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Roma negli scrittori italiani: Da Dante a Palazzeschi
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E-book507 pagine6 ore

Roma negli scrittori italiani: Da Dante a Palazzeschi

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Il libro raccoglie studi dedicati, in tempi diversi, alla presenza della città di Roma nella scrittura di alcuni autori della letteratura italiana. la ricerca mira a constatare come la città narrata assuma differenti forme e valori nelle varie scritture che sono sempre l’esito di altrettanto diverse organizzazioni retoriche del discorso e diverse visioni del mondo.Talvolta la stessa piazza sembra molto dissimile se descritta da Pirandello o da D’Annunzio Il saggio di apertura è la voce Roma composta per il Dizionario dei temi letterari, in cui si ripercorrono alcuni scritti italiani e stranieri, dedicati alla città. lo studio su Dante è molto legato al saggio Roma i papi e Dante. Quello dedicato a Petrarca richiama lo studio Petrarca da Arezzo ad Arquà passando per Roma. Il discorso su Tasso prende spunto da un racconto di F. R. de’ Angelis dedicato agli ultimi giorni del poeta. Il saggio sul danese georg Zoëga ricostruisce le varie residenze degli Arcadi, fino al Bosco Parrasio. le schede leopardiane, i saggi su Alfieri, Brancati e Palazzeschi hanno offerto la possibilità di attraversare Roma, di contemplarne gli edifici, in parte non più riconoscibili, in parte ancora identici ma pure trasformati dall’ornamento letterario. Così si è tentato di mettere insieme la bellezza della letteratura e quella della meravigliosa Roma.

Nicola Longo dal 1970 ha insegnato letteratura Italiana, Storia della critica letteraria italiana e letteratura italiana moderna nelle Università di Roma”Sapienza”, della Basilicata e di Chieti-Pescara. ordinario dal 2001, è a Roma Tor Vergata dal 2008. Ha insegnato nell’Università Somala e nel Dartmouth College del new Hampshire (USA). Socio ordinario dell’Istituto nazionale di Studi Romani, dal 2012 è componente del Collegio dei Savi dell’Accademia dell’Arcadia. Collabora dal 1992 con l’Università di Castel Sant’Angelo per l’educazione permanente. la sua ricerca, iniziata dalla letteratura rinascimentale e dallo studio dell’opera di F. De Sanctis, si è rivolta anche a scrittori del novecento per poi dedicarsi all’approfondimento della Commedia e alla presenza di Roma nel classici italiani.

Prefazione di Fabio Pierangeli e Simone Bocchetta
LinguaItaliano
Data di uscita3 ott 2021
ISBN9788838251474
Roma negli scrittori italiani: Da Dante a Palazzeschi

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    Roma negli scrittori italiani - Nicola Longo

    nicola longo

    Roma negli scrittori italiani

    Da Dante a Palazzeschi

    Tutti i volumi pubblicati nelle collane dell’editrice Studium Cultura ed Universale sono sottoposti a doppio referaggio cieco. La documentazione resta agli atti. Per consulenze specifiche, ci si avvale anche di professori esterni al Comitato scientifico, consultabile all’indirizzo web http://www.edizionistudium.it/content/comitato-scientifico-0.

    Copyright © 2021 by Edizioni Studium - Roma

    ISSN della collana Universale 2612-2812

    ISBN 978-88-382-5147-4

    www.edizionistudium.it

    ISBN: 9788838251474

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

    https://writeapp.io

    Indice dei contenuti

    PREFAZIONE

    I. IL TEMA ROMA IN LETTERATURA

    BIBLIOGRAFIA

    II. ROMA RACCONTATA NELLA COMMEDIA DI DANTE

    1. Inferno

    2. Purgatorio

    3. Paradiso

    III. SONDAGGIO NELLA ROMA DI PETRARCA

    IV. GLI ULTIMI GIORNI DI TORQUATO TASSO A ROMA

    1. Il genere letterario

    2. Il mito di Tasso

    3. La reticenza e la morte

    4. Dichiarazioni di poetica

    5. Lettere e dialoghi

    6. Il gioco dei tempi

    7. Roma

    8. Il titolo

    9. Conclusione

    V. ROMA AI TEMPI DI GEORG ZOËGA

    1. I luoghi delle ragunanze degli arcadi dal 1690 al 1940

    2. Qualche notizia su Georg Zoëga*

    3. I luoghi d’incontro

    4. Le biblioteche

    5. La letteratura arcadica

    6. Gli avvenimenti della Roma francese

    7. L’urbanistica romana del Settecento: gli interventi principali

    8. Il porto clementino

    9. La scalinata di piazza di Spagna

    10. Piazza Sant’Ignazio

    11. Fontana di Trevi

    12. Santa Maria Maggiore

    13. Villa Albani

    VI. PASSEGGIATE ROMANE DI VITTORIO ALFIERI

    Premessa

    1. Primo viaggio a Roma nel 1766

    2. Secondo viaggio a Roma nel 1767

    3. Terzo viaggio a Roma nel 1777

    4. Quarto viaggio a Roma febbraio 1781

    5. Quinto viaggio e soggiorno a Roma 1781-1783

    6. Villa Strozzi

    7. Letture pubbliche e rappresentazioni delle tragedie

    VII. PER IL SECONDO CENTENARIO DELLA NASCITA DI GIACOMO LEOPARDI

    1. Palazzo Cancellieri

    2. Palazzo Orsini-Pio-Righetti

    3. Palazzo Melchiorri-Aldobrandini

    4. I funerali di Canova nella Chiesa dei Santi Apostoli

    5. La Basilica di San Paolo

    6. I sampietrini: «Un pavimento infame infernale»

    VIII. QUANDO LE PIETRE DIVENTANO PAROLE. ROMA RACCONTATA DA CARLO LEVI

    1. Primi viaggi a Roma

    2. Levi e Roma

    3. Roma antimonumentale

    4. Roma ascoltata

    5. Roma dall’alto

    6. La Roma dell’Orologio (1950)

    7. Roma notturna e lunare

    8. La solitudine. La città solitaria

    9. La città foresta

    10. La periferia

    11. I romani

    12. Roma conchiglia

    IX. IL DIARIO ROMANO DI VITALIANO BRANCATI

    1. Della scrittura del diario

    2. Racconti in breve

    3. Temi saggistici

    4. Pagine su Roma

    5. Della censura

    X. ROMA E I ROMANI DI ALDO PALAZZESCHI

    1. Premessa

    2. Toponomastica e topografia

    3. Intermezzo

    4. Roma e la guerra

    5. I romani di Palazzeschi

    L’IMMAGINE DELLA MADONNA DEL DIVINO AMORE A ROMA

    NOTA AL TESTO

    INDICE DELLE PUBBLICAZIONI

    RECENSIONI

    COLLABORAZIONE ALLA STORIA DELLA LETTERATURA ITALIANA

    SAGGI

    COLLABORAZIONE CON IL DIZIONARIO BIOGRAFICO DEGLI ITALIANI

    COLLABORAZIONI CON RAI

    EDIZIONI, PREFAZIONI, INTRODUZIONI, NOTE

    MONOGRAFIE

    LEZIONI PRESSO L’UNIVERSITÀ DI CASTEL SANT’ANGELO (UNLA) ROMA

    TABULA GRATULATORIA

    INDICE DEI NOMI*

    CULTURA

    Studium

    228.

    Letteratura

    Nicola Longo

    ROMA

    NEGLI SCRITTORI ITALIANI

    Da Dante a Palazzeschi

    Prefazione di Fabio Pierangeli e Simone Bocchetta

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    PREFAZIONE

    Nicola Longo e i colori di Roma

    Si tratta di un luogo poco conosciuto agli stessi romani. Uno scrigno magico, quel che rimane di una suntuosa villa sei-settecentesca, a cui è stato sottratto, dall’arteria di viale Manzoni, di via Merulana e delle strade limitrofe, tutto il parco. Rimane il palazzo, immediatamente dopo l’Istituto scolastico Santa Maria e l’Antonianum. Il cortile, come segnala in un libro bellissimo Emanuele Trevi ( Senza verso. Un’estate a Roma ), confina con le finestre della prigione nazista di via Tasso, ora Museo della Liberazione.

    Un contrasto fortissimo, tra la pace che si respira ancora in quel cortile poco frequentato dai turisti, e gli orrori più atroci del secolo appena trascorso (portati con la serietà dello studio appassionato anche nelle pagine delle collane di Studium da Vittorio Emanuele Giuntella, con il suo volume Il nazismo e i Lager, e da Anna Maria Casavola, con 7 ottobre 1943. La deportazione dei Carabinieri romani nei Lager nazisti, di cui in questa collana verrà a breve pubblicata una nuova edizione aggiornata e ampliata). Nella parte visitabile della Villa ecco l’altra sorpresa: tre stanze affrescate dai Nazareni su tre soggetti letterari, un canone della tradizione del poema italico: l’ Inferno di Dante, scene dai boschi ariosteschi dell’ Orlando Furioso, scene di amore e di battaglia dalla Gerusalemme Liberata. «L’amicizia è stata sicuramente la risorsa più importante della mia vita», afferma Trevi nel suo libro, guida insolita ed efficacissima di Roma, eletto novello Virgilio il poeta Pietro Tripodo che Villa Massimo Giustiniani gli ha fatto conoscere e visitare.

    Potremmo dire lo stesso di Nicolo Longo: è lui, l’autore del libro che avete tra le mani il primo a parlarci di quel luogo magico, dove si incrociano i destini della ricezione dei tre grandi della nostra letteratura, di culture orientali, di un manipolo di artisti tedeschi giunti a Roma per un personale Grand Tour e rimasti soggiogati per anni alle atmosfere della capitale.

    Tantissimi altri episodi del genere si trovano in questa summa dell’interesse di Nicola Longo per i luoghi nella letteratura dove Roma occupa il ruolo dominante che gli compete.

    Longo conserva la sghemba e felice visuale del poeta che, di solito, si posiziona in spazi insoliti, minimi, per risalire, quasi sempre, agli archetipi e alle domande ultime sul destino umano, di fronte al passare del tempo, leopardianamente iscritte nelle rovine di una delle civiltà più straordinarie della storia, quella latino-romana, a cui, naturalmente, si aggiunge e si intreccia quella di due millenni di Cristianesimo nella città dei Papi.

    Mi pare di vederlo Giuseppe Ungaretti, durante i tragici mesi dell’occupazione nazista di Roma, entrare in San Clemente e sostare davanti al Crocifisso allora attribuito a Masaccio (ma probabilmente di Masolino) e pensarlo come simbolo incarnato della sofferenza dell’umanità. Gli ispira quella espressione celebre: «Cristo pensoso palpito».

    Un modo di attraversare la letteratura oggi di moda, ma Nicola Longo, insieme a pochissimi altri, e mi piace ricordare Emerico Giachery, ne è stato il pioniere, con il libro sui luoghi romani della Commedia e l’altro sulla geografia petrarchesca, via via concentrandosi sulla città eterna, ed è arrivato già a produrre un altro piccolo capolavoro, una vera e propria passeggiata sentimentale per i Rioni romani, in luoghi magici e per lo più ignorati, tessendo delle intelligenti didascalie agli acquarelli di Marco Agostini (qui ben presente, grazie alla delicata e insieme forte immagine di copertina) nel volume Roma di immagini e colori. Memorabile, per Studium, a formare un dittico coeso di testi di Longo, anche il testo Pirandello tra Leopardi e Roma del 2018, originato dal medesimo calderone di ottimo materiale da cui origina questo.

    Longo unisce la precisione degli elementi, per così dire, oggettivi, munito di cartine puntigliose, palazzo per palazzo, piazza per piazza, alla descrizione di elementi spirituali che quel dato certo attraverso, fino a trasformarlo, riempiendolo di affetti, di ricordi, di sentimenti, di situazioni. Questo avviene anche per la precisione bibliografica, trampolino di lancio per una solida ermeneutica dei testi, svolta, in particolare, in un primo capitolo riepilogativo e di rassegna assai utile per gli studiosi, a cui segue il personale canone del nostro autore (ma è meglio definirlo scrittore, a tutti gli effetti): Dante (vale la pena qui di far cenno anche ad un altro libro di Longo per Studium, quegli Studi danteschi. Da Francesca alla trinità, che ebbero in breve tempo due edizioni), Petrarca, Tasso, Alfieri e Leopardi, fino a Carlo Levi, Palazzeschi, Brancati, con la novità assoluta, almeno per chi scrive, della memoria del salotto di Georg Zoëga, nei tempi d’oro della Accademia dell’Arcadia, tutti sorpresi dalla vitalità, spesso contraddittoria, della città eterna. Come si vede, nessun romano: autori che, per riprendere una felice espressione di De Seta, sono uno specchio più veritiero e consapevole sulla città, perché arriva, nelle diverse fasi della storia, dalla distanza di una diversa cultura di provenienza.

    La presenza di Tasso, straordinaria, si deve ad un altro incrocio di amicizia e letteratura, rilanciato ultimamente proprio da Studium: il saggio di Longo parte da una profonda analisi del bellissimo romanzo di Francesca Romana De Angelis, Solo per vedere il mare. Memoria di Tasso, ma diviene molto di più, nel segno della condivisione di una esperienza artistica tragica, capace, però, di lasciare tracce indelebili nella storia della cultura e perfino nel modo di guardare certi luoghi di Roma, a cominciare, naturalmente da Sant’Onofrio (dentro cui il libro fu presentato, oltre che da Renzo Bragantini e Angela Bianchini, anche dal compianto e caro prof. Mario Scotti, molto legato all’editrice) e dalla indimenticabile quercia del Gianicolo cara a Leopardi. Ed eccoci ritornati, proprio con gli affreschi dedicati a Tasso, a Villa Giustiniani Massimo e alla storia dei Nazareni. Un circolo che non si chiude, ma si riapre e si intreccia, riformula storie nel ventaglio affascinante dei vicoli e dei dialetti della città del Belli, del Papa, di tanti poeti e scrittori, di tanti uomini liberi. La potenza della letteratura, come sintetizza l’autore parlando del romanzo della De Angelis, edito da Studium nel 2004 e poi in nuova edizione nel 2015:

    La scrittrice di questo romanzo, per sostenere l’invenzione narrativa, arriva fino a ricordare e trascrivere le espressioni che il suo protagonista avrebbe adoperato in lettere e in dialoghi, che sono proprio due generi letterari precipui e specifici dell’opera tassiana. Al di là dell’illusione letteraria, tuttavia, nella vita reale, nessuno (che non sia un Pico della Mirandola) ricorda le parole che abbia rivolto a qualcuno e che qualcuno gli abbia rivolto o che abbia scritto anni prima: questo è un fenomeno che appartiene solo al patto finzionale fra scrittore e lettore. In questo caso, non si può trascurare come il momento mimetico, pur estremamente contenuto, com’è opportuno all’interno della scrittura diaristica, svolge perfettamente la funzione di vivacizzare il racconto di una vita, attraverso i segni di una scena programmaticamente realistica. Del resto, certo non a caso, gli interlocutori del poeta sono per lo più le donne e poi le persone a cui, qualunque fosse il loro ruolo sociale, egli si sentiva legato da un rapporto di fiducia. Attraverso il dialogo, così, si manifesta questo scambio di affetti e di sentimenti amicali.

    Ed è a questi sentimenti amicali, presenti anche nel grande riscontro che l’editore ha avuto durante i contatti intercorsi per la stesura della Tabula Gratulatoria presente nelle ultime pagine, che questo libro anche fa riferimento. Amicizia, studio, Roma, ed ecco che dai colori di Nicola Longo prendono vita le storie letterarie che compongono questo bel volume.

    Roma, giugno 2020

    Fabio Pierangeli – Simone Bocchetta

    Università Roma Tor Vergata – Edizioni Studium

    I. IL TEMA ROMA IN LETTERATURA

    L’etimologia di Roma è riconducibile a due ipotesi: se si collega la fondazione della città alla civiltà italica, il toponimo deriverebbe da rumon , attestato da Servio come l’antico nome del Tevere; in questo caso ro manus equivarrebbe a fluviale. Di fatto la porta romana dell’antica cinta corrisponde alla Porta flumentana della cinta serviana. Se l’origine della città si deve all’intervento etrusco, l’etimo può essere tanto il termine ruma nel significato di mammella, come nome/attributo del colle Palatino, quanto lo stesso termine Ruma ma come gentilizio etrusco.

    Nell’età antica, fra gli autori che hanno assunto Roma a materia della propria opera si deve ricordare Virgilio ( Eneide,VI e VII; sec. I a.C.) che prima, attraverso Anchise, mostra Roma trionfante sui sette colli cinti di mura e poi, per bocca di Evandro, illustra ad Enea i luoghi su cui sorgerà la città.

    Orazio, autore del fondamentale Carme secolare del 17 d.C. esprime, in forma di invocazione, la propria fede pacata nella grandezza di Roma e insieme l’auspicio della sua eternità: « Alme Sol, [...] possis nihil urbe Roma visere maius!» (vv. 9-12). Quando il testo sarà musicato da Giacomo Puccini nel 1919, quei versi diventeranno «Sole che sorgi libero e giocondo, tu non vedrai nessuna cosa al mondo maggior di Roma» e il Carme entrerà nell’innografia del regime fascista.

    Molti Epigrammi (86-101 d.C.) di Marziale hanno come panorama o come soggetto luoghi e ambienti di Roma; fra gli altri sono da ricordare la narrazione della cerimonia di inaugurazione del Colosseo; quello, in distici, sul panorama che si gode dal Gianicolo e i versi che descrivono la veduta di Roma da Monte Mario.

    Elio Aristide, retore greco della seconda sofistica, vissuto fra il 117 e il 180 d.C., in occasione di un suo soggiorno a Roma, elabora un’orazione epidittica ( L’encomio di Roma, 144 d.C.), lodando le condizioni del mondo sotto il dominio dell’impero e distinguendo ormai gli uomini fra romani e non romani invece che fra greci e barbari. Il testo, pieno dell’ammirazione del greco verso Roma, richiama in modo evidente Polibio; ed è vicino a un’ode saffica del I secolo, tramandata dall’antologia di Giovanni Stobeo (erudito greco dell’inizio del V secolo d.C.), che ugualmente celebra la grandezza di Roma.

    Rutilio Namaziano, lasciando Roma nel 417 per la natia Gallia, scrive, in distici elegiaci fortemente segnati dalla nostalgia, il De reditu suo (sec. V d.C.), un elogio di Roma «bellissima regina del mondo», di cui si dice, con elegante paronomasia, « Urbem fecisti quod prius orbis erat» .

    La stessa nostalgia caratterizza le pagine con cui, nell’età di mezzo, pochi libri di pochi autori ci lasceranno le immagini dell’urbe medievale, percorsa dalle scorrerie dei popoli invasori, a partire dal fatidico 410 (anno del sacco di Alarico). L’idea medievale di Roma oscilla fra il pensiero agostiniano che valuta difetti le antiche virtù romane, identificando Roma con un peccatore che, solo dopo il pentimento per il sangue cristiano versato, può essere accolto nella ecclesìa (concezione, questa, che si trova anche in Girolamo, Ambrogio e Prudenzio) e laconsiderazione, che sarà propria di Dante, che collega la Roma augustea celebrata da Virgilio, con la Roma di Pietro, assunta a simbolo del Paradiso, invece della tradizionale Gerusalemme, e che rese romano Cristo stesso ( Purg. XXXII, 107).

    A partire dalla consapevolezza della perduta grandezza e dalla visione delle presenti rovine, s’avvia quel processo di distinzione fra passato e presente che consentirà agli umanisti la conquista di una corretta prospettiva storica. Fino al sec. XI, ciò che indica la sacralità di Roma non è tanto la presenza della sede papale quanto il fatto di conservare la tomba e di essere sede del seggio di Pietro, suo primo Vescovo, e luogo del martirio di Pietro stesso e di Paolo. Ciò è ben espresso nei versi, del sec. X, noti col titolo O Roma nobilis! (Vat. Lat. 3227) in cui si legge una magnifica invocazione alla maestà e divinità di Roma riconosciute, nel nome di Pietro e di Paolo: «O Roma nobilis, orbis et domina cunctarum urbium excellentissima».Per questo motivo «andare a San Pietro e San Paolo», negli scritti medievali, equivale ad andare a Roma.

    Nel sec. VII Beda il Venerabile elabora per la prima volta il tema dell’eternità di Roma, legata alla durata del Colosseo. Fra il 1101 ed il 1103 Ildeberto de Lavardin compone dei Carmi di celebrazione di Roma. La tradizione medievale delle descrizioni di Roma fa capo al testo de Le meraviglie della città di Roma scritto da Benedetto, Canonico di San Pietro, fra il 1140 ed il 1143. Né è possibile dimenticare che Mirabilia urbis è anche il titolo di un libro straordinario di Antonio Cederna, del 1965, che tratta del saccheggio del territorio romano, avvenuto fra il 1957 ed il 1963. Dall’opera di Benedetto derivano altre cinque descrizioni della città: i Mirabilia, successivi al 1154; Il miracolo di Roma (metà sec. XII) composto in dialetto romanesco; il De mirabilibus urbis Romae del maestro inglese Gregorio fine sec. XII, inizi sec. XIII; i Mirabilia (1360-62) del tarragonese Nicolàs Rosell; il Tractatus de rebus antiquis et situ urbis Romae (inizio sec. XV, ms. magliabechiano).

    Boncompagno da Signa ( Liber de obsi dione Ancone, 1198-1200) ci offre una sintetica visione della città riassumendo quanto ha già descritto di Roma in altre opere (v. Gabrini 1999). Nel 1210 presso l’Ospizio benedettino di San Biagio a Trastevere, fu accolto Francesco d’Assisi, a Roma per chiedere il riconoscimento pontificio del suo ordine. Nei pressi dell’Ospizio, nel 1231, in suo onore, sarà costruita la Chiesa di San Francesco a Ripa Grande. Negli Scritti del Santo molti sono i riferimenti alla città sia come sede dell’autorità papale sia come luogo di pellegrinaggio.

    Uno dei libri di ambientazione romana più belli che il Medioevo ci abbia lasciato è certamente l’anonima Cronica (1357-58, edita nel 1740) contenente la Vita di Cola di Rienzo. Il giorno di Pentecoste del 1347 Cola si mosse da Sant’Angelo in Pescheria per conquistare il Campidoglio. Sconfitti i Colonna a Porta San Giovanni, egli portò sull’altare dell’Aracoeli la sua spada e il bastone di comando. Nel 1354, Cola venne ucciso ai piedi del palazzo senatorio; il cadavere mutilato fu bruciato non lontano dal Mausoleo di Augusto; nel 1887 gli fu innalzato un monumento a sinistra della cordonata del Campidoglio.

    Dante Alighieri è stato a Roma certamente durante il pontificato di Bonifacio VIII e forse anche per il primo Giubileo del 1300, quando una tradizione spuria identifica il suo soggiorno presso l’Osteria dell’Orso. Nella Di vina Commedia (1306-1321), si trovano richiami alla storia romana (di cui uno straordinario profilo è in Par. vi); il richiamo a Scipione, vincitore di Annibale che è solo uno strumento della provvidenza divina per l’unificazione del mondo prima della nascita del Redentore ( Par. XXVII 62); quello in cui il poeta ricorda le lotte interne allo stesso Palazzo del Laterano, fra Bonifacio VIII e i cardinali Piero e Jacopo Colonna ( Inf. XXVII 86); quello che, nelle parole di Pietro, identifica Roma con il «cimitero mio» divenuto «cloaca / del sangue e de la puzza» ( Par. XXVII 25-26). I riferimenti alla città riguardano la magnificenza della Roma imperiale; il ricordo dell’opera di Pietro e di Paolo per la santificazione della città; la corruzione della curia (la meretrice: Inf. XIX 107); la pigna di bronzo che ornava il Mausoleo di Adriano o il Pantheon ( Inf. XXXI 59); Monte Mario («Montemalo»: Par. XV 109), assunto a suo emblema; e, infine, il Ponte Sant’Angelo ( Inf. XVIII, 28-33) che, proprio durante il Giubileo, vedeva i pellegrini disporsi su due file l’una di chi andava verso la Basilica e l’altra di chi ne tornava, rivolto verso Monte Giordano.

    Quanto a Francesco Petrarca, egli fu a Roma quattro volte fra il 1336 e il giubileo del 1350; nel 1341 riceve, sul Campidoglio, la corona di poeta dalle mani di Orso dell’Anguillara. Nella sua opera è diffusa l’immagine di Roma quale capitale della cristianità. Sia nel Canzoniere (1374) che nelle Familiari (1325-66) Roma si presenta come elemento storico e geografico dal profondo significato simbolico. A partire dall’identificazione petrarchesca di Avignone con l’empia Babilonia, Roma assume il valore di nuova Gerusalemme ( Sine nomine, 9). Talvolta Roma rappresenta la Chiesa santa, antecedente l’esilio, contrapposta alla Chiesa avignonese falsa e malvagia. Altre volte, nel Canzoniere, Roma sta ad indicare genericamente le Alpi, l’Italia, l’oriente. Infine Roma è, per il poeta, sinonimo dei suoi amici romani, da Giacomo Colonna ( Canzoniere, 178 e Familiari, I, 6) a Lelio di Pietro Stefano Tosetti.

    Per Giovanni Boccaccio, fin dalla prima giornata del Decameron (ca. 1349-53), Roma coincide con i chierici corrotti della Curia (I, 2) o con la sede papale (II, 3) o, comunque, con le condizioni di miseria e di degrado in cui era ridotta la città durante il periodo della cattività avignonese (V, 3). Le medesime immagini di Roma tornano nel Filocolo (I, 4; 1336-38), nelle Epistole (XVIII) e nelle Rime (39). Nella sua scrittura mancano immagini della realtà urbana di Roma e l’unico riferimento indiretto è al personaggio di Pietro Boccamazza della famiglia a cui appartiene l’omonima torre di Via San Nicola dei Cesarini nell’area sacra Argentina.

    Per gli umanisti Roma rappresenta il luogo deputato dell’ideologia classicista. Brunelleschi viene a Roma a misurare edifici, monumenti e ruderi, leggendo, come altri, Vitruvio per ricavare i canoni dell’urbanistica romana.

    Un primo testo di elogio di Roma, in nome della cultura classica latina, è la bolla, allestita da Leonardo Bruni, con cui Innocenzo VII, nel 1406, ripristina lo Studium Urbis. Manuele Crisolora, dopo aver insegnato greco a Venezia, Milano, Pavia, e Firenze, viene a Roma nel 1408 ed è eletto Cardinale da Gregorio XII. Egli è autore di uno scritto dal titolo Roma parte del cielo che contiene un confronto fra l’antica e la nuova città. Nell’elogiare Roma, egli scriverà che essa è «parte del cielo» proprio per indicarne quelle caratteristiche uniche e preziose, quasi divine che ne fanno la città eterna per antonomasia. Da questa età si avvia la diffusione del «mito» di Roma che rimarrà come carattere costante del discorso sulla città.

    Uno dei maestri dello Studium è Pomponio Leto, fondatore dell’Accademia romana. A lui si deve lo scritto De vetustate Urbis, quasi una guida turistica, utile per visitare la città attraverso un ordinato itinerario fra i suoi monumenti. Di lui si narra l’abitazione sul Quirinale e la tomba in San Salvatore in Lauro, distrutta nel XVI secolo.

    Sullo stesso piano è da ricordare la Roma instaurata di Flavio Biondo del 1446 e il De urbe Roma (dopo il 1475) di Bernardo Rucellai. Secondo Pierio Valeriano ( De litteratorum infelicitate, 1527) la rinascita dell’antica letteratura è un processo avviato a partire dall’elezione, nel 1447, di Niccolò V (Tommaso Parentucelli) e trova il suo luogo privilegiato proprio a Roma e nel nome di Roma per lui segnato in maniera indelebile dall’evento del sacco del ’27.

    Un testo fondamentale per l’umanesimo romano è rappresentato dai Coryciana (1524), insieme di carmi latini raccolti da Blosio Palladio nel 1524 e composti da tanti scrittori che negli anni si sono riuniti intorno a Giano Coricio (Hans Goritz) e, in suo onore, hanno offerto versi alla Sant’Anna di Andrea Sansovino, conservata nella chiesa di Sant’Agostino (v. De Caprio e Pettinelli). Questa cultura classicista continuerà ad alimentare il mito della Roma del primo papa mediceo, figlio del Magnifico Lorenzo, che farà propria l’eredità della Firenze laurenziana come novella Atene, a partire dalla sua ascesa al soglio col nome di Leone X nel 1513, almeno fino al Sacco del ’27. Proprio in occasione di questa elezione, torna a Roma Ludovico Ariosto, soggiornando nella locanda del Montone alla Rotonda (ora Albergo del Sole), dopo che nel 1509 aveva svolto funzioni di ambasciatore presso Giulio II e nell’anno seguente era venuto nell’urbe per tre volte a rappresentare il suo Signore. Di queste esperienze ci sono tracce letterarie nella scrittura delle Satire (II e VII; 1517-25, 1534).

    Nell’ambito della civiltà rinascimentale non si può trascurare il nome del segretario ai Brevi, Cardinal Bembo, autore del distico posto sulla tomba di Raffaello al Pantheon e sepolto in Santa Maria sopra Minerva.

    In San Lorenzo in Damaso si conserva la tomba di Annibal Caro il cui epistolario contiene molti riferimenti alla città che lo vide al servizio dei Farnese. Nelle sue Lettere familiari ( 1573-75) Roma appare tale (per numero di abitanti e per vitalità) che «anche i deserti e le ruine ne possono far parere che siamo accompagnati». Inoltre il Caro riferisce di una sua invenzione in un unico tempio aventiniano dell’ Ara ma xima, dedicato da Ercole a Giove inventore. Campo de’ Fiori è il luogo in cui si svolgevano giochi e rappresentazioni popolari (la sua commedia Gli straccioni ha come scenario il palazzo Farnese e si svolge quindi proprio su questa piazza); poi ricorda Castel Sant’Angelo, Santa Maria in Monserrato, i Santi Apostoli, l’Ara Coeli, Corte Savella, Monte Citorio, Strada Giulia, Villa Gaddi, il Ninfeo di Villa Giulia.

    Nella vasta mole di scritti anonimi detti Pasquinate trionfa una tradizione letteraria cinquecentesca anticlassicista che lascia un’immagine di Roma del tutto inconsueta. Si tratta di testi che, in un latino epigrammatico della tradizione di Marziale e Giovenale, si rivolgono contro il potere costituito usando violente contumelie. A questo genere di letteratura dà un grande contributo l’Aretino, componendo sonetti con invettive di ogni tipo contro il papa regnante e la curia. Nei suoi versi Roma è il palcoscenico privilegiato per le tirate pseudomoralistiche contro la corruzione. Anche i testi de La cortegiana (1525) e de Il ragionamento de le corti (1538), dello stesso Aretino, sono inimmaginabili senza lo sfondo della città dei papi.

    Un’altra opera cinquecentesca in cui è presente il paesaggio romano è La ninfa tiberina (1538) nelle cui ottave, di ispirazione pastorale, Francesco Maria Molza celebra Faustina Mancina.

    Né è da tacersi la Roma narrata come sfondo delle sue spacconate da Benvenuto Cellini nella Vita (composta fra il 1558 ed il ’65 ma edita solo nel 1728). Talvolta la città appare in primo piano, magari illuminata dalla luna, come nel celebre episodio dei riti magici al Colosseo.

    Torquato Tasso scrive di Roma nelle lettere ai suoi corrispondenti durante i numerosi soggiorni romani. Egli è in città la prima volta, nel 1534, col padre Bernardo che s’è appena liberato dal servizio del Principe Ferrante Sanseverino. La loro residenza è Palazzo Orsini Taverna, sulla collina di Monte Giordano, entrambi ospiti del Cardinale Luigi d’Este.

    Il secondo soggiorno risale al 1556 quando, appresa la morte della madre Porzia, trascorre l’estate presso il Cardinale Ippolito d’Este nella vigna di Monte Cavallo. Si tratta del primo nucleo (del quale è ancora visibile il Torrino belvedere) dell’edificio che più tardi sarà unito al palazzo del Quirinale.

    Durante il terzo soggiorno romano nel 1571, egli è dapprima ospite di Ippolito nel palazzo di Monte Giordano, quindi nella villa estense di Tivoli.

    Nel novembre del 1575, è a Roma in occasione del Giubileo ma non si conosce la sua residenza.

    Il palazzo di Monte Giordano, al ritorno da Sorrento, fra febbraio e aprile 1578, lo vedrà di nuovo ospite del cardinale Luigi d’Este.

    Nell’86 lascia la reclusione di Sant’Anna e sarà a Roma dall’ottobre, presso il cardinale Scipione Gonzaga in palazzo Galitzin alla Scrofa.

    Dall’agosto dell’89 risiede presso gli olivetani di Santa Francesca Romana al Palatino. Nel ’91 è di nuovo a Roma e nel ’92 è ospite di Cinzio de’ Passeri, cardinal nipote di Clemente VIII Aldobrandini, prima in Via del Pavone poi negli appartamenti vaticani e nella villa del Quirinale.

    Nell’autunno del ’94, ormai molto ammalato, è ospite degli eremiti di San Girolamo vicino alla chiesa di sant’Onofrio al Gianicolo dove muore l’anno seguente.

    Del 1695 è un testo, divenuto classico del teatro romanesco, che dà vita ad un personaggio «eterno» della città: si tratta del Meo Patacca (1695), poema giocoso di Giuseppe Berneri. È questo il capostipite del «tipo» di bullo romanesco (un suo avo è forse il plautino Miles gloriosus, divenuto il pasoliniano Vantone) che in Meo Patacca riconosce il «capotruppa della gente sgherra»: violento e spavaldo quanto pacifico e borioso.

    Al 1690 risale la fondazione dell’Accademia dell’Arcadia che avviene nel giardino di San Pietro in Montorio sul Gianicolo (il Bosco Parrasio) dove convengono, invitati dal Crescimbeni, 14 eruditi e letterati che, in Palazzo Corsini alla Lungara, avevano fatto parte del circolo della regina Cristina di Svezia, morta l’anno prima. Da questa Accademia la letteratura di ambientazione romana trarrà ampia fortuna. Nel XVIII secolo il romano Pietro Trapassi detto Metastasio (nato in Via dei Cappellari a Campo de’ Fiori e scoperto dal Gravina mentre recita versi «all’improvviso» su temi suggeriti da chi si fermava ad ascoltarlo) ambienta a Roma i suoi melodrammi di argomento storico.

    Vittorio Alfieri ( La vita scritta da esso, 1806) racconta i suoi diversi soggiorni romani, a partire dal 1766. Nel 1777, avvicinandosi alla città per la seconda volta, nella taverna della Valle del Baccano, compone il famoso sonetto di invettiva («Vuota insalubre region, che stato Ti vai nomando, aridi campi incolti») che si chiude con l’interrogativo: «Oh! Se’ tu Roma, o d’ogni vizio il seggio?». Nel 1781-83 abiterà a Villa Strozzi, situata nell’area dell’attuale Teatro dell’Opera. A Roma, divenuto Filacrio Eratrastico, in Arcadia, legge il Saul (1782) nel Bosco Parrasio; poco dopo recita la parte di Creonte dell’ Antigone nel teatro della residenza dell’ambasciatore di Spagna, il duca Girolamo Grimaldi. (Queste ultime vicende sono ricordate da Giovanni Faldella in Roma borghese, 1882).

    Alessandro Verri viene a Roma nel 1767 e vi compone Le notti romane al sepolcro degli Scipioni (redatte fra il 1792 ed il 1815). Egli immagina che di notte, lungo la Via Appia antica, si svolgano intensi dialoghi fra i fantasmi dei grandi: Cesare, Pompeo, i Gracchi, Mario, Silla, Bruto, raccolti intorno alla tomba degli Scipioni, di recente venuta alla luce. Nella seconda parte dell’opera gli stessi spiriti, condotti dallo scrittore, ripercorrono la storia di Roma visitando i luoghi celebri dell’urbe dal Palatino al Vaticano, dal Colosseo a Monte Sacro. Alessandro Verri muore a palazzo Boccapaduli Gentili Del Drago in via San Nicola in Arcione ora Via in Arcione: una lapide ne ricorda la residenza e la morte.

    Proprio negli ultimi due decenni del ’700, in coincidenza con la diffusione della moda neoclassica, Roma e il suo mito, al di là delle condizioni di abbandono in cui la città si trova, diventa un punto di riferimento per le persone colte e per l’educazione dei giovani europei che intraprendono il doveroso grand tour nell’Europa meridionale. Nel 1774 si pubblica il Diario di viaggio in Italia di Michel de Montaigne, composto fra il 1580 e il 1581, prototipo di tanti altri libri simili dei secoli seguenti.

    Fra i viaggiatori più famosi e fra i più calorosi amanti di Roma è Johann Wolfgang Goethe (la cui casa, divenuta museo, si trova in Via del Corso). Nel Viaggio in Italia (1828) egli narra del soggiorno romano degli anni 1786 e ’87, interrotto dal viaggio nel meridione, e illustra la vita degli artisti stranieri a Roma, manifestando continuamente grande entusiasmo per le bellezze artistiche e archeologiche della città e dei suoi dintorni.

    Anche Stendhal in Firenze, Roma e Napoli (1817 e 1826) e nelle Passeggiate romane (1829), ricorda e racconta personaggi e luoghi dell’urbe. In questo clima di interesse per il mito di Roma e per le sue rovine si collocano le opere grafiche di Giovanni Battista Piranesi (che comincia il suo lavoro con Giovan Battista Nolli, artefice della grande pianta di Roma), di Giuseppe Vasi e di Bartolomeo Pinelli che, con quelle di pochi altri incisori, consentono di contemplare paesaggi e scorci di Roma sparita come, nel secolo seguente, succederà con gli acquerelli di Ettore Roesler Franz.

    L’attenzione verso Roma del movimento romantico europeo è ispirato dalle pagine di Madame de Staël che, con il pretesto di narrare la storia d’amore di Lord Oswald Nelvil (a Roma fra il 1794 e il ’95) per una poetessa, offre, in Corinna o l’Italia (1807), una bellissima immagine della città. Il romanzo ebbe grande fortuna presso i contemporanei: fece conoscere ai francesi Roma, con le sue rovine e con i suoi colori malinconici; lo stesso Giacomo Leopardi lo considererà come la sua guida alla città.

    Fra i romantici, compongono versi per Roma John Keats e Percy Bysshe Shelley: a loro è dedicato un piccolo museo situato in un palazzetto di Piazza di Spagna, sul lato destro della scalinata; entrambi sono sepolti nel cimitero acattolico della Piramide.

    Leopardi visitò Roma fra il 1822 ed il ’23 e più tardi fra il ’32 e il ’33. Il suo rapporto con la città fu determinato dalla delusione fra l’idea che egli aveva coltivato in tanti anni di studi dell’antichità latina e la realtà impersonata daletterati presuntuosi e pedanti: fra questi Francesco Cancellieri, che egli visitò in Via del Mascherone, e Angelo Mai, del quale fu ospite in una memorabile cena nel palazzo della Biblioteca Vaticana. Soprattutto l’epistolario del poeta, con la sua scrittura raffinata ed elegante, esprime i sentimenti di repulsione e di passione che via via egli avverte verso la città, i suoi noiosi eruditi, i suoi laboriosi popolani: si ricordi almeno il capolavoro della lettera al fratello Carlo relativa alla visita alla romba del Tasso a Sant’Onofrio al Gianicolo (si veda Leopardi a Roma, 1998).

    Nell’Ottocento e nel Novecento il discorso letterario su Roma assume un valore culturale assai maggiore (si parlerà della prima, della seconda e della terza Roma) che si specificherà nell’opera dei tanti scrittori nati a Roma o che l’abbiano scelta come loro residenza o che l’abbiano conosciuta come visitatori. Questa storia è segnata dalla centralità del processo di conquista della città come capitale del Regno d’Italia a partire dal fatidico 20 settembre sul quale, in forma cronachistica, molte pagine sono state scritte, anche dai protagonisti. Tale avvenimento individua una cesura netta non solo nella considerazione della città, papalina e provinciale prima, regia e piccolo borghese poi, ma soprattutto nella storia del suo sviluppo urbano che, nell’attesa dell’arrivo dei «buzzurri» (piemontesi e settentrionali in genere) e dei meridionali, vedrà la crisi del Banco di Roma, prodotta da una profonda corruzione di una parte della classe politica ma anche l’espansione incontrollata dell’abitato fuori della cinta delle mura aureliane.

    Per riferire in poche righe del gran numero di opere letterarie che vedono Roma come sfondo privilegiato o come protagonista di primo piano, si possono individuare almeno quattro linee di tendenza. La prima di queste linee mantiene ferma la memoria della Roma dei Cesari ridotta in rovine. Come s’è già detto, Leopardi l’attraversa dopo averla ricordata ne La sera del dì di festa (1819-21) e prima di citarne «l’erme contrade» ne La

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