Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Un amore spezzato
Un amore spezzato
Un amore spezzato
E-book441 pagine5 ore

Un amore spezzato

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

La vita di John Turner, aitante marine dei S.E.A.L., viene drammaticamente sconvolta da un tragico evento. Da quel maledetto giorno di sei anni prima i sentimenti e le emozioni che lo tenevano in vita si sono irreparabilmente spente, gettandolo in un circolo distruttivo fatto di sesso anonimo e missioni al limite del pericolo. Quando il suo amico e collega, Logan Mitchell, lo spedisce in licenza forzata a Dallas, John è costretto a venire a patti con un passato fatto di dolorosi ricordi e un’insaziabile sete di vendetta.
Ed è proprio nella sua città natale che Max, suo fratello e capo di un’agenzia di sicurezza, lo invita a partecipare ad un caso di rapimento a cui stanno lavorando insieme a degli agenti dell’FBI.
Restìo ad avere contatti prolungati con la sua famiglia, dapprima rifiuta categoricamente, ma l’arrivo in scena di una sensitiva lo costringe a rimettere tutto in gioco.
Anya Summers ha un dono: riesce a percepire il passato, il presente e il futuro toccando gli oggetti. Ed è proprio così che entra nella vita dei fratelli Turner, quando viene chiamata a mettere a disposizione le sue capacità extrasensoriali per rintracciare una donna scomparsa.
L’attrazione reciproca è indubbia, ma il cuore di John non è in grado di provare emozioni… o forse sì?
Tra passioni, vendette e inseguimenti all’ultimo respiro, la forza dell’amore ricucirà i frammenti di un cuore spezzato che aspetta solo di trovare la pace del perdono.
 
LinguaItaliano
Data di uscita11 dic 2018
ISBN9788829572267
Un amore spezzato

Leggi altro di Ester Ashton

Correlato a Un amore spezzato

Titoli di questa serie (3)

Visualizza altri

Ebook correlati

Narrativa romantica contemporanea per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Categorie correlate

Recensioni su Un amore spezzato

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Un amore spezzato - Ester Ashton

    Ester Ashton

    Un amore spezzato

    UUID: 504f00b8-fe69-11e8-8af1-17532927e555

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

    http://write.streetlib.com

    Indice dei contenuti

    UN AMORE SPEZZATO

    Dedica

    Citazione

    Prologo Anya

    Prologo John

    1. John

    2. John

    3. Anya

    4. John

    5. Anya

    6. John

    7. Anya

    8. John

    9. John

    10. Anya

    11. John

    12. Anya

    13. John

    14. Anya

    15. John

    16. John

    17. Anya

    18. Anya

    19. John

    20. Anya

    21. John

    22. Anya

    23. John

    24. Anya

    25. John

    26. Anya

    27. John

    28. John

    29. Anya

    30. John

    31. Anya

    32. Anya

    33. John

    34. Anya

    35. John

    36. Anya

    37. John

    38. Anya

    39. John

    40. John

    EPILOGO John

    Ringraziamenti

    UN AMORE SPEZZATO

    decoration

    - Turner series -

    Vol. 1

    Ester Ashton

    Dedica

    decoration

    Dedicato ad Antonella

    Citazione

    decoration

    Eri per me quel tutto, amore,

    per cui si struggeva la mia anima

    una verde isola nel mare, amore,

    una fonte limpida, un’ara

    di magici frutti e fiori adornata:

    e tutti erano miei quei fiori.

    A una in paradiso – Edgar Allan Poe

    Prologo

    Anya

    decoration

    Dieci anni prima a Dallas

    Aprii la porta di casa e appena entrai sentii le risate di mia madre e sua sorella Annalise. Andai in cucina e quando varcai la soglia, entrambe si girarono a guardarmi.

    «Sei tornata presto» disse mia madre, mentre le davo un bacio sulla guancia.

    «Avevo lezione fino alle dodici e invece di rimanere in biblioteca ho preferito tornare a casa a studiare» mi girai verso mia zia e sorrisi. «Sono contenta di averlo fatto, così posso abbracciare la mia zia preferita.»

    «Sono felice di poterti salutare anch’io Anya» replicò mentre ci stringevamo. «Io e tuo zio Frank stiamo per partire per Miami per un paio di settimane» ma io non la stavo più ascoltando.

    Nel momento in cui l’avevo toccata, la vista si era offuscata, poi le immagini di un aereo che si schiantava in terra e prendeva fuoco, avevano invaso la mia mente. Sentivo le urla terrorizzate di tutte le persone a bordo. Una scena straziante, dolore e morte mi colpirono, come se quelle fiamme mi stessero avvolgendo veramente.

    Rabbrividii, percependo una morsa gelida attanagliarmi il corpo, mentre mi scostavo in fretta da lei. Avevo il respiro affannoso, quella scena era ancora davanti ai miei occhi.

    «Anya, tesoro cos’hai?» mi chiese accarezzandomi una guancia e quel tocco non fece altro che farmi continuare a vedere quelle immagini orribili. «Sei diventata pallidissima.»

    «Ti senti male?» mormorò mia madre, prendendomi da un braccio per farmi sedere.

    Scossi la testa, non volevo percepire ancora quella sciagura. Presi di nuovo la mano di mia zia, ignorando quella premonizione.

    «Zia Annalise, non partite» la implorai con angoscia.

    Lei sorrise. «Non capisco, perché non dovrei andare in vacanza?»

    Le strinsi la mano. «Ti prego sposta almeno la data di partenza.»

    «Anya, ti stai comportando in modo strano» mi ammonì mia madre.

    «È che…» non sapevo come affrontare la questione, non avevo mai esplicitamente parlato delle visioni che sin da piccola avevo con mia madre, anche perché quando avevo provato ad accennarle qualcosa, lei si era sempre rifiutata di credermi. «Zia, se salirai su quell’aereo accadrà un incidente… non... non si salverà nessuno.»

    La sua espressione sconvolta, mi fece pentire di essere stata così schietta, invece come mi aspettavo mia madre reagì arrabbiandosi.

    «Smettila di dire idiozie!» mi rimproverò dandomi uno schiaffo. Incredula la fissai in viso, mentre mettevo la mano sulla guancia. «Vai in camera tua, non voglio più sentirne parlare, hai capito?»

    Annuii, poi mi avvicinai a mia zia Annalise.

    «Non preoccuparti andrà tutto bene» affermò stringendomi affettuosamente.

    Presi la mia borsa, i libri e mi diressi nella mia stanza. Mi augurai che per una volta, le mie sensazioni sbagliassero.

    Era pomeriggio inoltrato quando aprii la porta di casa, dopo una giornata intensa all’università e mi immobilizzai sulla soglia, nel sentire le grida angosciate di mia madre. Lasciai cadere la borsa per terra e mi affrettai ad andare nel salone dove proveniva il pianto. Mi fermai sulla soglia, la TV era accesa sul notiziario e le immagini scorrevano su una sciagura aerea e capii. Avvertii un peso opprimermi sul cuore e gli occhi riempirsi di lacrime, nel constatare che anche questa volta, la premonizione si era avverata.

    Spostai lo sguardo sui miei genitori, mio padre teneva tra le braccia mia madre che piangeva disperata, tentando di consolarla. In quei quattro giorni, non avevo fatto altro che pensare e pregare che non avvenisse quella tragedia e invece…

    «Mamma» entrai nella stanza, le lacrime che scendevano copiose sul mio volto.

    Lei girò la testa per guardarmi e rimasi impietrita dall’espressione di odio che mi rivolse.

    Scioccata fissai mio padre, ma in cambio ricevetti un’occhiata per nulla benevola.

    «Tu… sei stata tu…» mi accusò.

    «Mamma, non ho fatto niente» tentai di calmarla, anche se sapevo che niente le avrebbe fatto cambiare idea.

    «Cosa sei?» scosse la testa «Di certo non mia figlia, ma il diavolo, un mostro… ho perso la mia adorata sorella e mio cognato per colpa tua…»

    «No… io» ero incapace di difendermi, scioccata dalle parole che mai pensavo di sentire da mia madre. «Papà.»

    «Vorrei che le cose fossero diverse, che mia figlia non provochi tragedie del genere, ma davanti a questo…»

    «Io non provoco nulla!» gridai esasperata. «Se potessi vorrei ignorare ogni dolorosa immagine che scivola davanti ai miei occhi!»

    «Prendi le tue cose e vai via da qui» decretò mia madre lasciandomi a bocca aperta.

    «Perc… perché?»

    «Non voglio tenerti più in casa, né sentire ancora di qualche sciagura.» Nei suoi occhi non c’era tenerezza e nella sua voce nulla di affettuoso. Ero la loro figlia, ma si stavano comportando come se fossi un’estranea.

    «State facendo un errore, non vi importa di mandarmi via dalla mia casa?»

    Stavo sognando ed era un incubo non era possibile che mi stavano cacciando, per quello che ero.

    «Quella che sto mandando via non è mia figlia» affermò mio padre, credendo davvero a quello che diceva.

    Uscii di corsa dal salone e mi diressi nella mia stanza. Mi fermai vicino al letto, straziata dal dolore, non sapevo dove potessi andare o cosa fare. Avrei voluto scappare senza prendere nulla, ma non avevo la certezza che mi avrebbero accolto nuovamente dopo.

    Presi una valigia e iniziai a riempirla dei miei vestiti senza curarmi di piegarli. La mente era colma di pensieri, prima di tutte dove sarei andata per quella notte e quelle future, senza un lavoro, senza soldi tranne quelli che avevo messo da parte, per raggiungere le mie amiche Alyssa ed Eva, che erano fuori dallo stato in un’altra università.

    Volevo chiamarle per chiedere consiglio, ma la vergogna di quello che mi stavano facendo i miei genitori e il dover dare una spiegazione, che mi ero sempre rifiutata di condividere con loro, mi fece desistere.

    Sapevo che prima o poi avrei dovuto confidarmi con loro, ma non avevo mai trovato il momento giusto e dopo la reazione dei miei familiari, avevo timore che saputa la verità, mi avrebbero allontanato anche loro.

    Passai il dorso della mano sul viso per asciugare le lacrime, chiusi la valigia, presi il borsone con i miei libri, diedi uno sguardo alla mia stanza e uscii.

    Tornai verso il salone, speravo che quello fosse solo un brutto sogno e che i miei genitori, si ricredessero. Nessuno dei due però si girò, ignorandomi completamente e non potendo fare altro per farli ragionare, me ne andai da casa.

    La lezione era finita da poco e avendo a disposizione un’ora prima della prossima, decisi di andare fuori e sedere su una panchina. Era passato un mese, soffrivo molto per la mancanza di mio padre e mia madre. Non avevo presenziato neanche ai funerali dei miei zii, morti in quell’incidente, farlo avrebbe scatenato altre discussioni, ma ero andata quando nessuno poteva vedermi, per dare loro l’ultimo saluto.

    Ero riuscita a trovare un lavoro in biblioteca che mi dava la possibilità di avere degli orari flessibili e solo nel fine settimana, lavoravo in un pub, per riuscire a mantenermi.

    Faticavo, ero sempre stanca, ma ero consapevole che la situazione non sarebbe cambiata tanto facilmente.

    Aprii il libro, volevo ripassare i capitoli che ci aveva dato il professore, ma non riuscii a leggere niente. Passai una mano sul petto all’altezza del cuore, la fitta che sentivo era costante e massaggiai sulla maglia, ma il dolore non sparì. Niente ci sarebbe riuscito, se non tornare nella mia casa.

    Mi sentivo sola più che mai, non legavo con nessuno, tranne quando dovevamo fare delle ricerche di gruppo evitando di toccare quanto possibile, gli altri. Percepii una lacrima scendere sul viso e l’asciugai con le dita, mentre chiudevo il libro.

    «Ti dispiace se mi siedo vicino a te?»

    Girai la testa e vidi un ragazzo che mi sorrideva, riconoscendolo come uno dei giocatori della squadra di rugby. Mi irrigidii quando senza aspettare la mia risposta si sedette accanto a me, continuando a guardarmi. I suoi occhi castani mi osservavano attenti, senza alcuna diffidenza nei miei riguardi.

    Ero consapevole di essere abbastanza solitaria e di ignorare qualsiasi tentativo di approccio.

    «Mi chiamo Bruce, stavi studiando?» fece un cenno con la mano verso il libro che tenevo in grembo.

    «No» risposi riportando lo sguardo davanti a me, nella speranza che lui rinunciasse e se ne andasse.

    «Anya» mi chiamò.

    Girai di scatto la testa di nuovo verso di lui, lanciando un’occhiataccia. «Come fai a conoscere il mio nome?»

    Lui scrollò le spalle. «Non è stato difficile, ho chiesto in giro.»

    «Perché? Cosa vuoi da me?»

    Lui sorrise ancora. «Conoscerti.»

    «E se io non volessi?»

    Era un bel ragazzo, muscoloso dato lo sport che faceva, i capelli biondo scuro che gli arrivavano al mento e dubitavo che con tutte le ragazze che gli correvano dietro, potesse voler passare del tempo con me.

    «Sai in quest’ultimo mese, ti ho visto trascorrere il tempo sempre da sola» ribatté poggiando il braccio sulla panchina. «È difficile che parli con qualcuno e lavori così tanto, che spesso mi sono chiesto se alla fine non crollerai esausta.»

    «Come fai a sapere queste cose? Cosa fai mi segui?»

    Dopo ciò che mi era accaduto ero diffidente verso gli altri.

    «Sono un ottimo osservatore»

    «Posso sapere cosa vuoi?» domandai con freddezza sperando che se ne andasse presto.

    «Voglio esserti amico» inarcai un sopracciglio. «Sono sincero davvero. Anche oggi sono uscito dopo la lezione e ti ho visto qui da sola come sempre e stavi piangendo.»

    «Non sono affari tuoi.» L’ultima cosa che desideravo era suscitare pietà nei miei confronti.

    Bruce annuì. «Sì, ma ciò non mi fa desistere dal volerti aiutare» si avvicinò un po’ e io mi scostai in fretta, per evitare il contatto. «Non mordo.»

    Mi morsi il labbro per non sorridere alla sua parola e scossi la testa.

    «Tu non capisci» nessuno poteva sapere la mia angoscia.

    «No, nei tuoi occhi però c’è tanta sofferenza» lo fissai incredula che avesse notato la pena che provassi. «C’è qualcosa che ti affligge? Se hai bisogno di parlarne con qualcuno, le mie spalle sono grandi» scherzò.

    «Non posso.»

    «Perché? Di cosa hai paura?»

    Lo fissai, sembrava davvero sincero, ma potevo fidarmi di lui? Oppure alla fine si sarebbe comportato come i miei genitori?

    «È complicato.»

    «Amo gli ostacoli, mettimi alla prova.»

    Desideravo molto potermi confidare con qualcuno, per alleviare la mia pena, capire perché le persone reagissero in quel modo così crudele.

    Bruce posò una mano sulla mia e mi immobilizzai inorridita per quel contatto. Lo tolsi in fretta, terrorizzata di avere qualche visione, ma l’unica cosa che il suo tocco mi diede fu solo una pace che bramavo da tempo.

    Quell’impercettibile sfioramento non procurò alcuna visione e mi rilassai.

    «Anya»

    «Sono una sensitiva» gli confidai. «Vedo e sento il dolore, li vivo come fossero miei» lo osservai in attesa di una sua reazione.

    «È un dono importante ma al contempo pieno di responsabilità e sofferenza» replicò toccandomi ancora. «Pensavi che sarei fuggito?»

    «Qualcosa del genere» tergiversai. «È difficile per le persone accettare quello che sono, i miei genitori non stati così comprensivi.»

    «Non lo accettano?»

    «No, a causa di una mia premonizione mi hanno cacciata di casa» dirlo ad alta voce e a un completo estraneo faceva molto più male. «Forse hanno ragione e sono davvero un mostro.»

    «Anya, non sei nulla del genere. A volte è l’ignoto che spaventa» mi consolò. «Dovrebbero essere orgogliosi di avere una figlia, che ha un dono del genere. Hai mai pensato che puoi fare del bene e aiutare le persone?»

    Scossi la testa. «No.»

    «D’ora in poi è così che devi considerarlo» mi consigliò. «Ci sarò io con te a ricordartelo, quando ti affliggerai per chiunque non capisca.»

    Sorrisi. «Sembra una promessa.»

    «Lo è» confermò. «Vieni, andiamo a prenderci qualcosa al bar» mi tese la mano e attese.

    Bruce aveva capito il mio timore, ma era così tranquillo che fu spontaneo allungare la mano e metterla nella sua. Lui la strinse senza curarsi se potessi sentire qualcosa, mi tirò facendomi alzare e mi trascinò via con sé.

    Prologo

    John

    decoration

    Sei anni prima

    Ero nella mia camera, nella mia dépendance nel ranch dei miei genitori a Dallas, e stavo preparando i borsoni per la partenza, per una nuova missione, quando sentii aprire la porta. Due braccia mi circondarono la vita stringendomi forte e il profumo di mia moglie Gwen che amavo, mi avvolse inebriandomi i sensi.

    Il suo viso affondò nella mia schiena seguito da un bacio. Sorrisi girandomi per stringerla tra le braccia, ma il mio sorriso sparì nel vedere la sua espressione affranta.

    Gwen nascose il viso nel mio petto, abbracciandomi ancora più forte.

    «Amore mio, cos’hai?» chiesi a bassa voce per non svegliare mio figlio Matt, che stava dormendo, ricambiando il suo abbraccio. «Mi fai vedere il tuo bellissimo viso?» lei sollevò la testa. «Vuoi dirmi cosa ti angustia?»

    Lei sospirò. «Vorrei che non dovessi partire per un’altra missione.»

    «Tesoro, lo sai che sarò attento, lo faccio sempre» la rassicurai. «Tornerò presto.»

    Scosse la testa. «Non so John, questa volta è diverso, ho una strana sensazione» mi accarezzò una guancia. «È tanto forte da stringermi la gola in una morsa. Da quando mi hai detto che partivi sono irrequieta.»

    «Gwen, voglio che tu stia tranquilla, non mi accadrà niente, lo prometto» tentai di calmarla, ma nel suo sguardo notai un qualcosa di diverso dalle altre volte, inquietudine e paura. Quello che sentiva era evidente che la turbasse e la tormentasse ed era la prima volta che lei si opponeva a una mia partenza.

    «Rimani qui con me e Matt, John» m’implorò. «Rinuncia a questa missione, ti prego fallo per me.»

    Le accarezzai la schiena. «Amore mio, vorrei accontentarti» affermai dandole un bacio sulle labbra. «Ma lo sai anche tu che non posso farlo.»

    Gwen mi fissò, un lungo sguardo intenso, come a volersi imprimere nella mente il mio volto, poi annuì. «Devo andare, baciami» le ordinai Lei mise una mano dietro la mia nuca, attirandomi verso il suo viso e si appropriò delle mie labbra. Un lungo bacio appassionato, che mi mozzò il fiato. «Wow, tornerò per averne altri così.»

    Le diedi ancora un bacio poi la lasciai, andai verso il lettino di Matt, gli accarezzai la testa scendendo poi sulla guancia e mi abbassai per dargli un bacio. Mi raddrizzai, presi i bagagli e nel passare davanti a mia moglie, non riuscii a fare a meno di baciarla ancora una volta.

    Le accarezzai una guancia e uscii dalla stanza. Sentivo i passi di Gwen seguirmi fino all’ingresso. Spalancai la porta e nel girarmi un’ultima volta, notai i suoi occhi colmi di lacrime, mentre si lanciava tra le mie braccia.

    Mi strinse forte, come se non volesse più lasciarmi, poi si scostò regalandomi un sorriso. Lo ricambiai e chiusi la porta andandomene.

    La vibrazione insistente del mio cellulare nella tasca mi distolse dall’ascoltare il briefing di resoconto giornaliero del mio comandante, durante la missione che stavamo svolgendo. Lo presi aggrottando la fronte, quando notai il nome di mio fratello Max sullo schermo.

    Ignorando l’occhiata del mio superiore, uscii dalla stanza e accettai la chiamata.

    «Max»

    «John, è accaduto un incidente» disse con voce affranta. «Devi tornare subito a casa.»

    1

    John

    decoration

    Davanti alla finestra del mio appartamento a New York, osservavo le luci. La stanza era completamente accolta nel buio… come buia era diventata la mia vita da quella maledetta notte di sei anni prima.

    L’oscurità era diventata parte di me, non c’era più nulla che potesse infondere luce, calore, era tutto sparito da quando avevo perso ogni cosa in un soffio. Una manciata di minuti per sconvolgere e distruggere il mio mondo felice, decretando per sempre il mio destino.

    Il mio cuore si era fermato in quell’istante, diventando un blocco di ghiaccio, niente avrebbe potuto rianimarlo e riscaldarlo di nuovo. Quel giorno ero stato privato della vita, di ciò che più amavo. Nessun sentimento né emozioni, ogni cosa era andata perduta non provavo più nulla.

    Le uniche cose che mi erano rimaste e che mi davano un motivo per alzarmi al mattino, erano la vendetta verso chi mi aveva tolto tutto e il mio lavoro.

    Ero un marine addestrato per missioni ad alto rischio esattamente com’ero diventato io. Durante quegli incarichi potevo sfogare la rabbia che serpeggiava sotto la mia pelle e scorreva nelle mie vene.

    Quando non lavoravo il controllo governava la mia vita, ero così rigido che nessuno sarebbe riuscito a spezzarmi. Non sentivo nulla ed ero immune a qualsiasi impulso affettivo, tranne quando si trattava dei miei fratelli.

    Nessuno di loro conosceva il mio lato oscuro, lo nascondevo molto bene dietro sorrisi falsi, freddo sarcasmo e umorismo. Ero diventato l’ombra dell’uomo di qualche anno prima.

    Neanche i miei amici, Logan ed Ethan, sapevano dei miei demoni, della profondità dei tormenti che mi logoravano. Tuttavia, comprendevano bene i mali dell’anima, ma quello che avevano vissuto loro non era niente paragonato all’inferno in cui vivevo ogni giorno.

    Strinsi le mani a pugno lungo i fianchi, la voglia di esternare il dolore che provavo, di distruggere tutto quello che avevo intorno era molto forte, così violenta da farmi impazzire.

    Desideravo scatenare la bestia che era in me, cedendo alla parte più oscura del mio essere. Eppure, rinunciavo a cedere a quel bisogno che sentivo perché ero consapevole che se lo avessi fatto, sarei sprofondato nei meandri più cupi e bui dell’inferno, senza più ritorno.

    Vivevo in quell’oblio da tempo, in attesa di poter finalmente ottenere la mia vendetta, la mia giustizia.

    La morte non mi spaventava, la bramavo come non mai.

    All’improvviso avvertii un cambiamento nella stanza, che mi distolse dai miei pensieri. Avevo sperato che se ne andasse senza disturbarmi e invece… la donna tentava di avanzare silenziosa pensando di cogliermi di sorpresa, ma non sapeva che ero abituato a sentire ogni mutamento attorno a me. Anni di dura pratica mi avevano affinato i sensi. Prima ancora che lei decidesse di entrare nella stanza avevo percepito il suo profumo troppo dolce, il lieve fruscio del tessuto della camicia sulla sua pelle, i passi dei piedi nudi sul parquet.

    Mi irrigidii perché sapevo bene a cosa ambisse, ma le mie regole erano ben chiare. Avevo ottenuto ciò che volevo, un mero bisogno del corpo e non del cuore o della mente. Nessuna donna aveva quel privilegio. Nessun coinvolgimento, nessuna concessione, se non libidine allo stato puro e poi ognuno proseguiva per la sua strada. Senza esitazioni, senza voltarmi indietro, crudele e spietato.

    Il respiro della donna era accelerato, la eccitava la prospettiva di avermi ancora, di provare qualche fantasia erotica.

    «Ti conviene non toccarmi» sibilai con un ordine secco, quasi minaccioso, prima che lei potesse posare una mano sulla mia schiena nuda. «Altrimenti dovrai accettarne le conseguenze.»

    Mi girai di scatto sorprendendola, nei suoi occhi notai un barlume di timore a quel movimento repentino, mentre le prendevo entrambi i polsi. Ero conscio di incutere soggezione con la mia statura, una muscolatura dovuta ad anni non solo di addestramenti, ma di serate in palestra. Lei esitò indecisa tra ragione e desiderio, poi si avvicinò di un passo, incurante che le tenessi ben fermi i polsi distante dal mio corpo.

    «Cosa vorresti farmi?» aprì la mano chiusa e notai che aveva tra le dita un preservativo. Feci una smorfia contrariato e mi arrabbiai ancora di più al pensiero che avesse rovistato tra le mie cose. «Mi piace toccarti» provò a muovere le mani verso il mio petto, ma rimasi impassibile stringendole un po’ più lontane da me.

    «Emily non ti piacerebbe saperlo» la ammonii freddo con tono duro.

    «Mi chiamo Liz» replicò infastidita.

    «Non mi importa come cazzo ti chiami» i loro nomi non mi interessavano, l’unica cosa che volevo era scoparle. «Né voglio che mi tocchi» non quando i miei pensieri erano rivolti al mio passato… all’unica... lei…

    La guardai in viso, aveva le guance rosse e le labbra dischiuse. In quel momento seppur fosse incerta, mi desiderava. «Ti eccita che potrei anche legarti?» aggiunsi sarcastico. Le lanciai un’occhiata cupa e sprezzante, lasciandole lentamente i polsi. «Ti piace farti sottomettere?»

    «No» rispose con enfasi. «Ma il tuo ardore di prima… il piacere che ho provato è stato fantastico. Nessun altro uomo mi ha fatto sentire così… così...» scosse la testa e mi sorrise, ma quel sorriso non mi provocò nulla né lo ricambiai.

    «Hai confuso l’ardore per lussuria» obiettai crudele. «Un impulso del mio cazzo, una scopata» continuai facendole capire che lei o un’altra sarebbe stata lo stesso.

    Eppure, la rabbia che provavo si era insinuata lentamente, tramutandola in bisogno, eccitazione, risvegliando il mio sesso, mentre Liz si sbottonava la camicia.

    Con lentezza la fece scivolare dalle spalle lungo le braccia fino a terra, mostrando il suo corpo nudo. Non potevo negare che fosse favoloso, ma il mio unico scopo era usarla e poi dimenticarla.

    I seni, piccoli e sodi, si sollevavano e si abbassavano al ritmo del suo respiro affannoso. I capezzoli erano turgidi e risaltavano sulla sua pelle lievemente abbronzata. Sapevo che se li avessi toccati sarebbero diventati più duri.

    Tentava di provocarmi passandosi la lingua sulle labbra e le sue mani si muovevano sulla pelle, stuzzicando quei boccioli eretti, scendendo sul ventre e più giù sul pube, per finire fra le cosce, che aveva allargato per mostrarsi a me.

    Sarebbe riuscita ad avere qualunque altro uomo in suo potere, dopo avergli dato la sensazione che gli concedesse il permesso di accedere alla sua fica, ma non ero un novellino e il dominio era il mio, non il suo.

    «Girati verso la finestra» rimase perplessa a quel comando, esitante. «Adesso» affermai con freddezza togliendole il preservativo dalle dita. Rimasi immobile fissandola finché lei non ruotò su se stessa, per poi guardarmi girando la testa verso di me. «Appoggia le mani sul vetro, le braccia ben tese e piegati col busto in avanti»

    «Potrebbero vederci» obiettò, ma si posizionò come avevo ordinato.

    «Ammettilo che godresti molto di più nel pensare che là fuori c’è qualcuno che ti stia osservando» la provocai avvicinandomi alla sua schiena e con un dito le tracciai la spina dorsale, ignorando il contorcersi del suo busto al mio passaggio, fino ad arrivare alla base delle natiche. «Che si stia toccando il cazzo, immaginando di penetrarti» le presi entrambe con le mani, erano sode e piccole e le strinsi.

    «Una fan... fantasia erotica» balbettò in preda all’eccitazione.

    «O la realtà» affermai. Aumentai la presa, le dita nella carne, ma senza spingere troppo, non ero il tipo d’uomo che lasciava segni. Scostai i lunghi capelli neri su un lato del collo e mi accostai al suo orecchio. «Sei bagnata» affermai passando un dito sulla sua vulva, la carne era calda e sembrava infiammare il mio dito. «È solo sesso» puntualizzai ricordandole che non ero disposto a darle di più, spostando l’altra mano lungo il fianco risalendo fino alla curva del seno. «Pura libidine e tu sei una donna disposta a darsi nei mille modi che mi aggradano.»

    «Pensi che sia quel tipo di donna, ma non lo sono» ansimò quando le strinsi con le dita il capezzolo, mentre con l’altra mano sfioravo il clitoride.

    Era completamente fradicia e ciò mi garantiva un accesso rapido, senza preoccuparmi di prolungare i preliminari.

    «Chiunque tu sia non mi interessa un cazzo, l’unico scopo è fotterti» dichiarai indifferente.

    «Non posso negare che ti voglio, mi piaci da morire» ammise mentre infilavo un dito nella vagina, muovendolo avanti e indietro. «Spasimo nel sentire le tue mani che mi fanno impazzire dal piacere, la tua bocca su di me…»

    Evitai di rispondere concentrato su quello che volevo prendermi: l’oblio del piacere per far cessare quei pensieri tormentati.

    «Allarga ancora di più le gambe» mormorai con tono duro. L’eccitazione ribolliva nelle mie vene torturandomi, infiammandomi.

    Slacciai i bottoni dei jeans, scostando i lembi. Il mio pene svettò lungo, grosso e duro sul mio ventre, strappai l’involucro e lo srotolai sul membro. Posai una mano sulla sua schiena, con l’altra strinsi il suo fianco e tenendola ben ferma la penetrai con una lunga e potente spinta. I suoi muscoli si strinsero attorno al mio sesso, mi ritrassi e affondai di nuovo, sentendo fremiti di desiderio lungo la schiena fino a raggiungere la punta del glande. Appoggiai l’altra mano sul suo fianco e spinsi sempre più forte.

    «Oh… sì» gridò estasiata.

    Non ci sarebbe voluto molto a raggiungere il piacere, il pene era così duro da sembrare una sbarra di ferro. Il desiderio che stavo provando non era dovuto totalmente alla donna che avevo sotto di me, ma dai ricordi che stavano invadendo la mia mente. Ricordi di un’altra notte in cui il piacere non era attribuito alla furia, ma alle emozioni… all’amore.

    Il mio membro scivolava con facilità nella sua vagina nonostante fosse stretta, era così fradicia che se non fosse stato di quelle dimensioni, non sarei riuscito a sentire quell’attrito che mi causavano i muscoli interni.

    Si contorceva dimenando il bacino contro il mio, assecondando i miei movimenti, le spinte vigorose senza sosta inseguivano quel piacere che mi portava sempre più in alto a raggiungere ciò che volevo.

    Mi ritrassi fino a uscire la punta e quell’oscillazione mi stimolò il glande sensibile, causandomi un lungo brivido. La penetrai con frenesia, implacabile e spietato. Sentivo il suono prodotto dalle nostre carni che sbattevano l’uno con l’altro, i testicoli urtavano con forza le sue natiche e stuzzicavano il suo clitoride.

    «John... ah sì» i suoi gemiti rochi risuonavano nella stanza. «Non fermarti.»

    Di proposito rallentai il ritmo. «Mi stai supplicando?» chiesi ignorando i movimenti frenetici del suo bacino. La tenni ferma smettendo quasi di spingere. «Chi può concederti l’orgasmo?» avvolsi le lunghe ciocche attorno alla mia mano e tirai un po’, facendole inclinare indietro la testa.

    Liz inspirò piano, ma non smise di muoversi contro l’erezione. Per punirla diedi dei lievi colpi brevi e ruotai il bacino. Sorrisi soddisfatto sentendola ansimare.

    «T… Tu.»

    «Posso farlo durare finché voglio» mentii perché mi mancava poco, sarebbero bastati un paio di affondi.

    Il sangue mi ribolliva nelle vene per la furia che governava l’eccitazione, pronto a esplodere come un potente fuoco. Lei contrasse i muscoli attorno al pene e per castigarla, la penetrai con forza in profondità.

    «John.»

    «Implorami» replicai crudele.

    «Per favore.»

    Mi tirai indietro e affondai inarrestabile dentro di lei, incalzando il ritmo, senza fermarmi. Avvertii una scossa, una pulsione che dalla base del mio fondoschiena si estese al ventre con lunghi tremiti fino alla punta del glande. Un ruggito proruppe dalla mia bocca nel sentirla contrarre i muscoli interni, nello stesso momento in cui lei si mosse frenetica quasi impazzita per raggiungere l’orgasmo.

    Il suo grido inebriato arrivò mentre uscivo dal suo corpo e tenendomi l’erezione, cedevo anch’io alle ondate di piacere. Lasciai andare i suoi capelli e feci un passo indietro.

    Lei si girò accasciandosi con una spalla al vetro, respirando con affanno. La degnai appena di uno sguardo, mentre mi toglievo il preservativo.

    «Hai ottenuto la tua scopata» le lanciai uno sguardo sollevando i jeans senza chiuderli. «Adesso puoi andartene» aggiunsi mentre camminavo verso il bagno. «Non voglio trovarti qui al mio ritorno.»

    «Sei un mostro di gentilezza.»

    Scrollai le spalle. «E anche altro, questo però non ti ha impedito di prenderti il mio cazzo tra le gambe» ribattei duro senza preoccuparmi delle sue imprecazioni, mi diressi lungo il corridoio ed entrai nella mia camera.

    Aprii il box doccia, girai la manopola dell’acqua, mi tolsi i jeans e mi posi sotto il getto. Passai le mani sulla mia testa e chiusi gli occhi lasciando che l’acqua scorresse sul mio corpo. L’oblio del piacere era già sparito, lasciandomi solo altro gelo a indurire ancora di più il mio cuore.

    La scopata non era riuscita a coinvolgermi come volevo, perché erano stati i ricordi a governare il desiderio. Mi lavai in fretta, senza appagarmi del momento di rilassamento. Avevo bisogno di dormire, senza sogni o tormenti a invadere il mio sonno.

    Chiusi l’acqua e uscii dalla doccia, mi asciugai e ritornai nella stanza. L’assenza di rumori era segno che era andata via, come le avevo

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1