Milano il lunedì mattina in inverno) offusca le prospettive anche dei più ottimisti. Ogni giorno incontriamo un sacco di gente, o sarebbe meglio dire incrociamo, per la strada o sull'autobus, solitamente sono parte del paesaggio destinate a rimanere tali, ma nel momento in cui ci scambiamo delle parole apriamo un varco gli uni nelle vite degli altri, e tutto diventa possibile.

    Dante la guardava cercando di capire che tipo di persona fosse, pensò potesse avere sui venticinque anni, sembrava carina anche se la distanza non gli permetteva di esserne sicuro, aveva una strana idealizzazione delle donne, e se ne vedeva una da lontano o magari di spalle si immaginava subito un bel viso, salvo poi rimanere deluso una volta osservatala da vicino.

    «...ho il bambino con la febbre e ho finito la Tachipirina, non è che mi faresti il favore di comprarla alla farmacia qua vicino? Non mi va di uscire e lasciarlo solo, anche se per pochi minuti...» continuò lei «se sali ti do i soldi.»

    Una giovane testa bionda con bambino, ricorda il titolo di un quadro, pensò lui.

    «Non ti preoccupare, me li dai dopo, dov'è la farmacia?» Le chiese.

    «Grazie! Devi tornare verso la Darsena da questo lato del naviglio, saranno trecento metri...però aspetta te li lancio i soldi!»

    «No lascia stare....» non fece in tempo a parlare che la ragazza scomparve per ripresentarsi dopo qualche secondo con una manciata di monete.

    «Dai avvicinati, vieni qua sotto.»

    «Ma no aspetta...» Dante odiava dare spettacolo e l'idea di essere l'attrazione dei passanti mentre cercava di raccogliere le monete al volo lo innervosiva, nonostante ciò scese sulla Ripa e percorse con ritrosia i venti-trenta metri che lo separavano dal trovarsi sotto la finestra, «non c'è bisogno, davvero...» nemmeno ora lei gli diede il tempo di terminare la frase, e prese a far cadere le monete da uno e due euro su di lui, una ad una in rapida sequenza, senza curarsi se riuscisse effettivamente a prenderle al volo. Dante, seppur inizialmente incerto come un portiere al debutto in serie A, non dovette invero faticare troppo per riuscire a raccoglierle con le mani giunte, in quanto la ragazza le consegnava alla forza di gravità con precisione, facendole giungere all'appuntamento con il ricevitore sempre nello stesso punto. Sei euro, due monete da uno e due da due.

    «Bravo! Spero che bastino, se no dopo ti do il resto. Grazie ancora, sei molto gentile!»

    «Di niente figurati, ci metto tre minuti, che campanello suono quando torno?»

    «C'è scritto Amhed!»

    Amhed, sarà il marito, di certo non ha un aspetto mediorientale o nordafricano, piuttosto del nord o est Europa...ma poi perché dovrebbe essere straniera, parla benissimo italiano, però aveva un leggero accento, un leggero accento che tiene un po' nascosto, forse un ricordo della sua terra...boh, pensando alla ragazza giunse alla farmacia, chiuso per turno, te pareva, si ricordò di quella all'inizio di via XXIV Maggio e vi si diresse, comprò la Tachipirina e ritornò. Amhed, suonò il campanello, attese uno, due minuti, nessuna risposta, riprovò tendendo l'orecchio verso il citofono, casomai si sentisse poco, ancora niente. E ora dov'è finita questa? Un tram occupò la Ripa sferragliando e costringendolo a spostarsi mentre alzava lo sguardo verso la finestra, lo guardò allontanarsi pensando a cosa fare, suonò nuovamente, silenzio.

    «Amhed!» Fattosi coraggio provò a chiamare la ragazza «Amehd!»

    Finalmente la finestra si aprì e la testa bionda riapparve.

    «Ti apro! Al secondo piano.»

    Salendo le scale dell'edificio senza ascensore, pensava a come quella ragazza sconosciuta gli aveva dato del tu da subito, gli aveva chiesto un favore affacciata alla finestra e aveva dato per scontato che fosse lui a salire da lei, piuttosto che lei a scendere al portone, per non parlare del fatto che non aveva risposto al citofono e l'aveva costretto a chiamarla dalla strada urlando, però non gli dispiaceva salire da lei, gli dava l'impressione di essere un amico in visita, quella mattinata grigia e solitaria aveva bisogno di un raggio di sole.

    Al secondo piano lei lo stava aspettando sulla porta.

    «Ciao! Non so come ringraziarti, entra!»

    «Ciao...»

    La ragazza sorrideva e Dante, un po' imbarazzato, osservò i suoi occhi azzurri e la sua pelle chiara, non era alta e sembrava più giovane di quanto aveva immaginato. Era carina, lì ci aveva preso.

    Entrò in un soggiorno con la cucina a vista, l'arredamento Ikea tipico degli appartamenti affittati e un certo disordine davano un'aria di provvisorietà, sempre che a questo mondo ci sia qualcosa di non provvisorio.

    «Ho suonato due volte il campanello ma forse non funziona» le disse.

    «Il campanello, sì scusa! Mi ero dimenticata che non funziona, che scema, mi dispiace, hai aspettato tanto?»

    «No, due minuti, non ti preoccupare.»

    «Mi sono proprio scordata, sono bastati i soldi?»

    «Ah certo la Tachipirina, eccola» tirò fuori la scatola dalla tasca del giaccone «sì giusto sei euro, beh in realtà sei e novanta ma non ti preoccupare, veramente.»

    «Come no, sei stato così gentile e ti faccio pure pagare, ti vado a prendere i soldi» non gli diede il tempo di replicare che era di ritorno con una moneta da un euro.

    «Ma dai, ora io dovrei darti dieci centesimi di resto...veramente va bene così.»

    «Allora grazie ancora, però un caffè lo prendi, quello non lo puoi rifiutare, e poi sono giusto quei novanta centesimi, no?» Disse sorridendo.

    «Ok per il caffè, con piacere.»

    «Dai togliti la giacca e accomodati, io do la Tachipirina al bambino e torno, poverino è di là a letto, prima aveva trentotto e tre.»

    4 Irina

    Dante si tolse il giaccone e lo appese sull'attaccapanni nell'ingresso. Non sapeva bene dove sedersi, sul tavolo di fronte alla cucina c'erano un quaderno aperto e dei libri; sul divano, posto di spalle, la coperta attorcigliata del risveglio e un libro, decise di aspettare la ragazza. Dalla finestra si vedeva il naviglio, l'acqua era ferma, in attesa di qualcosa per cui valesse la pena muoversi.

    «Ecco fatto!» La ragazza tornò mentre lui guardava fuori, si girò colto di sorpresa «tutto bene? Sei rimasto in piedi, scusa c'è un po' di disordine, sediamoci al tavolo, fammi solo togliere queste cose.»

    «Il bambino sta meglio?» Le domandò.

    «Sembra di sì, è solo influenza, dopo gli provo di nuovo febbre. Senti ma non ci siamo nemmeno presentati, io sono Irina.»

    «Piacere, io mi chiamo Dante.»

    Irina posò il quaderno e i libri sul divano e gli porse la mano, lui gliela strinse, era una mano calda, peccato doverla lasciare. Dante si sedette e lei prese la caffettiera.

    «Stavo quasi per uscire io per andare in farmacia, poi ti ho visto lì sul ponte...ho aperto la finestra e ti ho chiamato senza pensarci, ma non credere che sia abituata a chiamare gente che non conosco dalla finestra!»

    «Hai fatto bene, i bambini

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