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I cancelli dorati di Ishtar
I cancelli dorati di Ishtar
I cancelli dorati di Ishtar
E-book375 pagine5 ore

I cancelli dorati di Ishtar

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Info su questo ebook

Ad Etnocras, dopo più di tremila anni di stallo fra le forze Oscure e la Confederazione della Luce, il Principe Raghnock rompe la tacita tregua e riunisce sotto il suo comando gli eserciti dei tre più temibili Clan degli Orchi, i Senza legge delle Terre di Itcron, gli occultisti di Howling e ogni bestia che vive nei recessi più bui di questo bizzarro mondo. Infine, per appropriarsi del potere assoluto, richiamerà dalla morte l’antico condottiero Ismophet e le sue legioni fantasma. Un semplice e anonimo ragazzo della Terra di nome Andrea, in seguito a questi avvenimenti, si troverà inconsapevolmente catapultato a Etnocras assieme ai suoi quattro amici, nell’impossibile compito di contrastare il terribile pericolo che sta per abbattersi sull’intera umanità.

In questa ciclopica guerra, forze occulte trameranno alle spalle di ogni ignaro essere vivente, guidando inconsapevolmente le mani dei capi delle due fazioni in lotta. Una nuova era è in procinto di nascere. Un’era in cui il male e il bene diverranno solamente vuoti simboli al servizio di un potere ben più grande, un potere che andrà al di là del bene e del male stessi.
LinguaItaliano
Data di uscita25 giu 2015
ISBN9788867824236
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    Anteprima del libro

    I cancelli dorati di Ishtar - Francesco Venier

    Francesco Venier

    I Cancelli Dorati di Ishtar

    EDITRICE GDS

    Francesco Venier I Cancelli Dorati di Ishtar ©EDITRICE GDS

    EDITRICE GDS

    di Iolanda Massa

    Via G. Matteotti, 23

    20069 Vaprio d’Adda (MI)

    tel. 02 9094293

    e-mail: edizionigds@hotmail. it ; iolanda1976@hotmail.it

    Illustrazione in copertina: Glowing Bible di ©Kevron2001 - Fotolia.com

    Progetto copertina di copertina ©Iolanda Massa

    TUTTI I DIRITTI RISERVATI

    Capitolo 1 - Il Dormiente

    Andrea se ne stava appoggiato con una spalla allo stipite della porta d’ingresso della scuola, le braccia distese sui fianchi, mentre la mano sinistra sorreggeva quella destra. Da quella posizione osservava sovrappensiero gli amici giocare nel piccolo parco. Intanto, la mente ritornava con irritante ostinazione allo screzio avuto con i suoi genitori nella prima mattinata, proprio poco prima di uscire da casa.

    Perché continuano a tormentarmi? E fai questo, e poi quest’altro. Devono sempre dirmi cosa fare e come farlo. Basta! Sono stufo delle loro stupide regole. Io voglio vivere a modo mio, come piace a me! Si disse tra sé e sé con un gesto di stizza.

    Questi pensieri continuarono ad affollargli la testa, pungolandolo e accrescendogli di minuto in minuto la rabbia che sempre più dilagava senz’argini in ogni remoto angolo del proprio corpo, anche il più inaccessibile.

    Era ormai da diverso tempo che il suo animo veniva ripetutamente scosso da questi violenti tumulti emotivi, che alla fine però lo lasciavano prostrato e senza difese, confuso e disorientato, ma anche profondamente amareggiato. La sua vita aveva iniziato a prendere quella piega poco dopo il dodicesimo compleanno. Proprio in quei giorni gli fu chiaro che sarebbe cambiato e che non sarebbe mai più stato lo stesso. L’emozione della rabbia, un’emozione ben conosciuta, si diffuse in modo fastidioso e, come un recondito e flaccido verme che si agitava nelle viscere della buia terra, trasformò tutto in una poltiglia maleodorante e velenosa. Mentre prima la rabbia era un sentimento che andava e veniva, e che tutto sommato gli piaceva, ora stava divenendo sempre più invasiva e opprimente. Soffocante e letale. Inafferrabile e nel contempo incalzante.

    Quel cambiamento repentino gli risultò incomprensibile, e ancor di più provare quello sgradevole astio nei confronti dei propri genitori, che ben sapeva basarsi su motivazioni del tutto inconsistenti.

    Cacciati quei malevoli pensieri, si tirò su e decise con languida rassegnazione di unirsi al gruppetto di compagni che stava giocando a pallone.

    – Ehi, ragazzi! Gioco anch’io… Con chi posso stare? – gridò Andrea, agitando un braccio in aria e avanzando ciondolante verso gli amici con l’altra mano in tasca.

    – Vieni con noi! – si fece avanti un ragazzo corpulento e lentigginoso, con i capelli biondi arruffati e un sorriso gioviale. – Siete d’accordo? – urlò agli altri.

    – Va bene Matteo! – risposero in coro.

    La partita fu piuttosto cruenta, nessuno volle rassegnarsi a perdere e nessuno risparmiò colpi bassi agli avversari. Poco prima che la campanella suonasse, Daniele, con il suo fisico minuto e sfuggente come una donnola, avanzò inesorabile, dribblando senza scampo gli avversari. Andrea gli si parò davanti, ultimo baluardo prima della porta, allungò deciso la gamba per prendergli la palla, ma Daniele, con un’agilità che lo colse di sorpresa, gli volò sopra mentre il pallone, colpito dal suo piede, un istante dopo entrò nella rete segnando il goal della vittoria.

    Andrea, alquanto indispettito, si girò di scatto verso l’ingresso della scuola e vi si diresse deciso senza rivolgere lo sguardo ad alcuno. Matteo, che non aveva prestato attenzione agli ultimi sviluppi, gli si avvicinò con il suo solito modo giocoso, con un braccio gli avvolse le spalle e con ammirazione gli disse: – Bravo eh, quel Daniele!

    Per tutta risposta l’amico si scrollò bruscamente il braccio di dosso e con un grugnito continuò per la propria strada.

    Sorpreso dalla sua inaspettata reazione, si girò verso i compagni, li guardò a braccia aperte, e con gli occhi sgranati domandò: – Ma che cosa gli è preso? – tutta la squadra, ricambiando sommessamente la sua sconsolata perplessità, si mise al suo seguito e rientrò in classe borbottando.

    Erano appena passate le undici, quando Antonella, che se ne stava seduta sul banco a fianco di Andrea, vedendo l’amico corrucciato, approfittò di un momento di distrazione del professore per appressarglisi, e preoccupata gli chiese: – Ehi… Andrea, cosa ti sta succedendo? Oggi non mi hai neanche salutata.

    – Lasciami in pace! – ribatté infastidito, facendole segno con la mano di andarsene. Mentre la frangia che portava scalata di lato gli coprì entrambi gli occhi, quasi per sfuggire a quel disinteressato contatto.

    La ragazza si rannuvolò e la sua bocca non trovò altre parole. Impietrita dallo stupore, arretrò confusa e raggiunse in silenzio il proprio posto. Sprofondando sconsolata sulla seggiola con uno sguardo smarrito, fece scivolare gli occhi su Elena, sua compagna di banco e soprattutto amica, e con voce incrinata le sussurrò: – Hai notato in che modo mi ha risposto?

    – Sì Antonella. E non è da lui.

    – Hai ragione, è proprio irriconoscibile. Non sembra più il nostro Andrea di sempre, – le confermò impensierita, intanto che la sua mente lottava per rimanere lucida.

    – Chissà che cosa gli è successo! – esclamò Elena con una nota d’agitazione.

    – Mia madre mi ha riferito che gli ormoni danno dei fastidi anche ai maschi. Forse, senza rendersene conto, è scosso e turbato da questi cambiamenti, – rispose l’amica alla ricerca disperata di una qualche spiegazione dall’apparenza sensata.

    – Comunque, se continuerà a comportarsi in questo modo, credo che dovremmo parlarne anche agli altri. Non possiamo fare finta di niente. Non è giusto! – concluse nervosamente Elena.

    – Ehi, voi due… poiché avete tanta voglia di chiacchierare, ora verrete qui e ci illustrerete cos’ho detto finora. Prego, accomodatevi, – disse sussiegoso il professore di matematica, accompagnando le sue parole con un inchino ironico.

    Il professore Alberto era noto in tutta la scuola per il rigore e l’intransigenza, per niente mitigate dalla sua spiccata intelligenza e arguzia. Le sue attenzioni erano temute da ogni studente e possibilmente anche evitate, ma mai sottovalutate. Questo sarebbe stato un errore per chiunque.

    Le ragazze, impacciate e rosse per l’imbarazzo, si diressero in direzione della cattedra. Il professore, chiuso nel suo anacronistico tweed ocra a righe diagonali, le aspettò impettito e appena giuntevi fece segno di iniziare.

    – Ma… Veramente noi... – risposero entrambe le adolescenti, guardandosi nervosamente attorno e stropicciandosi le mani.

    – Come immaginavo, non eravate attente! Come pure il vostro amico Andrea, – e i suoi occhi, volgendosi verso di lui, alla pari di lame taglienti gli penetrarono dolorosamente la carne. – Allora ripeterò quanto detto finora, sempre che le vostre signorie siano interessate. Poco fa, stavo parlando dell’astrazione: …astrarre vuol dire cogliere ciò che c’è di comune in varie esperienze concrete, di conseguenza, se vi impegnerete a comprendere l’intima essenza della matematica, vi accorgerete che gli oggetti astratti perderanno gradualmente il loro alone di irraggiungibilità e d’improvviso diverranno reali, e voi sarete finalmente in grado di vederli. A quel punto, la matematica diverrà una materia viva e tangibile… – quindi distolse gli occhi da Andrea e preoccupato esaminò l’intera classe. – Ragazzi, capisco la fatica che state facendo per capire i concetti che sinora vi ho esposto, ma vi garantisco che lo sforzo di apprendere sarà ben presto ripagato, perché la matematica è una verità necessaria e stabile, e quello che avrete appreso non sarà mai del tutto superato.

    Andrea fece il tragitto per tornare a casa imbronciato. Il suo animo pareva tanto scuro quanto il colore dei suoi capelli.

    Quando entrò in casa, e sua madre gli chiese com’era andata, proseguì verso la propria camera con spavalda indifferenza. Poi buttò lo zaino sulla sedia e si distese sul letto fissando il soffitto.

    Che diavolo sta accadendo! Mi hanno detto che l’adolescenza gioca brutti scherzi, ma questo è veramente troppo. Non capisco da dove nasca il mio desiderio di distruggere e di rompere tutto, non ne capisco il senso. Se continuerà così, ho paura che prima o poi perderò il controllo e finirà che farò del male a qualcuno. Pensò tra sé e sé, piuttosto turbato e ripiegato in se stesso, come un fiore avvizzito in una palude melmosa.

    – Andrea! – gridò ripetutamente la madre. – È pronto in tavola!

    Intimorito dalla necessità di non alimentare ulteriormente i propri contorti stati d’animo, si apprestò a scendere in sala da pranzo. Quando la mamma lo vide così cupo, decise di andare cauta, per non correre il rischio di allontanarlo in un periodo in cui lo percepiva sfuggente e distante. Dunque si sedette e in silenzio iniziò a desinare.

    – Mamma, scusami. Sappi che non ho mai avuto l’intenzione di farti del male… – disse bofonchiando tra un boccone e l’altro, e con la testa immersa nel piatto.

    – Non preoccuparti! sarà soltanto un periodo, vedrai che presto finirà e dopo staremo tutti meglio, – ribatté la signora, senza dare troppo peso a quelle parole.

    Finito il pranzo, decise di ritornare in camera sua perché sentiva l’esigenza di tranquillizzarsi e, nel proprio intimo, era convinto che le pareti del suo rifugio sarebbero state sufficienti per assolvere questo compito.

    Le ore scorrevano pesanti, ma nulla sembrò cambiare. All’improvviso il cellulare, da poco regalatogli dal babbo, si fece sentire e Andrea lesto lo aprì: – Pronto!

    – Sono Daniele, come stai?

    – Bene! – rispose seccamente.

    – Verresti fuori con noi? Fra un’ora ci troviamo al parco.

    – No, non me la sento. Dì agli altri che ci vedremo domani. Ciao.

    – Va bene. Per qualsiasi cosa chiamami. A domani! – ribatté Daniele dall’altro capo del telefono, con la voce rotta dall’incertezza.

    Andrea, intorpidito dal conflitto che gli stava risucchiando ogni energia, si ributtò sul letto e si perse in un sonno agitato. Solamente a notte fonda, in seguito a dei piccoli picchiettii che parevano provenire dall’armadio, si risvegliò allarmato.

    Il ragazzo, ancora mezzo intontito dal brusco risveglio, tese l’orecchio, e i ticchettii si ripeterono insieme a un altro suono, simile a quello prodotto da unghie che raspavano il legno. Intimorito si alzò, protese le braccia a tentoni in cerca di un qualsiasi oggetto da usarsi come arma, e trovata una scopa, la brandì davanti a sé avanzando lentamente.

    Inaspettatamente, una luce azzurrognola cominciò a filtrare tra le ante socchiuse, seguita subito dopo da un tonfo e da un bagliore accecante che lo obbligò a proteggersi gli occhi con le mani. Poi il silenzio calò nuovamente sulla camera, abbassò le braccia, ma l’intensa luce gli fece perdere momentaneamente la vista.

    Con gradualità gli oggetti ritrovarono i loro contorni e una figura scura si stagliò poco distante. Era un uomo minuto e di sicuro più basso del ragazzo. Inoltre era completamente avvolto da un mantello che, assieme al cappuccio, gli copriva anche il volto.

    Andrea non sembrò per niente spaventato da quella presenza, anzi, gli si avvicinò minaccioso e sempre armato di scopa gli chiese: – Chi sei?

    Una voce stridula usci da sotto quelle vesti: – Sono Barkach! Non temere, non voglio farti del male.

    – Allora fatti vedere, se non vuoi che sia io a farti del male!

    – Non credo che tu sia pronto a sopportare la mia visione, – gli replicò in modo preoccupato.

    – Questo sarò io a deciderlo. Tu mostrati!

    L’omino buttò il cappuccio all’indietro, e apparve un viso scarno e spigoloso di colore verdognolo; dal chiarore della luna piena, che filtrava tra le tende, si notavano anche un cadente naso aquilino e delle grandi orecchie appuntite che, stranamente, ricadevano ai lati. Andrea, sorpreso e sbigottito, fece un balzo all’indietro emettendo un urlo soffocato: – Oh!... Ma sei un Goblin!

    – No! Non preoccuparti, io non sono quello che affermi, – poi, facendo una smorfia che ebbe la parvenza di un sorriso, continuò con un suono tremulo e al contempo spigoloso: – Io sono un Thurdan, un abitante delle Terre Basse, e ti garantisco che il popolo a cui appartengo non ha mai fatto del male ad alcuno. Purtroppo, nei vostri racconti ci avete spesso dipinto come esseri malvagi, ma sono solo fantasticherie di voi esseri umani. La realtà è ben diversa, ragazzo!

    – Ma sogno o son desto! – rispose Andrea stropicciandosi gli occhi. – Non è possibile! Tu non puoi esistere!

    – Ti assicuro che sono di carne e ossa, non sono frutto della tua immaginazione.

    – Ma... Allora.

    – Purtroppo non c’è tempo per spiegarti tutto. Da dove giungo sono convinti che un grave pericolo incomba sui nostri mondi, ed io ho avuto l’incarico di trovarti e di darti le prime istruzioni.

    – Ma chi sei in realtà?

    – Come ti ho appena detto sono un Cercatore Thurdan. I Cercatori hanno il compito di scovare nel vostro mondo i Dormienti, e di fornire loro quelle prime informazioni indispensabili per accedere al nostro mondo e per incontrare i membri del Consiglio.

    – E io cosa centro in tutto questo? – replicò Andrea.

    – Tu sei un Dormiente, – controbatté con un tono di voce che non ammetteva alcuna replica.

    – Ma… Ma…

    – Non ci sono ma che tengano. Ora ti lascerò un libro magico. Tu leggilo con attenzione. Purtroppo il tempo stringe e il mio è ormai giunto al termine. La prossima volta che tornerò dovrai essere pronto per il viaggio. Per nostra sciagura, abbiamo dovuto abbandonare le procedure che da sempre hanno guidato le nostre azioni e, per la prima volta nella storia da noi conosciuta, un Dormiente dovrà prepararsi al suo destino soltanto con le proprie forze, – e mentre disse ciò, estrasse da sotto il mantello un piccolo libro e glielo porse. – È un libro molto antico, ha sulle sue spalle diversi secoli di storia, ma in realtà né io né nessun altro potrà dirti qualcosa di più su questo manufatto. Soltanto ai Dormienti è stato concesso il privilegio di accedere ai suoi segreti.

    Andrea allungò la mano tremante, lo prese e lo apri: – Ma è tutto bianco! – esclamò stupito, guardando Barkach.

    -  Solo ai Dormienti è permesso accedere alle informazioni celate in esso. Ora prova a passarvici la mano sopra, – gli suggerì, facendogli vedere il movimento.

    A propria volta Andrea lo imitò e il foglio bianco si riempì di segni neri.

    – Ora ruota la mano in senso orario; più velocemente lo farai e più velocemente le pagine scorreranno in avanti. Se vorrai tornare indietro dovrai ruotare la mano al contrario. Capito? Ora devo proprio andare. Leggilo attentamente e al mio ritorno fatti trovare pronto, – e un istante dopo sparì nel nulla.

    Il ragazzino rimase pietrificato per qualche minuto, poi si riprese, e ancora incredulo si sedette sul letto, accese la luce e aprì il libro.

    Ma di quale mondo parlava quello strano essere? E così pensando, fece scorrere incidentalmente la mano sopra il libro aperto, dove apparve il seguente testo:

    Il mondo a cui faceva riferimento il Cercatore si chiama Etnocras ed esiste in una dimensione spazio-temporale parallela a quella della Terra.

    In questo universo popolato da mostri e da maghi, e per molti versi simile al vostro medioevo, gli umani, una delle tante razze che lo abitano, da diversi secoli stanno lottando con disperato ardore per non scomparire nel silenzio dell’oblio.

    Le radici degli antichi uniscono i vostri popoli, e il sangue che nel passato vi ha congiunto vi condurrà in un lontano futuro a divenire un unico popolo. Questo è ciò che perlomeno narrano le leggende.

    -  Figo! – esclamò con trasporto, continuando a farvi scorrere sopra la mano.

    Chissà chi sono i Dormienti. Rifletté tra sé e sé. E di nuovo tra le pagine del libro spuntò un altro testo:

    Nessuno sa da chi o da che cosa abbiano avuto origine i Dormienti. La loro genesi si perde nella notte dei tempi, ma una cosa di cui si è certi è che la loro discendenza non avrà mai fine. I Dormienti, nati dal seme degli uomini, nel loro divenire trascenderanno le loro stesse origini e travalicheranno ogni umana esperienza. Quando non saranno più bambini, ma neppure uomini, i loro poteri fioriranno e si riveleranno come i Predestinati. Tuttavia, con i poteri nasceranno anche i conflitti. La luce e le tenebre lotteranno dentro i loro animi e l’esito di quella battaglia segnerà il loro destino.

    Se riusciranno a dominare il lato oscuro, la metamorfosi sarà completata e come Risvegliati potranno accedere a Etnocras.

    Il compito dei Risvegliati è ai più ignoto, ma si dice che al momento giusto gli sarà rivelato.

    Loro sono il ponte di connessione tra i due mondi, e a loro spetta di vegliare sul duraturo mantenimento dell’equilibrio.

    Al termine della metamorfosi saranno in grado di percorrere i Canali Elementali e arrivare ai Cancelli Dorati di Ishtar: unica porta di accesso a Etnocras.

    – Accidenti! Questo libro è una vera forza, è in grado di leggere nella mia mente. Basta che io pensi a una domanda, gli passi la mano sopra e automaticamente ricevo una risposta, – Bofonchiò stupefatto. Allora, un po’ per gioco e un po’ per curiosità, formulò nella propria testa un nuovo interrogativo: Se io desiderassi percorrere i Canali Elementali che cosa dovrei fare?

    Per percorrere i Canali Elementali avresti bisogno di completare il processo della metamorfosi, ma ciò richiederebbe molto tempo: mesi o addirittura anni. Esiste tuttavia un altro modo, certamente il meno utilizzato, e che per la sua pericolosità a molti detrattori. Se percorrerai questa seconda strada, dovrai essere consapevole che solo la disciplina e una ferrea volontà ti permetteranno di non perderti nei Canali.

    Ma che cosa dovrei fare se scegliessi la seconda modalità? Seguitò a chiedersi il ragazzo con acceso interesse.

    Se vorrai riuscire nel tuo intento, dovrai concentrarti su uno dei quattro elementi che costituiscono la materia: terra, aria, acqua o fuoco. Dopodiché l’avrai visualizzato, se avrai sufficiente potere, entrerai nel suo flusso energetico e potrai percorrere uno dei tanti canali di accesso agli altri mondi. Da quando inizierai a percorrerlo in poi, dovrai mantenere un totale controllo delle tue emozioni, solo questo ti permetterà di arrivare indenne ai Cancelli Dorati e di non perderti per l’eternità nei Canali Elementali.

    Il ragazzo, eccitato dagli avvenimenti, diede di sfuggita un’occhiata all’orologio e si accorse di aver fatto molto tardi. Quindi, tremante per le molteplici emozioni che ancora gli scuotevano l’animo, richiuse il libro con delicatezza, lo pose dentro il cassetto badando a non aggiungere altri rumori, poi s’infilò sotto le coperte e s’addormentò di sasso, perdendosi in sogni popolati da bizzarri esseri e punteggiati da universi sconosciuti e inesplorati.

    Capitolo 2 - I Cancelli Dorati di Ishtar

    Andrea e i suoi amici, appena finito il pranzo, si appartarono all’ombra di una grande quercia nel giardino interno della scuola. A loro piaceva molto quel luogo: quando si sedevano sulla panchina collocata nei pressi del monumentale albero, durante le calde giornate di fine primavera, oltre a godere della sua fresca ombra, si sentivano protetti da quegli immensi rami protesi verso il cielo che, come braccia secolari, parevano avvolgerli in uno scudo che li avrebbe preservati da ogni offesa.

    Matteo, ciondolando annoiato e senza alcuna apparente meta, si accostò ad Elena, le mise un braccio sulle spalle stringendola a sé, e con tono di scherno le disse: – Ho visto che hai trovato il ragazzo.

    – Che cosa stai dicendo! – gli rispose Elena, inarcando le sopracciglia e mostrando i suoi profondi occhi azzurri che, su quel viso ovale incorniciato dai capelli dorati, parevano un dono del cielo.

    – Dai! Ormai lo sanno tutti che tu e Marco… – ironizzò, facendole l’occhiolino.

    – Brutto stupido! – ribatté infastidita, e così dicendo lo spinse via in malo modo, simulando nel contempo un profondo risentimento.

    Contemporaneamente, Andrea, osservandoli divertito dalla panchina su cui s’era da poco seduto, li chiamò a raccolta: – Ehi, voi due, smettetela e venite qui! Venite tutti qui che vi voglio mostrare una cosa, – poi aprì un vecchio libro con la copertina di cuoio lavorata a sbalzi con astrusi motivi e mostrò a loro delle pagine bianche.

    -  Ma non c’è niente! – affermò Daniele deluso sporgendosi in avanti.

    -  Guardate bene, – e mentre disse così, vi passò una mano sopra e come per magia vi apparve il seguente testo:

    I Cancelli Dorati di Ishtar, le ultime vestigia di un passato oramai al tramonto, sono le leggendarie porte di accesso ai due mondi. Chiunque avrà l’onore di trovarsi al cospetto di queste celestiali reliquie e vorrà varcarle, dovrà assoggettarsi al sommo giudizio dei Guardiani, anche conosciuti come i Portatori del Martello di Vitrand.

    Questi esseri, ultimi sopravvissuti di un’antica stirpe guerriera venuta dalle stelle, sono dotati di una forza immane e sono gli unici, in tutto il mondo conosciuto, capaci di sollevare il Martello di Vitrand, forgiato con l’omonimo minerale estratto dalle miniere dei monti delle Due Lune.

    Da tempo immemore vegliano sui Cancelli Dorati costruiti dal Grande Maestro Astradur e mai sono venuti meno al difficile compito a loro affidato. La capacità di discernimento è sempre stata la loro forza, e il giudizio lo scopo a cui sono stati addestrati. Qualsiasi pellegrino che volesse transitare da un mondo all’altro si troverà inevitabilmente al loro cospetto e di conseguenza dovrà sottomettersi al loro sommo giudizio. Se l’Oscurità dovesse albergare nel cuore dell’ignaro viaggiatore, questi si troverà ad affrontare il suo destino senza alcuna via di scampo, allora i potenti martelli si solleveranno verso il cielo e con la forza di un terremoto si abbatteranno sulla terra; l’urto avrà l’effetto di alterare lo spazio e il tempo, i canali elementali si riapriranno e il malcapitato verrà rispedito nel proprio mondo d’origine.

    Ma come hai fatto? – domandò Antonella, portandosi con entrambe le mani i lunghi capelli castani dietro la nuca.

    -  Dai, spiegaci il trucco, – aggiunse Matteo tra lo stupito e l’incredulo.

    -  Non è un trucco. È un libro magico, – e così Andrea espose con dovizia di particolari ciò che gli era successo durante la notte, e il compito che gli era stato affidato dalla creatura misteriosa.

    Tutti lo guardarono con sospetto e non si rassegnarono all’idea dell’esistenza della magia. Anzi, ne approfittarono per deriderlo, ma la sua reazione fu così inaspettata e violenta che ammutolirono per lo sbigottimento.

    -  Ma che razza di amici siete se non mi credete! – strepitò con un gesto di stizza. Poi i suoi occhi si posarono lontano dai loro e pervaso dal risentimento continuò: – La prossima volta sarete costretti a credermi. Vedremo chi ha ragione! – quindi chiuse il libro con un colpo secco, prese la propria roba e ritornò frettolosamente in classe lasciandoli con un palmo di naso.

    Mentre stava rientrando, aperse con violenza la porta che sfiorò pericolosamente il naso del professore di matematica. Questi si scansò facendo un balzò di lato. Ancora addossato alla parete, scrutò corrucciato il ragazzo, finché lo vide entrare in aula completamente immerso nei propri bui pensieri.

    Con passo spedito, poco dopo il professore raggiunse i suoi studenti, li esaminò attentamente a uno a uno, corrugò le sopracciglia e decise che non avrebbe seguito il programma didattico del giorno. Volgendo lo sguardo verso Andrea, si avvicinò al suo banco, lo puntò come un segugio pronto a rincorrere la propria preda e con aspre parole lo ammonì: – Per il tuo bene ti consiglio di seguire la lezione di oggi con molta diligenza, il non farlo ti potrebbe condurre a un futuro dalle spiacevoli conseguenze, – poi si girò così bruscamente che sembrò tagliare l’aria con una lama, e da quello squarcio raggiunse la cattedra.

    Andrea, stupefatto e nel contempo disorientato per la minaccia appena ricevuta, abbassò lo sguardo e con movimenti affettati sistemò accuratamente i libri sul banco. Sei proprio un uomo odioso e rompiscatole. Ma perché ce l’hai con me? Si chiese con una nota di disappunto, intanto che regolava gli ultimi testi della pila, sperando di non essere stato inserito nella sua lista nera.

    Raggiunta la cattedra, il professore si volse verso i suoi allievi, chiuse in modo brusco il libro che ancora teneva fra le mani e iniziò la lezione. – Bene ragazzi, oggi vi parlerò della Teoria del Caos. Alan Turing affermava che lo spostamento di un singolo elettrone per un miliardesimo di millimetro, a un momento dato, avrebbe potuto fare la differenza tra due avvenimenti molto diversi, come l’uccisione di un uomo un anno dopo a causa di una valanga o la sua salvezza. Con questa teoria, Turing evidenziò la possibilità che piccoli cambiamenti nel presente potessero determinare grandi cambiamenti nel futuro. In parole povere, si potrebbe dire che il battito d’ali di un gabbiano sia di per sé sufficiente ad alterare il clima per sempre. Ora, se calerete questa teoria nella vostre vite quotidiane, vi accorgerete di una cosa molto importante. Forse, per la prima volta, vi renderete conto di quanto ogni vostra azione abbia effetti enormi e inimmaginabili nel mondo circostante. Di quanto ogni vostro gesto abbia il potere di cambiare il mondo, anche se per ora non siete ancora in grado di scorgerne le concatenazioni. Per cui, ragazzi miei, vi esorto con calore a essere sempre consapevoli di ciò che farete, perché dai vostri piccoli gesti nasceranno grandi cose.

    Allora aggirò la cattedra, sfregò le dita dalle punte ormai imbiancate sul gessetto che teneva in mano e continuò con la sua infervorata esposizione: – Ora desidererei soffermarmi su un altro aspetto altrettanto importante e che, a mio modesto parere, ciascuno di noi dovrebbe sempre tenere bene a mente. La maggioranza dei fenomeni della natura e dell’uomo non procedono con ritmi che si ripetono. Bensì, dopo un periodo di rassicurante regolarità, in ognuno di questi processi comparirà inevitabilmente un punto critico che si moltiplicherà fino a generare turbolenza. Un flusso regolare, quindi, ad un certo punto si scomporrà in vortici e mulinelli. La turbolenza genererà entropia: disordine e casualità. Alla fine dell’intero processo, in cui ordine e disordine si mescoleranno, vi sarà un’autorganizzazione in una situazione nuova che a sua volta, dopo un successivo ciclo, riprodurrà un altro momento caotico, e così via all’infinito.

    Continuando a camminare tra i banchi si aggiustò gli occhiali, lasciando sulle stanghette una leggera polvere bianca, e assorto nei propri pensieri disse: – In conclusione, la natura oscilla continuamente tra stati fisici casuali e causali, tra ordine e disordine, tra caos e autorganizzazione, – poi riprese a scrutare con profonda attenzione i suoi studenti. – Badate bene ragazzi, questa teoria può essere applicata anche agli esseri umani e lo stato di malattia ne è un classico esempio. In questa prospettiva, infatti, le malattie che ci colpiscono vengono interpretate come un’incapacità dell’organismo di adattarsi al caos. La sanità può quindi rappresentare la regolarità e l’ordine, mentre la malattia ne può raffigurare il caos e quindi il disordine.

    A questo punto, il professore Alberto guardò minaccioso nella direzione di Andrea e puntualizzò: – Piccoli cambiamenti nel passato potranno determinare grandi sconvolgimenti nel futuro, ma per nostra fortuna dopo il disordine subentrerà sempre l’ordine, – poi, facendo una breve pausa, aggiunse con voce scorata, – a meno che il nostro mondo diventi incapace di adattarsi al caos. Se ciò dovesse avvenire, l’umanità scomparirebbe per sempre.

    Andrea, terminata la lezione, nel mentre riponeva con cura il materiale scolastico, si avvicinò ad Antonella e le sussurrò: – Ma tu hai capito qualcosa di quello che ci ha detto quest’oggi? In testa mi è rimasta soltanto una grande confusione. Che cosa centrava quello che ci ha raccontato con la matematica!

    -  Non lo so, ma ho notato che spesso ti fissava, gli hai per caso giocato qualche brutto scherzo? – rispose la ragazza.

    -  No! Ma che dici, con quello non puoi mica permetterti di scherzare.

    I cinque amici, prese tutte le loro cose, si riunirono e come al solito tornarono a casa insieme. Durante il tragitto, Daniele trovò per terra una lattina vuota di aranciata e calciandola in direzione di Matteo disse: – Ragazzi, oggi mi sono annoiato a morte, che ne direste se domani prendessimo le biciclette e andassimo a farci un giro da qualche parte?

    -  Io sono d’accordo, – rispose Elena.

    -  Io invece avrei un’idea migliore da proporvi, e sono sicuro che questa non vi annoierà, – suggerì Andrea, riprendendo in mano quell’argomento che tutti finora avevano accuratamente evitato. – Domani potremmo trovarci al vecchio rudere e vi farò vedere una cosa che sono certo vi lascerà a bocca aperta.

    Matteo, ripassando con un ulteriore calcio la lattina ad Andrea, replicò: – Vuoi farci vedere qualche altro gioco di prestigio?

    – Non sono giochi di prestigio! – controbatté infastidito il ragazzo. – È magia e domani ve lo dimostrerò una volta per tutte.

    Tra una battuta e l’altra, o sarebbe meglio dire tra una stoccata e l’altra, giunsero davanti alla casa di Andrea. Era una casa colonica di fine ‘800 da poco ristrutturata, qua e là si intravedevano ancora i vecchi muri. Un attempato rosaio si arrampicava sull’angolo raggiungendo il tetto e di fianco un imponente noce, con le sue grandi foglie composte, ombreggiava un piccolo portico.

    Andrea salutò gli amici, aperse il grande cancello in ferro battuto e s’incamminò per il viottolo lastricato di grandi pietroni grigi e affiancato da piante di Hosta che, tra le foglie ovali bordate di bianco, facevano spuntare ciuffi verdi-blu e giallo-oro di Carici.

    Appena suo padre lo scorse dalla finestra, gli aprì immediatamente la porta ed esclamò: – Ben arrivato a casa! – poi, puntando il naso in cielo e inspirando rumorosamente, aggiunse: – Senti che profumino. Oggi ti ho preparato un sughetto con i fiocchi, – e con ancora le parole tra i denti si

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