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Il meglio di me
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E-book130 pagine1 ora

Il meglio di me

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Info su questo ebook

A undici anni, la timida e insicura Adele è costretta a trasferirsi con la sua famiglia in una nuova città che le è del tutto estranea. Travolta dalla nostalgia per il suo paesino di montagna, passa notti insonni al pensiero delle giornate di noia e solitudine che la aspettano. Non sa, però, quante esperienze e conoscenze quella nuova città di mare è pronta a offrirle. In poco tempo, infatti, resta ben poco di quella ragazzina introversa. Adele inizia a crescere, forse troppo in fretta, e si trova ad affrontare situazioni molto più grandi di lei: amore, maternità, lutto, partenze.
Un giorno, però, dovrà fare i conti con le tappe che lasciato indietro, con l’adolescenza che non ha vissuto e con quelle responsabilità che le sono piombate addosso e che sono troppo pesanti per le sue giovani spalle.
LinguaItaliano
Data di uscita8 mag 2018
ISBN9788868812652
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    Il meglio di me - Silvia Sbaffoni

    Silvia Sbaffoni

    Il meglio di me

    Silvia Sbaffoni

    Il meglio di me

    © Edizioni Ensemble srls - Roma, 2018

    © Ensemble, 2018

    Tutti i diritti riservati

    edizione digitale maggio 2018

    ISBN 978-88-6881-265-2

    editing e correzione bozze Livresse

    progetto grafico Livresse

    Ensemble

    direttore editoriale Matteo Chiavarone

    direttore commerciale Davide Morbidelli

    redazione Samanta Latessa

    ufficio stampa e comunicazione Cristina Loizzo

    direzione@edizioniensemble.it

    www.edizioniensemble.it

    www.officinaensemble.it

    (iniziative, premi, laboratori)

    Edizioni Ensemble

    Silvia Sbaffoni

    _____

    Il meglio di me

    ENSEMBLE

    Alla mia adorata Nicole, che sia per lei d’ispirazione.

    Le anime più forti sono quelle temprate dalla sofferenza. I caratteri più solidi sono cosparsi di cicatrici.

    ISBN: 978-88-6881-265-2

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

    http://write.streetlib.com

    Indice

    1

    2

    3

    4

    5

    6

    7

    8

    9

    10

    11

    Ringraziamenti

    Alla mia adorata Nicole,

    che sia per lei d’ispirazione.

    Le anime più forti sono quelle temprate dalla sofferenza.

    I caratteri più solidi sono cosparsi di cicatrici.

    (Khalil Gibran)

    1

    Gli ultimi raggi di sole si facevano strada attraverso le persiane socchiuse, riempiendo la stanza dei colori del crepuscolo. L’aria frizzante della primavera entrava prepotente dalla finestra, facendo ondeggiare delicatamente le tende impregnate dell’odore del mare.

    Adele, ignara dello spettacolo che le offriva il cielo, fissava il muro della sua nuova camera: quattro anonime pareti bianche che sembravano stringersi lentamente a ogni sguardo. Il grande letto in ferro battuto, su cui era seduta, cigolava a ogni minimo movimento e le lenzuola di lino emanavano uno sgradevole odore di naftalina. L’armadio in legno antico in fondo alla stanza, ancora vuoto, sembrava fissarla insistentemente come a ricordarle di non aver ancora disfatto le valigie.

    Una lacrima scese lenta a bagnarle il viso, mentre immagini della vita passata le scorrevano davanti agli occhi; gli amici, la casa, il minuscolo letto a una piazza, di cui si era lamentata fino allo sfinimento e che ora le sembrava così confortevole, i luoghi che l’avevano vista crescere, le amate colline dove adorava stendersi ore e ore a leggere, con la fitta er ba a farle da cuscino e la vastità del cielo come schermo su cui immaginare le vicende che più la affascinavano.

    Tutto le mancava: il pontile del lago su cui era abituata a sedersi con i piedi nell’acqua in estate, le punte delle montagne ancora innevate che si intravedevano in primavera e il profumo dei fiori selvatici nelle radure. Era furiosa con i genitori. L’avevano sradicata dai luoghi dell’infanzia, portandola in un posto dove ogni cosa pareva ostile. Aveva fatto tanta fatica, in passato, a farsi delle amicizie; la timidezza era stata la sua più grande debolezza.

    I capelli ricci che le cadevano, arruffati, sul viso, facendola somigliare a un fungo, l’apparecchio per i denti e la testa nei libri non la mette vano certo al centro dell’attenzione.

    Al parco passava ore a guardare le altre bambine giocare, ma per quanto desiderasse unirsi a loro, a causa dell’insicurezza finiva sempre per sedersi sotto a un albero da sola. Crescendo però era sbocciata; gli occhi smeraldo e le lentiggini che punteggiavano il viso la rendevano aggraziata, e il sorriso un po’ impacciato riusciva sempre a mascherare la sua consueta goffaggine.

    Serena, la sorella, era invece esuberante. Chiacchierava con tutti, an dava in giro saltellando, non stava mai ferma e sorrideva sempre; la sua allegria era contagiosa, sembrava a suo agio in qualunque situazione.

    Perfino Ben, il fratello minore, era più espansivo. E con quell’aura da bambolotto, veniva coccolato da tutti.

    Invidiava il carattere forte e deciso dei suoi fratelli, per loro sembrava tutto più facile. Era convinta di non essere l’unica, e che fosse una con dizione di molti, ma la coscienza di ciò non era certo consolante.

    Quando qualcuno bussò alla porta, Adele cercò di ricacciare indietro le lacrime.

    «Va’ via. Non ho fame».

    Malgrado gli sforzi, la voce rotta l’aveva tradita perché, poco dopo, sentì dei passi allontanarsi in corridoio. Abbracciò il cuscino e credendo d’essere sola si abbandonò a un pian to irrefrenabile.

    Era ancora scossa quando sentì Ben chiamarla dall’altro lato della porta. Si alzò tentando di asciugare al meglio le lacrime e lo lasciò entrare.

    «Perché piangi? Non ti piace la casa?» disse Ben.

    «No».

    «A me sì...»

    «E cos’ha di bello?»

    «È grande, qui da te anche di più».

    «Non mi interessa».

    «Perché?» chiese lui, con espressione stupita.

    «Perché qui mi sento sola». «Sola? E noi?» «Non capisci».

    «E allora fammi capire».

    «Ce li hai gli amici?»

    Ben fece un cenno affermativo con il capo.

    «Ecco».

    Il fratellino smise di giocare con i peluche e si voltò a pancia all’aria.

    «Ma non sono mica morti! E qua ne puoi trovare altri...».

    Mentre stavano parlando, Serena spuntò dalla porta socchiusa.

    «Bene, riunione di famiglia quindi» sbuffò Adele gettandosi indietro e sprofondando la testa nel cuscino. «Eppure avevo detto alla mamma che non volevo vedere nessuno».

    La sorella si sdraiò accanto a lei, e attorcigliando una ciocca di capelli sull’indice disse: «Sono stata io a bussare, prima».

    Poi, intuendo lo sconforto di Adele, era andata a chiamare il piccolo Ben.

    «Vi siete messi d’accordo, eh?» le rispose, accennando un sorriso velato.

    «A lui non dici mai di no».

    Il sorriso di Adele si fece più convinto. Aveva compreso il gesto di Serena e ne apprezzava l’intento.

    «Che c’è che non va?» «Tutto» rispose laconica.

    Avrebbe voluto spiegare loro come si sentiva; affrontare nuove conoscenze, luoghi, familiarizzando con una realtà sconosciuta che la metteva a disagio, e poi i professori a scuola, compagni mai visti, e il timo re per il senso di inadeguatezza che per anni l’aveva tormentata. Ma non trovò le parole giuste; si limitò a sorriderle.

    La sorella le posò una mano sulla spalla come a farle capire che su di lei avrebbe potuto contare.

    Rimasero a lungo in silenzio, strette l’una accanto all’altra, mentre il piccolo Ben giocava ai piedi del letto.

    2

    Quella sera Adele non scese per cena e questo, con suo grande stupore, non scatenò l’ira della madre. Margaret Johnson era, infatti, una donna dai principi morali molto antiquati, e inflessibile. Aveva il culto della tradizione, quella in cui l’obbedienza e il rispetto del volere degli adulti è sacro; non tollerava disobbedienze da parte dei figli, e li aveva cresciuti in modo tale che a nessuno dei tre venisse mai in mente di farlo. Per questo Adele rimase sbalordita dal suo comportamento: era rigida e distaccata come al solito, ma tollerava la sua fermezza.

    Il marito, Caleb Johnson, sembrava sempre preoccupato da qualcosa. D’animo mite, rovesciava sui figli tutto il calore che la donna pare va negare. Era l’esatto opposto, permissivo e indulgente, cercava sempre di mediare per conto dei figli. Tentò di parlare con Adele dopo ce na. Le aveva bussato con insistenza alla porta della camera ma lei pre ferì non rispondere; così, credendola addormentata, era tornato in cucina pensoso.

    Sapeva che se gli avesse permesso di entrare sarebbe di nuovo scoppiata a piangere, rivelandogli che non voleva stare in quella città, che si sentiva persa e sarebbe voluta tornare a casa immediatamente. Riflettendo però aveva deciso di tenere per sé i capricci nelle ragioni del trasferimento, dovuto a un grave malessere della nonna, e affidare i pensieri al silenzio della notte.

    Non riuscì a chiudere occhio, anche il silenzio era diverso da quello a cui era abituata; nuovi rumori venivano a romperne il ronzio di velluto in mille modi. A ogni impercettibile movimento il letto cigolava, strani scricchiolii provenienti dal giardino la fecero sussultare più di una volta e le lancette dell’orologio nel corridoio crepitavano a ogni movimento, scandendo tutti i secondi della notte. Le era parso persino di sentire il lieve sibilo dell’aria che entrava da sotto la finestra.

    Il giorno seguente trascorse lento. Adele s’era affacciata in cucina solo in tarda mattinata perché presa dai morsi della fame. Non mangiava nulla dalla sera della partenza. Cercando di non far rumore, prese dal la dispensa qualche biscotto e tornò di corsa in camera temendo di in contrare qualcuno.

    Non scese per il pranzo, e nonostante le insistenze dei fratelli non si presentò nemmeno a cena. Rinchiusa in quella prigione continuava a fare i conti con la fame, quando il padre si presentò

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