Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Le complicanze nella chirurgia urologica. Diagnosi, terapia e prevenzione
Le complicanze nella chirurgia urologica. Diagnosi, terapia e prevenzione
Le complicanze nella chirurgia urologica. Diagnosi, terapia e prevenzione
E-book1.473 pagine11 ore

Le complicanze nella chirurgia urologica. Diagnosi, terapia e prevenzione

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Una rapida occhiata ai testi disponibili sul mercato mostra chiaramente che abbondano i testi di tecnica chirurgica urologica, mentre c’è una sostanziale carenza di testi che trattano il tema delle complicanze nella chirurgia urologica, oggetto di questo ampio e approfondito manuale. Fino a oggi, infatti, è stata la tradizione orale a trasmettere le conoscenze e le esperienze su questo importante tema. In particolare, il decorso postoperatorio in tutta la sua complessità non trova una trattazione specifica e analitica, sebbene ogni professionista sia consapevole che qualsiasi intervento chirurgico deve tenere in considerazione le possibili complicanze in modo da attuare tutte le strategie necessarie a tutelare il paziente.

Proprio per queste ragioni il contenuto di questo trattato si focalizza non solo sulla descrizione delle possibili complicanze postoperatorie dopo i più comuni interventi urologici, ma anche su diagnosi, trattamento e possibili strategie preventive delle stesse. L’opera si avvale della lunga e vasta esperienza di un ampio gruppo di medici, urologi e anestesisti, afferenti alla Scuola Urologica di Padova.

Il volume – strutturato in una sezione generale di introduzione alla gestione perioperatoria e in due sezioni sulla gestione delle complicanze postoperatorie mediche e chirurgiche connesse agli interventi urologici – è rivolto a tutti gli urologi e in modo particolare ai più giovani e agli specializzandi.
LinguaItaliano
EditoregoWare
Data di uscita25 set 2014
ISBN9788867972371
Le complicanze nella chirurgia urologica. Diagnosi, terapia e prevenzione

Correlato a Le complicanze nella chirurgia urologica. Diagnosi, terapia e prevenzione

Ebook correlati

Medicina per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Recensioni su Le complicanze nella chirurgia urologica. Diagnosi, terapia e prevenzione

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Le complicanze nella chirurgia urologica. Diagnosi, terapia e prevenzione - Pier Francesco Bassi

    © goWare

    settembre 2014, prima edizione

    ISBN 978-88-6797-237-1

    Copertina: Lorenzo Puliti

    Revisione bibliografia: Stella Ammaturo

    Sviluppo ePub: Elisa Baglioni

    goWare è una startup fiorentina specializzata in digital publishing

    Fateci avere i vostri commenti a: info@goware-apps.it

    Blogger e giornalisti possono richiedere una copia saggio a Maria Ranieri: mari@goware-apps.com

    L’editore è a disposizione degli aventi diritto con i quali non gli è stato possibile comunicare per eventuali involontarie omissioni o inesattezze nella citazione delle fonti dei brani riprodotti nel presente volume.

    Presentazione

    Una rapida occhiata ai testi disponibili sul mercato mostra chiaramente che abbondano i testi di tecnica chirurgica urologica, mentre c’è una sostanziale carenza di testi che trattano il tema delle Complicanze nella chirurgia urologica, oggetto di questo ampio e approfondito manuale. Fino a oggi, infatti, è stata la tradizione orale a trasmettere le conoscenze e le esperienze su questo importante tema. In particolare, il decorso postoperatorio in tutta la sua complessità non trova una trattazione specifica e analitica, sebbene ogni professionista sia consapevole che qualsiasi intervento chirurgico deve tenere in considerazione le possibili complicanze in modo da attuare tutte le strategie necessarie a tutelare il paziente.

    Proprio per queste ragioni il contenuto di questo trattato si focalizza non solo sulla descrizione delle possibili complicanze postoperatorie dopo i più comuni interventi urologici, ma anche su diagnosi, trattamento e possibili strategie preventive delle stesse. L’opera si avvale della lunga e vasta esperienza di un ampio gruppo di medici, urologi e anestesisti, afferenti alla Scuola Urologica di Padova.

    Il volume – strutturato in una sezione generale di introduzione alla gestione perioperatoria e in due sezioni sulla gestione delle complicanze postoperatorie mediche e chirurgiche connesse agli interventi urologici – è rivolto a tutti gli urologi e in modo particolare ai più giovani e agli specializzandi.

    Autori

    Pier Francesco Bassi

    Ha conseguito la laurea e la specializzazione in urologia all’Università di Padova dove ha ricoperto l’incarico di professore associato di urologia con il professor Pagano. Dal 2005 è professore ordinario di Urologia e direttore della Clinica urologica all’Università Cattolica di Milano, sede di Roma, policlinico Gemelli.

    * * *

    Emilio Sacco

    Dopo la specializzazione in urologia presso la Clinica urologica dell’Università di Padova, ha concluso una fellowship di un anno presso l’Università di Cambridge (UK). Attualmente è responsabile dell’Unità operativa semplice di urologia funzionale presso il policlinico Gemelli di Roma. È autore di oltre 200 pubblicazioni scientifiche e didattiche e referee per numerose riviste scientifiche. Il suo interesse clinico e di ricerca è focalizzato soprattutto nell’ambito dell’urologia funzionale, dell’uroginecologia e della chirurgia robotica.

    Co-autori

    I co-autori sono presentati in ordine alfabetico.

    Giuseppe Benedetto

    Dirigente Medico

    Unità Operativa Complessa di Urologia

    Ospedale S. Bortolo di Vicenza

    Arturo Calpista

    Dirigente Medico

    Unità Operativa Complessa di Clinica Urologica

    Azienda Ospedaliera, Università degli Studi di Padova

    Sergio Cosciani Cunico

    Professore Ordinario di Urologia

    Presidio Ospedaliero Spedali Civili di Brescia

    Università degli Studi di Brescia

    Giovanna Croce

    Dirigente medico

    Unità Operativa Complessa di Anestesia e Rianimazione

    Azienda Ospedaliera, Università degli Studi di Padova

    Alessandro D’Addessi

    Dirigente medico, Ricercatore

    Responsabile Unità Operativa Semplice di Endourologia

    Unità Operativa Complessa di Clinica Urologica

    Policlinico Agostino Gemelli

    Università Cattolica del Sacro Cuore

    Massimo Dal Bianco

    Direttore di Unità Operativa Complessa di Urologia

    Ospedale S. Antonio, Unità Locale Socio Sanitaria di Padova

    Fabrizio Dal Moro

    Dirigente Medico

    Unità Operativa Complessa di Clinica Urologica

    Azienda Ospedaliera, Università degli Studi di Padova

    Luca de Zorzi

    Direttore di Unità Operativa Complessa di Urologia

    Ospedale S. Tommaso dei Battuti di Portogruaro

    Pierpaolo Graziotti

    Direttore di Unità Operativa Complessa di Urologia e Andrologia

    Istituto Clinico Humanitas, Rozzano

    Stefano Guazzieri

    Direttore dell’Unità Operativa Complessa di Urologia

    Ospedale di Belluno

    Mariangela Mancini

    Dirigente Medico

    Unità Operativa Complessa di Clinica Urologica

    Azienda Ospedaliera, Università degli Studi di Padova

    Angelo Mangano

    Dirigente Medico

    Responsabile Unità Operativa Semplice di Anestesia e Medicina Perioperatoria Urologica nell’Adulto

    Unità Operativa Complessa di Anestesia e Rianimazione

    Azienda Ospedaliera, Università degli Studi di Padova

    Marco Meggiolaro

    Dirigente medico

    Unità Operativa Complessa di Anestesia e Rianimazione

    Azienda Ospedaliera, Università degli Studi di Padova

    Claudio Milani

    Direttore dell’Unità Operativa Complessa di Urologia

    Ospedale S. Giovanni e Paolo di Venezia

    Gaetano Oliva

    Direttore dell’Unità Operativa Complessa di Urologia

    Presidio Ospedaliero di Piacenza

    Nicola Paganini

    Dirigente medico

    Unità Operativa Complessa di Anestesia e Rianimazione

    Azienda Ospedaliera, Università degli Studi di Padova

    Paola Pavarin

    Dirigente Medico, Alta Specializzazione Terapia Intensiva Postoperatoria

    Unità Operativa Complessa di Anestesia e Rianimazione

    Azienda Ospedaliera, Università degli Studi di Padova

    Giovanni Pittoni

    Direttore dell’Unità Operativa Complessa di Anestesia e Rianimazione

    Azienda Ospedaliera, Università degli Studi di Padova

    Waifro Rigamonti

    Direttore della Sezione di Urologia Pediatrica

    Unità Operativa Complessa di Clinica Urologica

    Azienda Ospedaliera, Università degli Studi di Padova

    Andrea Tasca

    Direttore dell’Unità Operativa Complessa di Urologia

    Ospedale S. Bortolo di Vicenza

    Ivan Matteo Tavolini

    Direttore di Unità Operativa Complessa di Urologia

    Ospedale Guglielmo da Saliceto di Piacenza

    Mauro Trevisan

    Dirigente medico

    Unità Operativa Complessa di Anestesia e Rianimazione

    Azienda Ospedaliera, Università degli Studi di Padova

    Filiberto Zattoni

    Professore Ordinario di Urologia

    Direttore dell’Unità Operativa Complessa di Clinica Urologica

    Azienda Ospedaliera, Università degli Studi di Padova

    Avvertenza

    In questo libro possono essere fornite indicazioni, effetti collaterali e prospetti di dosaggio dei farmaci; è possibile che questi possano subire delle modifiche nel tempo. Il lettore è vivamente sollecitato a rivedere con attenzione tutte le istruzioni menzionate in scheda tecnica del medicinale in questione fornito dalla casa farmaceutica.

    Prefazione

    — Francesco Pagano

    La letteratura scientifica soprattutto in urologia è stata fortemente caratterizzata negli ultimi lustri da una proliferazione di metodiche chirurgiche al punto da creare una discrasia nel rapporto fra produzione scientifica dedicata alla ricerca e quella circoscritta alla pura descrizione di metodiche e dettagli di tecnica chirurgica. Appare poi particolarmente evidente il ruolo marginale dedicato alle complicanze che vengono considerate come inevitabili eventi collaterali.

    Lo scopo principale dell’opera che viene presentata è quello di offrire un unicum che pur avendo come focus le principali metodiche chirurgiche urologiche, intende offrire un ampio spettro di nozioni che riteniamo siano indispensabili per ottimizzare l’esito del procedimento.

    Si tratta di presupposti fisiopatologici e clinici che costituiscono il corollario indispensabile su cui impostare l’intero percorso terapeutico che ruota intorno a qualsiasi procedimento chirurgico.

    Il tutto scaturisce da un principio fondamentale che ha caratterizzato l’orientamento chirurgico padovano: il gesto chirurgico resta sempre una pura prestazione manuale anche se può, in alcuni casi, essere complessa e sofisticata; tuttavia ciò che rende l’intervento chirurgico un provvedimento terapeutico efficace non può prescindere dalla scrupolosa valutazione di tutti i parametri scientifici e clinici del singolo paziente e delle possibili variabili che possono essere correlate a ogni singolo evento patologico che richiede una soluzione chirurgica.

    L’ambizione di questo testo è dunque quello di fornire aldilà di un vademecum di tecnica operatoria un compendio di cognizioni e di modalità di approccio alla chirurgia urologica tale da rendere con tutta evidenza a chi si accinge a una prestazione chirurgica il concetto basilare che il gesto chirurgico va considerato come l’epifenomeno di un approfondito percorso scientifico e clinico per far sì che un intervento chirurgico sia realmente un provvedimento terapeutico adeguato.

    Questa ambizione è supportata da una lunga esperienza di un gruppo che per decenni ne ha verificato l’efficacia con un impegno e una costante attenzione ai risultati, continuamente vagliati più che sulla soddisfazione dell’operatore sulla percezione del paziente.

    Questa esperienza si è riverberata nelle giovani generazioni come è testimoniata dalla ricca partecipazione di autori di diverse fasce anagrafiche, tutte riconducibili a un unico ceppo.

    Sezione I

    GENERALE

    Principi di chirurgia e gestione postoperatoria urologica

    — Sergio Cosciani Cunico

    Introduzione

    La chirurgia urologica ha usualmente due obiettivi non necessariamente associati: da un lato la risoluzione dell’evento patologico con l’asportazione dell’organo colpito o di parti di esso e dall’altro il ripristino o la preservazione della funzione.

    A volte i due obiettivi sono sequenziali come ad esempio nella cistectomia con successiva derivazione urinaria, o contestuali come nella prostatectomia radicale nerve sparing. A volte è presente solo un tempo, quello demolitivo, come nella nefrectomia o solo quello ricostruttivo come nella pieloureteroplastica. È in particolare l’aspetto ricostruttivo quello peculiare e più affascinante della chirurgia urologica come quando si è chiamati a ripristinare la funzione del rene, la dinamica minzionale o la funzione sessuale. Questo rende particolarmente difficile la chirurgia urologica il cui risultato è fortemente condizionato dall’ottenimento di questo obiettivo.

    Indicazioni

    Un intervento anche se eseguito in modo magistrale non darà un buon risultato se l’indicazione non è stata corretta. La chirurgia è una via di non ritorno che modifica quando più quando meno l’integrità di un organo e questo deve essere sempre tenuto presente quando si propone un intervento a un paziente.

    È ovvio che l’indicazione ad un intervento di necessità o d’urgenza sotto un certo profilo è più facile rispetto all’indicazione in elezione che richiede una condivisione informata del paziente.

    Planning dell’intervento

    Un intervento chirurgico non è mai uguale all’altro e quindi richiede una pianificazione considerando tutte le variabili possibili e quando possibile prevedibili. In particolare interventi complessi che a volte richiedono la presenza di una equipe composta da diversi specialisti deve essere studiata congiuntamente con la partecipazione dell’anestesista, dello strumentista e di tutti coloro che faranno parte dell’equipe chirurgica.

    L’emergenza intraoperatoria sarà più facilmente risolvibile se il campo operatorio è stato ben preparato, la visibilità buona ed evitate manovre alla cieca sempre pericolose. Il tempo più esposto al rischio deve essere affrontato nella massima sicurezza, avendo studiato prima la possibile difficoltà, con una strategia pensata prima di affrontarla.

    Obiettivi dell’intervento

    Gli obiettivi di un intervento urologico sono come già detto la risoluzione dell’evento patologico che può richiedere l’asportazione dell’organo patologico o del ripristino della sua funzione.

    In campo oncologico a volte si applicano criteri di radicalità a volte di palliazione o di semplice riduzione di massa. È importante riconoscere quali di questi obiettivi sia presumibilmente ottenibile in modo da definire correttamente il tipo di intervento eseguito che ahimè talvolta ha solo un significato umanitario per ridurre la sintomatologia.

    Il ripristino della funzione richiede l’utilizzo di materiali autologhi o più raramente eterologhi. Le vie urinarie ad esempio devono essere ricostruite nei limiti del possibile con urotelio, la vescica con anche intestinali rimodellate e così via.

    Altre funzioni, quelle sessuali ad esempio, possono richiedere l’utilizzo di materiale protesico.

    L’obiettivo quindi deve essere chiaro preoperatoriamente e così la strategia per ottenerlo anche se c’è sempre una quota di imponderabilità ed è possibile ed è in questi casi che si richiede al chirurgo di mettere in luce il lato artistico del suo operare.

    Via d’accesso

    Qualsiasi essa sia, aperta, laparoscopica endoscopia, endourologica, deve essere finalizzata e congrua all’obiettivo da ottenere. È evidente che la scelta risente dell’esperienza del chirurgo e della sua particolare preparazione e manualità.

    Possono aiutare le linee guida delle principali società scientifiche. Ma la scelta deve cadere sull’accesso che viene ritenuto più sicuro per il paziente dal chirurgo che deve eseguire l’intervento. Per questo il chirurgo consapevole dei suoi eventuali limiti deve con molta onestà proporre al paziente la modalità chirurgica di cui è più esperto. La curva di apprendimento non deve mai incidere negativamente sul risultato finale dell’intervento. Sarebbe improponibile che a un pilota d’aereo durante la sua formazione fosse concesso un maggior numero di incidenti aerei! Per questo è indispensabile che durante il delicato periodo di curva di apprendimento l’operatore sia sempre accompagnato da un tutor esperto che ne guidi le mosse.

    Posizione del paziente

    Le posizioni utilizzate in urologia sono sostanzialmente quella supina: sul fianco (lombotomica), litotomica più meno spinta, o più raramente usata la posizione prona.

    Verranno considerate di volta in volta nel dettaglio della descrizione dei vari interventi. Alcuni di questi possono essere responsabili di traumatismi intraoperatori ossei o nervosi che nel decorso postoperatorio possono manifestarsi con dolore o impotenza funzionale e per questo deve essere posta la massima attenzione nel posizionamento del paziente che deve mediare fra le esigenze del chirurgo e la sicurezza del paziente.

    Drenaggio

    Non esiste un drenaggio ideale che ci dia l’assoluta garanzia di svolgere la sua funzione di spia di quanto accade nel campo operatorio dopo la sua chiusura. Tubi di calibro più o meno ampio, in aspirazione o non, lamine o altro possono mentire la presenza di una raccolta perché ostruiti o piegati. A drenaggio silente sono i parametri ematochimici e l’obiettività che ci documentano sull’assenza di una raccolta, o al contrario ce la fanno sospettare. Un drenaggio che non drena va rimosso perché può decubitare. Può essere utile in alcuni casi mantenerlo in sede fino alla rimozione di un tutore o di un drenaggio urinario perché potrà convogliare all’esterno un eventuale spandimento urinoso.

    Tutore

    Dal perfetto funzionamento di un tutore dell’alta o bassa via escretrice può dipendere il buon esito di un intervento e a volte la vita di un paziente. La sua funzione è quella di convogliare le urine all’esterno in modo da consentire che la sintesi della via urinaria si consolidi e di evitare fuoriuscita di urina dal condotto nei tessuti circostanti. Un tutore deve essere perfettamente posizionato e mantenuto in sede con un punto di fissaggio in filo riassorbibile, mantenuto pervio con lavaggi aspirando eventuali coaguli, non angolato né stretto nel punto di fissaggio, di calibro congruo.

    Il cattivo funzionamento di un tutore può innescare una serie di complicanze tali da compromettere l’esito dell’intervento anche se perfettamente eseguito. Prima della sua rimozione può essere necessario un controllo radiologico a giudizio, e su indicazione di chi ha eseguito l’intervento.

    Valutazione anestesiologica preoperatoria

    — Angelo Mangano, Paola Pavarin

    Introduzione

    La visita anestesiologica rientra nella valutazione e nella preparazione preoperatoria del paziente. È un elemento essenziale di sicurezza in quanto i dati raccolti durante questa visita permettono di scegliere la tecnica anestesiologica e le cure preoperatorie più adeguate alla situazione clinica del paziente e alla procedura chirurgica necessaria.

    Un’accurata valutazione preoperatoria è raccomandata prima di ogni procedura diagnostico-terapeutica per la cui esecuzione è richiesta una prestazione anestesiologica. Eventuali questionari di auto-valutazione, il cui uso è raccomandato per facilitare l’indagine anamnestica, possono integrare la visita anestesiologica, ma non la sostituiscono.

    La scelta del momento più idoneo alla effettuazione della visita dipende dal tipo di paziente e di procedura programmata e dall’assetto organizzativo della struttura. Tuttavia, per le procedure di routine, è auspicabile l’effettuazione dell’intera valutazione multidisciplinare in regime ambulatoriale (preospedalizzazione), ad una congrua distanza di tempo dall’intervento (entro 30 giorni) per l’esecuzione di eventuali indagini integrative, al fine di ridurre i tempi di degenza e ottimizzare la programmazione delle procedure elettive.

    La valutazione preoperatoria si pone come obiettivi principali: l’acquisizione di informazioni relative alle condizioni cliniche attraverso l’anamnesi e l’esame obiettivo; la definizione e quantificazione del rischio anestesiologico, rifacendosi alla classificazione ASA; la programmazione della strategia anestesiologica perioperatoria, sulla base del quadro clinico e del tipo di intervento.

    La visita anestesiologica deve essere effettuata in un ambiente predisposto a questa attività medica ed in un’atmosfera tranquilla. Il paziente deve essere messo a suo agio da un atteggiamento attento e comprensivo del suo stato psicologico. Qualunque sia il tipo di intervento che il paziente dovrà affrontare, la valutazione preoperatoria comporta diverse tappe: l’anamnesi, l’esame obiettivo e gli esami strumentali in funzione delle informazioni precedenti e dell’intervento chirurgico. Questa valutazione preoperatoria permette di scegliere il tipo di anestesia ed in tale sede il paziente è informato su tutte le procedure.

    Molti studi dimostrano che l’anamnesi e l’esame obiettivo sono il miglior metodo di screening per le malattie. La anamnesi porta a diagnosi nel 56% dei casi, l’esame obiettivo nel 17% dei casi, i test di laboratorio di routine nel 5% dei casi. Durante la visita preoperatoria, l’anestesista ottiene tutte le informazioni che gli possano fornire una completa descrizione dello stato di salute fisica del paziente, del suo livello d’ansia, e di specifici fattori di rischio che possano complicare la gestione dell’anestesia. Inoltre deve includere riferimenti ad abitudini di vita (fumo, consumo di alcool, abuso di droghe ecc.) o l’osservanza di particolari norme religiose (testimoni di Jehova).

    Anamnesi

    L’anamnesi può essere focalizzata, ma non ristretta, sulla richiesta d’informazioni che riguardano la funzione cardiopolmonare, epatica e renale, validità della coagulazione, eventuale assunzione di farmaci, storia personale di interventi chirurgici e anestesiologici (tipi d’anestesia, intubazioni difficoltose, problemi al risveglio dell’anestesia). Si ricerca la presenza di atopia (eczema, riniti, asma allergico), e di allergie a farmaci ed alimenti. La descrizione dei sintomi permette spesso di escludere la diagnosi di allergia. I precedenti ostetrici sono precisati dalle donne, si deve accertare una eventuale gravidanza.

    È utile indagare sui precedenti familiari: la presenza di incidenti anestesiologici e chirurgici, in persone della stessa famiglia, giustifica indagini approfondite (ipertermia maligna, patologie neuromuscolari e discoagulopatie congenite).

    In caso di anestesia ambulatoriale, è utile precisare il tipo di habitat, la distanza dal domicilio, l’ambiente sociale e, per le persone anziane, il grado di autonomia. Oggi, circa il 90% dei pazienti ha avuto esperienze precedenti di interventi chirurgici e di anestesie. In questi casi sarà utile ricercare la presenza di eventuali effetti collaterali (nausea o vomito), l’intensità del dolore postoperatorio, un risveglio rallentato o, al contrario, agitato. Conoscerli, e conoscere le eventuali complicanze da loro derivate, è importante per definire il grado di rischio e le strategie terapeutiche da adottare. La cosa più importante è che il colloquio con l’anestesista permette di stabilire col paziente un rapporto personale che facilita la discussione sui rischi ed i benefici delle differenti tecniche di anestesia, fornisce al paziente le informazioni necessarie per firmare il consenso e lo istruisce sull’opportunità di continuare o sospendere una terapia farmacologica domiciliare.

    Nella chirurgia urologica il medico anestesista rianimatore si trova frequentemente a valutare pazienti con patologia cardiaca e respiratoria. È oggi chiaramente stabilito che quanto più l’interessamento cardiaco è grave e/o l’atto chirurgico è importante tanto più è elevato il rischio di complicanze perioperatorie. Una gestione adattata allo stato preoperatorio del malato ed alle esigenze chirurgiche permette di ridurre significativamente questo rischio. Questo iter implica in primo luogo la valutazione del rischio legata alla cardiopatia sottostante, in particolare per le cardiopatie ischemiche, poiché sono gli eventi cardiaci di origine coronarica ad essere responsabili della più alta mortalità perioperatoria. Anche le cardiopatie valvolari necessitano di una valutazione specifica vista l’alta frequenza nei soggetti anziani. I disturbi della conduzione richiedono uno screening sistematico nella visita anestesiologica, poiché la gravità potenziale di alcuni di essi può richiedere una gestione diretta del cardiologo. Infine è necessaria una valutazione per l’insufficienza cardiaca, la cui frequenza e gravità giustificano una strategia adeguata.

    Esame obiettivo

    L’esame obiettivo focalizza l’attenzione sulle vie aeree, sull’apparato respiratorio e cardiocircolatorio cercando i segni di un’affezione respiratoria, di un’insufficienza cardiaca ipertensiva o congestizia. Alcuni elementi sono specifici dell’esame preoperatorio: la ricerca di una difficoltà di intubazione (ridotta mobilità della mandibola, problemi a livello della colonna cervicale che la rendono rigida e ipoestensibile, micrognazia, macroglossia ecc.), lo stato della dentizione, la valutazione della rete venosa. Si ricercano i fattori generali e locali che favoriscono le complicanze tromboemboliche (varici arti inferiori), la presenza di patologie reumatiche degenerative, di neuropatie periferiche che implicano particolari precauzioni nel posizionamento del paziente sul tavolo operatorio.

    I pazienti esaminati durante la visita anestesiologica assumono spesso terapia di lunga durata, questi trattamenti espongono a dei rischi potenziali: le interazioni farmacologiche con farmaci anestetici, le interferenze con i meccanismi fisiologici di adattamento all’anestesia e all’atto chirurgico (posizione sul tavolo operatorio, rapide variazioni volemiche, compressioni o clampaggi vascolari) e lo squilibrio delle patologie trattate in caso di brusca sospensione del farmaco. Tutti i farmaci cardiovascolari devono essere assunti fino al giorno prima o alla mattina dell’intervento per non esporre il paziente ad un effetto rebound e ad incidenti come la poussée ipertensiva e l’ischemia miocardica.

    Una valutazione a sé stante merita il rischio emorragico intra e postoperatorio in pazienti in terapia con antiaggreganti piastrinici (ASA, ticlopidina, clopidogrel). L’effetto inibitore degli anti-aggreganti piastrinici è irreversibile e la normalizzazione dell’emostasi piastrinica necessita di 5-8 giorni. Gli antiaggreganti piastrinici allungano il tempo di sanguinamento. Durante interventi a rischio emorragico elevato o in caso di anestesia locoregionale, gli anti-aggreganti piastrinici devono essere sospesi almeno 5 giorni prima dell’intervento. Quando il rischio di incidente tromboembolico è elevato (valvole cardiache meccaniche soprattutto in posizione aortica, endoprotesi coronariche, incidenti ischemici cerebrali) bisogna istituire un trattamento sostitutivo dell’anticoagulante orale con eparina. Nei casi difficili una discussione con il chirurgo, il neurologo o il cardiologo permettono di attuare la strategia terapeutica migliore. Gli antinfiammatori non steroidei hanno un effetto anti-aggregante piastrinico moderato e generalmente basta sospenderli 12-24 ore dall’intervento.

    Paziente cardiopatico

    La comparsa di ischemia miocardica perioperatoria è uno dei principali fattori di morbilità e mortalità postoperatoria. L’accidente ischemico si spiega con la risposta neuroumorale e infiammatoria allo stress operatorio, in presenza di una malattia ateromatosica la cui progressione può essere accelerata. Diversi sono i meccanismi responsabili: una sindrome protrombotica per iperaggregabilità, iperfibrinogenemia e riduzione della fibrinolisi; una fragilizzazione della placca ateromatosa a causa dello stato ipersimpatico tonico; l’attivazione dell’asse ipotalamo-ipofiso-surrenalico e del sistema neuroadrenergico.

    La valutazione preoperatoria ha l’obiettivo di individuare una coronaropatia latente in un paziente asintomatico portatore di fattori di rischio, e di valutare la gravità della malattia coronaria o dell’insufficienza cardiaca nei pazienti sintomatici. Per questi ultimi è raccomandato lo studio sistematico della funzione cardiaca nel preoperatorio.

    Per i pazienti asintomatici si raccomanda di valutare la loro capacità funzionale sotto sforzo. La tolleranza allo sforzo è definita dalla capacità di realizzare dei compiti quotidiani come la spesa, le faccende domestiche o la deambulazione in casa e si esprime in equivalenti metabolici (MET). Essa corrisponde ad un consumo di ossigeno valutabile con i test da sforzo non invasivo ed è correlata alla probabilità di comparsa di eventi cardiaci nel perioperatorio. Per i pazienti a rischio intermedio (MET<4) la valutazione del rischio di comparsa di complicanze perioperatorie è più difficile da prevedere rispetto alle precedenti, e la richiesta di accertamenti è subordinata alla stratificazione clinica del rischio cardiaco (punteggio di Lee).

    Nel paziente con una cardiopatia valvolare l’esame di elezione è l’ecocardiografia transtoracica (ETT). Essa va eseguita sistematicamente in caso di scoperta di valvolopatie durante la visita anestesiologica, va ripetuta se il controllo precedente è stato eseguito da oltre un anno, o in caso di esacerbazione della sintomatologia. L’ecocardiografia transtoracica permette di valutare la gravità della lesione valvolare e di anticipare le conseguenze emodinamiche delle tecniche anestesiologiche e chirurgiche.

    Nell’ambito dei disturbi della conduzione, l’elettrocardiogramma è l’esame chiave che permette di individuare le rare patologie di conduzione la cui gestione cardiologia può far differire la chirurgia non urgente (bradicardia sinusale sintomatica, BAV II Mobitz II, BAV III, blocchi bi e trifascicolari. Nell’insufficienza cardiaca globale, infine, lo stato clinico del paziente ed il tipo d’intervento chirurgico restano i migliori indicatori di complicanze cardiache perioperatorie. Il dosaggio plasmatico del Brain Natriuretic Peptide (BNP) in fase preoperatoria si potrebbe integrare come indicatore del rischio, in quanto indicatore di gravità dello scompenso cardiaco.

    Paziente pneumopatico

    La valutazione della funzione respiratoria preoperatoria è fondamentale in caso di patologie polmonari. L’anamnesi permette di precisare la durata della patologia, le sue caratteristiche, la concomitanza di tabagismo e di infezioni bronchiali. Il ricorso alle prove di funzionalità respiratoria è giustificato nelle situazioni in cui è presente una grave sintomatologia e in funzione del tipo d’intervento chirurgico (prostatectomia robot assistita, tecniche videolaparoscopiche). Associati ai dati clinici, i risultati delle prove di funzionalità respiratoria con l’emogasanalisi valutano il rischio respiratorio.

    La valutazione clinica è la tecnica migliore per determinare la gravità della patologia polmonare e per individuare una riduzione delle capacità funzionali rispetto al normale.

    La dispnea, a riposo o da sforzo, riflette fedelmente la riserva polmonare e deve essere analizzata e quantificata rispetto all’attività della vita quotidiana. Essa è il fattore limitante nel paziente BPCO e la sua comparsa dopo lieve sforzo è indice di peggioramento della funzione polmonare. Bisogna anche prendere in considerazione il concetto di tosse, di volume dell’espettorazione e del suo carattere purulento, nella misura in cui questi parametri possono condurre ad intraprendere una adeguata terapia. Una congestione bronchiale o un aggravamento della broncorrea impongono un rinvio dell’intervento chirurgico programmato. L’aumento della frequenza respiratoria, la cianosi e l’impiego dei muscoli respiratori accessori, vanno considerati indici di un incremento delle resistenze delle vie aeree. L’aumento del diametro antero-posteriore della gabbia toracica suggerisce la presenza di una iperdistensione polmonare anch’essa riconosciuta come fattore di aggravamento del rischio di complicanze respiratorie postoperatorie.

    Altri fattori di rischio nei pazienti con BPCO sono il tabagismo e lo stato nutrizionale. I muscoli respiratori dei soggetti denutriti presentano anomalie funzionali di tipo miopatico. La malnutrizione riduce la forza e la resistenza dei muscoli respiratori e costituisce un fattore di rischio d’insufficienza respiratoria e mortalità perioperatoria. Essa causa una immunodepressione con conseguente aumento di rischio infezioni.

    Gli esami complementari che completano la valutazione clinica sono l’emogasanalisi, la radiografia del torace e le prove di funzionalità respiratoria (PFR). L’emogasanalisi fornisce informazioni sull’equilibrio acido base, pressione parziale d’ossigeno e di anidride carbonica e la saturazione dell’emoglobina: una PaCO2 superiore a 45 mmHg può essere un indice di complicanze respiratorie postoperatorie. Le prove di funzionalità respiratoria quantificano in modo obiettivo le conseguenze di anomalie della gabbia toracica, del parenchima e dei bronchi, completando i dati clinici di un deficit ventilatorio (sindrome restrittiva, ostruttiva o mista). Nella pratica clinica, le PFR sono prescritte in pazienti sottoposti a chirurgia toracica e nella chirurgia urologica maggiore (cistectomia, nefroureterectomia).

    Paziente diabetico

    Il paziente diabetico ha una morbidità e mortalità perioperatoria aumentata. La iperglicemia si può osservare in due situazioni, sia nel paziente diabetico riconosciuto, che nel non diabetico nel quale si può manifestare una iperglicemia da stress. In entrambi i casi l’aumento della glicemia è legata alla liberazione di ormoni iperglicemizzanti: catecolamine, glucagone, GH, cortisolo. Questi ormoni comportano un aumento delle citochine proinfiammatorie (TNF alfa, IL6 ecc.) ed una diminuzione dell’effetto dell’insulina. Questo implica una iperproduzione epatica di glucosio, una diminuzione del suo utilizzo muscolare ed un incremento della lipolisi. L’obiettivo del controllo metabolico nel perioperatorio deve essere duplice: abbassare il livello di glicemia e diminuire il livello degli acidi grassi liberi. Per questo una valutazione diabetologica preoperatoria si impone nei pazienti diabetici con valori di glicemia di difficile controllo.

    Nella chirurgia urologica la valutazione del nefrologo si impone nei pazienti che manifestano un quadro di insufficienza renale acuta o cronica, spesso collegata alla patologia chirurgica.

    Esami complementari

    La richiesta preoperatoria di un approfondimento diagnostico, laboratoristico e/o strumentale, è giustificata se corrisponde a quattro requisiti.

    1. completa l’inquadramento di una malattia concomitante clinicamente manifesta, oppure controlla l’efficacia e gli effetti collaterali di un trattamento farmacologico;

    2. fornisce un valore di riferimento utile per l’interpretazione di eventuali modificazioni successive all’intervento chirurgico;

    3. consente di diagnosticare malattie asintomatiche, di cui si è sospettata una familiarità emersa dall’anamnesi;

    4. fornisce informazioni che condizionano la data dell’intervento chirurgico e modificano o indirizzano la tecnica anestesiologica e/o chirurgica.

    La valutazione preoperatoria può portare alla riduzione del numero di esami eseguiti inutilmente con conseguente riduzione dei costi. La maggior parte delle linee guida esistenti non prende in considerazione la validità nel tempo degli esami preoperatori.

    Partendo dal concetto che la valutazione clinica di base è l’unico atto assolutamente necessario, il criterio temporale della validità degli esami preoperatori non appare significativo. Alcuni studi li considerano validi per un periodo di 30 giorni, altri molto di più (3 mesi) almeno finché non siano comparse variazioni dello stato del paziente o della terapia abituale. L’indicazione per la richiesta di un radiografia del torace è l’età >50 anni. Nel paziente portatore di broncopatia cronica, con un’anamnesi positiva per fumo rilevante, nel cardiopatico, nell’immunodepresso, nel paziente extracomunitario, il controllo radiologico del torace va fatto indipendentemente dall’età. La radiografia del torace può essere considerata valida se eseguita nei 6 mesi precedenti purché non siano intervenute significative variazioni delle condizioni di salute del soggetto. L’accuratezza della visita clinica appare ancora oggi il presupposto indispensabile per evitare le omissioni riducendo drasticamente il numero di radiografie del torace preoperatorie.

    Le condizioni per la richiesta di un ECG sono: per gli uomini un’età superiore a 45 anni, per le donne a 55 anni, la presenza di una cardiopatia nota, un’anamnesi familiare positiva per morte improvvisa e la positività per fattori di rischio quali diabete, ipertensione arteriosa, collagenopatia, dislipidemia, obesità, fumo (>10-15 sigarette al giorno) e vasculopatie periferiche. Anche per i pazienti che devono essere sottoposti a interventi di chirurgia generale maggiore, chirurgia vascolare o neurochirurgia. Un tracciato eseguito nei 6 mesi precedenti sarà ritenuto valido, purché non siano intervenute rilevanti modificazioni cliniche.

    Gli esami di laboratorio nei limiti della norma, non vanno ripetuti se lo stato clinico del paziente non sia cambiato significativamente. Il questionario preoperatorio e l’esame obiettivo dovrebbero essere usati come strumento di screening. Gli esami di routine possono e devono essere rimpiazzati da test mirati. Devono essere prescritti solo quei test che contribuiscono direttamente alla valutazione dei problemi chirurgici, o che contribuiscono a definire lo stato di una preesistente malattia.

    L’anamnesi e l’esame obiettivo, insieme con la conoscenza delle procedure chirurgiche devono guidare alla prescrizione dei test preoperatori. Esami non necessari possono nuocere al paziente anche perché possono risultare dei falsi positivi. Emoglobina ed ematocrito sono probabilmente i più popolari esami di screening; la maggior parte dei pazienti che sono candidati a un intervento chirurgico in cui non si prevedano perdite eccessive di sangue è probabile che non traggano alcun beneficio dal test. Dal momento che una subclinica ma significativa anemia è frequente negli anziani, il criterio dell’età è giustificato (60 anni), il test è raccomandato anche nelle donne e nei bambini, nei pazienti con insufficienza renale cronica ed in quelli che hanno nell’anamnesi un trattamento radio o chemioterapico.

    Le anormalità della potassemia sono molto frequenti nei pazienti con disfunzioni renali, spesso sono il risultato di iatrogeniche manipolazioni farmacologiche. Lo stress, come quello preoperatorio può causare un acuto decremento della potassemia. Entrambe le condizioni, ipo ed iperpotassemia, possono indurre aritmie e disturbi della conduzione. Si ritiene una valida indicazione allo studio degli elettroliti la presenza di un’alterazione metabolica acuta, l’insufficienza renale, un trattamento con corticosteroidi, diuretici e digitale, ed uno stato di malnutrizione.

    La glicemia trova indicazione nel preoperatorio per i grandi obesi, nei soggetti con familiarità diabetica, nelle affezioni pancreatiche ed endocrine in generale, nei trattamenti prolungati con corticosteroidi.

    Una creatininemia normale non è prova di una normale funzionalità renale. Diversi studi non considerano utile la creatinina come strumento di screening, ma ci sono un gran numero di pazienti che forniscono dei dati anamnestici che possono motivare la prescrizione del test della creatininemia e dell’azotemia. L’ipertensione e il diabete sono altre comuni malattie per prescrivere i test di funzionalità renale.

    Una disfunzione epatica può avere importanti conseguenze sulla gestione perioperatoria in particolare relativamente alla farmacocinetica dei farmaci anestetici. Una disfunzione epatica minore non è rilevata dai test standard, una disfunzione maggiore si sospetta, generalmente, grazie all’esame obiettivo. Se la storia clinica o l’esame fisico indicano una disfunzione epatica i test previsti devono includere uno studio della coagulazione e della sintesi delle proteine. La frequenza di queste affezioni nei soggetti asintomatici è talmente bassa da non giustificare l’uso dei test della coagulazione di routine. Domande mirate a rilevare eventuali disordini della coagulazione sono una parte fondamentale della valutazione preoperatoria.

    Consenso informato

    Un’informazione generalizzata e la risonanza mediatica di alcuni incidenti anestesiologici hanno prodotto una identificazione della anestesia e delle sue specificità. Di fronte all’anestesia il paziente esprime spesso timore ed ansia. Questa può essere costituzionale alla personalità del paziente o derivare dall’atto chirurgico. La visita anestesiologica può avere un effetto calmante soprattutto se si tratta della prima anestesia. Se la personalità ed il livello socioculturale del paziente lo permettono, occorre stabilire un rapporto di fiducia, dandogli un ruolo attivo e permettendogli di partecipare alle decisioni terapeutiche.

    L’informazione del paziente avviene durante la visita e deve essere semplice comprensibile e corretta, non può essere esaustiva, ma deve evitare qualsiasi malinteso ed aiutare il paziente a capire l’obiettivo medico perseguito e le procedure proposte.

    Il contenuto dell’informazione dovrebbe comportare i seguenti elementi: la spiegazione dell’intervento previsto, la tecnica di anestesia proposta con descrizione dell’anestesia locoregionale, gli incidenti potenziali ed i rischi ad esse connessi, la prescrizione di una premedicazione ed il suo obiettivo, l’eventuale ricovero in terapia intensiva.

    Durante la visita anestesiologica il paziente riceve tutte le istruzioni da seguire nel periodo perioperatorio. In particolare sarà istruito sui farmaci da prendere la sera prima e la mattina dell’intervento e sulle modalità di digiuno. Nell’adulto il digiuno da 6-8 ore è stato considerato come il tempo necessario per prevenire la sindrome di Mendelson.

    Conclusioni

    La Società Americana di Anestesia ha proposto di valutare lo stato clinico del paziente con la classificazione ASA (Tabella 2.1). La semplicità e un buon valore predittivo ne hanno assicurato la diffusione, l’utilizzazione e il successo. La classificazione ASA però è imperfetta perché non tiene conto dell’età del paziente, del tipo d’intervento e del tipo di anestesia, inoltre le complicanze anestesiologiche sono imprevedibili (anafilassi, curarizzazione protratta, errori umani e difetti di strumentazione).

    I precedenti del paziente e gli esami clinici al momento della visita anestesiologica permettono di valutare lo stato clinico del paziente (classificazione ASA) e di classificarlo in uno delle cinque classi della classificazione ASA. Un paziente ASA III e soprattutto IV rende il medico più attento e giustifica un adattamento della tecnica anestesiologica e dei mezzi di monitoraggio, anche nel postoperatorio con ricovero in terapia intensiva.

    Mediante la valutazione dello stato clinico del paziente la visita anestesiologica consente di adattare ed ottimizzare la tecnica di anestesia e le cure postoperatorie, ed essa è una componente essenziale della sicurezza del paziente.

    Tabella 2.1. Classificazione ASA

    Classe I — Nessuna patologia (ernia inguinale)

    Classe II — Paziente con malattia sistemica lieve (diabete, obesità, ipertensione arteriosa moderata)

    Classe III — Paziente con malattia sistemica severa ma non invalidante

    pregressa cardiopatia ischemica, diabete insulinodipendente, BPCO moderata)

    Classe IV — Paziente con malattia sistemica grave che pregiudica la sopravvivenza (insufficienza cardiaca severa, angina instabile, grave insufficienza respiratoria, renale ed epatica)

    Classe V — Paziente moribondo che non sopravviverà oltre 24 ore con o senza intervento (rottura di aneurisma aorta con grave stato di shock)

    Classe VI — Paziente in morte cerebrale La lettera E si aggiunge alla classe ASA in caso d’intervento chirurgico urgente.

    Bibliografia

    American Society of Anesthesiologists. Practice advisory for preanesthesia evaluation: a report by the American Society of Anesthesiologists Task Force on Preanesthesia Evaluation. Anesthesiology 2002; 96(2): 485-96.

    American Society of Anesthesiologists. Statement on routine preoperative laboratory and diagnostic screening. American Society of Anesthesiologists. 1-3, 2002.

    Barisione G, Rovida S, Gazzaniga GM, Fontana L. Upper abdominal surgery: does a lung function test exist to predict early severe postoperative respiratory complications? Eur Respir J 1987; 10: 1301-1308.

    Barness PJ. Chronic obstructive pulmonary disease. N Engl J Med 2000; 343: 269-280.

    Bonow RO, Carabello BA, Chatterjee K, De Leon Jr. AC, Faxon DP et al. 2008 Focused Update Incorporated Into the ACC/AHA 2006. Guidelines for the Management of Patients With Valvular Heart Disease. Circulation 2008; 118: e523-e661.

    Calderini E et al. SIAARTI Study Group for Safety in Anesthesia and Intensive Care. Recommendation for anesthesia and sedation in nonoperating room locations. Minerva Anestesiol 2005; 71: 11-20.

    Calderini E, Adrario E, Petrini F et al. Indication to Chest radiograph in preoperative adult assessment: recommendation of the SIAARTI-SIRM commission. Minerva Anestesiol 2004; 70: 443-51.

    Fleicher LA et al. ACC/AHA 2007. Guidelines on perioperative cardiovascular evaluation and care for noncardiac surgery. Circulation 2007; 116: 1971-1996.

    Fleischer LA. Preoperative evaluation. Anaesth Clin N Am 2004; 22: 11-12.

    Grayburn PA, Hillis LD. Cardiac events in patiens undergoind noncardiac surgery: shifting the paradigm fromm noninvasive risk stratification to therapy. Ann Intern Med 2003; 138(6): 506-11.

    Gruppo di Studio SIAARTI per la Sicurezza in Anestesia e Terapia Intensiva. Raccomandazioni per la valutazione anestesiologica in previsione di procedure diagnostiche-terapeutiche in elezione. Minerva Anestesiologica 1998; 64(6): 18-26.

    Kehlet H, Holte K. Effect of postoperative analgesia on surgical outcome. Br J Anaesth 2001; 87: 62-72.

    Lee TH, Marcoantonio ER, Mangione Cm, Thomas EJ et al. Derivation and prospective validation of a simple index for prediction of cardiac risk of major noncardiac surgery. Circulation 1999; 100: 1043-9.

    Leibowitz D, Planer D, Rott D, Elitzur Y et al. Brain natriuretic peptide levels predict perioperative events in cardiac patients undergoing noncardiac surgery: a prospective study. Cardiology 2008; 110: 266-70.

    NHS Executive. Clinical guidelines using clinical guidelines to improve patient care within the NHS.1996. London, NHS Executive.

    Department of Health. Good practice in Consent implementation guide: consent to examination or treatment. 2002.

    Pasternak LR. Preoperative testing: Moving Pran individual testing to risk management. Anesthesia Analgesia 2009; 108: 393-394.

    Practice guideline for preoperative fasting and the use of pharmacologic agents to reduce the risk of pulmonary aspiration: application to healthy patients undergoing elective procedures. A report by the American Society of Anesthesiologists Task Force on preoperative fasting. Anesthesiology 1999; 90: 896-905.

    Royal College of Radiologists. Making the best use of a department of clinical radiology 1998. London, Royal College of Radiologists.

    SIAARTI guidelines for safety in locoregional anesthesia. Minerva Anestesiologica 2006; 72: 689-722.

    Solca M. Evidence-based preoperative evaluation. Best Pratice and Research Clin Anaesth 2006; 2: 231-236.

    Swinchoe CF, Groves ER. Patients konowledg of anaesthetic pratice and the role of anaesthetists. Anaesthesia 1994; 49: 165-166.

    Wong DH, Weber EC, Schell MJ, Wong AB et al. Factors associated with postoperative pulmonary complications in patients with severe chronic obstructive pulmonary disease. Anesth Analg 1995; 80: 276-284.

    Dolore postoperatorio

    — Angelo Mangano

    Introduzione

    Il termine dolore postoperatorio abitualmente è riferito alla sintomatologia dolorosa che l’operato avverte al suo risveglio.

    In realtà la sintomatologia dolorosa avvertibile dopo un intervento chirurgico può essere inquadrata in una vera e propria malattia scatenata da svariati elementi che si associano e si potenziano.

    L’adeguato trattamento del dolore postoperatorio è ormai da più parti riconosciuto, oltre che un diritto del paziente, come uno dei fattori più importanti nella riduzione della morbilità perioperatoria, che comprende sia la minore incidenza di complicanze postoperatorie, sia un calo delle giornate di degenza con conseguente riduzione dei costi. Tale guadagno è maggiormente evidente nei pazienti critici ad elevato rischio.

    L’accurata valutazione preoperatoria del paziente e la pianificazione individualizzata della gestione del dolore postoperatorio è una strategia che integra il management del dolore con le cure preoperatorie. Molteplici sono i fattori da considerare nella formulazione del piano terapeutico individuale, sia legati al paziente sia legati all’intervento:

    • età del paziente;

    • sesso del paziente;

    • condizioni generali del paziente con patologie associate;

    • terapie mediche concomitanti;

    • possibilità di degenza postoperatoria nella unità di terapia intensiva;

    • tipo di intervento;

    • durata attesa dell’intervento;

    • entità attesa del dolore postoperatorio;

    • valutazione del rischio/beneficio delle diverse tecniche applicabili;

    • preferenza del paziente.

    Quindi, il periodo postoperatorio può essere definito come una vera e propria malattia di breve durata ad eziologia multifattoriale, dove il sintomo dolore rappresenta il comune denominatore.

    Nel periodo preoperatorio sono soprattutto l’emozione e la preoccupazione ad influenzare le condizioni generali dell’operando. È facile osservare sintomi di ipereccitazione simpatica, tachicardia, rialzo pressorio, cute fredda e pallida per vasocostrizione periferica ma anche abbassamento della soglia del dolore in presenza di una accentuata ansia.

    L’atto chirurgico viene sopportato in maniera diversa da ogni individuo in base alle sue caratteristiche. L’obiettivo dell’anestesista sarà rivolto a mantenere inalterata l’omeostasi organica durante l’atto operatorio, ma anche nella fase postoperatoria.

    Gli importanti progressi in campo antalgico hanno permesso di ridurre l’intensa sofferenza che un tempo si accompagnava al risveglio del paziente dopo l’intervento chirurgico. Tuttavia, esiste un contrasto netto tra il perfezionamento delle tecniche di anestesia e la penuria di mezzi messi a disposizione per alleviare il dolore postoperatorio, anche se negli ultimi anni c’è stata una forte sensibilizzazione al problema, i mezzi a disposizione restano insufficienti.

    Le ragioni per cui si attuava un trattamento antalgico inadeguato erano dovute alla poca conoscenza da parte dello staff medico-infermieristico dei farmaci analgesici e delle possibili vie o tecniche di somministrazione; dalla errata convinzione che il dolore non era di per sé dannoso per il paziente e che il suo trattamento poteva mascherare i segni di complicanze; non ultimo il timore di indurre dipendenza dagli oppiacei.

    Il trattamento insufficiente del dolore postoperatorio espone a gravi effetti collaterali e ciò può far dimenticare che il dolore pone il soggetto che lo prova in uno stato di sudditanza fisica e mentale, nonché di impotenza. I progressi compiuti in ambito farmacologico (nuove molecole) ed anestesiologico (nuove tecnologie) possono garantire un controllo migliore del dolore postoperatorio.

    L’adozione di linee guida codificate ed adeguate per ogni tipo d’intervento chirurgico consente di ridurre la risposta endocrino metabolica allo stress chirurgico, l’incidenza di complicanze respiratorie, le complicanze trombemboliche, di ottenere una rapida mobilizzazione del paziente con un recupero generale veloce, di garantire un maggior comfort e soddisfazione dell’operato con migliore outcome del paziente ad alto rischio, come dimostrato da vari studi in questi ultimi anni.

    Elementi di fisiopatologia del dolore

    Il dolore è percepito dal cervello come risultato dei processi di elaborazione di una stimolazione di un sito periferico dovuta ad un danno tissutale reale o potenziale. La percezione della sensazione dolorosa è perciò il risultato di molti input differenti.

    I recettori sensoriali del dolore o nocicettori sono terminazioni nervose libere nei tessuti e rispondono a stimoli che danneggiano i tessuti stessi. Anche i recettori che rispondono ai cambiamenti di temperatura (termocettori), ai cambiamenti chimici (chemocettori) o alla pressione (meccanocettori) trasmettono un segnale doloroso in presenza di uno stimolo sufficientemente intenso. I nocicettori si trovano sulla cute, sui vasi sanguigni, sul tessuto sottocutaneo, sul muscolo, sulla fascia, sul periostio, sui visceri, sulle articolazioni e su altre strutture.

    L’atto operatorio innesca una complessa e duratura aggressione sulla rete nervosa e favorisce l’insorgenza di stimoli neurogenici che attraverso la copiosa liberazione di realising factor aumentano la secrezione di ACTH, betabioproteine, beta endorfine, catecolamine ed altre sostanze che a loro volta innescano la cascata di reazioni endocrino-metaboliche, che modificano l’attività della sfera neurovegetativa, ormonale, sensitiva e motoria.

    Nell’area di traumatismo scaturiscono, per stimolazione di molteplici recettori, impulsi neurogenici che interessano la sensibilità esterocettiva, propriocettiva e viscerale.

    Le fibre nervose periferiche veicolanti questi stimoli (fibre A-delta e fibre C) attraverso le due radici posteriori raggiungono le corna dorsali del midollo spinale e strutturate nella via spino-talamica e spino-reticolare ascendono ai centri integratori del talamo e della corteccia. Al sistema ascendente di trasmissione del dolore, è correlato un sistema discendente, sistema di modulazione inibitorio a partenza dal grigio periacqueduttale (PAG) e dal nucleo del rafe magno (NRM). Su tale sistema, caratterizzato da una neurotrasmissione noradrenergica e serotoninergica, agiscono le endorfine, le enkefaline, le dinorfine e gli oppioidi esogeni. Le terminazioni nervose dei neuroni, appartenenti a questo sistema endorfinico, prendono contatto direttamente, a livello delle corna dorsali, con i neuroni di I e II ordine, iperpolarizzandoli riducendo l’intensità dell’onda di depolarizzazione legata allo stimolo doloroso.

    Durante l’intervento chirurgico dalle zone traumatizzate si liberano sostanze chimiche coinvolte nella genesi del dolore note col nome di bradichinine, callicreina, serotonina, istamina, prostaglandine. Le alterazioni metaboliche scatenate dai disordini ormonali intraoperatori continuano per diversi giorni dopo l’intervento. La formazione di prostaglandine a partire dagli acidi grassi potrebbe costituire uno dei punti di partenza della reattività ormonale. Il dolore postoperatorio svolge un ruolo preponderante nel mantenere un elevato dispendio energetico con aumento del consumo di ossigeno, mediato dal sistema simpato-adrenergico e dagli acidi grassi liberi: anche il tasso di endorfine risulta notevolmente ridotto per accentuata deplezione intraoperatoria. Quando i fattori di stress si estinguono, si verifica il passaggio da una condizione catabolica di ipertono simpatico ad una orientata verso l’anabolismo con ridotto dispendio energetico grazie ad una ripresa del sistema parasimpatico.

    Terapia farmacologica

    L’analgesia postoperatoria rientra tra i diritti irrinunciabili del paziente. È ampiamente riconosciuto che un adeguato trattamento del dolore postoperatorio contribuisce significativamente alla riduzione della morbilità perioperatoria, valutata come incidenza di complicanze postoperatorie, di giornate di degenza e di costi, specialmente nei pazienti ad alto rischio (ASA III-IV) sottoposti ad interventi di chirurgia maggiore. Pertanto, il trattamento del dolore postoperatorio deve essere inserito tra gli obiettivi istituzionali prioritari, essendo parte integrante del piano terapeutico per la malattia perioperatoria che prevede: analgesia, mobilizzazione precoce, alimentazione enterale e fisiokinesiterapia attiva. Allo scopo di trattare adeguatamente il dolore postoperatorio in molti paesi è stato introdotto un servizio per il trattamento del dolore acuto (acute pain service). L’introduzione di un APS migliora il controllo del dolore nei reparti chirurgici e sembra in grado di ridurre gli effetti avversi.

    I farmaci maggiormente utilizzati nel trattamento del dolore postoperatorio sono: il paracetamolo, i FANS, gli oppioidi deboli, gli oppioidi forti e gli anestetici locali associati o meno ad adiuvanti (alfa-2-agonisti) ed i corticosteroidi. Tali farmaci possono essere utilizzati singolarmente o in associazione tra loro, per sfruttarne i differenti meccanismi e siti d’azione. La somministrazione di farmaci deve avvenire in maniera adeguata e conforme alle leggi di farmacocinetica, farmacodinamica e farmacogenetica.

    Il consumo di tali farmaci dipenderà da fattori neuro-clinici preesistenti, dall’atto operatorio, dall’estensione della ferita e dalla modalità di somministrazione dei farmaci. I farmaci analgesici agiscono secondo quattro modalità neurofisiologiche:

    • innalzando la soglia periferica del nocicettore;

    • ostacolando o bloccando il cammino dell’impulso doloroso lungo la fibra nervosa;

    • rinforzando i meccanismi discendenti di analgesia endogena;

    • ostacolando l’integrazione delle informazioni nocicettive che pervengono al cervello.

    Paracetamolo

    Il paracetamolo, l’analgesico più ampiamente utilizzato nel mondo, agisce sommando le prime tre modalità d’azione. Questo spiega la sua potenza analgesica assai elevata.

    È comunemente prescritto nel trattamento del dolore lieve-moderato in numerose condizioni patologiche.

    In condizioni normali di impiego il paracetamolo possiede un considerevole margine di sicurezza.

    Nell’uomo, la via metabolica accessoria del paracetamolo che conduce alla formazione del metabolita attivo interviene solo per il 3%-4% del totale.

    Una somministrazione in bolo di 300 mg/kg non provoca alcuna deplezione epatica di glutatione nel ratto e la dose di 300 mg/kg non induce necrosi epatica.

    Negli studi di tossicità per somministrazioni ripetute, la dose di 400 mg/kg è stata ben tollerata.

    L’indice terapeutico del paracetamolo è, pertanto, elevato per una posologia giornaliera intorno a 3g.

    Il meccanismo mediante cui il paracetamolo, a dosi massive, può indurre epatotossicità è scarsamente conosciuto.

    Numerosi studi condotti in merito al danno epatico hanno portato alla scoperta della N-acetil cisteina come antidoto specifico da utilizzarsi in caso di intossicazione.

    L’azione protettiva è tanto più efficace quanto più è precoce: la somministrazione deve avvenire entro le 10 ore.

    Il paracetamolo, se assunto per via orale, è rapidamente assorbito nel tratto gastro-intestinale. L’assorbimento è completo e massimale già nel piccolo intestino con un raggiungimento del picco plasmatico entro 20-30 minuti dall’assunzione.

    Il paracetamolo è metabolizzato principalmente a livello epatico, e solo il 2%-5% di una dose terapeutica viene trovato nelle urine in forma immodificata, ed essendo un acido debole moderatamente solubile nei lipidi, viene filtrato a livello glomerulare e riassorbito nei tubuli renali; l’emivita di eliminazione è compresa tra le due e le tre ore.

    L’azione analgesica di tale farmaco è legata alla possibilità di inibire selettivamente le ciclo-ossigesnasi a livello del sistema nervoso, con conseguente inibizione della sintesi delle prostaglandine.

    A ciò si aggiunge un effetto analgesico centrale connesso con il sistema di modulazione bulbo spinale serotoninergico del dolore.

    Farmaci antinfiammatori non steroidei

    I FANS costituiscono un gruppo eterogeneo di farmaci che hanno azione antiinfiammatoria, analgesica ed antipiretica.

    Il loro meccanismo d’azione consiste nell’acetilazione e, quindi, nella conseguente ed irreversibile inattivazione della cicloossigenasi (COX), enzima che, agendo sull’acido arachidonico, catalizza la formazione di prostacicline, trombossani, leucotrieni e prostaglandine. Queste ultime sono molecole che, oltre ad avere attività proflogogena, potenziano l’azione dei mediatori biologici dell’infiammazione quali l’istamina.

    L’azione antipiretica risulta dall’inibizione della biosintesi delle prostaglandine nel centro termoregolatore ipotalamico.

    L’inibizione della cicloossigenasi piastrinica previene la formazione di trombossano A2 un potente vasocostrittore ed induttore dell’aggregazione piastrinica.

    Il loro meccanismo di azione è comune e l’analgesia che essi inducono sarebbe dovuto ad inibizione della sintesi di prostaglandine, mediatori dell’infiammazione ad azione sensibilizzante sui nocicettori con iperpolarizzazione della membrana neuronale. Inoltre inibiscono gli enzimi lisosomiali causando una diminuzione dei livelli di sostanze ossidanti rilasciate nella formazione delle prostaglandine.

    Una somministrazione di analgesici non oppioidi sicura richiede familiarità con i loro effetti collaterali. L’aspirina e gli altri FANS hanno un largo spettro di tossicità potenziale.

    La diatesi emorragica può essere favorita dall’inibizione dell’aggregazione piastrinica, la gastroduodenopatia (inclusa l’ulcera peptica) e l’insufficienza renale sono altri effetti collaterali. Quelli meno frequenti comprendono confusione mentale, precipitazione di uno scompenso cardiaco ed esacerbazione dell’ipertensione.

    Particolare cautela deve essere posta nella prescrizione a pazienti con aumentato rischio di effetti collaterali, quali gli anziani e coloro che soffrono di disturbi della coagulazione, i predisposti all’ulcera peptica, i pazienti con insufficienza renale e/o asma o che sono in cura con corticosteroidi.

    La scoperta che i FANS inibiscono selettivamente la biosintesi delle prostaglandine ha fatto teorizzare che queste svolgano un ruolo fondamentale nei processi flogistici. La maggior parte di questi agenti modula la sintesi delle prostaglandine tramite l’inibizione dell’enzima ciclo-ossigenasi, che catalizza una delle prime tappe della conversione dell’acido arachidonico in prostaglandine. Attraverso la riduzione della sintesi prostaglandinica, gli inibitori delle cicloossigenasi bloccano la risposta nocicettiva ai mediatori endogeni della flogosi come la bradichinina, l’acetilcolina e la serotonina. È noto che l’enzima ciclo-ossigenasi è codificato da due geni, sono state caratterizzate due forme di enzima (COX-1 e COX-2).

    La COX-1 è una isoforma costitutiva presente nei vasi, nello stomaco e nel rene, mentre la COX-2 è una isoforma inducibile, quasi assente in condizioni fisiologiche, ma espressa in corso di infiammazione sotto lo stimolo di fattori mitogeni e citochine.

    La COX-1 presiede alla formazione di prostaglandine che svolgono importanti funzioni fisiologiche quali la protezione della mucosa gastroduodenale (attraverso l’inibizione della secrezione acida gastrica, l’aumento del flusso ematico nella mucosa e la stimolazione della secrezione di muco citoprotettivo nell’intestino) e il supporto della funzione piastrinica e renale.

    Le prostaglandine risultano importanti in condizioni patologiche come l’insufficienza cardiaca congestizia, la cirrosi epatica con ascite, la nefropatia cronica o l’ipovolemia nelle quali, inducendo vasodilatazione, antagonizzano gli effetti vasocostrittori della noradrenalina e della angiotensina II risultanti dall’attivazione di riflessi pressori.

    Ecco, pertanto, che l’uso di FANS in questo gruppo di pazienti può costituire il fattore precipitante una insufficienza renale acuta.

    Al livello piastrinico, inibendo la sintesi di trombossano A2, potente aggregante, i FANS allungano il tempo di emorragia.

    La COX-2 è la forma inducibile dell’enzima, ed è il maggiore isoenzima associato con la flogosi. La sua produzione è indotta da agenti infiammatori nelle cellule endoteliali, nei macrofagi e nei fibroblasti sinoviali.

    La nuova frontiera nel trattamento del dolore consiste, pertanto, nell’utilizzo di inibitori selettivi delle COX-2, che siano in grado di inibire la produzione delle sole prostaglandine che mediano l’infiammazione ed il dolore ma non di quelle che, invece, supportano funzioni fisiologiche.

    Attualmente non abbiamo a disposizione farmaci selettivi puri, ma soltanto farmaci che sono in grado di inibire prevalentemente la COX-2, tanto è vero che la selettività dei FANS viene calcolata sulla base del rapporto di inibizione tra COX-1 e COX-2.

    Tra i FANS merita una particolare attenzione il ketorolac, che può essere somministrato per via intramuscolare od endovenosa ed è indicato nel trattamento a breve termine (massimo due giorni) del dolore acuto postoperatorio di grado moderato-severo.

    Nei casi di chirurgia maggiore o di dolore molto intenso il ketorolac endovenoso può essere usato quale complemento ad un analgesico oppiaceo.

    Oppioidi

    La morfina e i composti relativi agiscono come agonisti, producendo l’effetto biologico, mediante interazione stereoselettiva con recettori di membrana saturabili, distribuiti nel SNC in modo non uniforme. Essi sono localizzati prevalentemente a livello della materia grigia periacqueduttale e periventricolare, nel nucleo reticolare gigantocellulare, nel talamo mediale, nella formazione reticolare mesencefalica, nell’ipotalamo laterale e nel midollo spinale.

    Si distinguono 5 recettori degli oppioidi (δ, µ, σ, κ, ε) e dei sottotipi per i recettori µ, κ, σ. I recettori µ1 mediano l’analgesia sopraspinale, il rilascio di prolattina e l’euforia. I recettori µ2 mediano la depressione respiratoria e la dipendenza fisica. I recettori δ e k sono parzialmente responsabili dell’analgesia spinale. La miosi e la sedazione sono il risultato dell’attività del recettore k, mentre l’attività dei recettori σ provoca disforia e allucinazioni.

    Il sufentanil è un oppioide di sintesi, derivato del fentanil, possiede proprietà ipnotiche. È un farmaco caratterizzato da alta liposolubilità.

    Metabolizzato interamente a livello epatico da parte di enzimi microsomiali in dimetilsufentanil e N-metossimetil N-fenilpropamide. Dopo glicuronazione questi metaboliti sono escreti rapidamente attraverso la bile e le urine.

    L’emivita del sufentanil è intermedia tra quella del fentanil e dell’alfentanil. La clearance plasmatica è elevata e viene metabolizzato dal fegato.

    Il remifentanil è l’oppioide di scelta nei pazienti nefropatici, epatopatici se ricoverati in ambiente protetto.

    L’ossicodone è utilizzato nel dolore postoperatorio come analgesia step-down successivamente all’utilizzo di PCA o in preanestesia se si scelgono oppioide a breve emivita per interventi di chirurgia minore.

    Di introduzione relativamente recente nel nostro mercato è il tramadolo un oppioide sintetico del gruppo dell’aminocicloesanolo, inquadrato tra gli oppioidi deboli.

    Si tratta di efficace analgesico centrale che esprime la sua attività farmacologica mediante un interessante duplice meccanismo d’azione. L’azione sinergica del tramadolo si avvale di una interazione selettiva per i recettori centrali degli oppioidi di tipo μ, con affinità debole e priva di significato fisiologico verso gli altri recettori; una inibizione della ricaptazione della noradrenalina e un aumento della concentrazione di serotonina a livello cerebrale sinaptico.

    Nonostante la sintesi di nuove molecole oppioidi, la morfina rimane comunque l’oppioide più utilizzato nel trattamento del dolore acuto.

    Anestetici locali

    Gli anestetici locali sono usati nel trattamento del dolore acuto postoperatorio sia per ottenere dei blocchi nervosi periferici, sia per via epidurale o spinale in eventuale combinazione con gli oppioidi. L’anestetico locale maggiormente usato, per la sua lunga durata di azione, è la bupivacaina. Di recente sono stati introdotti la ropivacaina e la levobupivacaina, si tratta di farmaci che, pur presentando una farmacocinetica del tutto sovrapponibile a quella della bupivacaina, presenterebbero minori effetti collaterali, specialmente in termini di tossicità cardiaca.

    Gli anestetici locali agiscono sulla membrana aumentandone la permeabilità al sodio, diffondono attraverso lo strato lipoproteico grazie alla forma liposolubile ovvero quella non ionica, quindi dentro la cellula e grazie al pH intracellulare si raggiunge un nuovo equilibrio tra la parte ionizzata e quella non ionizzata in virtù del pKa dell’anestetico. La forma ionica entrerebbe quindi nei canali del sodio modificandoli ed impedendo la propagazione del potenziale d’azione. L’azione degli anestetici locali non è del tipo tutto o nulla ma offre una graduazione di effetto dipendente dalla concentrazione del farmaco e dal diametro della fibra nervosa

    I blocchi nervosi più comunemente utilizzati sono quello femorale, brachiale ed intercostale; inoltre si segnala la possibilità di infiltrare la ferita chirurgica a fine intervento. Tali tecniche sono usate spesso con successo nel dolore post-traumatico con minimi effetti emodinamici e sono prive dei rischi associati alla somministrazione di oppioidi.

    Nel trattamento del dolore acuto postoperatorio le concentrazioni di bupivacaina utilizzate variano dallo 0,075% a 0,125%. Basse dosi di anestetico locale, in eventuale combinazione con oppioidi, sono solitamente ben tollerate, sebbene si possano realizzare sia il blocco simpatico che un certo grado di blocco motorio. I volumi di anestetico locale utilizzati sono di circa 10 ml con un range tra 5 e 20ml.

    Gli anestetici locali sono stati usati per anni per l’anestesia e l’analgesia epidurale, e possono determinare un’eccellente controllo del dolore. Alcuni autori hanno dimostrato un sinergismo d’azione tra oppioidi ed anestetici locali quando somministrati contemporaneamente per via epidurale. L’uso di anestetici locali ed oppioidi può determinare un buon controllo del dolore e minori effetti collaterali rispetto alla somministrazione dei singoli farmaci. Un buon livello di analgesia è stato ottenuto con la somministrazione di bupivacaina associata a morfina o fentanil oppure sufentanil. Diversi autori hanno pubblicato studi sulla somministrazione epidurale in PCA di anestetici locali ed oppioidi. Quando confrontata con l’infusione continua, la PCA epidurale appare capace di determinare lo stesso livello di analgesia con ridotto consumo di farmaco.

    Il posizionamento del catetere epidurale può essere associato a rischio di infezione; studi eseguiti sull’argomento riportano una bassa incidenza di infezioni quando usato per brevi periodi di tempo, come nel caso dell’analgesia postoperatoria. Un altro rischio potenziale associato all’analgesia epidurale è quello dell’ematoma subdurale, che può portare a conseguenze severe, anche se l’incidenza di questo evento è alquanto bassa.

    I pazienti affetti da discoagulopatie e quelli in terapia antiaggregante o anticoagulante sono particolarmente a rischio, da ricordare che i pazienti chirurgici vengono sottoposti a terapia antitrombotica.

    Adiuvanti

    Possiamo definire adiuvanti quelle sostanze che, pur non avendo un effetto analgesico diretto contribuiscono a ridurre l’intensità del dolore aumentando l’efficacia dei farmaci analgesici somministrati. Sono costituiti da un gruppo eterogeneo di sostanze tra cui le più note sono clonidina, neostigmina, ketamina, anticonvulsivanti ed antidepressivi.

    L’uso degli α2- agonisti nella terapia antalgica rappresenta una nuova area di ricerca piuttosto interessante. L’esatto meccanismo con cui essi operano per ciò che riguarda l’analgesia non è noto. È probabile che essi attivino i recettori pre e post sinaptici a livello delle vie noradrenergiche coinvolte nel controllo del dolore, a livello delle corna dorsali del midollo e a livello sovraspinale. Perioperatoriamente la clonidina, α2 agonista di uso corrente nell’ipertensione, è stata somministrata per via parenterale, orale, intratecale, epidurale e attraverso patches transdermici. Sebbene molti studi abbiano testato l’efficacia della clonidina come coadiuvante dell’anestesia e quando somministrata per via intratecale o epidurale nel controllo del dolore acuto postoperatorio, pochi studi hanno valutato la sua capacità analgesica quando è somministrata per via sistemica.

    La ketamina è in grado di ridurre la intensità del dolore postoperatorio bloccando i recettori del NMDA. La ketamina somministrata perioperatoriamente è in grado di ridurre: l’intensità del dolore postoperatorio, l’incidenza di PONV del 30%-40% e il consumo di morfina.

    Corticosteroidi

    Tali farmaci possono avere un ruolo nel controllo del dolore acuto e subacuto. Esplicano il massimo effetto nei casi in cui il dolore è associato ad edema, o quando c’è infiltrazione tumorale o compressione nervosa. Essi agiscono tramite l’effetto antiinfiammatorio e mediante una riduzione dell’eccitabilità neuronale con azione diretta sulla membrana cellulare. Effetti indesiderati legati alla loro somministrazione cronica sono l’immunodepressione, gastriti, ritenzione di liquidi, ipertensione, iperglicemia, sindrome di Cushing e in alcuni casi sintomi psichiatrici.

    Vie e modalità di somministrazione

    Vari fattori sono presi in considerazione nella selezione del più efficace analgesico per uno specifico paziente. Questi includono l’eziologia, la qualità, l’intensità e la distribuzione del dolore dell’ammalato. L’azione temporale di un agente analgesico deriva da fattori come l’intensità del dolore, l’ampiezza della dose e la capacità dell’individuo di assorbire, biotrasformare ed eliminare il farmaco.

    Una regola generale, nella medicina del dolore, è che vada sempre utilizzata la via di somministrazione di farmaci meno invasiva. Ciò, naturalmente, se questo non comporta problemi in termini di efficacia terapeutica. Naturalmente, trattare un paziente acuto significa trattare un malato in cui, spesso, la via meno invasiva, cioè quella orale, non è utilizzabile. Premessa, quindi, l’indispensabilità di una via venosa, risulta assai semplice utilizzarla per il trattamento del dolore. L’obiettivo è quello di evitare il cosiddetto effetto bolo (tossicità al picco di concentrazione e/o dolore nell’intervallo tra due successive somministrazioni).

    L’infusione continua evita i problemi associati con l’effetto bolo e può essere effettuata sia per via endovenosa che per via sottocutanea, quest’ultima, naturalmente, è molto meno prevedibile in termini di assorbimento.

    Un progresso nel controllo

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1